L'ideale di cortesia nel testo "I promessi Sposi" di Manzoni.
Il romanzo manzoniano costituisce un esempio interessante di testo letterario concepito in modo ingenuo rispetto ai temi specifici legati alla cortesia. In molti dialoghi del libro si può indagare il manifestarsi delle strategie comunicative correlate al comportamento cortese. La domanda di partenza potrebbe sintetizzarsi in questo modo: come si manifesta la cortesia all'interno dei dialoghi manzoniani ?
Nei vari dialoghi è possibile notare un certo accento posto sulle relazioni di potere esistenti tra gli interlocutori, sulla loro distanza sociale e culturale oppure vicinanza intesa come complicità nell'orchestrare inganni e minaccia attraverso l'uso delle parole. In sintonia con la massima della Modestia ( Leech, 1983), l'atto di lode è un'espressione di un atteggiamento cortese se rivolto all'altro ma non cortese se è rivolto verso sé stessi; la critica dell'altro è una minaccia per sua faccia positiva, ma se la critica è rivolta a se stessi diventa una strategia di massimizzazione della positività dell'interazione contribuendo al riconoscimento della faccia dell'interlocutore. Per analizzare il testo vengono usate le categorie di Polite e politic di Watts combinandole con il modello di Kebrat-Orecchioni ( politesse, hyperpolitesse, apolitesse, impolitesse e polirudesse. Con queste categorie si cercherà di esemplificare questo modello tramite una serie di dialoghi legati tra di loro in termini di dipendenza e coerenza. I dialoghi sono collegati tra di loro come una forma di catena di soprusi che coinvolge i bravi, Don Abbondio e anche Renzo.
I bravi e Don Abbondio
Le prime battute del dialogo hanno la consueta funzione fàtica ma rivelano subito la consapevolezza delle regole del gioco con un " signor curato" che sembra cortese ma viene pronunciato dai Bravi " piantandogli gli occhi in faccia". Il richiamo al suo nome " curato" è percepito come una richiesta ( fta) ed è recepito in una posizione di deferenza verso i bravi con " cosa comanda?". Qui si capisce che il curato sa che deve aspettarsi degli ordini ed è già disposto all'obbedienza. Il bravo prosegue con " lei ha intenzione" con un tono di voce in cui traspare ira e con l'intenzione in termini pragmatici di minacciare. Don Abbondio, con voce tremolante ( ha capito il senso della minaccia), utilizza la " faccia positiva" dell'altro con " lor signori sono uomini di mondo", ossia il curato si presenta come semplice servitore del comune. Il " noi" è una tecnica di limitazione delle proprie responsabilità. L'adulazione e le scuse del curato non bastano ad evitare l'imposizione " non s'ha da fare". La replica di Don Abbondio compiuta con gentilezza e mansuetudine contiene una minaccia per la faccia negativa dei bravi quando afferma " si degnino di mettersi nei miei panni". Per i bravi, le parole sono " ciarle" e conta solo la minaccia e il suo recepimento. Don Abbondio insiste con l'adulazione per cercare di ottenere ragionevolezza da parte dei bravi ma questi rispondono " il matrimonio non si farà". I bravi cercano di essere cortesi affermando a loro volto al curato " è uomo che sa il viver del mondo" riprendendo quasi le stesse parole pronunciate all'inizio da Don Abbondio. La firma finale del dialogo si ritrova in questo saluto " illustrissimo signor Don Rodrigo nostro padrone la riverisce caramente".
I bravi e Don Abbondio
Le prime battute del dialogo hanno la consueta funzione fàtica ma rivelano subito la consapevolezza delle regole del gioco con un " signor curato" che sembra cortese ma viene pronunciato dai Bravi " piantandogli gli occhi in faccia". Il richiamo al suo nome " curato" è percepito come una richiesta ( fta) ed è recepito in una posizione di deferenza verso i bravi con " cosa comanda?". Qui si capisce che il curato sa che deve aspettarsi degli ordini ed è già disposto all'obbedienza. Il bravo prosegue con " lei ha intenzione" con un tono di voce in cui traspare ira e con l'intenzione in termini pragmatici di minacciare. Don Abbondio, con voce tremolante ( ha capito il senso della minaccia), utilizza la " faccia positiva" dell'altro con " lor signori sono uomini di mondo", ossia il curato si presenta come semplice servitore del comune. Il " noi" è una tecnica di limitazione delle proprie responsabilità. L'adulazione e le scuse del curato non bastano ad evitare l'imposizione " non s'ha da fare". La replica di Don Abbondio compiuta con gentilezza e mansuetudine contiene una minaccia per la faccia negativa dei bravi quando afferma " si degnino di mettersi nei miei panni". Per i bravi, le parole sono " ciarle" e conta solo la minaccia e il suo recepimento. Don Abbondio insiste con l'adulazione per cercare di ottenere ragionevolezza da parte dei bravi ma questi rispondono " il matrimonio non si farà". I bravi cercano di essere cortesi affermando a loro volto al curato " è uomo che sa il viver del mondo" riprendendo quasi le stesse parole pronunciate all'inizio da Don Abbondio. La firma finale del dialogo si ritrova in questo saluto " illustrissimo signor Don Rodrigo nostro padrone la riverisce caramente". In questo contesto, l'atto di trasmettere omaggi è una forma di cortesia pura ma qui si trasforma in una vera minaccia come si evince dall'inchino istintivo del curato ma che produce a sua volta una minaccia alla faccia negativa dell'altro, il quale è costretto a replicare con " suggerire a lei che sa di latino", " a lei tocca" come forma di imperativo. Don Abbondio in questo contesto storico è un pari di Don Rodrigo benché nel dialogo non abbia mostrato questo ruolo, dispiegando invece una forma di cortesia esagerata ( hyperpolitesse). I bravi invece esemplificano una pseudo-cortesia ( polirudesse) nascondendo le minacce e gli atti cortesi in forma di comunicazioni piuttosto tipiche dei potenti. Il dialogo, in realtà, è tra il signorotto Don Rodrigo e Don Abbondio, in cui i due bravi possono tirarsi fuori dal dialogo affermando la loro incompetenza e rispondere all'adulazione senza compromettere la minaccia, imposta dal potere del loro padrone e tuttavia iscritta nel ruolo sociale e storico del romanzo.
Don Abbondio e Renzo: primo incontro
Nell'espressione " i tempi in cui gli era toccato di vivere" descrive bene il carattere di Don Abbondio in conformità con la condizione storica nella quale si trova immerso. Nel suo personaggio si esplicita il sistema del periodo fatto di prevaricazioni, soprusi a cui bisogna rispondere con pazienza, sottomissione e silenzio creando di fatto una grossa frustrazione nel curato, il quale riversa questa frustrazione verso le persone più docili e incapaci di fargli del male. In questo caso, Renzo, pur quieto e mansueto, non poteva diventare così facilemente l'anello successivo della catena, perché ciò l'avrebbe toccato nell'ambito dell'amore. Il curato, nonostante la sua autorità, deve pensare a dare delle ragioni, in cui lui " pensa alla pelle, mentre Renzo pensa alla morosa". In questo contesto, prende forma la strategia per compiere questa prevaricazione. Nel primo dialogo tra Renzo e Don Abbondio, il giovane Renzo mostra un'aria di festa e di braveria scontrandosi subito con l'accoglimento incerto e misterioso del curato. Renzo giunge all'incontro per compiere una richiesta che viene mitigata da lui in sintonia con il proprio ruolo " a che ora le comoda" anche il curato mitiga il suo rifiuto per proteggere la propria faccia negativa e il richiamo alla pazienza è il primo di una lunga serie. Le strategie di Don Abbondio vanno dall'autoelogio ( io son troppo dolce di cuore) e l'autocritica ( trascuro il mio dovere), la modestia, l'immodestia, la falsa modestia, l'autocommiserazione " e poi mi toccan dei rimproveri e peggio". A questo punto, Renzo comincia ad alterarsi e a incalzare con le domande senza superare i limiti imposti dal proprio ruolo sociale, non si preoccupa più di mitigare i suoi atti ( apolitesse). Il curato gioca ancora sull'autocritica " noi poveri curati" stretti tra voi e i superiori. Il tutto mira a ridurre al minimo la responsabilità individuale riprendendo lo stesso metodo adoperato con i Bravi. Don Abbondio esplicita il potere della conoscenza quando afferma " se non sapete le cose, abbiate pazienza, e rimettetevi a chi le sa" "adoperando la faccia positiva con l'aggiunta " figliuol caro".
L'appello alla pazienza da parte di Don Abbondio viene ratificato da Renzo quando afferma " riverisco" preceduto dall'avverbio " intanto" per dire che aspetto il giorno ormai concordato per il matrimonio.
Don Abbondio e Renzo: secondo incontro
In questo incontro, Renzo ha compreso l'esistenza di un imbroglio grazie ad un dialogo con la perpetua. In questo nuovo colloquio si comincia con delle richieste esplicite in cui la minaccia della faccia negativa dell'altro si completa con una minaccia di tipo fisica. La porta viene chiusa durante l'incontro per segnalare il bisogno di una risposta e la mano di Renzo viene posta forse per errore sul suo coltello. Da qui, il curato è ridotto all'obbedienza tramite una nuova prevaricazione compiuta senza mitigare gli atti aggressivi. Renzo, per natura e condizione sociale è tra i poveri innocenti ( un agnello) è costretto a tirar fuori la sua parte focosa, con un interlocutore che meriterebbe un atteggiamento diverso, abbandonando di fatto il suo ruolo e ogni regola di cortesia ( impolitesse). Da qui nasce la sorpresa iniziale di Don Abbondio con il richiamo alla ragionevolezza ( badate a quel che fate) e " pensate all'anima vostra" come tentativo da parte del prete di sfruttare la propria autorità (apolitesse). Tale richiesta resta vana e la nuova minaccia viene esplicitata " le prometto che fo uno sproposito" spingendo in questo modo Don Abbondio a proferire il nome di Don Rodrigo. Compiuto questo sacrificio da parte del curato, il quale si sente ora quasi in una condizione di creditore e comincia le sue minacce alla faccia positiva dell'altro con dei rimproveri " avete fatto una bella azione, una bella prodezza". Renzo accoglie queste minacce in modo " immobile, col capo basso". Tra argomenti, recriminazioni, autoelogi, autocommiserazione, il curato vorrebbe un giuramento di silenzio da parte di Renzo, ma l'attacco alla faccia negativa dell'altro non produce risultati. L'incontra si termina con un dialogo tra sordi, in cui abbiamo la richiesta imperativa " giurate" del curato a cui risponde Renzo con la sua ammissione di colpa " posso aver fallato". La nota finale del prete è che Don Abbondio " non sapeva più in che mondo si fosse".
Quando i due si incontreranno di nuovo, il giovane Renzo saluterà con " riverenza" perché il curato " era sempre il suo curato". Le minacce di Renzo, cambiando il suo ruolo sociale, risultano più inattese di quelle dei bravi poiché rientrano in un copione atteso dall'epoca. L'atteggiamento di Renzo segna un rovesciamento del mondo perché muta radicalmente le regole della cortesia di quel periodo storico. Infatti, nelle giornate dei tumulti di San Martino, le persone agiate rispondono agli umili come Renzo in modo " molto gentile". Questi tumulti avevano creato una nuova e inattesa norma di cortesia.
In un altro dialogo interessante osserviamo come tra Don Rodrigo e Fra Cristoforo, l'equivoco è fittiziamente generato per sfuggire alla realtà delle accuse, mimetizzate a loro volte in una preghiera. Sin dall'inizio del dialogo, la relazione di potere è chiaramente delineata: Fra Cristoforo si è presentato da Don Rodrigo per ottenere giustizia e misericordia. Con un'aria di soggezione e di rispetto di fronte al potente viene prima descritto il banchetto tenutosi presso la dimora di Don Rodrigo come luogo per dispiegare il potere. Prima del dialogo viene descritto il banchetto di Don Rodrigo come luogo per dispiegare il potere. Infatti, quando inizia il dialogo, Don Rodrigo si trova in piedi in mezzo alla sala e i suoi modi rivelano la dissonanza tra il senso letterale delle sue parole e il loro vero valore " in che posso ubbidirla?" con il valore pragmatico di " bada a chi hai davanti, pesa le parole e sbrigati). Fra Cristoforo per rispondere tenta l'inganno della cortesia: la richiesta diventa una proposta, la preghiera di un atto di carità: "nella storia narrata c'è un povero curato, ci sono due innocenti e certi uomini di malaffare che hanno messi innanzi il suo nome di vossignoria illustrissima per spaventare e prevaricare e c'è la possibilità che Don Rodrigo restituisca al diritto la sua forza sollevando quelli a cui è fatta una così crudele violenza". L' insistenza di Cristoforo costringe però Don Rodrigo a iniziare a smontare l'inganno della cortesia e dire le cose come in realtà stanno, ancorché usando parole ambigue e offensive " non capisco altro se non che ci dev'essere qualche fanciulla che le preme molto". Fra Cristoforo insiste asserendo " una parola di lei può fare tutto". A tale insistenza, Don Rodrigo offre come replica la sua protezione per questa fanciulla. A questo punto il dialogo è a una svolta perché Cristoforo è pronto a svelare l'inganno con la forza di Dio per andare contro il potente su terra. Il frate esprime un " verrà un giorno" al quale Rodrigo risponde con " escimi di tra piedi, villano rincivilito, mascalzone". In tutto il colloquio, Rodrigo non ha mai cercato la cortesia se non in modo ironico ma il suo comportamento da " apolitesse" diventa " scortese" con aperti attacchi alla faccia dell'altro che portano all'estremo le prerogative del suo ruolo, quello di un potente che pure è tenuto al rispetto di un religioso. Il frate da parte sua inizia il dialogo con un comportamento molto cortese ( hyperpolitesse e anche polirudesse). Al momento di verità, nel dialogo, il frate abbandona la cortesia senza uscire dal proprio ruolo perché le sue parole vengono da Dio.
Conclusioni
L'ideale della cortesia
Nei dialoghi analizzati nel testo I Promessi Sposi difficilmente viene espressa una forma diretta e autentica di cortesia, nella quale potere vedere una attenuazione della minaccia o l'esaltazione del corteggiamento non sia disgiunta dal mantenimento del proprio ruolo sociale. Ritroviamo ampiamente forme di hyperpolitesse con Don Abbondio maestro nell'arte, anche Fra Cristoforo. La scortesia ( impolitesse) si accoppia invece a comportamenti palesamenti aggressivi come quelli di Renzo o di Don Rodrigo.
La polirudesse si manifesta chiaramente nel comportamento dei bravi con il curato. La cortesia, all'interno di relazioni di potere, si ottiene tramite l'adulazione, la valorizzazione della faccia positiva dell'altro con la propria svalorizzazione del sé. La cortesia è un inganno capace di riprodurre dei modelli di comportamenti profondamente arroganti ma vestiti con panni cortesi.
Nei Promessi Sposi, Don Abbondio offre anche un'analisi della creanza intesa come " il non dire le cose che possono dispiacere, specialmente a chi non è avvezzo a sentirne". In questo modo, la cortesia, nell'ambito delle relazioni di potere asimmetriche, generano scambi di responsabilità e di colpa, in cui Renzo può sembrare l'oppressore invece è l'oppresso mentre Don Abbondio sembra l'oppresso invece è l'oppressore. Questo modello della cortesia di Manzoni è interessante per vedere come la cortesia sia una manifestazione linguistica legata a un dato contesto storico ma che rimanda a esigenze e principi che attraversano le fasi storiche tramite i suoi temi e meccanismi psicologici sorprendentemente vicini al lettore odierno.
Traduction
L'idéal de la courtoisie dans le texte "I
PROMESSI SPOSI" de Manzoni.
Le roman manzonien est un
exemple intéressant de texte littéraire conçu de manière naïve
par rapport aux questions spécifiques liées à la courtoisie. Dans
de nombreux dialogues du livre, la manifestation de stratégies de
communication liées au comportement courtois peut être étudiée.
La question de départ pourrait être résumé de cette manière:
comment la courtoisie se manifeste-t-elle dans les dialogues
manzoniens?
Dans les divers dialogues, il est possible de noter
un certain accent mis sur les relations de pouvoir existant entre les
interlocuteurs, sur leur distance sociale et culturelle ou leur
proximité comprise comme une complicité dans les tromperies
d'orchestration et menace par l'utilisation des mots. En phase avec
le maximum de la modestie (Leech, 1983), l'acte de louange est
l'expression d'une attitude courtoise si elle est adressée à
l'autre mais pas courtoise si elle s'adresse à soi-même; La
critique de l'autre est une menace pour son visage positif, mais si
la critique s'adresse à elles-mêmes, elle devient une stratégie de
maximiser la positivité de l'interaction en contribuant à la
reconnaissance du visage de l'interlocuteur. Pour analyser le texte,
les catégories de polytiques et de politiciens de Watts sont
utilisées en les combinant avec le modèle Kebra-Orchioni
(Polytesse, Hyperpolitasse, Apolitese, Imbolissesse et Polirudesse.
Avec ces catégories, nous essaierons d'exempter ce modèle. Que cela
implique les bons, Don Abbondio et aussi Renzo.
Les Braves et Don Abbondio
Les
premières lignes du dialogue ont la fonction phatique habituelle,
mais révèlent immédiatement la connaissance des règles du jeu
avec un « monsieur le curé » qui semble poli, mais que les Bravi
prononcent en lui plantant les yeux au visage. L'allusion à son nom,
« curé », est perçue comme une demande (fta) et accueillie avec
déférence envers les braves par un « que commandez-vous ? ». On
comprend ici que le curé sait qu'il doit s'attendre à des ordres et
est déjà disposé à obéir. Le bravo poursuit par un « vous avez
l'intention » sur un ton où transparaît la colère et avec
l'intention pragmatique de menacer. Don Abbondio, d'une voix
tremblante (il a compris le sens de la menace), utilise le « visage
positif » de l'autre avec « leurs messieurs sont des hommes du
monde », autrement dit, le curé se présente comme un simple
serviteur de la municipalité. Le « nous » est une technique pour
limiter ses propres responsabilités. Les flatteries et les excuses
du curé ne suffisent pas à éviter l'imposition du « cela ne doit
pas se faire ». La réponse de Don Abbondio, faite avec gentillesse
et douceur, contient une menace envers le visage négatif des bravos
lorsqu'il déclare : « Daignez vous mettre à ma place ». Pour les
bravos, les mots sont du « bavardage » et seules comptent la menace
et sa réception. Don Abbondio insiste avec flatterie pour tenter
d'obtenir la raison des bravos, mais ils répondent : « le mariage
n'aura pas lieu ». Les bravos tentent d'être polis en déclarant à
leur tour au curé : « C'est un homme qui sait vivre dans le monde
», reprenant presque les mots prononcés au début par Don Abbondio.
La signature finale du dialogue se trouve dans cette salutation : «
Très illustre Monsieur Don Rodrigo, notre maître, vous adresse ses
plus chaleureuses salutations ».
Les Braves et Don Abbondio
Les
premières lignes du dialogue ont la fonction phatique habituelle,
mais révèlent immédiatement la connaissance des règles du jeu
avec un « monsieur le curé » qui semble poli, mais que les Bravi
prononcent en lui plantant les yeux au visage. L'allusion à son nom,
« curé », est perçue comme une demande (fta) et accueillie avec
déférence envers les braves par un « que commandez-vous ? ». On
comprend ici que le curé sait qu'il doit s'attendre à des ordres et
est déjà disposé à obéir. Le bravo poursuit par un « vous avez
l'intention » sur un ton où transparaît la colère et avec
l'intention pragmatique de menacer. Don Abbondio, d'une voix
tremblante (il a compris le sens de la menace), utilise le « visage
positif » de l'autre avec « leurs messieurs sont des hommes du
monde », autrement dit, le curé se présente comme un simple
serviteur de la municipalité. Le « nous » est une technique pour
limiter ses propres responsabilités. Les flatteries et les excuses
du curé ne suffisent pas à éviter l'imposition du « cela ne doit
pas se faire ». La réponse de Don Abbondio, faite avec gentillesse
et douceur, contient une menace envers le visage négatif des bravos
lorsqu'il déclare : « Daignez vous mettre à ma place ». Pour les
bravos, les mots sont du « bavardage » et seules comptent la menace
et sa réception. Don Abbondio insiste avec flatterie pour tenter
d'obtenir la raison des bravos, mais ils répondent : « le mariage
n'aura pas lieu ». Les bravos tentent d'être polis en déclarant à
leur tour au curé : « C'est un homme qui sait vivre dans le monde
», reprenant presque les mots prononcés au début par Don Abbondio.
La signature finale du dialogue se trouve dans cette salutation : «
Très illustre Monsieur Don Rodrigo, notre maître, vous adresse ses
plus chaleureuses salutations ». Dans ce contexte, transmettre des
hommages est une pure forme de courtoisie, mais se transforme ici en
une menace réelle, comme en témoigne la révérence instinctive du
prêtre, qui, à son tour, menace le visage négatif de l'autre,
contraint de répondre par « suggère à celle qui connaît le
latin » ou « à son tour », comme un impératif.
Don Abbondio, dans ce contexte historique, est l'égal de Don
Rodrigo, bien qu'il n'ait pas joué ce rôle dans le dialogue,
affichant plutôt une forme exagérée de courtoisie
(hyperpolitesse). Les bravos, quant à eux, incarnent une
pseudo-courtoisie (polirudesse), dissimulant menaces et actes de
courtoisie sous la forme de communications typiques des puissants. Le
dialogue, en réalité, se déroule entre l'écuyer Don Rodrigo et
Don Abbondio, où les deux bravos peuvent se retirer du dialogue en
affirmant leur incompétence et répondre à la flatterie sans
compromettre la menace, imposée par le pouvoir de leur maître et
pourtant inscrite dans le rôle social et historique du roman.
Don Abbondio et Renzo : première rencontre
L’expression
« les temps qu’il a dû vivre » décrit bien le
caractère de Don Abbondio, en accord avec la situation historique
dans laquelle il se trouve plongé. Son personnage explicite le
système de l’époque, fait d’abus et d’injustices auxquels il
faut répondre avec patience, soumission et silence, créant une
profonde frustration chez le prêtre, qui la déverse sur les
personnes les plus dociles et incapables de lui faire du mal. Dans ce
cas, Renzo, bien que calme et doux, ne pouvait pas devenir si
facilement le prochain maillon de la chaîne, car cela l’aurait
affecté sur le plan amoureux. Le prêtre, malgré son autorité,
doit penser à justifier ses actes, « pensant à sa peau,
tandis que Renzo pense à sa petite amie ». C’est dans ce
contexte que la stratégie pour commettre cet abus prend forme. Dans
le premier dialogue entre Renzo et Don Abbondio, le jeune Renzo
affiche un air de célébration et de courage, contrastant
immédiatement avec l’accueil incertain et mystérieux du curé.
Renzo se présente à la réunion pour formuler une demande qu'il
atténue, conformément à son rôle : « au moment qui
vous convient ». Le curé tempère également son refus de
dissimuler son image négative et cet appel à la patience est le
premier d'une longue série. Les stratégies de Don Abbondio vont de
l'auto-éloge (« je suis trop gentil ») à l'autocritique
(« je néglige mon devoir »), en passant par la modestie,
l'impudence, la fausse modestie, l'apitoiement sur soi « et
puis je reçois des réprimandes, et pire encore ». À ce
stade, Renzo commence à s'énerver et à insister sans dépasser les
limites imposées par son rôle social ; il ne se soucie plus de
modérer ses actes (apolitesse). Le curé continue de jouer sur
l'autocritique : « Nous, pauvres curés », coincés
entre vous et vos supérieurs. L'objectif est de minimiser la
responsabilité individuelle en utilisant la même méthode que celle
utilisée avec les Bravi. Don Abbondio explicite le pouvoir du savoir
lorsqu'il dit : « Si tu ne sais pas, sois patient et fais confiance
à ceux qui savent », en utilisant le visage positif et en ajoutant
« cher fils ».
L'appel à la patience de Don Abbondio est
ratifié par Renzo lorsqu'il dit « Je respecte », précédé de
l'adverbe « intanto », pour signifier que j'attends la date
convenue pour le mariage.
Don Abbondio et Renzo : deuxième
rencontre
Lors de cette rencontre, Renzo a compris
l'existence d'une arnaque grâce à un dialogue avec la gouvernante.
Dans cette nouvelle conversation, nous commençons par des demandes
explicites où la menace du visage négatif de l'autre est complétée
par une menace physique. La porte est fermée pendant la rencontre
pour signaler la nécessité d'une réponse et la main de Renzo est
posée, peut-être par erreur, sur son couteau. Dès lors, le curé
est réduit à l'obéissance par un nouvel abus commis sans atténuer
les actes agressifs. Renzo, par nature et par condition sociale, fait
partie des pauvres innocents (un agneau) et est contraint de faire
ressortir sa fougue. Face à un interlocuteur qui mérite une
attitude différente, abandonnant de fait son rôle et toute règle
de courtoisie (impolitesse). De là la surprise initiale de Don
Abbondio face à l'appel à la raison (attention à ce que l'on fait)
et à « pense à ton âme », tentative du prêtre
d'exploiter sa propre autorité (apolitesse). Cette requête reste
vaine et la nouvelle menace est formulée explicitement : « Je
vous promets que je fais une erreur », poussant ainsi Don
Abbondio à prononcer le nom de Don Rodrigo. Une fois ce sacrifice
accompli par le prêtre, qui se sent désormais presque créancier,
commence à menacer le côté positif de l'autre par des reproches :
« Tu as fait une bonne action, un grand exploit ». Renzo
reçoit ces menaces « immobile, la tête basse ». Entre
disputes, récriminations, auto-éloges et apitoiement sur lui-même,
le prêtre souhaiterait obtenir de Renzo un serment de silence, mais
l'attaque du côté négatif de l'autre reste sans effet. La
rencontre se termine par un dialogue de sourds, où nous retrouvons
le La demande impérative du prêtre, « jurer », à
laquelle Renzo répond par un aveu de culpabilité : « J’ai
peut-être échoué ». Le prêtre conclut en affirmant que Don
Abbondio « ne savait plus dans quel monde il se trouvait ».
Lorsqu’ils se retrouveront, le jeune Renzo les accueillera avec
« révérence », car le prêtre « a toujours été
son prêtre ». Les menaces de Renzo, modifiant son rôle
social, sont plus inattendues que celles des voyous, car elles
s’inscrivent dans un scénario attendu à l’époque. L’attitude
de Renzo marque un renversement du monde, car elle bouleverse les
règles de courtoisie de cette période historique. De fait, à
l’époque des émeutes de San Martino, les riches réagissaient
avec « très bienveillance » aux personnes humbles comme
Renzo. Ces émeutes avaient créé une nouvelle et inattendue norme
de politesse.
Courtoisie et malentendus
Dans le contexte manzonien,
nous observons que les relations de pouvoir entre les différents
interlocuteurs permettent principalement de donner un sens univoque
au mot, transformant la flatterie en menace et les menaces en
subversion du monde. Dans ce contexte historique, la courtoisie
devient facilement un moyen de démasquer la dureté de la réalité
et de jouer le jeu de la force et de l'abus à la limite de
l'ambiguïté et du malentendu. Le malentendu peut être réel ou
apparent, mais sa résolution marque l'abandon de l'atténuation et
l'expression plus directe des intentions des autres par les
interlocuteurs. Un véritable malentendu se manifeste au début du
dialogue entre Renzo et Azzeccagarbugli, qui prend Renzo pour un
bravo cherchant de l'aide pour échapper à la justice. Renzo
s'annonce par un hommage et une grande révérence avant de présenter
sa demande de manière atténuée, faisant un grand usage de la
courtoisie négative pour atténuer le caractère intrusif de la
question (Je tiens à vous dire, à vous qui avez étudié, que nous
autres, pauvres gens, ne savons pas bien parler, excusez-moi).
L'avocat l'accueille avec humanité (mon fils), même si l'injonction
« dites-moi comment ça va » ne manque pas, avec même
une pointe de critique (« Que Dieu vous bénisse ! Vous
êtes tous comme ça ! »). Le ton général de la
conversation est empreint d'un respect mutuel poli, malgré la
conscience évidente de l'asymétrie des rôles. La façon de parler
de l'avocat représente un échantillon fidèle et détaillé de la
réalité (la personne importante qui donne l'ordre de commettre
l'agression, le système de silences et d'implicites à utiliser pour
obtenir la complicité. Cependant, ce sera toujours Renzo qui
proposera un monde bouleversé en se qualifiant d'offensé et en
révélant Don Rodrigo comme faisant partie de la menace. La vérité
exprimée par Renzo est intolérable pour l'avocat Azzeccagarbugli et
cela provoque la fin de tout comportement poli : l'avocat intervient,
immédiatement, et enlève à l'autre la liberté de parole et menace
son visage positif en disant "vous les autres, qui ne savez pas
mesurer vos mots, apprenez à parler, vous n'allez pas chez un
gentleman pour le menacer". L'avocat jette Renzo hors de la
maison et rend le cadeau pour sceller la profonde distance entre les
deux.
Dans un autre dialogue intéressant, nous observons comment, entre Don Rodrigo et Fra Cristoforo, le malentendu est généré de manière fictive pour échapper à la réalité des accusations, camouflées par une prière. Dès le début du dialogue, le rapport de force est clairement défini : Fra Cristoforo s’est présenté à Don Rodrigo pour obtenir justice et clémence. Avec un air de respect et de crainte devant les puissants, le banquet organisé chez Don Rodrigo est d’abord décrit comme un lieu de démonstration de pouvoir. Avant le dialogue, le banquet de Don Rodrigo est décrit comme un lieu de démonstration de pouvoir. De fait, lorsque le dialogue débute, Don Rodrigo se tient debout au milieu de la pièce et son attitude révèle la dissonance entre le sens littéral de ses paroles et leur véritable valeur : « De quelle manière puis-je vous obéir ?» Avec la valeur pragmatique de « attention à qui vous avez en face de vous, pesez vos mots et dépêchez-vous ». Pour répondre, Frère Cristoforo tente la supercherie de la courtoisie : la requête devient une proposition, la prière pour un acte de charité : « Dans l'histoire, il y a un pauvre curé, deux innocents et des hommes de mauvaise réputation qui ont invoqué le nom de votre illustre seigneurie pour effrayer et intimider, et il y a la possibilité que Don Rodrigo rétablisse la force de la loi en soulageant ceux qui sont soumis à une violence aussi cruelle. » Cependant, l'insistance de Cristoforo force Don Rodrigo à commencer à démanteler la supercherie de la courtoisie et à dire les choses telles qu'elles sont, même en utilisant des mots ambigus et offensants : « Je ne comprends rien, si ce n'est qu'il doit y avoir une fille qui compte beaucoup pour elle. » Frère Cristoforo insiste, affirmant qu'« un mot d'elle peut tout faire. » En réponse à cette insistance, Don Rodrigo offre sa protection à cette fille. Le dialogue atteint alors un tournant. Car Christophe est prêt à révéler la tromperie avec la force de Dieu pour s'opposer aux puissants de la terre. Le frère exprime un « un jour viendra », auquel Rodrigo répond : « Écarte-toi de mon chemin, paysan civilisé, vaurien ». Tout au long de la conversation, Rodrigo n'a jamais recherché la courtoisie, sauf ironiquement, mais son comportement d'« apolitesse » devient « grossier » avec des attaques ouvertes envers l'autre, portant à l'extrême les prérogatives de son rôle, celui d'un homme puissant qui est également tenu de respecter un religieux. Le frère, pour sa part, entame le dialogue avec une attitude très courtoise (hyperpolitesse et aussi polirudesse). Au moment de vérité, dans le dialogue, le frère abandonne la courtoisie sans pour autant quitter son rôle, car ses paroles viennent de Dieu.
Conclusion
L'idéal de courtoisie
Dans les dialogues analysés
dans le texte « I Promessi Sposi », on observe rarement
une forme directe et authentique de courtoisie, où l'on perçoit une
atténuation de la menace ou une exaltation de la courtoisie
indissociable du maintien du rôle social. On trouve de nombreuses
formes d'hyperpolitesse, notamment chez Don Abbondio, maître en la
matière, et même chez Fra Cristoforo. L'impolitesse s'accompagne
plutôt de comportements ouvertement agressifs, comme chez Renzo ou
Don Rodrigo.
La polirudesse se manifeste clairement dans le
comportement des bravos envers le curé. La courtoisie, dans les
relations de pouvoir, s'obtient par la flatterie, la valorisation du
côté positif de l'autre et sa propre dévalorisation. La courtoisie
est une tromperie capable de reproduire des modèles de comportement
profondément arrogants, mais revêtus de courtoisie. Dans Les
Fiancés, Don Abbondio propose également une analyse de la
politesse, entendue comme « ne pas dire des choses qui
pourraient déplaire, surtout à ceux qui ne sont pas habitués à
les entendre ». Ainsi, dans le contexte de relations de pouvoir
asymétriques, la politesse engendre des échanges de responsabilité
et de culpabilité, où Renzo peut sembler l'oppresseur, mais est en
réalité l'opprimé, tandis que Don Abbondio semble être l'opprimé,
mais est en réalité l'oppresseur. Ce modèle de la politesse
manzoniienne est intéressant pour comprendre comment la politesse
est une manifestation linguistique liée à un contexte historique
donné, mais qui renvoie à des besoins et des principes qui
traversent les phases historiques à travers ses thèmes et ses
mécanismes psychologiques étonnamment proches du lecteur
d'aujourd'hui.
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