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martedì 29 dicembre 2020

Altri esercizi con particella ci

 

 Rispondi alle domande con CI

1.Andate all’università? Sì, ______ andiamo.  
2.Vieni dalla mensa ? Sì, ____ vengo.
 3.Vieni alla mensa? No, non ____ vengo.  

4 Vivi a Oslo? Sì, ____ vivo.  
5. Sai che al supermercato c’è lo sconto sui fiori? Allora ......ci......vado subito.
6. Questo pomeriggio vieni in palestra? Sì, ..................... vengo.

7 Marco è stato a Roma? No, non ..................... è stato.
8. Vedi Pietro e Claudio? Sì, .....................vediamo sabato era.
9. Siete rimasti tanto tempo in montagna? No, non ...............piace restare se fa molto freddo.
10. Alessandro e Francesco vanno a comprare il pane? Non so se ...........................vanno.
11. ...........................danno la bella notizia.
12. Sei a Milano oggi? ..No,.........................sono oggi.

verbi in isc come preferire, capire, finire

 

Il verbo preferire

Completa le frasi con il verbo preferire, come nell’esempio:
Es.: La domenica (noi) [preferiamo] restare a casa.


1. Non amo il cinema, ……………………...guardare la televisione.
2. Prendete un caffè o …………………………..una bibita?
3. Noi amiamo il mare, ma Samira e Yoko…………………….. la montagna.
4. Prendiamo un taxi o (tu)………………………... camminare?
5. (Io)………………………. evitare i luoghi affollati.
6. (Tu)……………………... il caffè o il tè?
7. Gli studenti ……………………..fare gli esercizi in gruppo.
8. Se (voi)…………………. camminare, non prendiamo l’autobus.

Altri verbi in -isco

Completa le frasi con i verbi in -isco suggeriti tra parentesi:
Es.: Non [capisco] le barzellette di Giovanni. (capire)


1. I ragazzi sabato pomeriggio………………. il garage. (pulire)
2. Ahmed…………………... un pacco alla sorella. (spedire)
3. L’aspirina……………………. i piccoli dolori. (guarire)
4. Le patatine…………………. in un minuto! (finire)
5. (tu) Costruisci un tavolo o………………….. una sedia? (costruire)
6. Il cameriere……………... l’insalata. (condire)
7. Sono a dieta: ………………..un chilo ogni settimana. (dimagrire)
8. Le e-mail ……………..le persone lontane. (unire)



Marco ................................... dall’aeroporto di Fiumicino. (partire)
b. Sara ………………………….. di studiare alle cinque. (finire)
c. I bambini ................................caldo. (sentire)
d. Io ................................. l’italiano, ma non parlo ancora bene. (capire)
f. Tu ………………………… il cinema o il teatro? (preferire)
g. La legge (=lag ) italiana ..................................di fumare nei posti pubblici e negli uffici. (proibire)
h. Io
…………………………………bene solo quando sono a casa. (dormire)


Io non                           ............................... il tedesco.   (capire)

Sig. Martini, ...............................  un caffé o un cappuccino ? (preferire)

Quando ...............................  le vacanze di Natale ? (finire)

ESERCIZIO

Nelle frasi scegli l’alternativa corretta e poi metti il verbo nella tabella corrispondente.

a.Apro/apriscono il libro.

b.Capo/Capiscono poco.

c.Dormo/dormiscono dieci ore tutte le notti.

.Prefero/preferisco stare a casa.

e.Fino/Finisco il lavoro e poi mangio


ti piace, non mi piace, mi piacciono

 Ti piace viaggiare in macchina? – Sì, [mi piace]. / – No, [non mi piace].


a. – Ti piace il cioccolato?
– Sì, . / – No, non .
b. – Ti piace piace la Formula 1?
– Sì, . / – No, .
c. – Ti piacciono gli spaghetti?
– Sì, . / – No, .
d. – Ti piacciono i biscotti?
– Sì, . / No, .
e. – Ti piace il cibo cinese?
– Sì, . / – No, .
f. – Ti piacciono gli U2?
– Sì, . / – No, .
g. – Ti piace l’Italia?
– Sì, . / – No, .
h. – Ti piacciono i film horror?

 

  Mi piace/mi piacciono

Completa le frasi con mi piace o mi piacciono:
Es.: [Mi piace] il cinema italiano.


a. Monica Bellucci.
b. le lingue straniere.
c. Non i locali rumorosi
d. Non la violenza nello sport.
e. le opere di Verdi.
f. i gelati e i dolci.
g. Non la pizza.
h. le colline senesi.


Rispondi alle domande come nell’esempio.

 Es: Maria, ti piacciono gli spaghetti alla carbonara?  

Sì, mi piacciono molto.No, non mi piacciono per niente. 

1. Beatrice, ti piace suonare il pianoforte? ................................................................. 

2. Ragazzi, vi piacciono i libri di fantascienza? .................................................................

 3. A tua sorella piace la musica classica? ................................................................. 

4. Ti piacciono i film dell’orrore? .............................................................

....5. A Marco piacciono le partite di calcio? ..............................................................

...6. Ai tuoi fratelli piace studiare in biblioteca? ...............................................................

..7. A voi piace la moda italiana? ................................................................. 

8. Ti piace il cappuccino? ................................................................

.9. A Marta piacciono le tagliatelle ai funghi? ...............................................................

..10. Agli studenti piace la grammatica italiana?

sabato 26 dicembre 2020

Perché abbiamo bisogno di Scotellaro

 

Perché abbiamo bisogno di Scotellaro"

Recentemente mi è capitato di discutere di poesia tenendo tra le mani il grande libro che raccoglie Tutte le opere (non solo poetiche) di Rocco Scotellaro. Un volume di 840 pagine, pubblicato un paio di mesi fa da Mondadori, suddiviso in sei sezioni, denso di versi, racconti, prose giornalistiche, scritti cinematografici, il romanzo autobiografico L'uva puttanella e l'inchiesta socio-antropologica Contadini del Sud del sindaco-poeta di Tricarico (Matera), morto per un infarto il 15 dicembre 1953, a soli trent'anni, tre anni dopo l'ingiusto arresto per un presunto delitto di concussione (che lo costrinse al carcere per 45 giorni), da cui venne infine prosciolto. Una morte prematura, che porta con sé il carico di sofferenza e amarezza determinato da quell'accusa. Un anno dopo la scomparsa, il suo Contadini del Sud vince il Premio San Pellegrino per l'inchiesta e alla sua produzione poetica viene assegnato il Premio Viareggio. Mi è capitato di parlarne, dicevo, e di raccogliere riflessioni sul tempo e i suoi effetti, su quel che resta e quel che viene cancellato, partendo da una domanda: quanto possono essere considerati attuali la poetica e il pensiero di Scotellaro, la fotografia di un mondo contadino che sembra essere ormai così lontano? Non ho dubbi, so cosa rispondere, perché l'opera di Scotellaro custodisce un'anima senza tempo, è un cantiere permanente per la costruzione di storie e azioni presenti e future.

Io sono un filo d'erba / un filo d'erba che trema. / E la mia Patria è dove l'erba trema. / Un alito può trapiantare / il mio seme lontano Rocco Scotellaro, 1949

Rivelare il mondo contadino attraverso la poesia (d'amore e malinconia, di natura e verità), i racconti e le inchieste, è stato un atto generoso e lungimirante che ha creato le basi per riconoscere e dare un nome a quel che è venuto dopo e, forse, a quel che stiamo vivendo oggi: indagando il sentimento autentico legato alla terra, la relazione intensa, sincera e drammatica tra uomo e natura, possiamo "entrare nelle cose", analizzare le trasformazioni, riuscire a vedere più chiaramente e, se mossi da buona volontà, provare a riorganizzarci per un nuovo inizio mettendo al centro l'essenziale. Ecco, dunque, perché ho scelto di partire dalla parole di Franco Vitelli, il più attento e autorevole studioso di Scotellaro e ora curatore di quest'opera imponente, non domanda ma dato di fatto: "Perché abbiamo bisogno di Scotellaro". Per Vitelli siamo di fronte a un'eredità preziosa che attraversa i territori della letteratura, della politica, della cultura socio-antropologica e che non riguarda solo il Sud e la sua storia, ma un "mondo oltreconfine" dove "si abbia a cuore la sorte delle umani genti".  

 

Sradicarmi? la terra mi tiene / e la tempesta se viene / mi trova pronto Rocco Scotellaro, 1942

Per Carlo Levi, autore nel 1964 della prefazione per il volume Laterza che includeva L'uva puttanella e Contadini del Sud, l'opera di Scotellaro rappresenta una "meditazione su se stesso e il mondo" ed "è la vita nel suo farsi, da ogni parte aperta, immediatamente diventata parola". Franco Vitelli parla di coincidenza tra parola e cosa, tra poesia e mondo contadino, che acquista voce entrando nella storia. Estetica e pensiero sociale vengono inclusi, così, in un "discorso che è sempre andato oltre le ragioni letterarie - talvolta eludendole - per dire chi siamo e dove vogliamo andare". Ma ancora e, anzi, soprattutto, la riflessione di Vitelli dà un senso a quel perché (abbiamo bisogno di Scotellaro), senza peccare di ingenuo anacronismo ma regalando una certezza, una possibilità di riscatto, individuando un nuovo inizio: "La società dello sperpero e dello sfrenato consumismo può e deve trovare modello nella frugalità contadina che era saggezza per sopravvivere nelle condizioni piene di rischi e limitate risorse, mente ora diventa misura per opporsi alla hybris della modernità che non conosce limiti. Oggi che quasi tutti i vincoli di solidarietà sociale sono saltati, o stanno per saltare stremati dalla vittoriosa prepotenza del capitale finanziario, occorre ripartire da una nuova centralità del soggetto eticamente rinnovato e dallo spirito comunitario".

Essi vestono e parlano e giudicano secondo un accordo che li avvince, si riconoscerebbero in qualsiasi parte della terra "I contadini guardano l'aria", dalle prose giornalistiche di Scotellaro

Rocco Scotellaro ( raccolta di materiali utili)

 http://elea.unisa.it:8080/jspui/bitstream/10556/1412/1/Vitelli%2C%20F.%20Valore%20storico%20e%20radici%20antropologiche%20della%20poesia%20di%20Rocco%20Vincenzo%20Scotellaro.pdf

 https://antoniomartino.myblog.it/wp-content/uploads/sites/303633/2016/02/POESIE-INCLUSE.pdf

http://www.uniterlameziaterme.it/RS.pdf

 https://antoniomartino.myblog.it/media/02/01/1151401131.pdf

 http://www.prodel.it/rabatana/?cat=815

https://www.ilpaeseinvisibile.it/file/7poesiediroccoscotellaro.pdf

 http://www.prodel.it/rabatana/wp-content/uploads/2016/06/SARA-ROMANIELLO_Rocco-Scotellaro_-una-vita-al-bivio-.pdf

 https://apeiron.iulm.it/retrieve/handle/10808/21878/49052/Forum%20Italicum-%20A%20Journal%20of%20Italian%20Studies-2016-Giovannetti-670-85%20%281%29.pdf

https://iris.unipa.it/retrieve/handle/10447/90985/98793/F.%20Fasulo,%20Inchieste%20sociali%20e%20subalternit%C3%A0.%20Dal%20concetto%20gramsciano%20di%20subalterno%20alle%20storie%20di%20vita%20di%20Scotellaro%20e%20Montaldi..pdf

 

n libreria l’opera completa

Scotellaro, prosa e poesia della civiltà contadina

di Goffredo Fofi

Rocco Scotellaro visto da Guido Scarabottolo
Rocco Scotellaro visto da Guido Scarabottolo

6' di lettura

I grandi volumi del Baobab, sorta di super-Oscar Mondadori, hanno il grande vantaggio di un prezzo accessibile e non sono affatto inferiori per la qualità delle scelte e la cura ai più noti Meridiani. Non sappiamo le ragioni che hanno portato a distinguere le due collane, anche perché i due autori che l’hanno avviata erano in tutto degni di apparire nella grande collana ufficiale, il poeta veneto Fernando Bandini, la cui grazia e cultura, profondità e vivacità (ha scritto versi in lingua, in dialetto e in latino) lo collocano tra i nostri maggiori, e prossimo, per restare nella sua regione, a Noventa e a Zanzotto, e ora il poeta lucano Rocco Scotellaro. Che fu anche sociologo a Portici con Rossi-Doria e militante socialista. Giovane sindaco del suo paese, Tricarico, venne proditoriamente processato a suo tempo su accuse che si rivelarono infondate, riguardanti l’operato sociale del municipio, ma questo ci è valsa una sua bellissima memoria del carcere, L’uva puttanella, uscito postumo per Laterza, quasi un romanzo come egli in fondo avrebbe voluto che venisse anche letto.

Alla raccolta di poesie È fatto giorno venne assegnato un premio Viareggio postumo, che servì di pretesto agli intellettuali del Pci, i Salinari e gli Alicata e i Muscetta e in primis al loro indiscusso maestro Delio Cantimori (diciamolo: uno dei più arroganti intellettuali “hegeliani” del tempo, che pure è stato un grande storico, che trasferì la sua supponenza a intere generazioni di “normalisti”) per discuterne e svilirne l’opera con le consuete accuse di marca sovietica. I compagni che venivano chiamati “trinariciuti” anche da una parte del partito. Cantimori parlò di un libro e di un autore «sopravvalutati», di «populismo sinistrorso autocoltivato», mentre Muscetta di «idoleggiamento della civiltà contadina», di «disordine sentimentale», di «conclusioni nichiliste», di «egocentrismo» e «velleitarismo» ovviamente «alla Carlo Levi». Posso testimoniare che Muscetta su Levi e Scotellaro cambiò per buona parte opinione, ma troppi anni dopo, diciamo pure molto dopo il crollo del mito sovietico e gli aggiornamenti del Pci. Cantimori non fece in tempo a farlo, ma forse, attento com’era al vento della storia e ai modi di segnarla, lo avrebbe fatto anche lui, con minore sincerità. C’erano molte ragioni per apprezzare la figura di Scotellaro, ed è paradossale che la prima fosse decisamente una ragione “gramsciana”. Come insistettero due intellettuali socialisti, Franco Fortini e Raniero Panzieri in un convegno tenuto a Matera nel 1955 a due anni dalla morte del poeta (era nato nel 1923, scomparve appena trentenne), Scotellaro sembrò infatti a tanti un modello esemplare di “intellettuale organico” secondo le idee e i sogni di Antonio Gramsci, ma nel 1955 non c’era stato ancora il Rapporto Kruscev e gli intellettuali del Pci erano più zdanoviani che gramsciani (con una minoranza di lukacsiani).

La prima edizione dell’opera autobiografica di Scotellaro

Chi meglio di Rocco incarnò la speranza di avere intellettuali che, nati nelle classi “subalterne” operavano per la sua emancipazione, che non separavano mestiere e cultura essendo insieme homo faber e homo sapiens, che parlavano individualmente ma da dentro la classe in cui erano nati e cresciuti, dentro la classe e i suoi interessi, le sue lotte? «Ali Alicata, Salinari sali!» scrisse Fortini in un noto epigramma... E va ricordato che Calvino, Sciascia, Pasolini non caddero ovviamente in questi abissi.

Nel bisogno di conoscere il paese, un bisogno che fu dominante negli anni dopo la guerra (cioè dopo vent’anni di chiusura fascista e di difesa delle città dalla pressione delle campagne, non solo le meridionali), la figura di Scotellaro fu una figura esemplare. Studiò in parte grazie ai canali antichi della chiesa ma soprattutto alle nuove aperture democratiche, poiché poté frequentare l’osservatorio di economia agraria di Portici per la protezione di Manlio Rossi-Doria che la dirigeva, diventando una delle quattro figure di “maestri” del riscatto meridionalista, non solo lucano, insieme a Levi autore del Cristo e dell’Orologio, a Rossi-Doria maestro e fondatore della sociologia rurale in Italia nel mentre che al Nord Alessandro Pizzorno provvedeva a quella industriale, e al medico ed epidemiologo Rocco Mazzarone, grande educatore nell'ombra. Su loro spinta Scotellaro fu autore di una fondamentale inchiesta sui Contadini del Sud, vicina tuttavia alle raccolte di storie di vita e alle inchieste che andavano facendo (contemporaneamente o dopo quella di Rocco), Danilo Montaldi al Nord (i marginali del mondo contadino e periferico, la “leggera”), Bianciardi e Cassola al centro (i minatori della Maremma), Franco Cagnetta in Sardegna (i banditi di Orgosolo) e Danilo Dolci in Sicilia (quelli di Partinico)... La storia dell'inchiesta sociale in Italia, dopo il 1945, è ancora da scrivere ed è una storia per tanti aspetti appassionante, giungendo fino alle inchieste di Alessandro Leogrande, una figura che per molti aspetti ha potuto ricordarci quella di Rocco.

Questa storia si intreccia in vario modo a quella del neorealismo, quello meno “populista” e meno ideologico la cui influenza è evidente nel “Baobab” di cui parliamo, nei racconti di Rocco, ora curati e introdotti con rigore da Giulia Dell’Aquila (Ramorra, un giovane di quegli anni; Uno si distrae al bivio, un giovane di sempre che, se si “distrae” e non sa prendere al momento giusto la strada giusta, rischiando di non ritrovar più quella di casa, la giusta direzione, ieri come sempre e a a maggior ragione oggi e proprio oggi, tra giovani sbalestrati tra proposte perlopiù insensate e, appunto, devianti). Ma, come mettono in luce nei loro ottimi saggi di accompagnamento all'opera di Scotellaro Sebastiano Martelli e soprattutto Franco Vitelli che all’opera di Scotellaro ha dedicato tante fatiche, la sua originalità sta nell'accostamento e nel confronto, oggi più possibile e importante che mai, tra il Rocco poeta, il Rocco sociologo, il Rocco militante. Senza alcun narcisismo ma vedendosi in qualche modo egli stesso come un figlio del secolo, egli ha cantato un tempo “nuovo” che esigeva modi nuovi di star nella vita, nella Storia. L'“alba nuova” era quella, non solo italiana, non solo meridionale, non solo lucana, di un mondo contadino in rivolta, dalla Cina (di Mao) all’India (di Gandhi) e dall’America Latina (di Guevara) all’Africa (di Fanon, di Lumumba). Poi anche questa speranza è crollata, ma Scotellaro non ha potuto vederla ed è morto avendo ancora nel cuore il “sogno di una cosa”.

Per Rocco poeta credo valgano sempre le considerazioni, partecipi come poche altre volte nel suo lavoro di critico, di Franco Fortini, che così ne ha scritto in La poesia di Scotellaro (Basilicata 1974): si tratta perlopiù di «liriche relativamente brevi, che partono spesso, come molta poesia contemporanea, da un dato descrittivo», ma «senza nessun idoleggiamento della parola» e secondo «una tonalità, in genere, dimessa, ma col gusto di un’astuta giunzione tra aggettivo e sostantivo, fra verso e verso» che gli viene da Sinisgalli e per suo tramite da Lorca, dalla tradizione barocca. Ma c’è nella poesia di Rocco – ed è questo, credo, che ancora ce ne commuove - «qualcosa dell’affettuosa e disperata bohème contadina russa dipinta da Chagall e cantata da Esenin (…) Di qui, anche, la sua metrica (…) con la sua tendenza al verso lungo, dinoccolato, di respiro lento e di accenti diseguali (…), la rima facile, di cadenza popolare e che talvolta si impreziosisce e si fa ricca e luccicante». I versi che più lo rappresentano sono forse questi: «Io sono un filo d'erba, / un filo d'erba che trema./ E la mia Patria è dove l’erba trema./ Un alito può trapiantare /il mio seme lontano.»

Ma sono anche il Rocco sociologo e il Rocco narratore che non vanno trascurati, con il valido aiuto di Vitelli e Martelli. Il Rocco che sente il bisogno di ascoltare e trascrivere la voce del guardiano di bufale analfabeta, affascinante come un “expletiveo de li expletivei”, la vita per forza e per scelta (per convinzione) marginalizzata di Chironna evangelico, l’ostinata rivolta contro lo Stato traditore di diritti e speranze di Michele Mulieri. Con la storia (aggiunta) della vita stessa di Rocco raccontata da Francesca Armento sua madre... E il Rocco che se parla di sé lo fa per vedersi in mezzo agli altri, simile agli altri, e per ascoltarne il lamento, la speranza. La sua attualità sta in questo: che nel mondo i contadini sono ancora milioni, soffocati dalle multinazionali, dalle banche, dalle tecnologie. E pur sempre in attesa - forse ormai inutile, chissà - di “un’alba nuova”.

Tutte le opere

Rocco Scotellaro

A cura di Franco Vitelli, Giulia Dell’Aquila, Sebastiano Martelli. Oscar Moderni Baobab, Mondadori, Milano,

Perché abbiamo bisogno di Scotellaro"

Recentemente mi è capitato di discutere di poesia tenendo tra le mani il grande libro che raccoglie Tutte le opere (non solo poetiche) di Rocco Scotellaro. Un volume di 840 pagine, pubblicato un paio di mesi fa da Mondadori, suddiviso in sei sezioni, denso di versi, racconti, prose giornalistiche, scritti cinematografici, il romanzo autobiografico L'uva puttanella e l'inchiesta socio-antropologica Contadini del Sud del sindaco-poeta di Tricarico (Matera), morto per un infarto il 15 dicembre 1953, a soli trent'anni, tre anni dopo l'ingiusto arresto per un presunto delitto di concussione (che lo costrinse al carcere per 45 giorni), da cui venne infine prosciolto. Una morte prematura, che porta con sé il carico di sofferenza e amarezza determinato da quell'accusa. Un anno dopo la scomparsa, il suo Contadini del Sud vince il Premio San Pellegrino per l'inchiesta e alla sua produzione poetica viene assegnato il Premio Viareggio. Mi è capitato di parlarne, dicevo, e di raccogliere riflessioni sul tempo e i suoi effetti, su quel che resta e quel che viene cancellato, partendo da una domanda: quanto possono essere considerati attuali la poetica e il pensiero di Scotellaro, la fotografia di un mondo contadino che sembra essere ormai così lontano? Non ho dubbi, so cosa rispondere, perché l'opera di Scotellaro custodisce un'anima senza tempo, è un cantiere permanente per la costruzione di storie e azioni presenti e future.

Io sono un filo d'erba / un filo d'erba che trema. / E la mia Patria è dove l'erba trema. / Un alito può trapiantare / il mio seme lontano Rocco Scotellaro, 1949

Rivelare il mondo contadino attraverso la poesia (d'amore e malinconia, di natura e verità), i racconti e le inchieste, è stato un atto generoso e lungimirante che ha creato le basi per riconoscere e dare un nome a quel che è venuto dopo e, forse, a quel che stiamo vivendo oggi: indagando il sentimento autentico legato alla terra, la relazione intensa, sincera e drammatica tra uomo e natura, possiamo "entrare nelle cose", analizzare le trasformazioni, riuscire a vedere più chiaramente e, se mossi da buona volontà, provare a riorganizzarci per un nuovo inizio mettendo al centro l'essenziale. Ecco, dunque, perché ho scelto di partire dalla parole di Franco Vitelli, il più attento e autorevole studioso di Scotellaro e ora curatore di quest'opera imponente, non domanda ma dato di fatto: "Perché abbiamo bisogno di Scotellaro". Per Vitelli siamo di fronte a un'eredità preziosa che attraversa i territori della letteratura, della politica, della cultura socio-antropologica e che non riguarda solo il Sud e la sua storia, ma un "mondo oltreconfine" dove "si abbia a cuore la sorte delle umani genti".  

 

Sradicarmi? la terra mi tiene / e la tempesta se viene / mi trova pronto Rocco Scotellaro, 1942

Per Carlo Levi, autore nel 1964 della prefazione per il volume Laterza che includeva L'uva puttanella e Contadini del Sud, l'opera di Scotellaro rappresenta una "meditazione su se stesso e il mondo" ed "è la vita nel suo farsi, da ogni parte aperta, immediatamente diventata parola". Franco Vitelli parla di coincidenza tra parola e cosa, tra poesia e mondo contadino, che acquista voce entrando nella storia. Estetica e pensiero sociale vengono inclusi, così, in un "discorso che è sempre andato oltre le ragioni letterarie - talvolta eludendole - per dire chi siamo e dove vogliamo andare". Ma ancora e, anzi, soprattutto, la riflessione di Vitelli dà un senso a quel perché (abbiamo bisogno di Scotellaro), senza peccare di ingenuo anacronismo ma regalando una certezza, una possibilità di riscatto, individuando un nuovo inizio: "La società dello sperpero e dello sfrenato consumismo può e deve trovare modello nella frugalità contadina che era saggezza per sopravvivere nelle condizioni piene di rischi e limitate risorse, mente ora diventa misura per opporsi alla hybris della modernità che non conosce limiti. Oggi che quasi tutti i vincoli di solidarietà sociale sono saltati, o stanno per saltare stremati dalla vittoriosa prepotenza del capitale finanziario, occorre ripartire da una nuova centralità del soggetto eticamente rinnovato e dallo spirito comunitario".

Essi vestono e parlano e giudicano secondo un accordo che li avvince, si riconoscerebbero in qualsiasi parte della terra "I contadini guardano l'aria", dalle prose giornalistiche di Scotellaro


incontro di montale poesia analisi

http://dspace.unive.it/bitstream/handle/10579/15381/871903-1230210.pdf?sequence=2

Parafrasi

Analisi, parafrasi e commento di “Incontro” di Eugenio Montale (da Ossi di Seppia)

Tu non m’abbandonare mia tristezza
sulla strada
che urta il vento forano
co’ suoi vortici caldi, e spare; cara
tristezza al soffio che si estenua: e a questo,
sospinta sulla rada
dove l’ultime voci il giorno esala
viaggia una nebbia, alta si flette un’ala
di cormorano.

La foce è allato del torrente, sterile
d’acque, vivo di pietre e di calcine;
ma più foce di umani atti consunti,
d’impallidite vite tramontanti
oltre il confine
che a cerchio ci rinchiude: visi emunti,
mani scarne, cavalli in fila, ruote
stridule: vite no: vegetazioni
dell’altro mare che sovrasta il flutto.

Si va sulla carraia di rappresa
mota senza uno scarto,
simili ad incappati di corteo,
sotto la volta infranta ch’è discesa
quasi a specchio delle vetrine,
in un’aura che avvolge i nostri passi
fitta e uguaglia i sargassi
umani fluttuanti alle cortine
dei bambù mormoranti.

Se mi lasci anche tu, tristezza, solo
presagio vivo in questo nembo, sembra
che attorno mi si effonda
un ronzio qual di sfere quando un’ora
sta per scoccare;
e cado inerte nell’attesa spenta
di chi non sa temere
su questa proda che ha sorpresa l’onda
lenta, che non appare.

Forse riavrò un aspetto: nella luce
radente un moto mi conduce accanto
a una misera fronda che in un vaso
s’alleva s’una porta di osteria.
A lei tendo la mano, e farsi mia
un’altra vita sento, ingombro d’una
forma che mi fu tolta; e quasi anelli
alle dita non foglie mi si attorcono
ma capelli.

Poi più nulla. Oh sommersa!: tu dispari
qual sei venuta, e nulla so di te.
La tua vita è ancor tua: tra i guizzi rari
dal giorno sparsa già. Prega per me
allora ch’io discenda altro cammino
che una via di città,
nell’aria persa, innanzi al brulichio
dei vivi; ch’io ti senta accanto; ch’io
scenda senza viltà.

PARAFRASI
3. forano: che viene da fuori, dal mare. Il vento caldo e libeccio, soffia e poi sparisce.
4-9. cara…. estenua: o cara tristezza verso il soffio ormai estenuato, spento del vento. La relazione fra tristezza e vento è dato dal fatto che questo riconduce “l’ondata della vita”, per un breve momento, e poi è in procinto di sparire. Così la tristezza, sofferenza,e dunque non accettazione della vita e dei nati-morti, può essere paragonata al soffio vivificatore, ma anche al suo essere ormai estenuato. E….cormorano: e verso questo vento estenuato viaggia una nebbia, sospinta sulla rada dove il giorno esala le ultime voci, e si piega, in alto, un’ala di cormorano(uccello marino). Sono le ultime manifestazioni di vita del giorno.
10-18. la …. calcine: al lato della strada c’è la foce del torrente, povero d’acqua, ma ricco di pietre e calcine. Il torrente sterile significa la vita presente dell’uomo; ma anch’esso trapassa, senza soluzioni di continuità, dal fisico al metafisico. La lunga teoria di uomini e di carri diventa il cammino in fila indiana, monotono, dei nati-morti verso la fine della vita. E non più di uomini si tratta, ma di vegetazioni, cioè, dirà più avanti, sargassi, alghe, simbolo della spenta vita universa. L’ultima immagine richiama il dantesco “…. Sulla fiumana ove il mar non ha vanto”; ma lo stesso vale per “il cerchio che si chiude” e, più avanti, gli “incappati di corteo”, che richiamano il canto degli ipocriti, e altri spunti qua e là. Montale ha scelto la linea dantesca, piuttosto che quella petrarchesca, prevalsa per secoli nella nostra letteratura. d’impallidite…. rinchiude di vite impallidite di là dal confine che ci chiude nel suo cerchio invalicabile. E’ il confine della necessità terrena, che regola la nostra vita: di là da esso c’è il non conosciuto, che non possiamo concepire se non come nulla.
19-21. il cammino dell’umanità massificata è monotono e fedele alla carraia fatta di fango essiccato; non vi sono scarti, movimenti o tentativi di liberazione: tutti accettano passivamente la schiavitù alla vita non autentica.
22-23. sotto…. vetrine: sotto la volta celeste, di nuvole, che si è infranta, è discesa fin quasi a specchiare le vetrine. Anche qui c’è un oscillazione fra oggetto e significato; quel cielo infranto che rispecchia le vetrine fa pensare alla rottura d’ogni ricerca di giustificazione del vivere, chiuso in un piccolo commercio quotidiano fra gli uomini. Tuttavia, questo vivere nella massa anonima è alienante e non attenua la solitudine radicale dell’io.
25-27. e….. mormoranti: l’aria densa uguagli le alghe umane, che non vivono,né hanno movimento definito, ma fluttuano, incapaci di direzione, simile alle cannucce di bambù snodabili che si usava, allora, porre come tenda all’ingresso dei negozi.
28-29. solo…. nembo:la tristezza, come forma di resistenza alla vita/non vita, è l’unico presagio di vitalità nel nembo, nell’atmosfera di nebbia e nuvole basse scese sulla città.
30-32. e’ il ronzio che precede, nell’orologio a pendolo, il suono del’ora. Ma qui si deve pensare a un suo prolungarsi in un tempo indefinito d’inerzia.
33-36. e caldo…. appare: e caldo inerte nell’attesa spenta di chi ha perduto non solo la speranza, ma anche il timore su questa sponda che è stata sorpresa, e dunque soverchiata, da un’onda lenta, invisibile.
37-38. forse…. aspetto: e’ un improvvisa rinascita della speranza, autorizzata dalla tristezza come resistenza alla banalizzazione totale del vivere. Riavere un aspetto significa evadere dallo squallore della folla anonima prima rappresentata e ritrovare la propria individualità originale. La luce radente è quella del tramonto.
41-45. a lei…. capelli:il poeta tende la mano per afferrarla, e, come l’afferra, sente che un’altra vita diviene sua, come se quella fronda fosse l’involucro che contiene in se un’altra vita a lui tolta; e intorno alle sue dita non avverte più le foglie, ma dei capelli. Questa è la spiegazione “letterale” del passo; una spiegazione che, come avviene quasi sempre in poesia, spiega ben poco. Soprattutto poi quando, come nel caso di Montale, abbiamo una poetica del correlativo oggettivo che tende a cancellare l’occasione biografica, assumendola in una valenza mitica universale, di qui due diverse interpretazioni. Stabilito che questa fronda è, con un rovesciamento dell’antico mito di Dafne tramutata in alloro, una donna, e accettato il significato di salvazione che questa figura comporta, alcuni puntano sull’identificazione di lei con Arletta, una delle idealizzate figure femminili di Montale, presentata come morta giovane, e quindi come una Silvia o Nerina leopardiana. Pertanto a lei si riferirebbe l’espressione “la forma che mi fu tolta”. Per il Bonfiglioli, invece, detta forma è l’individualità del poeta, perduta, e ora ritrovata nel messaggio salvifico che viene dalla donna. Concordiamo con questa interpretazione, perché qui, come altrove in Montale, la figura femminile è interiorizzata, ed è pertanto parte viva dell’animo del poeta che in lei si specchia e si riconosce.
46-54. poi…. nulla:l’incontro-identificazione è dunque rivelazione di un attimo, presto svanito. Per i critici, che chiameremo realisti, si allude qui al fatto che la giovane è morta, ha ripreso la sua vita, in un ordine di esistenza diverso, ormai come dissolta fra gli ultimi baleni di luce del crepuscolo. Per il Bonfiglioli, invece “L’eros è qui, come in altre liriche degli Ossi, religione sacrificale. la donna, riconoscendosi nell’uomo come l’uomo si riconosce in lei, gli dà la propria vita per farlo vivere e per vivere in lui, o meglio, lo restituisce a se stesso e scompare”. Di fatto, l’incontro con l’altro è arduo e istantaneo e l’amore è un desiderio di comunione pur sempre precario, essendo ciascuno chiuso nella propria individualità e in un proprio destino. La donna può tuttavia pregare per lui, quando egli scenderà verso la morte, affinché possa affrontare il destino “senza viltà”. Questo pregare va inteso in senso tutto ideale, non immediatamente religioso; è l’immagine presentita dell’amore come libertà e identificazione vera della persona a infondere coraggio nella vita e nella morte; è un sussulto di autenticità che illumina una vita nata per il nulla.

Breve commento

Il pessimismo montaliano si approfondisce a partire soprattutto dalle ultime liriche degli Ossi, quelle aggiunte nella seconda edizione(1928), che formano un ponte verso la poesia delle Occasioni. Quello che prima appariva come una posizione personale di decadimento e fuga dalla vita, di incapacità di vivere la rivelazione balenata in un mitico sogno di adolescenza, diventa ora una condizione comune, in un presente di storia avvilita. L’atmosfera di vite sterili, di sargassi umani, di un anonimato totale che è, prima di tutto, incapacità di esistere originalmente come individui, avvicina questa lirica all’Eliot di Terra desolata, da poco presente alla cultura europea, alla testimonianza di una crisi totale di valori. Montale ritrova il segno dell’attuale dannazione nella folla spenta della sua città, in un grigiore della vita quotidiana senza scopo ne direzione. Qui l’ultima voce dell’individualità è la tristezza: un dir di no senza, tuttavia speranza, una resistenza passiva, anche se indomabile, al vuoto che da ogni parte invade l’esistenza, e si riflette nel vento e nella nebbia, nei negozi e nel chiacchiericcio informe della gente: in una strada, soprattutto in discesa che è il cammino dei nati-morti verso il nulla. L’unica possibilità di una pur limitata e precaria salvezza è l’apertura all’altro, l’amore, cioè; ed è questo l’incontro cui la poesia allude. Incontro con un tu che è, prima, la tristezza come evasione dal banale egoismo degli altri, dal trionfo, che essi sanzionano, della non-vita, poi una figura femminile, che diviene parziale salvazione; per lo meno richiamo all’interiorità vera, e consente di scendere “senza viltà” verso la condanna comune, la morte. Questa lirica e Arsenio rivelano una maturazione nell’arte montaliana. Il poeta ha appreso un procedimento allegorico – visionario in cui la calare la propria moralità, liberandola da ogni indugio intellettualistico,e tramutandola in immediata intuizione e scelta esistenziale. Si hanno così le metamorfosi da uomini in alghe, da fronda in donna pietosa; ma ancor più dense e creatrici di atmosfera sono la lunga teoria di uomini e animali verso il fiume; un aspetto dell’esistenza comune che assume una dimensione “metafisica” , diventa una figura del reale, della sua essenza scoperta come nulla. Lo stesso vale per le vetrine e i negozi, per tutto l’insieme di gesti in autentici cui è ridotta la vita. E’ stata indicata dalla critica la presenza di Dante sull’orizzonte immaginativo di questa lirica; ed effettivamente Montale ha qui descritto l’inferno dei vivi, abitato soprattutto da ignavi chiuso in un egoismo sterile.

 

il pensiero dominante leopardi analisi

 https://www.biagiocarrubba.com/introduzione-alla-poesia-pensiero-dominante-g-leopardi/

 

 https://library.weschool.com/lezione/leopardi-ciclo-di-aspasia-e-ultimi-canti-struttura-e-analisi-2720.html

 

 http://www.infonotizia.it/analisi-della-poesia-pensiero-dominante-di-giacomo-leopardi-appunti/

 

 https://ddd.uab.cat/pub/qdi/qdi_a2014n19/qdi_a2014n19p125.pdf

 

 file:///C:/Users/edona/AppData/Local/Temp/1_Pensiero_Leopardi-1.pdf

 

 

Più insofferenti e disorientati, ci salverà l'amore: così ci ha ha cambiato la pandemia dal Mattino di Napoli

Più insofferenti e disorientati, ci salverà l'amore: così ci ha ha cambiato la pandemia

Mercoledì 23 Dicembre 2020 di Maria Latella
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Scambio libertà per piccoli momenti di felicità. La pandemia mi lascia in uno stato di disorientamento, perciò apprezzo leadership forti. Non aggressive ma rassicuranti. Soprattutto in politica. E poi, non sono molto conciliante verso il mio prossimo “distante” («Io sono uno che rispetta le regole, sono gli altri che non mettono la mascherina, sono gli altri che affollano le vie dello shopping etc etc...») ma riscopro e valorizzo i miei affetti stabili. La ricerca Prosumer condotta dal gruppo francese di comunicazione Havas racconta di come americani, cinesi ed europei stanno reagendo sul fronte della felicità e delle paure, dei consumi e della rabbia. Tutti gli stati d’animo del 2020, l’anno del Covid-19. E come la pandemia ci ha cambiati.

 

LO STUDIO

Il campione indagato comprende 4mila soggetti e riguarda sette diversi Paesi: Stati uniti, Cina, Brasile, Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia. Gli intervistati sono divisi in due categorie: i prosumers, consumatori più sofisticati, con livello culturale più elevato, e i mainstream. Marianne Hurstel, vicepresidente di BETC, la più grande agenzia pubblicitaria europea, è worldwide chief strategic Office di Havas e riassume così la ricerca. «Emergono differenze profonde tra le risposte che danno americani e cinesi e quelle che vengono dagli europei. Gli americani confermano i loro punti fermi: la fede religiosa per esempio, un solido riferimento che su francesi e tedeschi fa meno presa, mentre gli italiani mantengono una forte relazione con essa. O la speranza nel futuro: i cinesi lo programmano e manifestano una resilienza gioiosa dopo aver superato la parte peggiore della pandemia. Anche gli americani hanno fiducia nel futuro. Per contro gli europei non ce l’hanno. In questi mesi soprattutto i francesi e gli italiani scelgono di vivere il momento. Prendo il piacere dove posso, nel cibo, nella dimensione domestica. Risparmio ma non faccio progetti per il futuro».

NEW NORMAL O NEW WORLD?

Ma il Covid-19 rende impossibile fare piani per il futuro? Il 91 per cento dei consumatori “evoluti” (prosumers) risponde affermativamente mentre i consumatori più anziani o meno informati sembrano leggermente più ottimisti; 82 per cento di sì. E invece: il Covid ci ha costretto a vivere in maniera più sana e sostenibile? Si per la maggioranza dei prosumer francesi, seguiti dai tedeschi mentre gli italiani sono meno convinti. Il Covid-19 ha creato ulteriori fratture nella società, tra chi indossa la mascherina, crede nel vaccino, segue le regole e chi invece rifiuta tutto ciò? I più preoccupati e convinti che la frattura ci sia stata sono americani e tedeschi. Seguono francesi e italiani. Indovinate chi questa frattura proprio non la percepisce? Si, proprio loro: i cinesi. D’altra parte a Wuhan ti arrestavano se uscivi di casa nei giorni di lockdown. E a proposito di regimi e di autorità delle leadership. Alla domanda “i governi dovrebbero forzare i cittadini perché rispettino le regole” si coglie un’entusiastica adesione da parte dei tedeschi, siano consumatori evoluti o meno informati (77 per cento risponde di sì), seguiti dai francesi, dagli italiani, dai cinesi che comunque le regole già le osservano e non sentono il bisogno di ulteriori inasprimenti. Solo gli americani sembrano riluttanti all’idea della leadership forti. Interessante la valutazione della risposta Italiana alla domanda «Volete un leader forte?». Solo il 43 per cento dei prosumers (i consumatori evoluti) risponde di sì. Mentre l’ipotesi piace al 58 per cento dei consumatori italiani mainstream. I prosumers francesi e tedeschi sono invece più affascinati dal leader forte: lo vuole il 61 per cento degli intervistati.

IN TEMPI INCERTI CHI MI AIUTA?

 Gli uomini e le donne di scienza, la risposta mette d’accordo tutti e trova convinti soprattutto i cinesi. Gli americani e in misura minore gli italiani puntano anche sulla fede. Ai leader politici credono poco tutti: nessun prosumer americano, solo il 3 per cento dei tedeschi e dei francesi, ancora meno tra gli italiani sondati dalla ricerca Betc: 2 per cento. Anche qui i cinesi si distinguono: il 23 per cento dei prosumers ha fiducia nei leader politici.

I SENTIMENTI PER L’AVVENIRE

Che cosa può ancora darci gioia? Dare priorità alle piccole cose dice la maggioranza dei prosumers tedeschi, americani e italiani. I francesi sono più pessimisti e i cinesi alle piccole cose non credono perché sono impegnati in progetti più grandiosi. Può dare gioia riscoprire il proprio Paese? Gli italiani sono i più entusiasti, seguiti da tedeschi e francesi.

SOSTENERE IL PROPRIO PAESE

 Il 53 per cento dei prosumer italiani e il 56 per cento dei consumatori italiani mainstream ritiene suo dovere sostenere i brand del proprio Paese. Più convinti di loro solo i cinesi. Seguono americani tedeschi e infine i francesi. Guardare a una dimensione più locale, sostenere il negozio vicino casa o i brand del proprio Paese è un’altra delle novità che la pandemia ha introdotto tra gli italiani che si scoprono più nazionalisti o comunque localisti perfino più dei francesi (80 per cento dei prosumers italiani sposta i suoi consumi su prodotti locali contro il 76 dei francesi e il 60 dei tedeschi) Ci darà gioia comprare cibo di qualità (francesi e cinesi in testa, seguiti dagli italiani che al cibo di qualità sono abituati, poi i tedeschi e ultimi gli americani che però dopo la pandemia pensano di cucinare di più e andare meno al ristorante. A differenza di francesi e italiani che al ristorante non vogliono proprio rinunciare. Fa parte delle piccole gioie della vita.

I LEGAMI AL TEMPO DELLA PANDEMIA

 Ci si innamora meno perché è più difficile incontrarsi? I più pessimisti su questo fronte sono gli americani e i cinesi che vedono ostacoli per nuovi innamoramenti ma non per le relazioni sessuali in senso lato. Insomma si continua a fare l’amore magari col partner di prima ma innamorarsi sembra più complicato. Mediamente pessimisti su questo fronte gli italiani mentre i francesi confermano la fama di romantici e seduttori. Covid o non Covid continuano a credere nell’amore (e nel sesso). Infine se volete sapere come cambiano le priorità dopo la pandemia, non vi stupirà che cibo e salute abbiano scalato molte tacche, seguite da fitness e sport e dal consumo di gadget elettronici e tecnologia. Prodotti di bellezza e automobili vanno ripensati perché si tenderà a spendere meno che non nel passato. Ci manca tanto viaggiare ma per il momento non è una voce “calda” nel bilancio. Se ne riparlerà quest’estate. © 

Ultimo aggiornamento: 24 Dicembre, 07:30

 

 

 

https://www.ilmattino.it/moltodonna/pandemia_amore_fiducia_felicita_futuro_ricerca_7_paesi_usa_cina_europa-5662881.html

martedì 22 dicembre 2020

L'italiano sta bene: vivo e imbarbarito di Roberta D'Alessandro

 

L'italiano sta bene: vivo e imbarbarito

Il colpo di mano dello zar ha scatenato un massacro: i tafferugli avvenuti ieri allo stadio non hanno nulla a che vedere con lo sport. La manovra per ripristinare la rotta si mostra difficile. Le scialuppe sono ormai esaurite: un iceberg ci aspetta lungo la rotta del nord.

Se credete che questa frase sia italiana avete ragione: lo è. È anche, però, zeppa di forestierismi, cioè di parole che sono state importate da altre lingue nei secoli passati [1]. A nessun italiano verrebbe in mente di lamentarsi della parola scialuppa e di proporre l’uso di barca di salvataggio. Un momento: anche salvataggio è un forestierismo, e per la precisione un francesismo. Ma se non ci preoccupiamo di queste parole, perché ci preoccupiamo così tanto degli anglicismi?

 

La lingua non è un insieme di parole

 

Partiamo da un presupposto: la lingua non si può stabilire a tavolino. Non la si può indirizzare, non la si può costringere. Si può provare a farlo, con grande sforzo, ma non è detto che ci si riesca, soprattutto quando si tratta di stabilire quali parole possano entrare nell’uso e quali no. Quindi, preoccuparsi dell’invasione di parole aliene è un passatempo elegante, ma niente di più. Oltre a questo, una lingua non è un insieme di parole: è un sistema sintattico (grammaticale), fonologico (di suoni), morfologico (di regole per la formazione delle parole). Una parola inglese che entri nell’italiano verrà quasi immediatamente adattata alla sua grammatica, resa italiana. Non sarà più una parola straniera.

Che l’italiano non corra alcun pericolo lo dimostra una semplice osservazione: da una parte ci sono i puristi che propongono versioni italiane di parole come manager, check in e internet, e dall’altra ci sono gli anglofili che si infastidiscono nel sentir pronunciare manàggement, cecchín o ìììnterneeet, e che continuano a spiegarci che stepchild in inglese non vuol dire niente. La sintesi delle due posizioni è anch’essa rivelatoria: possiamo certamente sopportare l’idea di guardarci un filmetto, ma brieffare qualcuno a voce è un’aberrazione! Ma come si fa a brieffare! Questa parola non esiste né in inglese né in italiano!

 

Gli anglofili disapprovano

 

E già: gli anglofili hanno ragione. Queste parole, nella lingua d’origine, non si pronunciano come le pronunciamo noi, e molte di esse non esistono in inglese, certamente non con il significato che noi attribuiamo loro. È proprio questo il punto: queste parole non esistono in inglese perché sono parole italiane. L’italiano ha preso la parola inglese, l’ha adattata, l’ha fatta sua. Ne ha cambiato l’accento secondo il proprio sistema prosodico (manàgement anziché mànagement) [2]; vi ha aggiunto una desinenza secondo le proprie regole morfologiche: la geminazione della consonante finale della parola inglese prima del suffisso italiano è un processo squisitamente italiano (l’inglese non ha nemmeno le geminate, tanto per cominciare) [3]. E quindi briffare   è proprio come stoppare o snobbare. Queste parole non esistono in inglese, come non esistono footing (con il significato di corsetta) o smoking (con il significato di abito elegante maschile). Ovvio: sono parole italiane!

E come la mettiamo con la stepchild? Non si potrebbe usare configlio? Si potrebbe, certamente, ma non si capisce perché si dovrebbe: anche stèpciaild   è una parola italiana. L’abitudine linguistica di ridurre le parole inglesi al primo membro del composto è del tutto italiana, e solitamente avviene (udite udite!) con composti neoclassici: etero per eterosessuale, foto per fotografia, tele per televisione [4, 5]; per l’inglese, oltre a stepchild conosciamo night (night club), beauty (per beauty case), e body (body clothes): a nessun inglese verrebbe mai in mente di eliminare la testa del composto per lasciare solo il modificatore [6]. È l’italiano che lo fa, e così facendo importa, adatta. E si arricchisce.

 

Gli italofili disapprovano

 

Ma, sosterranno gli italofili, se esiste l’alternativa italiana perché usare l’inglese? Qualche tempo fa il movimento #dilloinitaliano ha proposto una lista di alternative italiane agli anglicismi, nella quale si proponeva di usare dietro le quinte invece che backstage, pausa invece di break, incremento invece di escalation, criminale   invece di gangster e così via [7]. È vero: per molti termini inglesi esistono parole italiane corrispondenti, ma solo in alcuni contesti. Quasi nessuna delle parole italiane proposte ha esattamente la stessa distribuzione, in tutti i contesti d’uso, del corrispettivo inglese. Backstage evoca un concerto, mentre dietro le quinte evoca uno spettacolo teatrale. Di più: dietro le quinte è una locuzione avverbiale, backstage in inglese è un avverbio ma in italiano è un nome. La preparazione avviene dietro le quinte/ NEL backstage. L’italiano ha importato una parola inglese modificandone la categoria sintattica e la distribuzione. Il risultato è che backstage e dietro le quinte non hanno la stessa distribuzione, mentre se ci fossimo attenuti alla versione originale inglese l’avrebbero avuta.

Stesso discorso per in pausa. In break? Escalation ha una connotazione negativa ed è femminile in italiano, incremento una connotazione positiva ed è maschile. Il gangster è prototipicamente il mafioso italoamericano, non un semplice criminale. Insomma: i sinonimi non vanno mai controllati fuori dal contesto, e le parole italiane proposte in sostituzione di quelle inglesi non sono quasi mai loro sinonime.

 

Ci arrendiamo?

 

E allora dobbiamo arrenderci? Beh, ognuno è libero di combattere le battaglie che preferisce. Solo che alcune di esse sono perse in partenza. Scriveva (probabilmente) Machiavelli: «Aggiugnesi a questo che, qualunque volta viene o nuove dottrine in una città o nuove arti, è necessario che vi venghino nuovi vocaboli, e nati in quella lingua donde quelle dottrine o quelle arti son venute; ma riducendosi, nel parlare, con i modi, con i casi, con le differenze e con gli accenti, fanno una medesima consonanza con i vocaboli di quella lingua che trovano, e così diventano suoi; perché, altrimenti, le lingue parrebbono rappezzate e non tornerebbono bene. E così i vocaboli forestieri si convertono in fiorentini, non i fiorentini in forestieri; né però diventa altro la nostra lingua che fiorentina. E di qui dipende che le lingue da principio arricchiscono, e diventono più belle essendo più copiose; ma è ben vero che col tempo, per la moltitudine di questi nuovi vocaboli, imidiotiscono e diventano un’altra cosa; ma fanno questo in centinaia d’anni; di che altri non s’accorge se non poi che è rovinata in una estrema barbaria»[8].

«Le lingue arricchiscono e diventano più belle essendo più copiose». E poi? «Imidiotiscono». L’italiano odierno (o quello di trent’anni fa, quando non c’erano tutti questi anglicismi) è la versione fortemente imbarbarita di quello di Machiavelli. Eppure molti di noi lo difendono come se fosse puro e perfetto, come se esso dovesse restare congelato e immobile a partire dal preciso momento storico in cui noi abbiamo iniziato a parlarlo. Una lingua viva prende in prestito, trasforma, e adatta. Una lingua morta resta invece immobile e invariata, perfetta da contemplare. Nessun prestito inglese entrerà mai nel latino, e non credo che questo sia un buon segno.

 

Riferimenti bibliografici

[1] Migliorini, Bruno. 1960. Storia della lingua italiana.   Firenze, Sansoni.

[2] Canalis, Stefano & Luigia Garrapa, 2010. Stressed vowel duration and stress placement in Italian: What paroxytones and proparoxytones have in common. In Irene Franco, Sara Lusini & Andrés Saab (a cura di), Romance Languages and Linguistic Theory 4.   Amsterdam, John Benjamins: 87-114.

[3] Passino, Diana. 2008. Aspects of consonantal lengthening in Italian. Padova, Unipress.

[4] Thornton, Anna Maria. 1996. On some phenomena of prosodic morphology in Italian: accorciamenti, hypocoristics and prosodic delimitation. Probus , 8,1: 81-112.

[5] Thornton, Anna Maria. 2004. Riduzione. In Maria Grossmann & Franz Rainer (a cura di), La formazione delle parole in italiano. Tübingen, Niemeyer: 555-566.

[6] Vogel, Irene. 1990.   English compounds in Italian: the question of the head. In Wolfgand Dressler, Hans Luschützky, Oskar Pfeiffer & John Rennison (a cura di), Contemporary Morphology. Berlino & New York, Mouton de Gruyter: 99-110.

[7]. http://nuovoeutile.it/dire_in_italiano/

[8] Machiavelli, Niccolò.1982. Discorso intorno alla nostra lingua, a cura di Paolo Trovato. Padova, Antenore.

 

mercoledì 16 dicembre 2020

COPIONI DI Sei personaggi in cerca d'autore di Luigi Pirandello

 

Sei personaggi in cerca d'autore

di Luigi Pirandello

I PERSONAGGI DELLA COMMEDIA DA FARE

Il padre

La madre

La figliastra

Il figlio

Il giovinetto

La bambina (questi ultimi due non parlano)

(Poi, evocata) Madama Pace

GLI ATTORI DELLA COMPAGNIA

Il direttore-capocomico

La prima attrice

Il primo attore

La seconda donna

L'attrice giovane

L'attor giovane

Altri attori e attrici

Il direttore di scena

Il suggeritore

Il trovarobe

Il macchinista

Il segretario del capocomico

L'uscere del teatro

Apparatori e servi di scena


Di giorno, su un palcoscenico di teatro di prosa.

N.B. La commedia non ha atti né scene. La rappresentazione sarà interrotta una prima volta, senza che il sipario s'abbassi; allorché il Direttore Capocomico e il capo dei personaggi si ritireranno per concertar lo scenario e gli attori sgombreranno il palcoscenico; una seconda volta, allorché per isbaglio il Macchinista butterà giù il sipario.

Troveranno gli spettatori, entrando nella sala del teatro, alzato il sipario, e il palcoscenico com'è di giorno, senza quinte né scena, quasi al bujo e vuoto, perché abbiano fin da principio l'impressione d'uno spettacolo non preparato.

Due scalette, una a destra e l'altra a sinistra, metteranno in comunicazione il palcoscenico con la sala. Sul palcoscenico il cupolino del suggeritore, messo da parte, a canto alla buca. Dall'altra parte, sul davanti, un tavolino e una poltrona con spalliera voltata verso il pubblico, per il Direttore-Capocomico. Altri due tavolini, uno più grande, uno più piccolo, con parecchie sedie attorno, messi lì sul davanti per averli pronti, a un bisogno, per la prova. Altre sedie, qua e lì: a destra e a sinistra, per gli Attori; e un pianoforte in fondo, da un lato, quasi nascosto. Spenti i lumi nella sala, si vedrà entrare dalla porta del palcoscenico il macchinista in camiciotto turchino e sacca appesa alla cintola; prendere da un angolo in fondo alcuni assi d'attrezzatura; disporli sul davanti e mettersi in ginocchio e inchiodarli. Alle martellate accorrerà dalla porta dei camerini il Direttore di scena.

Il direttore di scena

                Oh! Che fai?

Il macchinista

                Che faccio? Inchiodo.

Il direttore di scena

                A quest'ora?

Guarderà l'orologio.

                Sono già le dieci e mezzo. A momenti sarà qui il Direttore per la prova.

Il macchinista

                Ma dico, dovrò avere anch'io il mio tempo per lavorare!

Il direttore di scena

                L'avrai, ma non ora.

Il macchinista

                E quando?

Il direttore di scena

                Quando non sarà più l'ora della prova. Su, su, portati via tutto, e lasciami disporre la scena per il secondo atto del "Giuoco delle parti"

Il macchinista, sbuffando, borbottando, raccatterà gli assi e andrà via. Intanto dalla porta del palcoscenico cominceranno a venire gli attori della Compagnia, uomini e donne, prima uno, poi un altro, poi due insieme, a piacere: nove o dieci, quanti si suppone che debbano prender parte alle prove della commedia di Pirandello "Il giuoco delle parti", segnata all'ordine del giorno. Entreranno, saluteranno il Direttore di scena e si saluteranno tra loro augurandosi il buon giorno. Alcuni si avvieranno ai loro camerini; altri, fra cui il Suggeritore che avrà il copione arrotolato sotto il braccio, si fermeranno sul palcoscenico in attesa del Direttore per cominciar la prova, e intanto, o seduti a crocchio, o in piedi, scambieranno tra loro qualche parola; e chi accenderà una sigaretta, chi si lamenterà della parte che gli è stata assegnata, chi leggerà forte ai compagni qualche notizia in un giornaletto teatrale. Sarà bene che tanto le Attrici quanto gli Attori siano vestiti d'abiti piuttosto chiari e gai, e che questa prima scena a soggetto abbia, nella sua naturalezza, molta vivacità. A un certo punto, uno dei comici potrà sedere al pianoforte e attaccare un ballabile; i più giovani tra gli Attori e le Attrici si metteranno a ballare.

Il direttore di scena (battendo le mani per richiamarli alla disciplina).

                Via, smettetela! Ecco il signor Direttore!


Il suono e la danza cesseranno d'un tratto. Gli Attori si volteranno a guardare verso la sala del tetro, dalla cui porta si vedrà entrare il Direttore-Capocomico, il quale, col cappello duro in capo, il bastone sotto il braccio e un grosso sigaro in bocca, attraverserà il corridojo tra le poltrone e, salutato dai comici, salirà per una delle due scalette sul palcoscenico. Il Segretario gli porgerà la posta: qualche giornale, un copione sottofascia.

Il capocomico

                Lettere?

Il segretario

                Nessuna. La posta è tutta qui.

Il capocomico (porgendogli il copione sottofascia).

                Porti in camerino.

Poi, guardandosi attorno e rivolgendosi al Direttore di scena:

                Oh, qua non ci si vede. Per piacere, faccia dare un po' di luce.

Il direttore di scena

                Subito.

Si recherà a dar l'ordine. E poco dopo il palcoscenico sarà illuminato in tutto il lato destro, dove staranno gli Attori, d'una viva luce bianca. Nel mentre, il Suggeritore avrà preso posto nella buca, accesa la lampadina e steso davanti a sè il copione.

Il capocomico (battendo le mani).

                Su, su, cominciamo.

Al Direttore di scena:

                Manca qualcuno?

Il direttore di scena

                Manca la Prima Attrice.

Il capocomico

                Al solito!

Guarderà l'orologio.

                Siamo già in ritardo di dieci minuti. La segni, mi faccia il piacere. Così imparerà a venire puntuale alla prova.

Non avrà finito la reprensione, che dal fondo della sala si udrà la voce della Prima Attrice.

La prima attrice

                No, no, per carità! Eccomi! Eccomi!

È tutta vestita di bianco, con un cappellone spavaldo in capo e un grazioso cagnolino tra le braccia; correrà attraverso il corridojo delle poltrone e salirà in gran fretta una delle scalette.

Il capocomico

                Lei ha giurato di farsi sempre aspettare.

La prima attrice

                Mi scusi. Ho cercato tanto una automobile per fare a tempo! Ma vedo che non avete ancora cominciato. E io non sono subito di scena.

Poi, chiamando per nome il Direttore di scena e consegnandogli il cagnolino:

                Per piacere, me lo chiuda nel camerino.


Il capocomico (borbottando)

                Anche il cagnolino! Come se fossimo pochi i cani qua.

Batterà di nuovo le mani e si rivolgerà al Suggeritore:

                Su, su, il secondo atto del "Giuoco delle parti".

Sedendo sulla poltrona:

                Attenzione, signori. Chi è di scena?

Gli Attori e le Attrici sgombreranno il davanti del palcoscenico e andranno a sedere da un lato, tranne i tre che principieranno la prova e la Prima Attrice, che, senza badare alla domanda del Capocomico, si sarà messa a sedere davanti ad uno dei due tavolini.

Il capocomico (alla Prima Attrice)

                Lei dunque è di scena?

La prima attrice.

                Io, nossignore.

Il capocomico (seccato)

                E allora si levi, santo Dio!

La Prima Attrice si alzerà e andrà a sedere accanto agli altri Attori che si saranno già tratti in disparte.

Il capocomico (al Suggeritore)

                Cominci, Cominci.

Il suggeritore (leggendo nel copione)

                "In casa di Leone Gala. Una strana sala da pranzo e da studio."

Il capocomico (volgendosi al Direttore di scena)

                Metteremo la sala rossa.

Il direttore di scena (segnando su un foglio di carta)

                La rossa. Sta bene.

Il suggeritore (seguitando a leggere nel copione)

                "Tavola apparecchiata e scrivania con libri e carte. Scaffali di libri e vetrine con ricche suppellettili da tavola. Uscio in fondo per cui si va nella camera da letto di Leone. Uscio laterale a sinistra per cui si va nella cucina. La comune è a destra."

Il capocomico (alzandosi e indicando)

                Dunque, stiano bene attenti: di là, la comune. Di qua, la cucina.

Rivolgendosi all'Attore che farà la parte di Socrate:

                Lei entrerà e uscirà da questa parte.

Al Direttore di scena:

                Applicherà la bussola in fondo, e metterà le tendine.

Tornerà a sedere.

Il direttore di scena (segnando)

                Sta bene.


Il suggeritore (leggendo c.s.)

                "Scena Prima. Leone Gala, Guido Venanzi, Filippo detto Socrate."

Al Capocomico:

                Debbo leggere anche la didascalia?

Il capocomico

                Ma sì! si! Gliel'ho detto cento volte!

Il suggeritore (leggendo c.s.)

                Al levarsi della tela, Leone Gala, con berretto da cuoco e grembiule, e intento a sbattere con un mestolino di legno un uovo in una ciotola. Filippo ne sbatte un altro, parato anche lui da cuoco. Guido Venanzi ascolta, seduto."

Il primo attore (al Capocomico)

                Ma scusi, mi devo mettere proprio il berretto da cuoco in capo?

Il capocomico (urtato dall'osservazione)

                Mi pare! Se sta scritto lì!

Indicherà il copione.

Il primo attore

                Ma è ridicolo, scusi!

Il capocomico (balzando in piedi sulle furie)

                "Ridicolo! ridicolo!" Che vuole che le faccia io se dalla Francia non ci viene più una buona commedia, e ci siamo ridotti a mettere in iscena commedie di Pirandello, che chi l'intende è bravo, fatte apposta di maniera che né attori né critici né pubblico ne restino mai contenti?

Gli Attori rideranno. E allora egli alzandosi e venendo presso il Primo Attore, griderà:

                Il berretto da cuoco, sissignore! E sbatta le uova! Lei crede, con codeste uova che sbatte, di non aver poi altro per le mani? Sta fresco! Ha da rappresentare il guscio delle uova che sbatte!

Gli Attori torneranno a ridere e si metteranno a far commenti tra loro ironicamente.

                Silenzio! E prestino ascolto quando spiego!

Rivolgendosi di nuovo al Primo Attore:

                Sissignore, il guscio: vale a dire la vuota forma della ragione, senza il pieno dell'istinto che è cieco! Lei è la ragione, e sua moglie l'istinto: in un giuoco di parti assegnate, per cui lei che rappresenta la sua parte è volutamente il fantoccio di se stesso. Ha capito?

Il primo attore (aprendo le braccia)

                Io no!

Il capocomico (tornandosene al suo posto)

                E io nemmeno! Andiamo avanti, che poi mi loderete la fine!

In tono confidenziale:

                Mi raccomando, si metta di tre quarti, perché se no, tra le astruserie del dialogo e lei che non si farà sentire dal pubblico, addio ogni cosa!

Battendo di nuovo le mani:

                Attenzione, attenzione! Attacchiamo!

Il suggeritore

                Scusi, signor Direttore, permette che mi ripari col cupolino? Tira una cert'aria!


Il capocomico

                Ma sì, faccia, faccia!

L'Uscere del teatro sarà intanto entrato nella sala, col berretto gallonato in capo e, attraversato il corridojo fra le poltrone, si sarà appressato al palcoscenico per annunziare al Direttore-Capocomico l'arrivo dei Sei Personaggi, che, entrati anch'essi nella sala, si saranno messi a seguirlo, a una certa distanza, un po' smarriti e perplessi, guardandosi attorno.

Chi voglia tentare una traduzione scenica di questa commedia bisogna che s'adoperi con ogni mezzo a ottenere tutto l'effetto che questi "Sei Personaggi" non si confondano con gli Attori della Compagnia. La disposizione degli uni e degli altri, indicata nelle didascalie, allorché quelli saliranno sul palcoscenico, gioverà senza dubbio; come una diversa colorazione luminosa per mezzo di appositi riflettori. Ma il mezzo più efficace e idoneo, che qui si suggerisce, sarà l'uso di speciali maschere per i personaggi: maschere espressamente costruite d'una materia che per il sudore non s'afflosci e non pertanto sia lieve agli Attori che dovranno portarle: lavorate e tagliate in modo che lascino liberi gli occhi, le narici e la bocca. S'interpreterà così anche il senso profondo della commedia. I "Personaggi" non dovranno infatti apparire come "fantasmi", ma come "realtà create", costruzioni della fantasia immutabili: e dunque più reali e consistenti della volubile naturalità degli Attori. Le maschere ajuteranno a dare l'impressione della figura costruita per arte e fissata ciascuna immutabilmente nell'espressione del proprio sentimento fondamentale, che è il "rimorso" per il Padre, la "vendetta" per la Figliastra, lo "sdegno" per il Figlio, il "dolore" per la Madre con fisse lagrime di cera nel livido delle occhiaje e lungo le gote, come si vedono nelle immagini scolpite e dipinte della "Mater dolorosa" nelle chiese. E sia anche il vestiario di stoffa e foggia speciale, senza stravaganze, con pieghe rigide e volume quasi statuario, e insomma di maniera che non dia l'idea che sia fatto d'una stoffa che si possa comperare in una qualsiasi bottega della città e tagliato e cucito in una qualsiasi sartoria.

Il Padre sarà sulla cinquantina: stempiato, ma non calvo, fulvo di pelo, con baffetti folti quasi acchiocciolati attorno alla bocca ancor fresca, aperta spesso a un sorriso incerto e vano. Pallido, segnatamente nell'ampia fronte; occhi azzurri ovati, lucidissimi e arguti; vestirà calzoni chiari e giacca scura: a volte sarà mellifluo, a volte avrà scatti aspri e duri.

La Madre sarà come atterrita e schiacciata da un peso intollerabile di vergogna e d'avvilimento. Velata da un fitto crespo vedovile, vestirà umilmente di nero, e quando solleverà il velo, mostrerà un viso non patito, ma come di cera, e terrà sempre gli occhi bassi.

La Figliastra, di diciotto anni, sarà spavalda, quasi impudente. Bellissima, vestirà a lutto anche lei, ma con vistosa eleganza. Mostrerà dispetto per l'aria timida, afflitta e quasi smarrita del fratellino, squallido Giovinetto di quattordici anni, vestito anch'egli di nero; e una vivace tenerezza, invece, per la sorellina, Bambina di circa quattro anni, vestita di bianco con una fascia di seta nera alla vita.

Il Figlio, di ventidue anni, alto, quasi irrigidito in un contenuto sdegno per il Padre e in un'accigliata indifferenza per la Madre, porterà un soprabito viola e una lunga fascia verde girata attorno al collo.

L'uscere (col berretto in mano)

                Scusi, signor Commendatore.

Il capocomico (di scatto, sgarbato)

                Che altro c'è?

L'uscere (timidamente)

                Ci sono qua certi signori, che chiedono di lei.

Il Capocomico e gli Attori si volteranno stupiti a guardare dal palcoscenico giù nella sala.

Il capocomico (di nuovo sulle furie)

                Ma io qua provo! E sapete bene che durante la prova non deve passar nessuno!

Rivolgendosi in fondo:

                Chi sono lor signori? Che cosa vogliono?

Il padre (facendosi avanti, seguito dagli altri, fino a una delle due scalette)

                Siamo qua in cerca d'un autore

Il capocomico (fra stordito e irato)

                D'un autore? Che autore?

Il padre

                D'uno qualunque, signore.

Il capocomico

                Ma qui non c'è nessun autore, perché non abbiamo in prova nessuna commedia nuova.

La Figliastra (con gaja vivacità, salendo di furia la scaletta).

                Tanto meglio, tanto meglio, allora, signore! Potremmo esser noi la loro commedia nuova.

Qualcuno degli attori (fra i vivaci commenti e le risate degli altri)

                Oh, senti, senti!

Il padre (seguendo sul palcoscenico la Figliastra).

                Già, ma se non c'è l'autore!

Al Capocomico:

                Tranne che non voglia esser lei...

La Madre, con la Bambina per mano, e il Giovinetto saliranno i primi scalini della scaletta e resteranno lì in attesa. Il Figlio resterà sotto, scontroso.

Il capocomico

                Lor signori vogliono scherzare?

Il padre

                No, che dice mai, signore! Le portiamo al contrario un dramma doloroso.

La figliastra

                E potremmo essere la sua fortuna!

Il capocomico

                Ma mi facciano il piacere d'andar via, che non abbiamo tempo da perdere coi pazzi!

Il padre (ferito e mellifluo)

                Oh, signore, lei sa bene che la vita è piena d'infinite assurdità, le quali sfacciatamente non han neppure bisogno di parer verosimili; perché sono vere.

Il capocomico

                Ma che diavolo dice?

Il padre

                Dico che può stimarsi realmente una pazzia, sissignore, sforzarsi di fare il contrario; cioè, di crearne di verosimili, perché pajano vere. Ma mi permetta di farle osservare che, se pazzia è, questa è pur l'unica ragione del loro mestiere.

Gli Attori si agiteranno, sdegnati.

Il capocomico (alzandosi e squadrandolo)

                Ah sì? Le sembra un mestiere da pazzi, il nostro?

Il padre

                Eh, far parer vero quello che non è; senza bisogno, signore: per giuoco... Non è loro ufficio dar vita sulla scena a personaggi fantasticati?


Il capocomico (subito facendosi voce dello sdegno crescente dei suoi Attori)

                Ma io la prego di credere che la professione del comico, caro signore, è una nobilissima professione! Se oggi come oggi i signori commediografi nuovi ci danno da rappresentare stolide commedie e fantocci invece di uomini, sappia che è nostro vanto aver dato vita - qua, su queste tavole - a opere immortali!

Gli Attori, soddisfatti, approveranno e applaudiranno il loro Capocomico.

Il padre (interrompendo e incalzando con foga).

                Ecco! benissimo! a esseri vivi, più vivi di quelli che respirano e vestono panni! Meno reali, forse; ma più veri! Siamo dello stessissimo parere!

Gli Attori si guardano tra loro, sbalorditi.

Il direttore

                Ma come! Se prima diceva...

Il padre

                No, scusi, per lei dicevo, signore, che ci ha gridato di non aver tempo da perdere coi pazzi, mentre nessuno meglio di lei può sapere che la natura si serve da strumento della fantasia umana per proseguire, più alta, la sua opera di creazione.

Il capocomico

                Sta bene, sta bene. Ma che cosa vuol concludere con questo?

Il padre

                Niente, signore. Dimostrarle che si nasce alla vita in tanti modi, in tante forme: albero o sasso, acqua o farfalla... o donna. E che si nasce anche personaggi!

Il capocomico (con finto ironico stupore)

                E lei, con codesti signori attorno, è nato personaggio?

Il padre

                Appunto, signore. E vivi, come ci vede.

Il Capocomico e gli Attori scoppieranno a ridere, come per una burla.

Il Padre (ferito)

                Mi dispiace che ridano così, perché portiamo in noi, ripeto, un dramma doloroso, come lor signori possono argomentare da questa donna velata di nero.

Così dicendo porgerà la mano alla Madre per aiutarla a salire gli ultimi scalini e, seguitando a tenerla per mano, la condurrà con una certa tragica solennità dall'altra parte del palcoscenico, che s'illuminerà subito di una fantastica luce. La Bambina e il Giovinetto seguiranno la Madre; poi il Figlio, che si terrà discosto, in fondo; poi la Figliastra, che s'apparterà anche lei sul davanti, appoggiata all'arcoscenico. Gli Attori, prima stupefatti, poi ammirati di questa evoluzione, scoppieranno in applausi come per uno spettacolo che sia stato loro offerto.

Il capocomico (prima sbalordito, poi sdegnato)

                Ma via! Facciano silenzio!

Poi, rivolgendosi ai Personaggi:

                E loro si levino! Sgombrino di qua!

Al Direttore di scena:

                Perdio, faccia sgombrare!

Il direttore di scena (facendosi avanti, ma poi fermandosi, come trattenuto da uno strano sgomento)

                Via! Via!

Il padre (al Capocomico)

                Ma no, veda, noi...

Il capocomico (gridando)

                Insomma, noi qua dobbiamo lavorare!

Il primo attore

                Non è lecito farsi beffe così...

Il padre (risoluto, facendosi avanti)

                Io mi faccio maraviglia della loro incredulità! Non sono forse abituati lor signori a vedere balzar vivi quassù, uno di fronte all'altro, i personaggi creati da un autore? Forse perché non c'è là

indicherà la buca del Suggeritore

                un copione che ci contenga?

La Figliastra (facendosi avanti al Capocomico, sorridente, lusingatrice)

                Creda che siamo veramente sei personaggi, signore, interessantissimi! Quantunque, sperduti.

Il Padre (scartandola)

                Sì, sperduti, va bene!

Al Capocomico subito:

                Nel senso, veda, che l'autore che ci creò, vivi, non volle poi, o non potè materialmente, metterci al mondo dell'arte. E fu un vero delitto, signore, perché chi ha la ventura di nascere personaggio vivo, può ridersi anche della morte. Non muore più! Morrà l'uomo, lo scrittore, strumento della creazione; la creatura non muore più! E per vivere eterna non ha neanche bisogno di straordinarie doti o di compiere prodigi. Chi era Sancho Panza? Chi era don Abbondio? Eppure vivono eterni, perché - vivi germi - ebbero la ventura di trovare una matrice feconda, una fantasia che li seppe allevare e nutrire, far vivere per l'eternità!

Il capocomico

                Tutto questo va benissimo! Ma che cosa vogliono loro qua?

Il padre

                Vogliamo vivere, signore!

Il capocomico (ironico)

                Per l'eternità?

Il padre

                No, signore: almeno per un momento, in loro.

Un attore

                Oh, guarda, guarda!

La prima attrice

                Vogliono vivere in noi!

L'attor giovane (indicando la Figliastra)

                Eh, per me volentieri, se mi toccasse quella lì!

Il padre

                Guardino, guardino: la commedia è da fare;

al Capocomico:

                ma se lei vuole e i suoi attori vogliono, la concerteremo subito tra noi!

Il capocomico (seccato)

                Ma che vuol concertare! Qua non si fanno di questi concerti! Qua si recitano drammi e commedie!

Il padre

                E va bene! Siamo venuti appunto per questo qua da lei!

Il capocomico

                E dov'è il copione?

Il padre

                È in noi, signore.

Gli attori rideranno.

                Il dramma è in noi; siamo noi; e siamo impazienti di rappresentarlo, così come dentro ci urge la passione!

La figliastra (schernevole, con perfida grazia di caricata impudenza)

                La passione mia, se lei sapesse, signore! La passione mia...per lui!

Indicherà il Padre e farà quasi per abbracciarlo; ma scoppierà poi in una stridula risata.

Il padre (con scatto iroso)

                Tu statti a posto, per ora! E ti prego di non ridere così!

La figliastra

                No? E allora mi permettano: benché orfana da appena due mesi, stiano a vedere lor signori come canto e come danzo!

Accennerà con malizia il "Prends garde ... Tchou-Thin-Tchou" di Dave Stamper ridotto a Fox-trot o One-Step lento da Francis Salabert: la prima strofa, accompagnandola con passo di danza.

                Les chinois sont un peuple malin,

                De Shangai... Pekin,

                Ils ont mis des criteaux partout:

                Prenez garde... Tchou -Thin -Tchou!

Gli Attori, segnatamente i giovani, mentre ella canterà e ballerà, come attratti da un fascino strano, si moveranno verso lei e leveranno appena le mani quasi a ghermirla. Ella sfuggirà e, quando gli Attori scoppieranno in applausi, resterà, alla riprensione del Capocomico, come astratta e lontana.

Gli attori e le attrici (ridendo e applaudendo)

                Bene! Brava! Benissimo!

Il capocomico (irato)

                Silenzio! Si credono forse in un caffè-concerto?

Tirandosi un po' in disparte il Padre, con una certa costernazione:

                Ma dica un po', è pazza?

Il padre

                No, che pazza! È peggio!

La figliastra (subito accorrendo al Capocomico)

                Peggio! Peggio! Eh altro, signore! Peggio! Senta, per favore: ce lo faccia rappresentar subito, questo dramma, perché vedrà che a un certo punto, io - quando questo amorino qua

prenderà per mano la Bambina che se ne starà presso la Madre e la porterà davanti al Capocomico

                vede com'è bellina?

la prenderà in braccio e la bacerà

                cara! cara!


La rimetterà a terra e aggiungerà, quasi senza volere, commossa:

                ebbene, quando quest'amorino qua, Dio la toglierà d'improvviso a quella povera madre: e quest'imbecillino qua

spingerà avanti il Giovinetto, afferrandolo per una manina sgarbatamente

                farà la più grossa delle corbellerie, proprio da quello stupido che è

lo ricaccerà con una spinta verso la Madre

                allora vedrà che io prenderò il volo! Sissignore! prenderò il volo! il volo! E non mi par l'ora, creda, non mi par l'ora! Perché, dopo quello che è avvenuto di molto intimo tra me e lui

indicherà il Padre con un orribile ammiccamento

                non posso più vedermi in questa compagnia, ad assistere allo strazio di quella madre per quel tomo là

indicherà il Figlio

                lo guardi! lo guardi! indifferente, gelido lui, perché è il figlio legittimo, lui! pieno di sprezzo per me, per quello là,

indicherà il Giovinetto

                per quella creaturina; ché siamo idioti - ha capito? idioti.

Si avvicinerà alla Madre e l'abbraccerà.

                E questa povera madre - lui - che è la madre comune di noi tutti - non la vuol riconoscere per madre anche sua - e la considera dall'alto in basso, lui, come madre soltanto di noi tre idioti - vile!

Dirà tutto questo, rapidamente, con estrema eccitazione e arrivata al "vile" finale, dopo aver gonfiato la voce sul "idioti", lo pronunzierà piano, quasi sputandolo.

La madre (con infinita angoscia al Capocomico)

                Signore, in nome di queste due creaturine, la supplico...

si sentirà mancare e vacillerà

                oh Dio mio...

Il padre (accorrendo a sorreggerla con quasi tutti gli Attori sbalorditi e costernati).

                Per carità una sedia, una sedia a questa povera vedova!

Gli attori (accorrendo)

                - Ma è dunque vero? - Sviene davvero?

Il capocomico

                Qua una sedia, subito!

Uno degli Attori offrirà una sedia; gli altri si faranno attorno premurosi. La Madre, seduta, cercherà d'impedire che il Padre le sollevi il velo che le nasconde la faccia.

Il padre

                La guardi, signore, la guardi...

La madre

                Ma no, Dio, smettila!

Il padre

                Lasciati vedere!

Le solleverà il velo.

La madre (alzandosi e recandosi le mani al volto, disperatamente).

                Oh, signore, la supplico d'impedire a quest'uomo di ridurre a effetto il suo proposito, che per me è orribile!

Il capocomico (soprappreso, stordito)

                Ma io non capisco più dove siamo, né di che si tratti!

Al Padre:

                Questa è la sua signora?

Il padre (subito)

                Sissignore, mia moglie!

Il capocomico

                E com'è dunque vedova, se lei è vivo?

Gli Attori scaricheranno tutto il loro sbalordimento in una fragorosa risata.

Il padre (ferito, con aspro risentimento)

                Non ridano! Non ridano così, per carità! È appunto questo il suo dramma, signore. Ella ebbe un altro uomo. Un altro uomo che dovrebbe esser qui!

La madre (con un grido)

                No! No!

La figliastra

                Per sua fortuna è morto: da due mesi, glie l'ho detto. Ne portiamo ancora il lutto, come vede.

Il padre

                Ma non è qui, veda, non già perché sia morto. Non è qui perché - la guardi, signore, per favore, e lo comprenderà subito! - Il suo dramma non potè consistere nell'amore di due uomini, per cui ella, incapace, non poteva sentir nulla - altro, forse, che un po' di riconoscenza (non per me: per quello!) - Non è una donna, è una madre! - E il suo dramma - (potente, signore, potente!) consiste tutto, difatti, in questi quattro figli dei due uomini ch'ella ebbe.

La madre

                Io, li ebbi? Hai il coraggio di dire che fui io ad averli, come se li avessi voluti? Fu lui, signore! Me lo diede lui, quell'altro, per forza! Mi costrinse, mi costrinse ad andar via con quello!

La figliastra (di scatto, indignata)

                Non è vero!

La madre (sbalordita)

                Come non è vero?

La figliastra

                Non è vero! Non è vero!

La madre

                E che puoi saperne tu?

La figliastra

                Non è vero!

Al Capocomico:

                Non ci creda! Sa perché lo dice? Per quello lì

indicherà il Figlio

                lo dice! Perché si macera, si strugge per la noncuranza di quel figlio lì, a cui vuol dare a intendere che, se lo abbandonò di due anni, fu perché lui


indicherà il Padre

                la costrinse.

La madre (con forza)

                Mi costrinse, mi costrinse, e ne chiamo Dio in testimonio!

Al Capocomico:

                Lo domandi a lui

indicherà il marito

                se non è vero! Lo faccia dire a lui!...Lei

indicherà la Figlia

                non può saperne nulla.

La figliastra

                So che con mio padre, finché visse, tu fosti sempre in pace e contenta.

                Negalo, se puoi!

La madre

                Non lo nego, no...

La figliastra

                Sempre pieno d'amore e di cure per te!

Al Giovinetto, con rabbia:

                Non è vero? Dillo! Perché non parli, sciocco?

La madre

                Ma lascia questo povero ragazzo! Perché vuoi farmi credere un'ingrata, figlia? Io non voglio mica offendere tuo padre! Ho risposto a lui, che non per mia colpa né per mio piacere abbandonai la sua casa e mio figlio!

Il padre

                È vero, signore. Fui io.

Pausa.

Il primo attore (ai suoi compagni)

                Ma guarda che spettacolo!

La prima attrice

                Ce lo danno loro, a noi!

L'attor giovane

                Una volta tanto!

Il capocomico (che comincerà a interessarsi vivamente)

                Stiamo a sentire! stiamo a sentire!

E così dicendo, scenderà per una delle scalette nella sala e resterà in piedi davanti al palcoscenico, come a cogliere, da spettatore, l'impressione della scena.

Il figlio (senza muoversi dal suo posto, freddo, piano, ironico)

                Sì, stiano a sentire che squarcio di filosofia, adesso! Parlerà loro del Demone dell'Esperimento.


Il padre

                Tu sei un cinico imbecille, e te l'ho detto cento volte!

Al Capocomico già nella sala:

                Mi deride, signore, per questa frase che ho trovato in mia scusa.

Il figlio (sprezzante)

                Frasi.

Il Padre

                Frasi! Frasi! Come se non fosse il conforto di tutti, davanti a un fatto che non si spiega, davanti a un male che si consuma, trovare una parola che non dice nulla, e in cui ci si acquieta!