La rivoluzione tunisina del 17 dicembre-14 gennaio è il risultato della convergenza delle contestazioni popolari provenienti dalle zone povere e marginalizzate da troppi anni del paese e con le rivendicazioni democratiche dei sindacalisti ed altri intellettuali. Il popolo tunisino si è sollevato per la libertà e la dignità. Un anno dopo le elezioni felicemente riuscite del 23 ottobre 2011, il bilancio della transizione sociale e democratica passa tramite una valutazione della situazione politica, economica e sociale.
Piano politico: lo spettro di Nida' Tounes
La nuova classe politica tunisina non potrebbe che avere come missione quella della rottura col regime precedente caduto e con l'instaurazione della democrazia. "Non si tratta per niente di una caccia alle streghe, ma di una restituzione dei soldi presi necessaria affinché la corruzione politica non venga banalizzata dopo la rivoluzione", spiega Samir Rabhi, portavoce dell'istanza superiore della realizzazione degli obiettivi della rivoluzione. "Soltanto la giustizia può giocare questo ruolo contro quelli che ha fatto del torto alla nazione, mentre la giustizia di questo governo transitivo innalza le norme necessarie per gettare la spugna", aggiunge Samir Rabhi.
Questa di Samir sembra essere la via della ragione, altre voci spingono per l'esclusione delle persone, avendo fatto parte delle strutture del partito RCD di Ben Alì, durante il periodo dal 7 novembre 1987 al 14 gennaio 2011, così come quella della vita politica per un periodo di almeno cinque anni. Tutto ciò è stato possibile tramite l'articolo 15 della legge elettorale di 2011 che ha vietato ai membri del RCD di partecipare alle urne elettorali del 23 ottobre2011. Tuttavia, numerosi sono i politici dche hanno fatto ricorso alla giustizia contro questo provvedimento di esclusione, basato sull'articolo 15, ottenendo spesso la ragione dei giudici.
"Solo la giustizia ha il diritto di privare qualcuno di un diritto fondamentale, come la partecipazione alla vita politica", insorgono i militanti di Nida' Tounes, poiché una tale legge rischierebbe di allontanare dalla scena politica il loro leader Béji Caïed Essebsi. Ciò non viene condiviso dai militanti di Ennahda perché pensano che "di fronte al rischio del ritorno dei membri del RCD sotto altre forme, è da ritenersi possibile considerare una procedura di esclusione." "Nida' Tounes è più pericoloso dei salafistes jihadistes", ha dichiarato ultimamente il presidente di Ennahda Rached Ghannouchi, il quale ha spiegato una tale avversità per il fatto che "Nida' Tounes sfrutterà la rete di conoscenze del RCD, mentre i jihadisti sono un dei prodotti della rivoluzione."
Il dirigente di Nida' Tounes, Mohsen Marzouk, ha affermato in risposta a questa accusa che "non è Nida' Tounes che ha attaccato il 14 settembre l'ambasciata degli Stati Uniti e ha rovinato l'immagine della Tunisia." Ritornando sulla sua esclusione, il Primo ministro del governo di transizione e presidente di Nida' Tounes, Béji Caïed Essebsi, ha fatto notare che verificando l'elenco degli eletti di Nida' Tounes, era l'unica persona coinvolta in questa esclusione. "Tuttavia, io, ho rotto con Ben Ali nel 1990, quando ho constatato che le cose non andavano bene ed io non ho mai detto che Dio era in Alto ed Ben Ali era in terra", ricordando al presidente di Ennahda, Rached Ghannouchi, i suoi propositi quando il presidente Ben Ali gli aveva accordato una grazia presidenziale. Béji Caïed Essebsi ha ricordato allo stesso tempo a quelli che pretendono la " purezza rivoluzionaria" che " Noureddine Bhiri ha siglato un patto nazionale inerente il progetto di Ben Ali del 1992 per conto di Ennahda".Quindi non dovrebbe porsi come il primo della classe" ha fatto notare al cronista.
Parlando dell'esclusione politica di Nida' Tounes, il politologo Hamadi Redissi stima che è chiaro che i calcoli politici sono dietro questo tentativo di Ennahda e del CPR di spodestare Béji Caïed Essebsi, pretendendo di attaccare le fondamenta del RCD". "L'anziano Primo ministro incarna l'unica forza capace di tenere di testa al movimento di Ennahda ed i suoi alleati", puntualizza Hamadi Redissi.
Missioni politiche
Rievocando la rottura col regime deposto, si constata che il governo della troica non è diventato niente in modo istituzionale. La resa del conti anticipo molto lentamente al livello della giustizia. I "simboli" del regime decaduto, i due fantastico-ministri della presidenza: Abdelaziz Ebbene Dhia ed Abdelwahab Abdallah, il presidente della Camera dei consiglieri, Abdallah Kallel, l'ultimo segretario generale della segreteria generale del RCD, il ministro del Trasporto, Abderrahim Zouari, ecc.) sono agli arresti da vicino a venti mesi negli schienali qualificati di "vuoti" per i loro avvocati e stesso per gli osservatori neutri. Per la sua parte, la giustizia di transizione non avanza, secondo gli osservatori della Lega tunisina dei diritti dell'uomo (LTDH).
"Non è normale che sia un
qualsiasi ministero a mettere i bastoni tra le ruote ad un percorso
di giustizia di transizione." "Questa istanza dovrebbe
sfuggire al controllo dell'amministrazione. Invece, Ennahda vuole
mettere la mano su tutto", insorge Abdessattar Ben Moussa,
presidente del LTDH.
Peraltro, il Dottore Ben Moussa ricorda
che "l'allontanamento di certe personalità del RCD si è compiuto
finora in maniera populista tramite manifestazioni spontanee, o
manipolate, contro i responsabili, in modo particolare durante i
primi mesi della rivoluzione." Il presidente del LTDH nota
tuttavia che dei “ noti membri del RCD continuano ad esercitare
nella presidenza del governo e nei gabinetti di parecchi ministri."
"Basta passare in rassegna la squadra che circonda il capo del
governo, Hamadi Jebali, e di rievocare l'ultima nomina di Chedly
Ayari alla Banca centrale per concludere che il trattamento dei
membri del RCD si fa su misura e secondo gli interessi partigiani
della troica", prosegue Ben Moussa. Per ciò che concerne le
missioni attribuite dal popolo all'assemblea nazionale riguardano la
scrittura di una nuova costituzione e l'introduzione di tre
commissioni indipendenti per le elezioni, la magistratura e i
media.
"I tre partiti della troica hanno aspettato un anno per proporci la bozza di un accordo politico", ironizza il politologo Hamadi Redissi che rimprovera loro "un accertato dilettantismo politico". "Dato che nessun partito politico dispone di una maggioranza all'assemblea, e poichè la troica è composta da un partito islamico e da due partiti laici, dei compromessi sono necessari per fare proseguire sui temi controversi, come ad esempio la forma politica, la legge elettorale o il modo di gestire la magistratura", puntualizza. "Ma, non è normale che la troica venga, dopo un anno, annunciare un accordo su un regime parlamentare pianificato senza dare fornire nessuna spiegazione supplementare.
"I tre partiti della troica hanno aspettato un anno per proporci la bozza di un accordo politico", ironizza il politologo Hamadi Redissi che rimprovera loro "un accertato dilettantismo politico". "Dato che nessun partito politico dispone di una maggioranza all'assemblea, e poichè la troica è composta da un partito islamico e da due partiti laici, dei compromessi sono necessari per fare proseguire sui temi controversi, come ad esempio la forma politica, la legge elettorale o il modo di gestire la magistratura", puntualizza. "Ma, non è normale che la troica venga, dopo un anno, annunciare un accordo su un regime parlamentare pianificato senza dare fornire nessuna spiegazione supplementare.
L'elezione del presidente con il
suffragio universale non risolverà tutti i problemi. Rimane da
ripartire le funzioni di ogni istituzione all'interno del potere
esecutivo e questo non è cosa facile, senza parlare della legge
elettorale, o della Corte costituzionale. Ennahda preferisce una
legge proporzionale con requisiti percentuali elevati e non è
contenta dell'installazione di una qualsiasi istanza di controllo
sull'assemblea. Ettakattol ed il CPR sono favorevoli alle
proporzionali in maniera convinta e per una Corte costituzionale",
afferma il professore Redissi. Conclude affermando che "la
strada è ancora lunga."
Situazione socio-economica: non va più niente
Dal 14 gennaio 2011, le cifre reali
della disoccupazione hanno ripreso il loro posto nelle statistiche,
così come quelle sulla povertà. I dati dicono che sono circa il 18%
a non avere un impiego, tra cui 150 000 laureati. La povertà tocca
più del 10% della popolazione. Le difficoltà innescate dalla caduta
del regime e la transizione in corso, si ripercuotono sul vita
socioeconomica del paese.
Si tratta essenzialmente di quei
segmenti della popolazione alla ricerca di un miglioramento delle
loro condizioni di vita. Purtroppo, la domanda non è tanto
sistematica, perché la ripresa economica e le offerte di lavoro
necessitano di condizioni obiettive che non sono ancora riunite. Ma
nessuno dice questa verità, da qui nasce l'impazienza delle persone.
I politici, particolarmente durante la campagna elettorale del 23
Ottobre 2011 hanno promesso mare e monti alle popolazioni più deboli
del paese.
Oggi, nell'assenza di risultati
concreti e rapidi, la tensione sociale è al suo culmine, ciò non
permette di creare le condizioni migliori per un ritorno degli
investimenti. Non bisogna neanche trascurare il fatto che il nostro
primo partner economico, vale a dire l'Europa, sta attraversando una
forte crisi. Difatti, la Francia ha avuto una crescita pari a zero
nel 2011, mentre la Germania ha registrato una crescita del 0,3%,
senza parlare della situazione in Grecia ed in Spagna. È già cosa
buona che l'Europa abbia messo mano alla tasca per sostenere la
transizione e che stia operando attualmente per negoziare un accordo
di libero scambio completo ed approfondito (Aleca). La transizione
in Tunisia è confrontata a problemi interni, a sapere il forte tasso
di disoccupazione e le disparità regionali, così come a difficoltà
esterne come ad esempio la crisi del proprio debito in zona euro e la
situazione del vicino libico.
Questa instabilità macro-economica ha
condotto alla recessione dell'economia tunisina così come
all'aggravamento degli squilibri commerciali, di bilancio e
finanziari. La crescita economica, promessa per il 2012, non potrà
raggiungere i 3,5%, mentre il deficit di bilancio rischia di
aggravarsi e di raggiungere i 10%, se non si recuperano i soldi che
provengono dalla vendita dei beni presi appartenenti ai simboli del
regime caduto. Questo contesto politico incerto e questa tensione
socio-economica ha spinto le agenzie di rating internazionali,
Standard and Poor's e Moody's hanno ad abbassare il rating della
Tunisia. La situazione dunque non è facile e l'imperativo è di
lavorare duro per raddrizzare la situazione, affinché la popolazione
non perda speranza nella sua rivoluzione.
.
Nessun commento:
Posta un commento