mercoledì 23 giugno 2010

schegge d'italia 2

Il cassetto dello zaino come artefatto culturale italiano: ossia come si media tra lo studente e lo spazio dello studio
Un’altra osservazione di tipo culturale nel mondo universitario italiano è la presenza in molti atenei di questi cassetti depositi per gli zaini degli studenti. A prima vista si potrebbe dire cosa c’entra il cassetto dello zaino nello spazio della biblioteca con un’analisi di tipo culturale? Questo oggetto rientra in pieno nei miei interessi in quanto si trova a mediare il rapporto tra il proprio momento dedicato allo studio e l’istituzione che offre questa possibilità, ossia l’università in questo caso. In altri termini, lo studente che intende recarsi in biblioteca è costretto a non portare con sé il proprio zaino di studio e di conseguenze tante cose utili per agevolare il proprio studio in quanto l’istituzione universitaria non ha fiducia o non si fida abbastanza del comportamento del suo maggiore e reale utente , vale a dire lo studente come una persona capace di responsabilità e non certo di atteggiamenti furtivi all’interno della biblioteca. Anche in questo caso si riproduce lo scarso senso di responsabilità presente nelle istituzioni italiane che detengono il potere e quelli che usufruiscono dei servizi, ossia i giovani. In conclusione, vorrei sostenere che questo cassetto deposito dello zaino rappresenta un esempio illuminante di artefatto burocratico e quindi culturale tutto italiano.

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Schegge d’Italia: La cultura dell’impiegato in Italia

L’analisi del comportamento fenomenologico dell’impiegato italiano si divide in due categorie: quella di chi si sente il padrone dell’ufficio e del mondo burocratico e quelli che inseguono il collega che appartiene alla prima categoria. Questa riflessione è il frutto di un’osservazione partecipata all’interno di un ufficio universitaria di un ateneo di piccole dimensioni situato nel centro nord dell’Italia.
Volendo partire dalla prima categoria di impiegati possiamo dire che sembrano delle persone molto soddisfatte di se stesse e di come gestiscono la loro vita. In altri termini, queste persone danno l’impressione di aver posto la centralità del proprio vivere all’ambito del privato a discapito del vivere professionale, inteso come ambito pubblico della propria persona.
L’altra categoria d’impiegati è quella rappresentata dalla figura dell’impiegato sempre affannato che insegue sempre qualche collega che sembra saperne di più oppure che si trova maggiormente implicato nei processi decisionali. Questa categoria di impiegati vive la condizione di chi sacrifica la qualità del proprio vivere privato in quanto è ansioso del proprio andamento lavorativo ma allo stesso tempo la sua condizione professionale non è delle migliori perché non riesce a dare il meglio del suo potenziale in quanto sempre teso tra quello che vorrebbe fare lui e quello che gli altri fanno perché incapace di sapere quello che ci si aspetta da lui.
Questa è una chiave di lettura tutta personale di un fatto culturale presente nell’Italia del primo decennio del duemila che salta agli occhi di un italiano che si sente de-etnicizzato, ossia un italiano che non ricollega la sua persona ad un patrimonio predefinito di conoscenze date come per certe come italiane, ma bensì aderisce all’idea di una rinegoziazione del patto identitario tramite una nuova identità italiana di tipo aperta e solidale. Questo genere di tradizione solidale ed umanistica deve riguardare anche il mondo della pubblica amministrazione. Questa identità, non certo presente per ora all’interno del mondo autoreferenziale del mondo impiegatizio, può essere una nuova modalità per discutere con gli altri sistemi della pubblica amministrazione europea e anche con i nuovi italiani, i quali ormai sono diventati anche loro maggiorenni e vaccinati.