lunedì 19 luglio 2010

etnopragmatica ed antropologia linguistica

Che cos'è l'antropologia linguistica?



L'invenzione dell'antropologia linguistica risale al 19 diciannovesimo secolo negli Stati Uniti dove nascono alcuni paradigmi di ricerca: emerge l'idea di Boaz del linguaggio come codice essenziale in quanto ci permette di avere una finestra sul mondo. L'antropologia vede nel linguaggio una modalità di accesso a quella parte invisibile nell'umano. Dopo, giunge un nuovo paradigma: il linguaggio come azione, e come forma di organizzazione della società.

Lo studio degli Speech events o eventi linguistici come indicatori del linguaggio pensato come azione. Da qui, esce fuori l'analisi conversazionale, la quale vede la conversazione come fare sociale. Il linguaggio viene visto come elemento dinamico e non come un mondo già prestabilito, piuttosto fa parte di un mondo sociale. Quindi, possiamo quasi vedere un'analisi sociale tramite l'impiego del linguaggio.

L'idea dell'etnopragmatica nasce dal desiderio dall'incontro di due pratiche culturali, ossia l'idea dell'etno dall'etnografia della comunicazione, ma anche dall'idea di etnoteoria, ossia la modalità di studiare un gruppo sociale di individui in una data comunità ma ricollegandosi all'idea di persona, alla teoria della propria vita sociale, come viene espresso dall'espressione inglese “what we are about”. Questo approccio antropologico al nostro essere sociale conferisce una modalità di indagare sul come le persone si pensano, si vedono e si percepiscono all'interno di una comunità.

Geertz e Mauss hanno introdotto il concetto del “le moi”, diventato dopo concetto di persona come maschera. Quindi, un ruolo importante riveste l'etnoteoria dell'azione, in quanto ogni cultura ha dei modi concreti e veri di capire come “essere al mondo”.

Praticamente, per giungere ad una maggiore comprensione del ruolo del linguaggio nella realtà sociale, bisogna compiere questo viaggio dell'andirivieni tra il famigliare e lo sconosciuto, portando ad essere strano quello che è famigliare e viceversa.

Husserl parla di “atteggiamento naturale” del mondo, ossia del come il mondo va da sé. Questo mondo è fatto di valori, di cose, di estranei, di nemici, di amici e di colleghi.

Quindi, la questione è di capire che cos'è che ci rende umano e allo stesso tempo ci distingue dall'essere al mondo tra italiani e francesi? Come si vedono o si percepiscono le persone all'interno della comunità linguistica italiana e francese(questo lo aggiungo io).

A questo punto emerge il concetto di “agency”, di agentività, vale a dire il nostro avere il controllo delle nostre azioni e parole, le quali hanno un riscontro sulle altre persone e sono oggetti di valutazione (praticamente), ossia il “fare” deve essere “efficienza” sulle cose.

Altro ruolo molto importante è quello svolto dalla pragmatica, la quale ha cambiato il modo di fare linguistica, in quanto ha portato alla ribalta la nozione del fare del linguaggio ( tralasciando forse l'aspetto estetico della lingua) (personalmente credo che lo studio dell'espressività nelle lingue sia un modo di occuparsi dal punto di vista estetico la lingua).

Con la pragmatica entrano in pieno canone le massime di Grice con il concetto di Face (faccia) di Goffman. Secondo Duranti, le mancanze della pragmatica sono da ricercare nel fatto che non indaghi il fenomeno del ' che cosa permette al linguaggio di fare quello che il linguaggio fa? Cosa rende possibile questo discorso (conferenza accademica, per esempio) . Se prendiamo l'esempio dei saluti, la domanda da porsi è: quali sono le condizioni che rendono possibili questo tipo di scambio? Quindi dal punto di vista antropologico, bisogna pensare al contesto, agli oggetti, al come veniamo guidati nel mondo. Una collocazione importante ricopre l'intersoggettività, in quanto rivela un concetto ampio dell'essere sociale e dell'essere insieme. Elementi come “la comprensione reciproca” o “la condivisione della comprensione” vanno da sé nel nostro mondo, mentre il solo studio della linguistica rende la lingua solitaria.

Possiamo dire che nei vari paradigmi che hanno caratterizzato il pensiero dell'antropologia linguistica, la costante ha visto il linguaggio come un medium non neutrale, il che ha portato alla relatività linguistica, dove la lingua non è mai neutra nel codificare l'azione.

Le domande al centro della riflessione di Duranti sono: In che modo la nostra disciplina di studio ci aiuta o ci ostacola nella nostra comprensione del nostro essere al mondo? Che cosa si nasconde dietro il linguaggio? Come possiamo utilizzare al meglio le teorie locali e quelle accademiche per capire le condizioni universali di quello che siamo?

L'intersoggettività, l'intenzionalità esistono come universali oppure esistono prima il conflitto e la diversità prima di giungere ad una certa normatività?

Quindi, il nostro punto di partenza vede sempre la lingua come rivelatore o specchio di un gruppo sociale in divenire.

Nessun commento:

Posta un commento