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vendredi 27 juin 2025

L'ideale di cortesia nel testo "I promessi Sposi" di Manzoni \ l'idéal de la politesse dans l'oeuvre " I promessi Sposi" de Alessandro Manzoni

 



L'ideale di cortesia nel testo "I promessi Sposi" di Manzoni.


Il romanzo manzoniano costituisce un esempio interessante di testo letterario concepito in modo ingenuo rispetto ai temi specifici legati alla cortesia. In molti dialoghi del libro si può indagare il manifestarsi delle strategie comunicative correlate al comportamento cortese. La domanda di partenza potrebbe sintetizzarsi in questo modo: come si manifesta la cortesia all'interno dei dialoghi manzoniani ?

Nei vari dialoghi è possibile notare un certo accento posto sulle relazioni di potere esistenti tra gli interlocutori, sulla loro distanza sociale e culturale oppure vicinanza intesa come complicità nell'orchestrare inganni e minaccia attraverso l'uso delle parole. In sintonia con la massima della Modestia ( Leech, 1983), l'atto di lode è un'espressione di un atteggiamento cortese se rivolto all'altro ma non cortese se è rivolto verso sé stessi; la critica dell'altro è una minaccia per sua faccia positiva, ma se la critica è rivolta a se stessi diventa una strategia di massimizzazione della positività dell'interazione contribuendo al riconoscimento della faccia dell'interlocutore. Per analizzare il testo vengono usate le categorie di Polite e politic di Watts combinandole con il modello di Kebrat-Orecchioni ( politesse, hyperpolitesse, apolitesse, impolitesse e polirudesse. Con queste categorie si cercherà di esemplificare questo modello tramite una serie di dialoghi legati tra di loro in termini di dipendenza e coerenza. I dialoghi sono collegati tra di loro come una forma di catena di soprusi che coinvolge i bravi, Don Abbondio e anche Renzo.


I bravi e Don Abbondio


Le prime battute del dialogo hanno la consueta funzione fàtica ma rivelano subito la consapevolezza delle regole del gioco con un " signor curato" che sembra cortese ma viene pronunciato dai Bravi " piantandogli gli occhi in faccia". Il richiamo al suo nome " curato" è percepito come una richiesta ( fta) ed è recepito in una posizione di deferenza verso i bravi con " cosa comanda?". Qui si capisce che il curato sa che deve aspettarsi degli ordini ed è già disposto all'obbedienza. Il bravo prosegue con " lei ha intenzione" con un tono di voce in cui traspare ira e con l'intenzione in termini pragmatici di minacciare. Don Abbondio, con voce tremolante ( ha capito il senso della minaccia), utilizza la " faccia positiva" dell'altro con " lor signori sono uomini di mondo", ossia il curato si presenta come semplice servitore del comune. Il " noi" è una tecnica di limitazione delle proprie responsabilità. L'adulazione e le scuse del curato non bastano ad evitare l'imposizione " non s'ha da fare". La replica di Don Abbondio compiuta con gentilezza e mansuetudine contiene una minaccia per la faccia negativa dei bravi quando afferma " si degnino di mettersi nei miei panni". Per i bravi, le parole sono " ciarle" e conta solo la minaccia e il suo recepimento. Don Abbondio insiste con l'adulazione per cercare di ottenere ragionevolezza da parte dei bravi ma questi rispondono " il matrimonio non si farà". I bravi cercano di essere cortesi affermando a loro volto al curato " è uomo che sa il viver del mondo" riprendendo quasi le stesse parole pronunciate all'inizio da Don Abbondio. La firma finale del dialogo si ritrova in questo saluto " illustrissimo signor Don Rodrigo nostro padrone la riverisce caramente".


I bravi e Don Abbondio


Le prime battute del dialogo hanno la consueta funzione fàtica ma rivelano subito la consapevolezza delle regole del gioco con un " signor curato" che sembra cortese ma viene pronunciato dai Bravi " piantandogli gli occhi in faccia". Il richiamo al suo nome " curato" è percepito come una richiesta ( fta) ed è recepito in una posizione di deferenza verso i bravi con " cosa comanda?". Qui si capisce che il curato sa che deve aspettarsi degli ordini ed è già disposto all'obbedienza. Il bravo prosegue con " lei ha intenzione" con un tono di voce in cui traspare ira e con l'intenzione in termini pragmatici di minacciare. Don Abbondio, con voce tremolante ( ha capito il senso della minaccia), utilizza la " faccia positiva" dell'altro con " lor signori sono uomini di mondo", ossia il curato si presenta come semplice servitore del comune. Il " noi" è una tecnica di limitazione delle proprie responsabilità. L'adulazione e le scuse del curato non bastano ad evitare l'imposizione " non s'ha da fare". La replica di Don Abbondio compiuta con gentilezza e mansuetudine contiene una minaccia per la faccia negativa dei bravi quando afferma " si degnino di mettersi nei miei panni". Per i bravi, le parole sono " ciarle" e conta solo la minaccia e il suo recepimento. Don Abbondio insiste con l'adulazione per cercare di ottenere ragionevolezza da parte dei bravi ma questi rispondono " il matrimonio non si farà". I bravi cercano di essere cortesi affermando a loro volto al curato " è uomo che sa il viver del mondo" riprendendo quasi le stesse parole pronunciate all'inizio da Don Abbondio. La firma finale del dialogo si ritrova in questo saluto " illustrissimo signor Don Rodrigo nostro padrone la riverisce caramente". In questo contesto, l'atto di trasmettere omaggi è una forma di cortesia pura ma qui si trasforma in una vera minaccia come si evince dall'inchino istintivo del curato ma che produce a sua volta una minaccia alla faccia negativa dell'altro, il quale è costretto a replicare con " suggerire a lei che sa di latino", " a lei tocca" come forma di imperativo. Don Abbondio in questo contesto storico è un pari di Don Rodrigo benché nel dialogo non abbia mostrato questo ruolo, dispiegando invece una forma di cortesia esagerata ( hyperpolitesse). I bravi invece esemplificano una pseudo-cortesia ( polirudesse) nascondendo le minacce e gli atti cortesi in forma di comunicazioni piuttosto tipiche dei potenti. Il dialogo, in realtà, è tra il signorotto Don Rodrigo e Don Abbondio, in cui i due bravi possono tirarsi fuori dal dialogo affermando la loro incompetenza e rispondere all'adulazione senza compromettere la minaccia, imposta dal potere del loro padrone e tuttavia iscritta nel ruolo sociale e storico del romanzo.


Don Abbondio e Renzo: primo incontro


Nell'espressione " i tempi in cui gli era toccato di vivere" descrive bene il carattere di Don Abbondio in conformità con la condizione storica nella quale si trova immerso. Nel suo personaggio si esplicita il sistema del periodo fatto di prevaricazioni, soprusi a cui bisogna rispondere con pazienza, sottomissione e silenzio creando di fatto una grossa frustrazione nel curato, il quale riversa questa frustrazione verso le persone più docili e incapaci di fargli del male. In questo caso, Renzo, pur quieto e mansueto, non poteva diventare così facilemente l'anello successivo della catena, perché ciò l'avrebbe toccato nell'ambito dell'amore. Il curato, nonostante la sua autorità, deve pensare a dare delle ragioni, in cui lui " pensa alla pelle, mentre Renzo pensa alla morosa". In questo contesto, prende forma la strategia per compiere questa prevaricazione. Nel primo dialogo tra Renzo e Don Abbondio, il giovane Renzo mostra un'aria di festa e di braveria scontrandosi subito con l'accoglimento incerto e misterioso del curato. Renzo giunge all'incontro per compiere una richiesta che viene mitigata da lui in sintonia con il proprio ruolo " a che ora le comoda" anche il curato mitiga il suo rifiuto per proteggere la propria faccia negativa e il richiamo alla pazienza è il primo di una lunga serie. Le strategie di Don Abbondio vanno dall'autoelogio ( io son troppo dolce di cuore) e l'autocritica ( trascuro il mio dovere), la modestia, l'immodestia, la falsa modestia, l'autocommiserazione " e poi mi toccan dei rimproveri e peggio". A questo punto, Renzo comincia ad alterarsi e a incalzare con le domande senza superare i limiti imposti dal proprio ruolo sociale, non si preoccupa più di mitigare i suoi atti ( apolitesse). Il curato gioca ancora sull'autocritica " noi poveri curati" stretti tra voi e i superiori. Il tutto mira a ridurre al minimo la responsabilità individuale riprendendo lo stesso metodo adoperato con i Bravi. Don Abbondio esplicita il potere della conoscenza quando afferma " se non sapete le cose, abbiate pazienza, e rimettetevi a chi le sa" "adoperando la faccia positiva con l'aggiunta " figliuol caro".

L'appello alla pazienza da parte di Don Abbondio viene ratificato da Renzo quando afferma " riverisco" preceduto dall'avverbio " intanto" per dire che aspetto il giorno ormai concordato per il matrimonio.


Don Abbondio e Renzo: secondo incontro


In questo incontro, Renzo ha compreso l'esistenza di un imbroglio grazie ad un dialogo con la perpetua. In questo nuovo colloquio si comincia con delle richieste esplicite in cui la minaccia della faccia negativa dell'altro si completa con una minaccia di tipo fisica. La porta viene chiusa durante l'incontro per segnalare il bisogno di una risposta e la mano di Renzo viene posta forse per errore sul suo coltello. Da qui, il curato è ridotto all'obbedienza tramite una nuova prevaricazione compiuta senza mitigare gli atti aggressivi. Renzo, per natura e condizione sociale è tra i poveri innocenti ( un agnello) è costretto a tirar fuori la sua parte focosa, con un interlocutore che meriterebbe un atteggiamento diverso, abbandonando di fatto il suo ruolo e ogni regola di cortesia ( impolitesse). Da qui nasce la sorpresa iniziale di Don Abbondio con il richiamo alla ragionevolezza ( badate a quel che fate) e " pensate all'anima vostra" come tentativo da parte del prete di sfruttare la propria autorità (apolitesse). Tale richiesta resta vana e la nuova minaccia viene esplicitata " le prometto che fo uno sproposito" spingendo in questo modo Don Abbondio a proferire il nome di Don Rodrigo. Compiuto questo sacrificio da parte del curato, il quale si sente ora quasi in una condizione di creditore e comincia le sue minacce alla faccia positiva dell'altro con dei rimproveri " avete fatto una bella azione, una bella prodezza". Renzo accoglie queste minacce in modo " immobile, col capo basso". Tra argomenti, recriminazioni, autoelogi, autocommiserazione, il curato vorrebbe un giuramento di silenzio da parte di Renzo, ma l'attacco alla faccia negativa dell'altro non produce risultati. L'incontra si termina con un dialogo tra sordi, in cui abbiamo la richiesta imperativa " giurate" del curato a cui risponde Renzo con la sua ammissione di colpa " posso aver fallato". La nota finale del prete è che Don Abbondio " non sapeva più in che mondo si fosse".

Quando i due si incontreranno di nuovo, il giovane Renzo saluterà con " riverenza" perché il curato " era sempre il suo curato". Le minacce di Renzo, cambiando il suo ruolo sociale, risultano più inattese di quelle dei bravi poiché rientrano in un copione atteso dall'epoca. L'atteggiamento di Renzo segna un rovesciamento del mondo perché muta radicalmente le regole della cortesia di quel periodo storico. Infatti, nelle giornate dei tumulti di San Martino, le persone agiate rispondono agli umili come Renzo in modo " molto gentile". Questi tumulti avevano creato una nuova e inattesa norma di cortesia.

In un altro dialogo interessante osserviamo come tra Don Rodrigo e Fra Cristoforo, l'equivoco è fittiziamente generato per sfuggire alla realtà delle accuse, mimetizzate a loro volte in una preghiera. Sin dall'inizio del dialogo, la relazione di potere è chiaramente delineata: Fra Cristoforo si è presentato da Don Rodrigo per ottenere giustizia e misericordia. Con un'aria di soggezione e di rispetto di fronte al potente viene prima descritto il banchetto tenutosi presso la dimora di Don Rodrigo come luogo per dispiegare il potere. Prima del dialogo viene descritto il banchetto di Don Rodrigo come luogo per dispiegare il potere. Infatti, quando inizia il dialogo, Don Rodrigo si trova in piedi in mezzo alla sala e i suoi modi rivelano la dissonanza tra il senso letterale delle sue parole e il loro vero valore " in che posso ubbidirla?" con il valore pragmatico di " bada a chi hai davanti, pesa le parole e sbrigati). Fra Cristoforo per rispondere tenta l'inganno della cortesia: la richiesta diventa una proposta, la preghiera di un atto di carità: "nella storia narrata c'è un povero curato, ci sono due innocenti e certi uomini di malaffare che hanno messi innanzi il suo nome di vossignoria illustrissima per spaventare e prevaricare e c'è la possibilità che Don Rodrigo restituisca al diritto la sua forza sollevando quelli a cui è fatta una così crudele violenza". L' insistenza di Cristoforo costringe però Don Rodrigo a iniziare a smontare l'inganno della cortesia e dire le cose come in realtà stanno, ancorché usando parole ambigue e offensive " non capisco altro se non che ci dev'essere qualche fanciulla che le preme molto". Fra Cristoforo insiste asserendo " una parola di lei può fare tutto". A tale insistenza, Don Rodrigo offre come replica la sua protezione per questa fanciulla. A questo punto il dialogo è a una svolta perché Cristoforo è pronto a svelare l'inganno con la forza di Dio per andare contro il potente su terra. Il frate esprime un " verrà un giorno" al quale Rodrigo risponde con " escimi di tra piedi, villano rincivilito, mascalzone". In tutto il colloquio, Rodrigo non ha mai cercato la cortesia se non in modo ironico ma il suo comportamento da " apolitesse" diventa " scortese" con aperti attacchi alla faccia dell'altro che portano all'estremo le prerogative del suo ruolo, quello di un potente che pure è tenuto al rispetto di un religioso. Il frate da parte sua inizia il dialogo con un comportamento molto cortese ( hyperpolitesse e anche polirudesse). Al momento di verità, nel dialogo, il frate abbandona la cortesia senza uscire dal proprio ruolo perché le sue parole vengono da Dio.


Conclusioni

L'ideale della cortesia

Nei dialoghi analizzati nel testo I Promessi Sposi difficilmente viene espressa una forma diretta e autentica di cortesia, nella quale potere vedere una attenuazione della minaccia o l'esaltazione del corteggiamento non sia disgiunta dal mantenimento del proprio ruolo sociale. Ritroviamo ampiamente forme di hyperpolitesse con Don Abbondio maestro nell'arte, anche Fra Cristoforo. La scortesia ( impolitesse) si accoppia invece a comportamenti palesamenti aggressivi come quelli di Renzo o di Don Rodrigo.

La polirudesse si manifesta chiaramente nel comportamento dei bravi con il curato. La cortesia, all'interno di relazioni di potere, si ottiene tramite l'adulazione, la valorizzazione della faccia positiva dell'altro con la propria svalorizzazione del sé. La cortesia è un inganno capace di riprodurre dei modelli di comportamenti profondamente arroganti ma vestiti con panni cortesi.

Nei Promessi Sposi, Don Abbondio offre anche un'analisi della creanza intesa come " il non dire le cose che possono dispiacere, specialmente a chi non è avvezzo a sentirne". In questo modo, la cortesia, nell'ambito delle relazioni di potere asimmetriche, generano scambi di responsabilità e di colpa, in cui Renzo può sembrare l'oppressore invece è l'oppresso mentre Don Abbondio sembra l'oppresso invece è l'oppressore. Questo modello della cortesia di Manzoni è interessante per vedere come la cortesia sia una manifestazione linguistica legata a un dato contesto storico ma che rimanda a esigenze e principi che attraversano le fasi storiche tramite i suoi temi e meccanismi psicologici sorprendentemente vicini al lettore odierno.




Traduction


L'idéal de la courtoisie dans le texte "I PROMESSI SPOSI" de Manzoni.

Le roman manzonien est un exemple intéressant de texte littéraire conçu de manière naïve par rapport aux questions spécifiques liées à la courtoisie. Dans de nombreux dialogues du livre, la manifestation de stratégies de communication liées au comportement courtois peut être étudiée. La question de départ pourrait être résumé de cette manière: comment la courtoisie se manifeste-t-elle dans les dialogues manzoniens?
Dans les divers dialogues, il est possible de noter un certain accent mis sur les relations de pouvoir existant entre les interlocuteurs, sur leur distance sociale et culturelle ou leur proximité comprise comme une complicité dans les tromperies d'orchestration et menace par l'utilisation des mots. En phase avec le maximum de la modestie (Leech, 1983), l'acte de louange est l'expression d'une attitude courtoise si elle est adressée à l'autre mais pas courtoise si elle s'adresse à soi-même; La critique de l'autre est une menace pour son visage positif, mais si la critique s'adresse à elles-mêmes, elle devient une stratégie de maximiser la positivité de l'interaction en contribuant à la reconnaissance du visage de l'interlocuteur. Pour analyser le texte, les catégories de polytiques et de politiciens de Watts sont utilisées en les combinant avec le modèle Kebra-Orchioni (Polytesse, Hyperpolitasse, Apolitese, Imbolissesse et Polirudesse. Avec ces catégories, nous essaierons d'exempter ce modèle. Que cela implique les bons, Don Abbondio et aussi Renzo.


Les Braves et Don Abbondio

Les premières lignes du dialogue ont la fonction phatique habituelle, mais révèlent immédiatement la connaissance des règles du jeu avec un « monsieur le curé » qui semble poli, mais que les Bravi prononcent en lui plantant les yeux au visage. L'allusion à son nom, « curé », est perçue comme une demande (fta) et accueillie avec déférence envers les braves par un « que commandez-vous ? ». On comprend ici que le curé sait qu'il doit s'attendre à des ordres et est déjà disposé à obéir. Le bravo poursuit par un « vous avez l'intention » sur un ton où transparaît la colère et avec l'intention pragmatique de menacer. Don Abbondio, d'une voix tremblante (il a compris le sens de la menace), utilise le « visage positif » de l'autre avec « leurs messieurs sont des hommes du monde », autrement dit, le curé se présente comme un simple serviteur de la municipalité. Le « nous » est une technique pour limiter ses propres responsabilités. Les flatteries et les excuses du curé ne suffisent pas à éviter l'imposition du « cela ne doit pas se faire ». La réponse de Don Abbondio, faite avec gentillesse et douceur, contient une menace envers le visage négatif des bravos lorsqu'il déclare : « Daignez vous mettre à ma place ». Pour les bravos, les mots sont du « bavardage » et seules comptent la menace et sa réception. Don Abbondio insiste avec flatterie pour tenter d'obtenir la raison des bravos, mais ils répondent : « le mariage n'aura pas lieu ». Les bravos tentent d'être polis en déclarant à leur tour au curé : « C'est un homme qui sait vivre dans le monde », reprenant presque les mots prononcés au début par Don Abbondio. La signature finale du dialogue se trouve dans cette salutation : « Très illustre Monsieur Don Rodrigo, notre maître, vous adresse ses plus chaleureuses salutations ».


Les Braves et Don Abbondio

Les premières lignes du dialogue ont la fonction phatique habituelle, mais révèlent immédiatement la connaissance des règles du jeu avec un « monsieur le curé » qui semble poli, mais que les Bravi prononcent en lui plantant les yeux au visage. L'allusion à son nom, « curé », est perçue comme une demande (fta) et accueillie avec déférence envers les braves par un « que commandez-vous ? ». On comprend ici que le curé sait qu'il doit s'attendre à des ordres et est déjà disposé à obéir. Le bravo poursuit par un « vous avez l'intention » sur un ton où transparaît la colère et avec l'intention pragmatique de menacer. Don Abbondio, d'une voix tremblante (il a compris le sens de la menace), utilise le « visage positif » de l'autre avec « leurs messieurs sont des hommes du monde », autrement dit, le curé se présente comme un simple serviteur de la municipalité. Le « nous » est une technique pour limiter ses propres responsabilités. Les flatteries et les excuses du curé ne suffisent pas à éviter l'imposition du « cela ne doit pas se faire ». La réponse de Don Abbondio, faite avec gentillesse et douceur, contient une menace envers le visage négatif des bravos lorsqu'il déclare : « Daignez vous mettre à ma place ». Pour les bravos, les mots sont du « bavardage » et seules comptent la menace et sa réception. Don Abbondio insiste avec flatterie pour tenter d'obtenir la raison des bravos, mais ils répondent : « le mariage n'aura pas lieu ». Les bravos tentent d'être polis en déclarant à leur tour au curé : « C'est un homme qui sait vivre dans le monde », reprenant presque les mots prononcés au début par Don Abbondio. La signature finale du dialogue se trouve dans cette salutation : « Très illustre Monsieur Don Rodrigo, notre maître, vous adresse ses plus chaleureuses salutations ». Dans ce contexte, transmettre des hommages est une pure forme de courtoisie, mais se transforme ici en une menace réelle, comme en témoigne la révérence instinctive du prêtre, qui, à son tour, menace le visage négatif de l'autre, contraint de répondre par « suggère à celle qui connaît le latin » ou « à son tour », comme un impératif. Don Abbondio, dans ce contexte historique, est l'égal de Don Rodrigo, bien qu'il n'ait pas joué ce rôle dans le dialogue, affichant plutôt une forme exagérée de courtoisie (hyperpolitesse). Les bravos, quant à eux, incarnent une pseudo-courtoisie (polirudesse), dissimulant menaces et actes de courtoisie sous la forme de communications typiques des puissants. Le dialogue, en réalité, se déroule entre l'écuyer Don Rodrigo et Don Abbondio, où les deux bravos peuvent se retirer du dialogue en affirmant leur incompétence et répondre à la flatterie sans compromettre la menace, imposée par le pouvoir de leur maître et pourtant inscrite dans le rôle social et historique du roman.

Don Abbondio et Renzo : première rencontre

L’expression « les temps qu’il a dû vivre » décrit bien le caractère de Don Abbondio, en accord avec la situation historique dans laquelle il se trouve plongé. Son personnage explicite le système de l’époque, fait d’abus et d’injustices auxquels il faut répondre avec patience, soumission et silence, créant une profonde frustration chez le prêtre, qui la déverse sur les personnes les plus dociles et incapables de lui faire du mal. Dans ce cas, Renzo, bien que calme et doux, ne pouvait pas devenir si facilement le prochain maillon de la chaîne, car cela l’aurait affecté sur le plan amoureux. Le prêtre, malgré son autorité, doit penser à justifier ses actes, « pensant à sa peau, tandis que Renzo pense à sa petite amie ». C’est dans ce contexte que la stratégie pour commettre cet abus prend forme. Dans le premier dialogue entre Renzo et Don Abbondio, le jeune Renzo affiche un air de célébration et de courage, contrastant immédiatement avec l’accueil incertain et mystérieux du curé. Renzo se présente à la réunion pour formuler une demande qu'il atténue, conformément à son rôle : « au moment qui vous convient ». Le curé tempère également son refus de dissimuler son image négative et cet appel à la patience est le premier d'une longue série. Les stratégies de Don Abbondio vont de l'auto-éloge (« je suis trop gentil ») à l'autocritique (« je néglige mon devoir »), en passant par la modestie, l'impudence, la fausse modestie, l'apitoiement sur soi « et puis je reçois des réprimandes, et pire encore ». À ce stade, Renzo commence à s'énerver et à insister sans dépasser les limites imposées par son rôle social ; il ne se soucie plus de modérer ses actes (apolitesse). Le curé continue de jouer sur l'autocritique : « Nous, pauvres curés », coincés entre vous et vos supérieurs. L'objectif est de minimiser la responsabilité individuelle en utilisant la même méthode que celle utilisée avec les Bravi. Don Abbondio explicite le pouvoir du savoir lorsqu'il dit : « Si tu ne sais pas, sois patient et fais confiance à ceux qui savent », en utilisant le visage positif et en ajoutant « cher fils ».
L'appel à la patience de Don Abbondio est ratifié par Renzo lorsqu'il dit « Je respecte », précédé de l'adverbe « intanto », pour signifier que j'attends la date convenue pour le mariage.

Don Abbondio et Renzo : deuxième rencontre

Lors de cette rencontre, Renzo a compris l'existence d'une arnaque grâce à un dialogue avec la gouvernante. Dans cette nouvelle conversation, nous commençons par des demandes explicites où la menace du visage négatif de l'autre est complétée par une menace physique. La porte est fermée pendant la rencontre pour signaler la nécessité d'une réponse et la main de Renzo est posée, peut-être par erreur, sur son couteau. Dès lors, le curé est réduit à l'obéissance par un nouvel abus commis sans atténuer les actes agressifs. Renzo, par nature et par condition sociale, fait partie des pauvres innocents (un agneau) et est contraint de faire ressortir sa fougue. Face à un interlocuteur qui mérite une attitude différente, abandonnant de fait son rôle et toute règle de courtoisie (impolitesse). De là la surprise initiale de Don Abbondio face à l'appel à la raison (attention à ce que l'on fait) et à « pense à ton âme », tentative du prêtre d'exploiter sa propre autorité (apolitesse). Cette requête reste vaine et la nouvelle menace est formulée explicitement : « Je vous promets que je fais une erreur », poussant ainsi Don Abbondio à prononcer le nom de Don Rodrigo. Une fois ce sacrifice accompli par le prêtre, qui se sent désormais presque créancier, commence à menacer le côté positif de l'autre par des reproches : « Tu as fait une bonne action, un grand exploit ». Renzo reçoit ces menaces « immobile, la tête basse ». Entre disputes, récriminations, auto-éloges et apitoiement sur lui-même, le prêtre souhaiterait obtenir de Renzo un serment de silence, mais l'attaque du côté négatif de l'autre reste sans effet. La rencontre se termine par un dialogue de sourds, où nous retrouvons le La demande impérative du prêtre, « jurer », à laquelle Renzo répond par un aveu de culpabilité : « J’ai peut-être échoué ». Le prêtre conclut en affirmant que Don Abbondio « ne savait plus dans quel monde il se trouvait ». Lorsqu’ils se retrouveront, le jeune Renzo les accueillera avec « révérence », car le prêtre « a toujours été son prêtre ». Les menaces de Renzo, modifiant son rôle social, sont plus inattendues que celles des voyous, car elles s’inscrivent dans un scénario attendu à l’époque. L’attitude de Renzo marque un renversement du monde, car elle bouleverse les règles de courtoisie de cette période historique. De fait, à l’époque des émeutes de San Martino, les riches réagissaient avec « très bienveillance » aux personnes humbles comme Renzo. Ces émeutes avaient créé une nouvelle et inattendue norme de politesse.


Courtoisie et malentendus

Dans le contexte manzonien, nous observons que les relations de pouvoir entre les différents interlocuteurs permettent principalement de donner un sens univoque au mot, transformant la flatterie en menace et les menaces en subversion du monde. Dans ce contexte historique, la courtoisie devient facilement un moyen de démasquer la dureté de la réalité et de jouer le jeu de la force et de l'abus à la limite de l'ambiguïté et du malentendu. Le malentendu peut être réel ou apparent, mais sa résolution marque l'abandon de l'atténuation et l'expression plus directe des intentions des autres par les interlocuteurs. Un véritable malentendu se manifeste au début du dialogue entre Renzo et Azzeccagarbugli, qui prend Renzo pour un bravo cherchant de l'aide pour échapper à la justice. Renzo s'annonce par un hommage et une grande révérence avant de présenter sa demande de manière atténuée, faisant un grand usage de la courtoisie négative pour atténuer le caractère intrusif de la question (Je tiens à vous dire, à vous qui avez étudié, que nous autres, pauvres gens, ne savons pas bien parler, excusez-moi). L'avocat l'accueille avec humanité (mon fils), même si l'injonction « dites-moi comment ça va » ne manque pas, avec même une pointe de critique (« Que Dieu vous bénisse ! Vous êtes tous comme ça ! »). Le ton général de la conversation est empreint d'un respect mutuel poli, malgré la conscience évidente de l'asymétrie des rôles. La façon de parler de l'avocat représente un échantillon fidèle et détaillé de la réalité (la personne importante qui donne l'ordre de commettre l'agression, le système de silences et d'implicites à utiliser pour obtenir la complicité. Cependant, ce sera toujours Renzo qui proposera un monde bouleversé en se qualifiant d'offensé et en révélant Don Rodrigo comme faisant partie de la menace. La vérité exprimée par Renzo est intolérable pour l'avocat Azzeccagarbugli et cela provoque la fin de tout comportement poli : l'avocat intervient, immédiatement, et enlève à l'autre la liberté de parole et menace son visage positif en disant "vous les autres, qui ne savez pas mesurer vos mots, apprenez à parler, vous n'allez pas chez un gentleman pour le menacer". L'avocat jette Renzo hors de la maison et rend le cadeau pour sceller la profonde distance entre les deux.


Dans un autre dialogue intéressant, nous observons comment, entre Don Rodrigo et Fra Cristoforo, le malentendu est généré de manière fictive pour échapper à la réalité des accusations, camouflées par une prière. Dès le début du dialogue, le rapport de force est clairement défini : Fra Cristoforo s’est présenté à Don Rodrigo pour obtenir justice et clémence. Avec un air de respect et de crainte devant les puissants, le banquet organisé chez Don Rodrigo est d’abord décrit comme un lieu de démonstration de pouvoir. Avant le dialogue, le banquet de Don Rodrigo est décrit comme un lieu de démonstration de pouvoir. De fait, lorsque le dialogue débute, Don Rodrigo se tient debout au milieu de la pièce et son attitude révèle la dissonance entre le sens littéral de ses paroles et leur véritable valeur : « De quelle manière puis-je vous obéir ?» Avec la valeur pragmatique de « attention à qui vous avez en face de vous, pesez vos mots et dépêchez-vous ». Pour répondre, Frère Cristoforo tente la supercherie de la courtoisie : la requête devient une proposition, la prière pour un acte de charité : « Dans l'histoire, il y a un pauvre curé, deux innocents et des hommes de mauvaise réputation qui ont invoqué le nom de votre illustre seigneurie pour effrayer et intimider, et il y a la possibilité que Don Rodrigo rétablisse la force de la loi en soulageant ceux qui sont soumis à une violence aussi cruelle. » Cependant, l'insistance de Cristoforo force Don Rodrigo à commencer à démanteler la supercherie de la courtoisie et à dire les choses telles qu'elles sont, même en utilisant des mots ambigus et offensants : « Je ne comprends rien, si ce n'est qu'il doit y avoir une fille qui compte beaucoup pour elle. » Frère Cristoforo insiste, affirmant qu'« un mot d'elle peut tout faire. » En réponse à cette insistance, Don Rodrigo offre sa protection à cette fille. Le dialogue atteint alors un tournant. Car Christophe est prêt à révéler la tromperie avec la force de Dieu pour s'opposer aux puissants de la terre. Le frère exprime un « un jour viendra », auquel Rodrigo répond : « Écarte-toi de mon chemin, paysan civilisé, vaurien ». Tout au long de la conversation, Rodrigo n'a jamais recherché la courtoisie, sauf ironiquement, mais son comportement d'« apolitesse » devient « grossier » avec des attaques ouvertes envers l'autre, portant à l'extrême les prérogatives de son rôle, celui d'un homme puissant qui est également tenu de respecter un religieux. Le frère, pour sa part, entame le dialogue avec une attitude très courtoise (hyperpolitesse et aussi polirudesse). Au moment de vérité, dans le dialogue, le frère abandonne la courtoisie sans pour autant quitter son rôle, car ses paroles viennent de Dieu.


Conclusion


L'idéal de courtoisie
Dans les dialogues analysés dans le texte « I Promessi Sposi », on observe rarement une forme directe et authentique de courtoisie, où l'on perçoit une atténuation de la menace ou une exaltation de la courtoisie indissociable du maintien du rôle social. On trouve de nombreuses formes d'hyperpolitesse, notamment chez Don Abbondio, maître en la matière, et même chez Fra Cristoforo. L'impolitesse s'accompagne plutôt de comportements ouvertement agressifs, comme chez Renzo ou Don Rodrigo.
La polirudesse se manifeste clairement dans le comportement des bravos envers le curé. La courtoisie, dans les relations de pouvoir, s'obtient par la flatterie, la valorisation du côté positif de l'autre et sa propre dévalorisation. La courtoisie est une tromperie capable de reproduire des modèles de comportement profondément arrogants, mais revêtus de courtoisie. Dans Les Fiancés, Don Abbondio propose également une analyse de la politesse, entendue comme « ne pas dire des choses qui pourraient déplaire, surtout à ceux qui ne sont pas habitués à les entendre ». Ainsi, dans le contexte de relations de pouvoir asymétriques, la politesse engendre des échanges de responsabilité et de culpabilité, où Renzo peut sembler l'oppresseur, mais est en réalité l'opprimé, tandis que Don Abbondio semble être l'opprimé, mais est en réalité l'oppresseur. Ce modèle de la politesse manzoniienne est intéressant pour comprendre comment la politesse est une manifestation linguistique liée à un contexte historique donné, mais qui renvoie à des besoins et des principes qui traversent les phases historiques à travers ses thèmes et ses mécanismes psychologiques étonnamment proches du lecteur d'aujourd'hui.




mercredi 25 juin 2025

Le molte identità degli italiani: la cultura dell'Italia contemporanea di Loredana Sciolla

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“Italiani. Stereotipi di casa nostra” di Loredana Sciolla

Prof.ssa Loredana Sciolla, 

quali sono gli stereotipi più diffusi e radicati sul nostro conto?

Italiani. Stereotipi di casa nostra, Loredana SciollaTutti i popoli sono rappresentati da stereotipi, ossia da opinioni precostituite che sono il prodotto di un processo di ipersemplificazione che estende a un intero gruppo singoli aspetti più o meno ricorrenti e veritieri. Gli stereotipi riguardano soprattutto il modo in cui ci vedono gli altri, ma si riflettono almeno in parte anche sul modo in cui rappresentiamo noi stessi. Non siamo quindi solo noi italiani ad essere oggetto di pregiudizi e di stereotipi da parte di altri soggetti, individuali o collettivi. Pensiamo, per fare solo un esempio, ai tedeschi visti dall’esterno come obbedienti, tutti d’un pezzo, rispettosi delle regole, efficienti e organizzati, ma anche un po’ rigidi e scortesi e con uno scarso senso dell’umorismo. Potrei continuare elencando tratti, negativi e positivi, del cosiddetto “carattere nazionale” di molti altri paesi europei e non.


Anche gli italiani non fanno eccezione, con due particolarità a mio parere molto significative che li differenziano dalle altre popolazioni. La prima riguarda il fatto che gli stereotipi più diffusi sul nostro conto sono per la maggior parte negativi. Siamo visti come un popolo di cinici, individualisti, incuranti del bene pubblico, inclini al clientelismo, troppo attaccati alla mamma, disorganizzati, chiacchieroni e voltagabbana. Più alcuni altri minori come la tendenza a gesticolare in modo eccessivo, ad essere sempre in ritardo, ad amare esageratamente l’opera, gli spaghetti e la pizza. Un tratto positivo, generalmente riconosciuto, riguarda la creatività. Anche questo, tuttavia, è declinato spesso in negativo o perlomeno in maniera ambigua come “arte di arrangiarsi” che fa riferimento sì alla creatività, ma anche alla scaltrezza, furberia, opportunismo, mancanza di scrupoli. Proprio come Alberto Sordi nel film L’arte di arrangiarsi diretto da Luigi Zampa nel 1954. Nei suoi film questo grande attore ha rappresentato per la maggior parte dei commentatori l’essenza del carattere degli italiani.


La seconda particolarità consiste nel fatto che, diversamente da quanto avviene per le popolazioni degli altri paesi, gli italiani tendono a percepirsi e autorappresentarsi nello stesso modo negativo con cui sono visti dall’esterno. Insomma questi stereotipi sono generalmente accettati dagli stessi italiani che mostrano di avere un’immagine di sé stessi nient’affatto lusinghiera.


Gli italiani sono noti per la loro mancanza di orgoglio nazionale, sempre pronti a parlar male del proprio Paese: è davvero così?

Sulla debole identità nazionale degli italiani si sono versati fiumi di parole. L’interesse per questo tema è cresciuto enormemente dagli anni Novanta del secolo scorso, stimolato dalla crescente visibilità della Lega nord sulla scena politica che, con la sua impronta secessionista, sembrava confermare la “disunità” degli italiani. Se tuttavia chiediamo agli italiani se sono orgogliosi del proprio paese, otteniamo un quadro diverso. Le ricerche empiriche che hanno cercato di misurare questo sentimento di orgoglio per la propria nazione, molto importante per capire la diffusione del senso di appartenenza nazionale, mostrano che gli italiani esprimono un orgoglio nazionale elevato esteso alla grande maggioranza della popolazione. Esso risulta non solo di poco inferiore a quello manifestato da francesi e inglesi, considerati popoli con una forte coscienza nazionale, ma molto superiore, ad esempio, a quella dei tedeschi. Inoltre si mantiene relativamente stabile nel corso degli anni. Anche in questo caso gli italiani mostrano una significativa particolarità. Le ragioni per essere orgogliosi del proprio paese differiscono notevolmente da quelle degli altri paesi occidentali. Gli italiani sono molto meno propensi di quanto lo siano svedesi, inglesi, americani ad indicare come motivo di orgoglio aspetti del sistema politico o il funzionamento della democrazia, concentrandosi invece su tratti prepolitici come la storia, il patrimonio artistico, il successo sportivo. Se a ciò aggiungiamo il fatto che gli italiani sono tra le popolazioni che esprimono il più alto grado di sfiducia nelle istituzioni politiche (dal parlamento, al governo, ai partiti) ne esce un’immagine più complessa e articolata della coscienza nazionale e del suo significato.

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Italiani. Stereotipi di casa nostra

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    Sciolla, Loredana(Autore)


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Da cosa nascono tali errate convinzioni?

In realtà l’idea, espressa da numerosi autori, che l’Italia abbia una debole identità nazionale, non è in contrasto con il tipo di orgoglio nazionale espresso dagli italiani nelle indagini a cui prima mi riferivo. La debolezza dell’identità italiana risiede nel percorso di costruzione nazionale, segnato da conflitti, da culture politiche contrapposte, dalla difficoltà di parlare di patria e di nazione dopo il periodo fascista che ne ha fatto un marchio di parte, di un regime illiberale e autoritario, nonché dalla forte differenziazione interna tra le diverse parti e regioni d’Italia che hanno reso difficoltosa l’unificazione politica del paese e molto altro ancora. L’orgoglio degli italiani può convivere con questa debolezza, in quanto, come si diceva, ha un carattere più culturale che politico. Gli italiani non sono affatto orgogliosi di come funziona il sistema politico che percepiscono come inefficiente e perfino corrotto, ma riconoscono l’eccellenza che da sempre contraddistingue il “bel Paese”, dall’arte alla cucina alle bellezze naturali. Ne sono fieri. Un “noi” comunque debole, perché l’identità di un paese è fatto anche e forse soprattutto dal sentirsi a pieno titolo cittadini, impegnati e politicamente partecipi, capaci di condividere valori al di sopra delle fazioni e polarizzazioni ideologiche.


È il campanilismo/familismo il male italiano?

Tra gli studiosi, in particolare quelli di origine anglosassone, fin dagli anni Cinquanta dominava un modello esplicativo dei mali dell’Italia incentrato su quella che ho chiamato “sindrome particolarista-familista”. Secondo tale modello l’Italia risultava arretrata sul piano politico e poco sviluppata su quello economico, se comparata con i paesi di matrice anglosassone e nord europea, perché prigioniera di una visione corta, ristretta ai gruppi primari, soprattutto alla famiglia, e orientata a difenderne a spada tratta gli interessi immediati e particolari a detrimento di un più ampio impegno verso l’interesse della collettività e il bene comune. L’attaccamento degli italiani alla famiglia, peraltro difficilmente contestabile, che si estendeva anche ad altre relazioni comunitarie, di tipo perlopiù localistico, finiva per essere considerato in sé antitetico a una cultura improntata al civismo. Tale antitesi, tuttavia, era più un presupposto non dimostrato che un’evidenza empirica. Ripreso con grande enfasi dai media, tale modello diventava una sorta di passepartout buono ad aprire tutte le porte, a render conto di fenomeni complessi e molto distanti tra loro, dalla corruzione politica alla mafia, dall’inefficienza istituzionale alla italica predisposizione alla raccomandazione. Diventava, in altri termini, uno stereotipo del carattere nazionale. Numerose ricerche svolte a livello nazionale o nel Mezzogiorno, hanno rilevato che, nel quadro della debolezza del processo di costruzione dello stato e della generalizzata sfiducia nelle istituzioni politiche che ne é derivata, i legami familiari e comunitari sono stati spesso un fattore di modernizzazione e un elemento importante di sviluppo economico e sociale. Questi legami si sono anche rivelati fattori di compensazione di spazi sociali dove le istituzioni dello stato si presentavano maggiormente carenti, come nel caso del sistema di welfare o nel supporto dei giovani all’ingresso nel mercato del lavoro e della vita adulta in generale, in assenza di politiche efficaci a questi dedicate.


Dalle ricerche da me condotte negli anni Novanta si delineava un quadro dell’ “anomalia” italiana molto diverso da quello sottointeso dallo stereotipo dominante: non un paese privo di valori civili, ma in cui questi ultimi restano isolati, privi di efficacia pratica. Si presentava, in altri termini, il paradosso tutto italiano dell’assenza di sinergia tra spirito civico e impegno pubblico. Non “virtù” inesistente, dunque, ma destinata a restare un’etica privata, mentre la partecipazione politica, separata dalla civicness, prendeva (e oserei dire prende) facilmente la strada della protesta antiistituzionale, poco sensibile all’etica della responsabilità. Una conclusione più generale a cui si poteva giungere alla fine del secolo era che la presenza di una società civile densa e con un consistente capitale sociale soprattutto nelle regioni del Centro e del Nord (lascito delle subculture politiche territoriali) ha permesso l’emergere di un senso di cittadinanza senza produrre un sentimento più largo di appartenenza allo stato e alla nazione.


A distanza di quasi un quarto di secolo dalla prima edizione della Sua ricerca, come è cambiato il panorama valoriale degli italiani e la sua percezione?

Considerando i dati dell’ultima indagine internazionale EVS (European Value Study) del 2018 e mettendoli a confronto con le indagini precedenti che coprono un arco considerevole di tempo (dal 1981 al 2018), si può analizzare l’evoluzione degli atteggiamenti e degli orientamenti valoriali degli italiani in quarant’anni di storia italiana. Non si può fare a meno di notare l’accelerazione subita dal processo di secolarizzazione, soprattutto tra i giovani, mentre la gerarchia dei valori importanti nella vita resta nel tempo stabile: la famiglia è sempre al primo posto (come in quasi tutti i paesi europei), poi viene il lavoro, gli amici, il tempo libero. Agli ultimi posti troviamo la religione e la politica. Un volume appena pubblicato (Come cambiano gli italiani. Valori e atteggiamenti dagli anni Ottanta a oggi a cura di Biolcati, Rovati e Segatti) tocca molti altri aspetti che qui mi è impossibile ricordare. In un capitolo di questo volume, scritto insieme a Paola Torrioni, ho avuto modo di verificare l’andamento dei valori di cui ho maggiormente trattato nel mio libro scritto nel 1997. Si può notare, ad esempio, che la sfiducia verso le istituzioni politiche è rimasta un tratto della cultura politica degli italiani durante tutti i quarant’anni. Cresce la percentuale di italiani che fa proprie posizioni più libertarie in tema di sessualità, di inizio e fine vita. Cresce, anche se più lentamente, il civismo. Nonostante che, nei vent’anni che ci separano dalla pubblicazione del libro, la società italiana sia molto cambiata, le ricerche da me condotte su basi dati internazionali negli anni successivi fino ad oggi, mostrano che i risultati sulla cultura civica degli italiani nelle sue tendenze di fondo e correlazioni significative a cui il libro era giunto alla fine degli anni Novanta sono ancora validi oggi.

https://www.letture.org/italiani-stereotipi-di-casa-nostra-loredana-sciolla

Loredana Sciolla è Professore Emerito di Sociologia presso l’Università degli Studi di Torino. Dal 1990 è stata professore ordinario prima nell’Università di Firenze e poi in quella di Torino, dove ha ricoperto numerosi incarichi accademici tra cui Direttore del Dipartimento di Scienze Sociali (1998-2001) e membro del Senato Accademico (2012-2015). È stata, inoltre, membro del Consiglio direttivo dell’Associazione Italiana di Sociologia dal 1989 al 1991, membro del Consiglio Scientifico dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, dal 2009 al 2011, membro del Comitato direttivo dell’Associazione di cultura e politica “Il Mulino” in diversi periodi e dal 2018 ad oggi. Dell’Associazione “Il Mulino” è stata anche Vicepresidente dal 2009 al 2011. Ha diretto la “Rassegna Italiana di Sociologia” per due trienni (1995-1998) (2007-2009); dal 1985 fa parte della sua Direzione. È inoltre nel comitato scientifico e direttivo di numerose riviste scientifiche italiane e straniere. Dal 2018 è socio dell’Accademia delle Scienze di Torino. Tra i suoi volumi più recenti: Europa. Culture e società (a cura) con M. Lazar e M. Salvati, III vol, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Treccani, Roma 2018; L’Italia e le sue regioni (L’età repubblicana) (a cura) con M. Salvati, 4 volumi, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Treccani, Roma 2015. Tra gli altri suoi volumi, si ricordano: L’identità a più dimensioni. Il soggetto e la trasformazione dei legami sociali, Ediesse, Roma 2010 e La sfida dei valori. Rispetto delle regole e rispetto dei diritti in Italia, Il Mulino, Bologna 2004.

il complimento nella cultura italiana\ le compliment dans la culture italienne

 

Per Alfonzetti ( 2009:15-36) è necessario integrare la concezione strumentale con quella normativo-contrattuale della cortesia per analizzare al meglio l'atto del complimento. La cortesia di Brown e Levinson ( face-saving view) riflette l'interesse prioritario nelle società occidentali nel proteggere i diritti inviolabili dell'individuo. L'altra concezione della cortesia è fondata su principi di deferenza e discernimento dello status proprio e altrui ma anche di empatia e solidarietà ( Ide, 1989, Matsumoto, 1988) poiché la cortesia è vista come una forma di comportamento appropriato alle convenzioni sociali e rispecchia l'interesse che l'individuo deve al gruppo di appartenenza e per ciò che dal gruppo ha diritto di aspettarsi in cambio. Queste due modalità di intendere la cortesia sono importanti per capire le funzioni del complimento nel lavoro di Alfonzetti. In alcune situazioni i complimenti sono atti normativi, in altre invece funzionano come strategia interazionale, volto al raggiungimento di molteplici fini: creare empatia, accorciare la distanza, ottenere un tornaconto personale, colmare il silenzio tra i parlanti. Nella realizzazione dei complimenti è importante anche la parte di " self-politeness" ossia di un modo per esprimere la propria competenza, sicurezza e individualità nell'interazione sociale. In altre parole, il complimento non punta solo a rafforzare la " faccia positiva" del destinatario, ma anche la faccia di chi compie il complimento perché gli consente di essere valutato come una persona che riempie al meglio le aspettative sociali. Tra cortesia orientata verso il destinatario ( other-politeness) e quella orientata verso se stessi ( self-politeness) esiste un continuum non facile da tracciare perché le considerazioni altruistiche ed egocentriche sono intrecciate.  Fargli piacere prevale come modo di compiere un complimento e pertanto è un modo per valorizzare la faccia positiva del destinatario. Lungi dall'essere considerato un atto che violi la libertà dell'individuo, nella cultura italiana, il complimento sembra appagare il profondo bisogno esistenziale e sociale di essere notati, apprezzati e ammirati ( esempio: nuovo taglio di capelli, nuovo abito, nuova macchina, il proprio lavoro o studi, per una buona azione). L'assenza di complimenti in circostanze in cui è aspettato rappresenta una minaccia alla propria faccia. In Italia, il complimento non è percepito come una minaccia alla faccia del destinatario ma è un " face sensitive act) poiché modifica " the face value" attribuito agli interlocutori. Per Ruhi ( 2006), in funzione dell'ethos presente in una data cultura e del contesto specifico, i complimenti possono essere percepiti come FTA o come " face-boosting" o " face enhancing act", cioè atti che soddisfano i bisogni della faccia positiva non soltanto del destinatario ma anche dell'autore stesso del complimento, spinto dal desiderio di dare un'immagine di sé improntata a raffinatezza, calore, generosità e rispetto. Inoltre, in molte situazioni sociali, i complimenti possono avere anche una funzione direttiva perché cercano di rafforzare un comportamento socialmente desiderabile. Da qui è possibile osservare come gli atti linguistici non siano da considerare come categorie esclusive ma bensì come un meccanismo che genera categorie ibride.

Traduction

Pour Alfonzetti (2009 : 15-36), il est nécessaire d’intégrer la conception instrumentale à la conception normative-contractuelle de la courtoisie afin de mieux analyser l’acte de complimenter. La courtoisie de Brown et Levinson (vision qui sauve la face) reflète l’intérêt primordial des sociétés occidentales pour la protection des droits inviolables de l’individu. L’autre conception de la courtoisie repose sur les principes de déférence et de discernement de son propre statut et de celui d’autrui, mais aussi d’empathie et de solidarité (Ide, 1989 ; Matsumoto, 1988), car la courtoisie est perçue comme une forme de comportement conforme aux conventions sociales et reflète l’intérêt que l’individu doit au groupe auquel il appartient et ce qu’il est en droit d’attendre de lui en retour. Ces deux manières d’appréhender la courtoisie sont importantes pour comprendre les fonctions du compliment dans l’œuvre d’Alfonzetti. Dans certaines situations, les compliments sont des actes normatifs ; dans d'autres, ils fonctionnent comme une stratégie interactionnelle visant à atteindre de multiples objectifs : susciter l'empathie, réduire la distance, obtenir un avantage personnel, combler le silence entre les interlocuteurs. Dans la réalisation des compliments, l'auto-politesse est également importante, c'est-à-dire une façon d'exprimer sa compétence, sa confiance et son individualité dans les interactions sociales. Autrement dit, le compliment ne vise pas seulement à renforcer le « visage positif » du destinataire, mais aussi celui de la personne qui le complimente, car il permet de l'évaluer comme la personne qui répond le mieux aux attentes sociales. Entre la politesse envers le destinataire (politesse envers autrui) et celle envers soi-même (politesse envers soi-même), il existe un continuum difficile à tracer, car les considérations altruistes et égocentriques sont étroitement liées. Faire plaisir prévaut comme manière de complimenter et constitue donc une façon de mettre en valeur le visage positif du destinataire. Loin d'être considéré comme une atteinte à la liberté individuelle, le compliment semble, dans la culture italienne, satisfaire le profond besoin existentiel et social d'être remarqué, apprécié et admiré (exemple : nouvelle coupe de cheveux, nouvelle robe, nouvelle voiture, emploi ou études, pour une bonne action). L'absence de compliments dans les circonstances où ils sont attendus représente une menace pour l'image. En Italie, le compliment n'est pas perçu comme une menace pour l'image du destinataire, mais comme un « acte sensible à l'image », car il modifie la « valeur faciale » attribuée aux interlocuteurs. Pour Ruhi (2006), selon l'éthique présente dans une culture donnée et le contexte spécifique, les compliments peuvent être perçus comme des actes de reconnaissance, de valorisation ou de mise en valeur de l'image, c'est-à-dire des actes qui satisfont le besoin d'image positive non seulement du destinataire, mais aussi de l'auteur du compliment lui-même, animé par le désir de donner de lui-même une image empreinte de raffinement, de chaleur, de générosité et de respect. De plus, dans de nombreuses situations sociales, les compliments peuvent également avoir une fonction directive, car ils visent à renforcer un comportement socialement souhaitable. Il est ainsi possible d'observer que les actes linguistiques ne doivent pas être considérés comme des catégories exclusives, mais plutôt comme un mécanisme générant des catégories hybrides.

lundi 23 juin 2025

I complimenti nella cortesia linguistica italiana

 

I complimenti nella cortesia linguistica italiana


Nella tradizione di Brown e Levinson ( 1987), i complimenti sono principalmente atti che minacciano la faccia negativa del destinatario perché denoterebbe una forma di invidia o di debito per chi lo riceve, costringendolo a cedere l'oggetto lodato o fare qualcosa per proteggerlo. Ai complimenti inopportuni, il destinatario nel corpus di Alfonzetti reagisce tacendo o cambiando discorso. In questi casi, il complimento viene percepito e trattato dal destinatario come una minaccia per la propria faccia.

La seconda concezione vede nei complimenti atti di cortesia positiva, volti a soddisfare il bisogno esistenziale di essere notati, apprezzati e ammirati ( Holmes 1986: 485) proferiti in linea con la Massima di approvazione nel modello di cortesia di Leech ( 1983). In questo modello, i complimenti si vedono come delle carezze o regali verbali. Per Kebrat-Orecchioni, i complimenti gratificano il destinatario, e come i regali hanno la funzione di mantenere e alimentare l'amicizia. Il complimento è un atto linguistico simile all'atto di offrire fisicamente qualcosa ed è un'azione di sostegno come un invito, un dono, lodare e un lubrificante sociale utile per creare e mantenere i rapporti perché rappresenta un gesto affettivo e di benevolenza verso l'altro.

Questa visione dei complimenti come " face enhancing act" trova conferma empirica nella risposta più frequente, cioè il ringraziamento con cui il destinatario mostra compiacimento e gratitudine, con formule convenzionali, con lo sguardo, il sorriso, il rossore. Il ringraziamento si accompagna alla restituzione, con cui si contraccambio il regalo ricevuto, complimentando a sua volta l'interlocutore di solito sullo stesso oggetto linguistico.

In altre situazioni, i complimenti possono svolgere una funzione riparatoria ed essere utilizzati per mitigare atti linguistici che minacciano la " faccia" del destinatario, come ad esempio le critiche, le richieste, i rimproveri, i rifiuti ( vuoi altra pasta? è buonissima ma basta così).

I complimenti possono essere concepiti come atti rituali compiuti in linea con delle convenzioni sociali. I complimenti sono spesso categorizzati come atti espressivi ( Searle) o comportativi ( Austin). Per alcuni sono degli atti linguistici verdettivi ( il complimento implica una valutazione, un giudizio di segno positivo sul destinatario).


Per quale ragione si fanno i complimenti


Le persone rispondono a questa domanda sostenendo che sia:

1) per fare piacere al destinatario, ossia suscitare piacere nel destinatario, gratificandolo, rendendolo felice.

2) per esprimere amicizia e giudizi positivi o entrambe le cose nell'espressione del complimento.

3) per risultare simpatici e ammaliare l'interlocutore

4) si fanno i complimenti come forma di atto manipolativo, opportunistico che mira a raggiungere un secondo fine come raggiungere determinati obiettivi, predisporre positivamente l'interlocutore da cui si vuole ottenere qualcosa tramite l'adulazione.

5) per essere cortesi, ovvero è un modo per mostrare cortesia e gentilezza come sinonimi di educazione e rispetto verso l'interlocutore.

6) per convenzioni sociali il complimento è visto come un atto rituale che in alcune situazioni è d'obbligo come forma di deferenza e rispetto verso il destinatario.

7) per avvicinarsi all'interlocutore, il complimento serve per creare un rapporto di ravvicinamento, per alimentare una relazione, per coprire l'imbarazzo o riempire i silenzi.

8) per spronare l'interlocutore, vale a dire il complimento ha la funzione di spronare, motivare o incoraggiare il destinatario nel fare qualcosa. Ad esempio, nelle relazioni asimmetriche, come tra studenti-docenti, figli-genitori, i complimenti possono svolgere il ruolo di atti direttivi poiché è un modo indiretto per far sì che vengano fatte delle cose.


Che cosa suscita ricevere un complimento ?


In questo lavoro di Alfonzetti viene chiesto cosa susciti come sensazione ricevere un complimento. Le sensazioni possono essere di piacere, imbarazzo\disagio, irritazione\fastidio.

Nel 82% dei casi, le persone dichiarano di provare piacere quando ricevono un complimento, il 28% è imbarazzato, mentre il 5% prova fastidio. I complimenti che possono creare imbarazzo riguardano l'aspetto fisico, le abilità, il carattere o gli oggetti posseduti. Tra le ragioni dell'imbarazzo ritroviamo la timidezza o l'insicurezza, vale a dire non si ritiene di meritare il complimento per il 53%. Segue per il 20% la presenza di un complimento che non sia sincero o disinteressato ma abbia un secondo fine. Ci sono delle persone ( 8%) che si imbarazzano perché non sanno come rispondere ad un complimento e poi ci sono coloro che non amano apparire presuntuoso o immodesto (5%).


In quali situazioni ci si sente obbligati a fare un complimento?


Soltanto il 27% risponde di non sentirsi mai costretto ma di compiere un complimento solo se sente di farlo spontaneamente. La netta maggioranza ( 73%) indica una o più circostanze: matrimoni, lauree, nascite, feste, cerimonie, situazioni formali e importanti, vincite, promozioni, esami, conferenze, mostre.

- sollecitazioni da parte del destinatario

- oggetti nuovi del destinatario ( look, abiti, gioielli, automobili, case, ecc).



Traduction


Compliments dans la courtoisie linguistique italienne

Dans la tradition de Brown et Levinson (1987), les compliments sont principalement des actes qui menacent la face négative du destinataire, car ils trahissent une forme d'envie ou de dette envers lui, le forçant à abandonner l'objet loué ou à agir pour le protéger. Dans le corpus d'Alfonzetti, le destinataire réagit aux compliments inappropriés en se taisant ou en changeant de sujet. Dans ces cas, le compliment est perçu et traité par le destinataire comme une menace pour sa propre face.
La deuxième conception considère les compliments comme des actes de courtoisie positive, visant à satisfaire le besoin existentiel d'être remarqué, apprécié et admiré (Holmes 1986 : 485), exprimés conformément à la maxime d'approbation du modèle de courtoisie de Leech (1983). Dans ce modèle, les compliments sont perçus comme des caresses ou des cadeaux verbaux. Pour Kebrat-Orecchioni, les compliments gratifient le destinataire et, comme les cadeaux, ils ont pour fonction de maintenir et d'entretenir l'amitié. Le compliment est un acte linguistique similaire à l'acte d'offrir physiquement quelque chose. Il constitue un acte de soutien, au même titre qu'une invitation, un cadeau, un compliment et un lubrifiant social utile pour créer et entretenir des relations, car il représente un geste affectueux et bienveillant envers l'autre.
Cette vision du compliment comme « acte de mise en valeur » trouve une confirmation empirique dans la réponse la plus fréquente, à savoir le remerciement, par lequel le destinataire exprime sa satisfaction et sa gratitude, avec des formules conventionnelles : un regard, un sourire, un rougissement. Le remerciement s'accompagne d'une restitution, par laquelle le cadeau reçu est réciproque, complimentant ainsi l'interlocuteur généralement sur le même objet linguistique.
Dans d'autres situations, les compliments peuvent avoir une fonction réparatrice et servir à atténuer les actes linguistiques qui menacent la « visage » du destinataire, tels que les critiques, les demandes, les réprimandes, les refus (vous voulez encore des pâtes ? C'est délicieux, mais ça suffit).
Les compliments peuvent être conçus comme des actes rituels accomplis conformément aux conventions sociales. Les compliments sont souvent classés comme des actes expressifs (Searle) ou des actes comportementaux (Austin). Pour certains, il s'agit d'actes de langage de type verdict (le compliment implique une évaluation, un jugement positif sur le destinataire).

Pourquoi fait-on des compliments ?

On répond à cette question en argumentant que c'est :
1) pour faire plaisir au destinataire, c'est-à-dire pour susciter du plaisir chez lui, le gratifier, le rendre heureux.
2) pour exprimer de l'amitié et des jugements positifs, ou les deux, par le compliment.
3) pour paraître aimable et charmer son interlocuteur.
4) les compliments sont une forme d'acte manipulateur et opportuniste visant à atteindre un objectif secondaire, comme la réalisation de certains objectifs, prédisposant positivement l'interlocuteur de qui l'on souhaite obtenir quelque chose par la flatterie.
5) pour être poli, c'est-à-dire pour faire preuve de courtoisie et de gentillesse, synonymes d'éducation et de respect envers son interlocuteur.
6) pour les conventions sociales, le compliment est considéré comme un acte rituel qui, dans certaines situations, est obligatoire, en tant que forme de déférence et de respect envers le destinataire. 7) Pour se rapprocher de l'interlocuteur, le compliment sert à créer un rapprochement, à nourrir une relation, à masquer une gêne ou à combler des silences.
8) Pour stimuler l'interlocuteur, le compliment a pour fonction d'inciter, de motiver ou d'encourager le destinataire à agir. Par exemple, dans les relations asymétriques, comme celles entre élèves et enseignants, enfants et parents, les compliments peuvent jouer le rôle d'actes directifs, car ils constituent un moyen indirect de s'assurer que les choses sont faites.


Que suscite un compliment ?

Dans cette étude d'Alfonzetti, la question est posée : quelles sensations suscite un compliment ? Ces sensations peuvent être du plaisir, de la gêne/inconfort, de l'irritation/agacement.

Dans 82 % des cas, les personnes déclarent ressentir du plaisir lorsqu'elles reçoivent un compliment, 28 % sont gênées, tandis que 5 % se sentent agacées. Les compliments susceptibles de créer de la gêne concernent l'apparence physique, les compétences, le caractère ou les objets possédés. Parmi les raisons de gêne, on trouve la timidité ou l'insécurité : 53 % estiment ne pas mériter le compliment. Viennent ensuite, dans 20 % des cas, la présence d'un compliment qui n'est ni sincère ni désintéressé, mais qui a une arrière-pensée. Certaines personnes (8 %) se sentent gênées parce qu'elles ne savent pas comment répondre à un compliment, et d'autres n'aiment pas paraître présomptueuses ou immodestes (5 %).

Dans quelles situations vous sentez-vous obligé de faire un compliment ?

Seuls 27 % déclarent ne jamais se sentir obligés, mais seulement faire un compliment s'ils en ont envie spontanément. La grande majorité (73 %) mentionne une ou plusieurs circonstances : mariages, remises de diplômes, naissances, fêtes, cérémonies, occasions formelles et importantes, victoires, promotions, examens, conférences, expositions.

- demandes du destinataire
- nouveaux objets du destinataire (look, vêtements, bijoux, voitures, maisons, etc.).

La cortesia linguistica nell’interazione via posta elettronica tra docenti e studenti

 

La cortesia linguistica nell’interazione via posta elettronica tra docenti e studenti


I recenti studi di pragmatica ( Held, 2009) hanno portato alla consapevolezza che la cortesia verbale sia di grossa importanza nella capacità di gestire i rapporti interpersonali. In questo senso, l'apertura di un discorso è rilevante per vedere la presenza o assenza di formule di allocuzione. Queste formule servono per caratterizzare l'interazione in termini di rapporto tra gli interlocutori, la distanza e il grado di confidenza. Questa analisi ci consente di vedere le tendenze evolutive dell'italiano contemporaneo nella comunicazione virtuale. La domanda di partenza è: quali formule di allocuzione italiane sono utilizzate nella comunicazione via email in un contesto istituzionale?


La dimensione diafasica, diastratica e diamesica


La prima dimensione costitutiva della situazione comunicativa analizzata è la dimensione diafasica con il frame istituzionale codificato tramite l'uso di formule fisse e locuzioni cristallizzate che servono per soddisfare dei bisogni comunicativi come i saluti, le richieste, i ringraziamenti. Le formule di allocuzioni servono per segnalare degli elementi di gerarchia, i quali sono molto presenti nel mondo accademico italiano. Nella comunicazione virtuale come quella via email abbiamo la presenza di domande semplici, richieste di informazioni, formulazioni di scuse e ringraziamenti. Questa comunicazione è quasi sempre composta da atti linguistici diretti. In Italia, l'amplio uso dei titoli è senz'altro legato all'importanza delle gerarchie in ambito professionale. Infatti, l'uso dei titoli, del Lei, i saluti formali rappresentano gli strumenti della lingua italiana per esprimere riguardo, rispetto e riverenza verso l'interlocutore ( De Benedetti/ Gatti, 1999:56). L'uso dei titoli è un modo per indicare formalità e per segnalare una " cortesia marcata". Questa presenza dei titoli segnala una maggiore consapevolezza nel caso di omissione come fattore che potrebbe davvero compromettere il futuro di una relazione ancora prima di iniziarla. Le email sono una comunicazione scritta ma che viene anche definita come una " oralità concettuale". La dialogicità del testo è possibile perché si può rispondere in modo rapido con la ripresa di parti del discorso dell'interlocutore. Questo lavoro vuole valutare la cortesia come fenomeno descritto dalle formule allocutive e dalla loro valutazione da parte del ricevente.

Nell'italiano contemporaneo, il saluto " salve" trova sempre più un uso crescente sia nella lingua parlata così come nella comunicazione via email. Il saluto " salve" dovrebbe essere utilizzato in situazioni meno formali e perfino con una certa familiarità ( Radtke: 1996), ma spesso viene ritenuto una forma di saluto neutro, ovvero un modo intermedio di gestire la comunicazione con persone con scarsa confidenza. " salve" diventa una frequente strategia da adoperare quando si incontra qualcuno e si è indecisi tra registro formale e informale ( De Benedetti/ Gatti). Nella scrittura della posta elettronica, l'assenza di una forma di allocuzione è percepita come scortese. In questo caso, l'omissione di tale formula compromette la corrispondenza con la docente in quanto il ricevente avverte una formulazione verbale inadeguata nel modo di rivolgersi. In questa analisi si può notare gli elementi caratterizzanti sia l'italiano scritto che l'orale: l'italiano scritto è prigioniero di formalità e formule cristallizzate nel tempo mentre l'italiano parlato è molto flessibile negli ultimi anni e si dirige verso forme di soggettività nella produzione della sua cortesia linguistica che rientrano in una " nuova cortesia famigliare" orientata verso un'apertura al substandard linguistico ( Held, 2005).


Traduction


Des études pragmatiques récentes (Held, 2009) ont mis en évidence l'importance cruciale de la courtoisie verbale dans la gestion des relations interpersonnelles. En ce sens, l'ouverture d'un discours est pertinente pour observer la présence ou l'absence de formules d'allocution. Ces formules servent à caractériser l'interaction en termes de relation entre les interlocuteurs, de distance et de degré de confiance. Cette analyse permet d'observer les tendances évolutives de la langue italienne contemporaine dans la communication virtuelle. La question de départ est : quelles formules d'allocution italiennes sont utilisées dans la communication par courriel en contexte institutionnel ?

Dimensions diaphasique, diastratique et diamésique

La première dimension constitutive de la situation communicative analysée est la dimension diaphasique, avec le cadre institutionnel codifié par l'utilisation de formules fixes et de locutions cristallisées qui servent à satisfaire des besoins communicatifs tels que les salutations, les demandes et les remerciements. Les formules d'allocution servent à signaler des éléments de hiérarchie, très présents dans le monde universitaire italien. Dans la communication virtuelle, comme le courrier électronique, on retrouve des questions simples, des demandes d'informations, des formules d'excuses et de remerciements. Cette communication est presque toujours composée d'actes linguistiques directs. En Italie, l'usage intensif des titres est certainement lié à l'importance des hiérarchies dans le monde professionnel. En effet, l'utilisation de titres, de Lei, de salutations formelles, représente les outils de la langue italienne pour exprimer considération, respect et révérence envers l'interlocuteur (De Benedetti/Gatti, 1999 : 56). L'utilisation de titres est une façon d'indiquer une formalité et de signaler une « courtoisie marquée ». Cette présence de titres témoigne d'une plus grande conscience de l'omission, facteur susceptible de compromettre l'avenir d'une relation avant même son début. Le courrier électronique est une communication écrite, mais il est également défini comme une « oralité conceptuelle ». La nature dialogique du texte est rendue possible par la possibilité de répondre rapidement en répétant des passages du discours de l'interlocuteur. Ce travail vise à évaluer la courtoisie en tant que phénomène décrit par des formules allocutives et leur évaluation par le destinataire.

En italien contemporain, la salutation « salve » est de plus en plus utilisée, tant à l'oral que dans les échanges par courriel. Elle devrait être utilisée dans des situations moins formelles, voire avec une certaine familiarité (Radtke : 1996), mais elle est souvent considérée comme une salutation neutre, ou un moyen intermédiaire de communication avec des personnes peu sûres d'elles. « salve » devient une stratégie fréquente lors de rencontres où l'on hésite entre le formel et l'informel (De Benedetti/Gatti). Dans les courriels, l'absence de formule d'adresse est perçue comme impolie. Dans ce cas, l'omission de cette formule compromet la correspondance avec l'enseignant, car le destinataire perçoit une formulation verbale inadéquate. Dans cette analyse, on peut relever les éléments qui caractérisent l'italien écrit et parlé : l'italien écrit est prisonnier de formalités et de formules cristallisées au fil du temps tandis que l'italien parlé est très flexible ces dernières années et s'oriente vers des formes de subjectivité dans la production de sa courtoisie linguistique qui s'inscrivent dans une « nouvelle courtoisie familière » orientée vers une ouverture au sous-standard linguistique (Held, 2005).

vendredi 20 juin 2025

La gestione della faccia nel dibattito politico spagnolo: Il caso del dibattito tra Rajoy e Zapatero \ Gestion de la " face" dans le débat politique espagnol

 


La gestione della faccia nel dibattito politico spagnolo: Il caso del dibattito tra Rajoy e Zapatero


Il quadro teorico


Il dibattito politico in televisione è un prodotto della democrazia mediatica. Infatti, sin da tempi di Kennedy e Nixon è diventato il formato mediatico prediletto dai candidati per presentarsi nella dimensione del " faccia a faccia" davanti al pubblico di casa prima delle elezioni. In questo ambito si analizzerà il secondo dibattito elettorale televisivo del 2008 tra il candidato socialista Zapatero e il candidato del partito popolare Rajoy. L' analisi ha come obiettivo di determinare il modo all'interno di una situazione comunicativa in cui il messaggio consiste nel " vota per me". Come si costituisce, si comunica e si difende la propria faccia. Come si stabiliscono da sole le regole di cortesia e scortesia adoperate in funzione del Self-management ( auto-promozione) individuale durante questo dibattito. In questo contesto di dibattito politico, la problematica è di determinare il concetto di " faccia" all'interno di questo ambito discorsivo. Quale tipo di " faccia" si intende difendere o fare conoscere\promuovere durante il dibattito e come si possa capire in tutta la sua complessità. In questo lavoro, si prende il concetto di faccia di Goffman e viene ampliato dai lavori della psicologia sociale ( impression management) in cui il concetto di " faccia" riflette la triplice identità dell'individuo, ovvero individuale, relazionale e collettiva. In questo ambito, Spencer-Oatey ( 2000, 2007) utilizza questo modello ( rapport management) come gestione dell'armonia-disarmonia tra le persone, con la presenza di due componenti: la gestione della faccia e la gestione dei diritti di socialità. I diritti alla socialità per Spencer-Oatey si riferiscono ai diritti che l'individuo ( ego) reclama per sé stesso nell'interazione con un'altra persona ( alter) come membro paritario del gruppo ( uguaglianza e associazione) mentre la gestione della faccia risponde alle necessità universali: la qualità della faccia ( stima personale) delle prospettive dell'ego e rispettando Alter come identità della faccia, ossia il valore che effettivamente affermiamo per noi stessi in termini sociali o di ruoli nel gruppo strettamente associato con il nostro senso di valore pubblico" di Spencer-Oatey, Fant-De Grasso ( 2002) sviluppano un modello un po' differente, nel quale si definiscono cinque sotto categorie di necessità di immagine sociale ( bisogni di faccia): somiglianza ( agli altri), cooperazione ( mostrarsi tale), eccellenza ( evidenziare proprie qualità positive), il ruolo o riconoscimento dell'identità relazionale e gerarchica.

Fant ( 2007) puntualizza che somiglianza e cooperazione sono collegati alle necessità dell'ego ( la persona) di conservare e difendere la sua appartenenza ad un gruppo ( membership) mentre eccellenza, ruolo, gerarchia si riuniscono sotto la necessità di Ego di distinguersi dentro il gruppo come individuo ( individualismo). A differenza di Spencer-Oatey in cui la gestione della faccia è soltanto uno degli aspetti della gestione della relazione. In questo caso, il concetto centrale sarà la gestione della faccia ( face management) intesa nella comunicazione politica come l'interesse della persona. Questo concetto organizza tutte le sue attività sia verbali che non verbali in funzione della promozione e del rafforzamento di una certa " immagine" appropriata in linea con le aspettative del cosidetto " ruolo" dipendente dalle esigenze ( face claims) nel contesto determinato: un contesto ben determinato spinge ad aumentare il bisogno di " face claims". Le strategie di gestione della "faccia" impiegate nel dibattito elettorale sono strumenti per portare avanti delle azioni " alocentriche", ossia attività del proprio Ego dirette verso l'interlocutore. In questo ambito, i due candidati comunicano non tanto tra di loro ma verso un Alter invisibile come la massa anonima di spettatori a casa. Nel dibattito, gli atti comunicativi non hanno come obiettivo di mantenere un equilibrio nella relazione interpersonale con l'alter presente nel dibattito, ma l'obiettivo è di differenziarsi dall'alter per promuovere un'immagine favorevole dell'ego. Le risposte nel dibattito si muovono nella direzione di doversi individualizzarsi. Pertanto, il concetto di " faccia eccellente" ( ossia mostrarsi come una persona in possesso delle proprietà desiderabili in un certo momento nel dibattito).

Nel dibattito elettorale televisivo, la gestione della faccia consiste soprattutto nel selezionare e adoperare strategie di promozione di sé che siano capaci di promuovere la "faccia eccellente", vale a dire come l'Ego detenga le qualità essenziali per occupare il ruolo del presidente del governo spagnolo. Se la persona fallisce mettendosi troppo in evidenza o per essere oggetto di critiche corre il rischio di vedersi negato il diritto di occupare il ruolo determinato dentro di sé e del suo gruppo di riferimento. La "faccia" è da intendersi come un concetto dinamico che si ( de) costruisce continuamente durante l'interazione. Ci sono degli aspetti cognitivi molto importanti da porre sempre più in evidenza secondo Spencer-Oatey ( 2007: 648).


Analisi del dibattito

Il dibattito in questione si è svolto il 3 marzo 2008 alle 22 su alcune emittenti televisive spagnole. Il dibattito elettorale è spesso percepito come una gara di pugilato, in cui abbiamo un vincitore e uno sconfitto in questa lotta verbale. La scena fisica del dibattito è significativa perché il dibattito si tiene su un tavolo grande da ufficio, con uno spazio triangolare per limitare bene lo spazio d'azione di ogni partecipante al dibattito. Questa tipologia di dibattito è molto regolamentata e pertanto risulta poco spontanea durante l'evento linguistico. Per vincere il dibattito e forse le elezioni, il candidato deve mostrare una " excellence face" raggiungibile con delle strategie di differenziazioni chiare dal proprio avversario politico e allo stesso tempo delineare un'immagine consistente della propria persona senza lasciare sconcertati gli ascoltatori. L' esito del dibattito si ottiene anche analizzando le reazioni del pubblico e dei media prima del dibattito tramite sondaggi e titoli di stampa.


Conclusioni

Finora gli studi realizzati all'interno del quadro teorico della cortesia si riferiscono prevalentemente alla " faccia" dell'altro presente nell'interazione e all'aspetto relazionale della cortesia concepita come una strategia armoniosa di " face work". Nel dibattito politico bisogna analizzare la faccia nella sua costruzione, de-costruzione o promozione di fronte ad un " alter" che non partecipa direttamente alle interazioni verbali. Come spiega Spencer-Oatey ( 2007), " face e image" sono molto legati in quanto le strategie di faccia di una persona possono essere correlate all'immagine del proprio ruolo sociale in questo ruolo. Questi parametri determinano i " bisogni di faccia" specifici di una data persona all'interno di un contesto comunicativo concreto, il quale influenza le sue strategie discorsive di tipo cortese o scortesi in funzione della costruzione della sua faccia.

Traduction

espagne

Gestion de la face dans le débat politique espagnol : le cas du débat Rajoy-Zapatero

Cadre théorique

Le débat politique télévisé est un produit de la démocratie médiatique. Depuis Kennedy et Nixon, il est devenu le format médiatique privilégié des candidats pour se présenter en face à face devant leur public avant les élections. Dans ce contexte, le deuxième débat électoral télévisé de 2008 entre le candidat socialiste Zapatero et le candidat du parti populaire Rajoy sera analysé. L’analyse vise à déterminer la manière dont, dans une situation de communication, le message consiste à « voter pour moi ». Comment le visage est-il constitué, communiqué et défendu ? Comment les règles de courtoisie et d’impolitesse utilisées pour l’autogestion individuelle (autopromotion) s’établissent-elles d’elles-mêmes au cours de ce débat. Dans ce contexte de débat politique, la problématique est de déterminer le concept de « visage » au sein de ce champ discursif. Quel type de « visage » est censé être défendu ou mis en avant lors du débat, et comment peut-on l'appréhender dans toute sa complexité ? Dans cet ouvrage, le concept de « visage » de Goffman est repris et élargi par les travaux de psychologie sociale (gestion des impressions), où le concept de « visage » reflète la triple identité de l'individu : individuelle, relationnelle et collective. Dans ce contexte, Spencer-Oatey (2000, 2007) utilise ce modèle (gestion des rapports) comme une gestion de l'harmonie et de la disharmonie entre les personnes, avec la présence de deux composantes : la gestion du visage et la gestion des droits sociaux. Pour Spencer-Oatey, les droits à la socialité font référence aux droits que l'individu (ego) revendique pour lui-même dans l'interaction avec une autre personne (alter) en tant que membre égal du groupe (égalité et association), tandis que la gestion du visage répond à des besoins universels : la qualité du visage (estime de soi) des perspectives de l'ego et le respect de l'Alter comme identité du visage, c'est-à-dire la valeur que nous affirmons réellement pour nous-mêmes en termes sociaux ou en termes de rôles dans le groupe, étroitement associée à notre sentiment de valeur publique. Spencer-Oatey, Fant-De Grasso (2002) développent un modèle légèrement différent, dans lequel cinq sous-catégories de besoins d'image sociale (besoins de visage) sont définies : la similitude (avec les autres), la coopération (se montrer comme tel), l'excellence (mettre en valeur ses propres qualités positives), le rôle ou la reconnaissance de l'identité relationnelle et hiérarchique.

Fant (2007) souligne que la similarité et la coopération sont liées aux besoins de l'ego (la personne) de maintenir et de défendre son appartenance à un groupe (appartenance), tandis que l'excellence, le rôle et la hiérarchie se rejoignent sous le besoin de l'ego de se distinguer au sein du groupe en tant qu'individu (individualisme). Contrairement à Spencer-Oatey, où la gestion de la face n'est qu'un aspect de la gestion relationnelle, le concept central sera ici la gestion de la face, comprise dans la communication politique comme l'intérêt de la personne. Ce concept organise toutes ses activités, verbales et non verbales, afin de promouvoir et de renforcer une certaine « image » appropriée, conforme aux attentes du « rôle » en fonction des besoins (revendications de face) du contexte donné : un contexte bien défini incite à accroître le besoin de « revendications de face ». Les stratégies de gestion de la « face » utilisées dans le débat électoral sont des outils permettant de mener des actions « halocentriques », c'est-à-dire des activités de l'ego dirigées vers l'interlocuteur. Dans ce contexte, les deux candidats communiquent moins entre eux qu'avec un « Alter » invisible, tel que la masse anonyme des spectateurs chez eux. Lors du débat, les actes de communication ne visent pas à maintenir un équilibre dans la relation interpersonnelle avec l'« Alter » présent, mais à se différencier de lui afin de promouvoir une image favorable de l'ego. Les réponses au débat tendent vers une individualisation. D'où le concept de « visage d'excellence » (c'est-à-dire se présenter comme une personne possédant les qualités souhaitées à un moment précis du débat). Lors d'un débat électoral télévisé, la gestion du visage consiste avant tout à sélectionner et à utiliser des stratégies d'autopromotion capables de promouvoir ce « visage d'excellence », c'est-à-dire la façon dont l'ego possède les qualités essentielles pour occuper le poste de président du gouvernement espagnol. Si la personne échoue en se mettant trop en avant ou en étant l'objet de critiques, elle court le risque de se voir refuser le droit d'occuper le rôle déterminé par elle-même et son groupe de référence. Le « visage » doit être compris comme un concept dynamique qui se (dé)construit en permanence au cours de l'interaction. Certains aspects cognitifs très importants méritent d'être soulignés, selon Spencer-Oatey (2007 : 648).

Analyse du débat
Le débat en question a eu lieu le 3 mars 2008 à 22 h sur certaines chaînes de télévision espagnoles. Le débat électoral est souvent perçu comme un match de boxe, où un vainqueur et un perdant s'affrontent dans un combat verbal. Le contexte physique du débat est significatif : il se déroule sur une grande table de bureau, avec un espace triangulaire pour bien délimiter l'espace d'action de chaque participant. Ce type de débat est très réglementé et, par conséquent, peu spontané pendant l'événement linguistique. Pour remporter le débat et, éventuellement, les élections, le candidat doit afficher un « visage d'excellence », ce qui peut être obtenu grâce à des stratégies de différenciation claires par rapport à son adversaire politique, tout en se dessinant une image cohérente de lui-même sans déconcerter les auditeurs. L'issue du débat est également obtenue en analysant les réactions du public et des médias avant le débat, à travers des sondages et des titres de presse.

Conclusions
Jusqu'à présent, les études menées dans le cadre théorique de la politesse se réfèrent principalement au « visage » de l'autre présent dans l'interaction et à l'aspect relationnel de la politesse, conçu comme une stratégie harmonieuse de « travail du visage ». Dans le débat politique, il est nécessaire d'analyser le visage dans sa construction, sa déconstruction ou sa promotion face à un « alter » qui ne participe pas directement aux interactions verbales. Comme l'explique Spencer-Oatey (2007), « visage et image » sont étroitement liés, car les stratégies de visage d'une personne peuvent être corrélées à l'image de son rôle social dans ce rôle. Ces paramètres déterminent les « besoins de visage » spécifiques d'une personne donnée dans un contexte communicationnel concret, ce qui influence ses stratégies discursives polies ou impolies selon la construction de son visage.

mercredi 18 juin 2025

Il concetto di cortesia linguistica rivisitato nei lavori di Guldrun Held

 

Il concetto di cortesia linguistica rivisitato nei lavori di Guldrun Held


Il concetto di cortesia linguistica oscilla tra il senso comune e le implicazioni pragmatiche. L'uso comune percepisce la cortesia come un repertorio di formule, codici e rituali acquisiti nella propria comunità linguistica e culturale. La cortesia sul piano linguistico si intende come un sistema di strategie interazionali realizzate per prevenire o riparare tutto quello che nel flusso comunicativo rappresenta un FTA ( face threatening act), ossia un atto che minaccia la faccia, cioè l'immagine pubblica personale che gli interlocutori si sono creati di sé. Nell'ambito della pragmatica, il concetto di cortesia riscontra l'interesse perché è un " fluzzy object" per via della sua relatività culturale, contestuale e sempre di natura inter-soggettivo. La cortesia serve alla luce del paradigma di Goffman e Grice per spiegare i motori del comportamento comunicativo in chiave antropologico-universale. La cortesia nella definizione di La Bruyère ( 1696: il me semble que l'esprit de politesse est une certaine attention à faire que par nos paroles et manière les autres soient content de nous et d'eux-memes".

La cortesia deve garantire uno scambio comunicativo armonioso che si basa sulla reciproca soddisfazione di bisogni " personali" detti oggi " bisogni di faccia" ( face needs). La cortesia di La Bruyère " elle suit l'usage et les coutumes reçues; elle est attachée aux temps, aux lieux, aux personnes, et n'est point la meme dans les deux sexes; il fait qu' on la suit par imitation et que l'on s'y perfectionne toujours ( 1696).


La cortesia si realizza come atteggiamento linguistico considerato appropriato alla situazione. Il fatto che la cortesia si metta in atto, e faccia o abbia avuto effetto, si evince solo attraverso la reazione degli interagenti e la successiva negoziazione comunicativa. Dalla svolta linguistica, si studia la cortesia linguistica definita come paradigma Grice-Goffman che include le seguenti componenti:

- il concetto goffmaniano di " face" come punto di riferimento normativo e la sua suddivisione in faccia negativa, cioè esigenza al rispetto del proprio territorio e faccia positiva, ovvero esigenza di considerazione e apprezzamento per la propria persona.

FTA ( face threatening act) vale a dire delle azioni che minacciano la faccia degli interlocutori

- identificazioni di mezzi linguistici per lo più universali che servono a salvaguardare i bisogni di faccia, compiuto tramite " face-work".

Inoltre, abbiamo l'introduzione di tre varianti nell'analisi della cortesia linguistica: P ( potere inteso come rapporto di potere tra gli interlocutori), D ( distanza sociale) e R ( grado di imposizione attribuito alle persone).


Traduzione


Le concept de courtoisie linguistique revisité dans l'œuvre de Guldrun Held

Le concept de courtoisie linguistique oscille entre sens commun et implications pragmatiques. L'usage courant perçoit la courtoisie comme un répertoire de formules, de codes et de rituels acquis au sein de sa propre communauté linguistique et culturelle. Sur le plan linguistique, la courtoisie est comprise comme un système de stratégies interactionnelles visant à prévenir ou à réparer tout ce qui, dans le flux communicationnel, représente un FTA (face threating act), c'est-à-dire un acte menaçant le visage, c'est-à-dire l'image publique personnelle que les interlocuteurs se sont forgée. Dans le contexte pragmatique, le concept de courtoisie présente un intérêt car il s'agit d'un « objet flou » en raison de sa relativité culturelle, contextuelle et toujours intersubjective. À la lumière du paradigme de Goffman et Grice, la courtoisie permet d'expliquer les moteurs du comportement communicationnel dans une perspective anthropologique et universelle. Courtoisie dans la définition de La Bruyère (1696 : il me semble que l'esprit de politesse est une certaine attention à faire que par nos paroles et manière les autres soient content de nous et d'eux-memes".
La courtoisie doit garantir un échange communicationnel harmonieux qui repose sur la satisfaction mutuelle de besoins « personnels » aujourd'hui appelés « besoins du visage ». La courtoisie de La Bruyère " elle suit l'usage et les coutumes reçues; elle est attachée aux temps, aux lieux, aux personnes, et n'est point la même dans les deux sexes; il fait qu'on la suit par imitation et que l'on s'y perfectionne toujours (1696).

La politesse se réalise comme une attitude linguistique jugée appropriée à la situation. Le fait que la courtoisie soit mise en œuvre et ait ou ait eu un effet, oui, n'émerge qu'à travers la réaction des interactives et la négociation communicative qui s'ensuit. Depuis le tournant linguistique, la courtoisie linguistique a été étudiée comme un paradigme de Grice-Goffman qui comprend les éléments suivants :
- le Le concept goffmanien de « face » comme référence normative et sa subdivision en « face » négatif, c'est-à-dire le besoin de respect de son territoire, et « face » positif, c'est-à-dire le besoin de considération et d'appréciation de sa personne.

FTA (acte de menace de face), c'est-à-dire les actions qui menacent la face des interlocuteurs, identifie des moyens linguistiques, généralement universels, servant à préserver les besoins de face, accomplis par le « travail de face ».

De plus, nous avons introduit trois variantes dans l'analyse de la courtoisie linguistique : P (pouvoir compris comme une relation de pouvoir entre interlocuteurs), D (distance sociale) et R (degré d'imposition attribué aux personnes).