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Parafrasi
Analisi, parafrasi e commento di “Incontro” di Eugenio Montale (da Ossi di Seppia)
Tu non m’abbandonare mia tristezza
sulla strada
che urta il vento forano
co’ suoi vortici caldi, e spare; cara
tristezza al soffio che si estenua: e a questo,
sospinta sulla rada
dove l’ultime voci il giorno esala
viaggia una nebbia, alta si flette un’ala
di cormorano.
La foce è allato del torrente, sterile
d’acque, vivo di pietre e di calcine;
ma più foce di umani atti consunti,
d’impallidite vite tramontanti
oltre il confine
che a cerchio ci rinchiude: visi emunti,
mani scarne, cavalli in fila, ruote
stridule: vite no: vegetazioni
dell’altro mare che sovrasta il flutto.
Si va sulla carraia di rappresa
mota senza uno scarto,
simili ad incappati di corteo,
sotto la volta infranta ch’è discesa
quasi a specchio delle vetrine,
in un’aura che avvolge i nostri passi
fitta e uguaglia i sargassi
umani fluttuanti alle cortine
dei bambù mormoranti.
Se mi lasci anche tu, tristezza, solo
presagio vivo in questo nembo, sembra
che attorno mi si effonda
un ronzio qual di sfere quando un’ora
sta per scoccare;
e cado inerte nell’attesa spenta
di chi non sa temere
su questa proda che ha sorpresa l’onda
lenta, che non appare.
Forse riavrò un aspetto: nella luce
radente un moto mi conduce accanto
a una misera fronda che in un vaso
s’alleva s’una porta di osteria.
A lei tendo la mano, e farsi mia
un’altra vita sento, ingombro d’una
forma che mi fu tolta; e quasi anelli
alle dita non foglie mi si attorcono
ma capelli.
Poi più nulla. Oh sommersa!: tu dispari
qual sei venuta, e nulla so di te.
La tua vita è ancor tua: tra i guizzi rari
dal giorno sparsa già. Prega per me
allora ch’io discenda altro cammino
che una via di città,
nell’aria persa, innanzi al brulichio
dei vivi; ch’io ti senta accanto; ch’io
scenda senza viltà.
PARAFRASI
3. forano: che viene da fuori, dal mare. Il vento caldo e libeccio, soffia e poi sparisce.
4-9. cara…. estenua: o cara tristezza verso il soffio
ormai estenuato, spento del vento. La relazione fra tristezza e vento è
dato dal fatto che questo riconduce “l’ondata della vita”, per un breve
momento, e poi è in procinto di sparire. Così la tristezza, sofferenza,e
dunque non accettazione della vita e dei nati-morti, può essere
paragonata al soffio vivificatore, ma anche al suo essere ormai
estenuato. E….cormorano: e verso questo vento estenuato viaggia una
nebbia, sospinta sulla rada dove il giorno esala le ultime voci, e si
piega, in alto, un’ala di cormorano(uccello marino). Sono le ultime
manifestazioni di vita del giorno.
10-18. la …. calcine: al lato della strada c’è la foce
del torrente, povero d’acqua, ma ricco di pietre e calcine. Il torrente
sterile significa la vita presente dell’uomo; ma anch’esso trapassa,
senza soluzioni di continuità, dal fisico al metafisico. La lunga teoria
di uomini e di carri diventa il cammino in fila indiana, monotono, dei
nati-morti verso la fine della vita. E non più di uomini si tratta, ma
di vegetazioni, cioè, dirà più avanti, sargassi, alghe, simbolo della
spenta vita universa. L’ultima immagine richiama il dantesco “…. Sulla
fiumana ove il mar non ha vanto”; ma lo stesso vale per “il cerchio che
si chiude” e, più avanti, gli “incappati di corteo”, che richiamano il
canto degli ipocriti, e altri spunti qua e là. Montale ha scelto la
linea dantesca, piuttosto che quella petrarchesca, prevalsa per secoli
nella nostra letteratura. d’impallidite…. rinchiude di vite impallidite
di là dal confine che ci chiude nel suo cerchio invalicabile. E’ il
confine della necessità terrena, che regola la nostra vita: di là da
esso c’è il non conosciuto, che non possiamo concepire se non come
nulla.
19-21. il cammino dell’umanità massificata è monotono e
fedele alla carraia fatta di fango essiccato; non vi sono scarti,
movimenti o tentativi di liberazione: tutti accettano passivamente la
schiavitù alla vita non autentica.
22-23. sotto…. vetrine: sotto la volta celeste, di
nuvole, che si è infranta, è discesa fin quasi a specchiare le vetrine.
Anche qui c’è un oscillazione fra oggetto e significato; quel cielo
infranto che rispecchia le vetrine fa pensare alla rottura d’ogni
ricerca di giustificazione del vivere, chiuso in un piccolo commercio
quotidiano fra gli uomini. Tuttavia, questo vivere nella massa anonima è
alienante e non attenua la solitudine radicale dell’io.
25-27. e….. mormoranti: l’aria densa uguagli le alghe
umane, che non vivono,né hanno movimento definito, ma fluttuano,
incapaci di direzione, simile alle cannucce di bambù snodabili che si
usava, allora, porre come tenda all’ingresso dei negozi.
28-29. solo…. nembo:la tristezza, come forma di
resistenza alla vita/non vita, è l’unico presagio di vitalità nel nembo,
nell’atmosfera di nebbia e nuvole basse scese sulla città.
30-32. e’ il ronzio che precede, nell’orologio a
pendolo, il suono del’ora. Ma qui si deve pensare a un suo prolungarsi
in un tempo indefinito d’inerzia.
33-36. e caldo…. appare: e caldo inerte nell’attesa
spenta di chi ha perduto non solo la speranza, ma anche il timore su
questa sponda che è stata sorpresa, e dunque soverchiata, da un’onda
lenta, invisibile.
37-38. forse…. aspetto: e’ un improvvisa rinascita
della speranza, autorizzata dalla tristezza come resistenza alla
banalizzazione totale del vivere. Riavere un aspetto significa evadere
dallo squallore della folla anonima prima rappresentata e ritrovare la
propria individualità originale. La luce radente è quella del tramonto.
41-45. a lei…. capelli:il poeta tende la mano per
afferrarla, e, come l’afferra, sente che un’altra vita diviene sua, come
se quella fronda fosse l’involucro che contiene in se un’altra vita a
lui tolta; e intorno alle sue dita non avverte più le foglie, ma dei
capelli. Questa è la spiegazione “letterale” del passo; una spiegazione
che, come avviene quasi sempre in poesia, spiega ben poco. Soprattutto
poi quando, come nel caso di Montale, abbiamo una poetica del
correlativo oggettivo che tende a cancellare l’occasione biografica,
assumendola in una valenza mitica universale, di qui due diverse
interpretazioni. Stabilito che questa fronda è, con un rovesciamento
dell’antico mito di Dafne tramutata in alloro, una donna, e accettato il
significato di salvazione che questa figura comporta, alcuni puntano
sull’identificazione di lei con Arletta, una delle idealizzate figure
femminili di Montale, presentata come morta giovane, e quindi come una
Silvia o Nerina leopardiana. Pertanto a lei si riferirebbe l’espressione
“la forma che mi fu tolta”. Per il Bonfiglioli, invece, detta forma è
l’individualità del poeta, perduta, e ora ritrovata nel messaggio
salvifico che viene dalla donna. Concordiamo con questa interpretazione,
perché qui, come altrove in Montale, la figura femminile è
interiorizzata, ed è pertanto parte viva dell’animo del poeta che in lei
si specchia e si riconosce.
46-54. poi…. nulla:l’incontro-identificazione è dunque
rivelazione di un attimo, presto svanito. Per i critici, che chiameremo
realisti, si allude qui al fatto che la giovane è morta, ha ripreso la
sua vita, in un ordine di esistenza diverso, ormai come dissolta fra gli
ultimi baleni di luce del crepuscolo. Per il Bonfiglioli, invece
“L’eros è qui, come in altre liriche degli Ossi, religione sacrificale.
la donna, riconoscendosi nell’uomo come l’uomo si riconosce in lei, gli
dà la propria vita per farlo vivere e per vivere in lui, o meglio, lo
restituisce a se stesso e scompare”. Di fatto, l’incontro con l’altro è
arduo e istantaneo e l’amore è un desiderio di comunione pur sempre
precario, essendo ciascuno chiuso nella propria individualità e in un
proprio destino. La donna può tuttavia pregare per lui, quando egli
scenderà verso la morte, affinché possa affrontare il destino “senza
viltà”. Questo pregare va inteso in senso tutto ideale, non
immediatamente religioso; è l’immagine presentita dell’amore come
libertà e identificazione vera della persona a infondere coraggio nella
vita e nella morte; è un sussulto di autenticità che illumina una vita
nata per il nulla.
Breve commento
Il pessimismo montaliano si approfondisce a partire soprattutto dalle ultime liriche degli Ossi, quelle aggiunte nella seconda edizione(1928), che formano un ponte verso la poesia delle Occasioni. Quello che prima appariva come una posizione personale di decadimento e fuga dalla vita, di incapacità di vivere la rivelazione balenata in un mitico sogno di adolescenza, diventa ora una condizione comune, in un presente di storia avvilita. L’atmosfera di vite sterili, di sargassi umani, di un anonimato totale che è, prima di tutto, incapacità di esistere originalmente come individui, avvicina questa lirica all’Eliot di Terra desolata, da poco presente alla cultura europea, alla testimonianza di una crisi totale di valori. Montale ritrova il segno dell’attuale dannazione nella folla spenta della sua città, in un grigiore della vita quotidiana senza scopo ne direzione. Qui l’ultima voce dell’individualità è la tristezza: un dir di no senza, tuttavia speranza, una resistenza passiva, anche se indomabile, al vuoto che da ogni parte invade l’esistenza, e si riflette nel vento e nella nebbia, nei negozi e nel chiacchiericcio informe della gente: in una strada, soprattutto in discesa che è il cammino dei nati-morti verso il nulla. L’unica possibilità di una pur limitata e precaria salvezza è l’apertura all’altro, l’amore, cioè; ed è questo l’incontro cui la poesia allude. Incontro con un tu che è, prima, la tristezza come evasione dal banale egoismo degli altri, dal trionfo, che essi sanzionano, della non-vita, poi una figura femminile, che diviene parziale salvazione; per lo meno richiamo all’interiorità vera, e consente di scendere “senza viltà” verso la condanna comune, la morte. Questa lirica e Arsenio rivelano una maturazione nell’arte montaliana. Il poeta ha appreso un procedimento allegorico – visionario in cui la calare la propria moralità, liberandola da ogni indugio intellettualistico,e tramutandola in immediata intuizione e scelta esistenziale. Si hanno così le metamorfosi da uomini in alghe, da fronda in donna pietosa; ma ancor più dense e creatrici di atmosfera sono la lunga teoria di uomini e animali verso il fiume; un aspetto dell’esistenza comune che assume una dimensione “metafisica” , diventa una figura del reale, della sua essenza scoperta come nulla. Lo stesso vale per le vetrine e i negozi, per tutto l’insieme di gesti in autentici cui è ridotta la vita. E’ stata indicata dalla critica la presenza di Dante sull’orizzonte immaginativo di questa lirica; ed effettivamente Montale ha qui descritto l’inferno dei vivi, abitato soprattutto da ignavi chiuso in un egoismo sterile.
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