http://elea.unisa.it:8080/jspui/bitstream/10556/1412/1/Vitelli%2C%20F.%20Valore%20storico%20e%20radici%20antropologiche%20della%20poesia%20di%20Rocco%20Vincenzo%20Scotellaro.pdf
https://antoniomartino.myblog.it/wp-content/uploads/sites/303633/2016/02/POESIE-INCLUSE.pdf
http://www.uniterlameziaterme.it/RS.pdf
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http://www.prodel.it/rabatana/?cat=815
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https://iris.unipa.it/retrieve/handle/10447/90985/98793/F.%20Fasulo,%20Inchieste%20sociali%20e%20subalternit%C3%A0.%20Dal%20concetto%20gramsciano%20di%20subalterno%20alle%20storie%20di%20vita%20di%20Scotellaro%20e%20Montaldi..pdf
Scotellaro, prosa e poesia della civiltà contadina
di Goffredo Fofi
6' di lettura
I grandi volumi del Baobab, sorta di super-Oscar Mondadori, hanno il grande vantaggio di un prezzo accessibile e non sono affatto inferiori per la qualità delle scelte e la cura ai più noti Meridiani. Non sappiamo le ragioni che hanno portato a distinguere le due collane, anche perché i due autori che l’hanno avviata erano in tutto degni di apparire nella grande collana ufficiale, il poeta veneto Fernando Bandini, la cui grazia e cultura, profondità e vivacità (ha scritto versi in lingua, in dialetto e in latino) lo collocano tra i nostri maggiori, e prossimo, per restare nella sua regione, a Noventa e a Zanzotto, e ora il poeta lucano Rocco Scotellaro. Che fu anche sociologo a Portici con Rossi-Doria e militante socialista. Giovane sindaco del suo paese, Tricarico, venne proditoriamente processato a suo tempo su accuse che si rivelarono infondate, riguardanti l’operato sociale del municipio, ma questo ci è valsa una sua bellissima memoria del carcere, L’uva puttanella, uscito postumo per Laterza, quasi un romanzo come egli in fondo avrebbe voluto che venisse anche letto.
Alla raccolta di poesie È fatto giorno venne assegnato un premio Viareggio postumo, che servì di pretesto agli intellettuali del Pci, i Salinari e gli Alicata e i Muscetta e in primis al loro indiscusso maestro Delio Cantimori (diciamolo: uno dei più arroganti intellettuali “hegeliani” del tempo, che pure è stato un grande storico, che trasferì la sua supponenza a intere generazioni di “normalisti”) per discuterne e svilirne l’opera con le consuete accuse di marca sovietica. I compagni che venivano chiamati “trinariciuti” anche da una parte del partito. Cantimori parlò di un libro e di un autore «sopravvalutati», di «populismo sinistrorso autocoltivato», mentre Muscetta di «idoleggiamento della civiltà contadina», di «disordine sentimentale», di «conclusioni nichiliste», di «egocentrismo» e «velleitarismo» ovviamente «alla Carlo Levi». Posso testimoniare che Muscetta su Levi e Scotellaro cambiò per buona parte opinione, ma troppi anni dopo, diciamo pure molto dopo il crollo del mito sovietico e gli aggiornamenti del Pci. Cantimori non fece in tempo a farlo, ma forse, attento com’era al vento della storia e ai modi di segnarla, lo avrebbe fatto anche lui, con minore sincerità. C’erano molte ragioni per apprezzare la figura di Scotellaro, ed è paradossale che la prima fosse decisamente una ragione “gramsciana”. Come insistettero due intellettuali socialisti, Franco Fortini e Raniero Panzieri in un convegno tenuto a Matera nel 1955 a due anni dalla morte del poeta (era nato nel 1923, scomparve appena trentenne), Scotellaro sembrò infatti a tanti un modello esemplare di “intellettuale organico” secondo le idee e i sogni di Antonio Gramsci, ma nel 1955 non c’era stato ancora il Rapporto Kruscev e gli intellettuali del Pci erano più zdanoviani che gramsciani (con una minoranza di lukacsiani).
Chi meglio di Rocco incarnò la speranza di avere intellettuali che, nati nelle classi “subalterne” operavano per la sua emancipazione, che non separavano mestiere e cultura essendo insieme homo faber e homo sapiens, che parlavano individualmente ma da dentro la classe in cui erano nati e cresciuti, dentro la classe e i suoi interessi, le sue lotte? «Ali Alicata, Salinari sali!» scrisse Fortini in un noto epigramma... E va ricordato che Calvino, Sciascia, Pasolini non caddero ovviamente in questi abissi.
Nel bisogno di conoscere il paese, un bisogno che fu dominante negli anni dopo la guerra (cioè dopo vent’anni di chiusura fascista e di difesa delle città dalla pressione delle campagne, non solo le meridionali), la figura di Scotellaro fu una figura esemplare. Studiò in parte grazie ai canali antichi della chiesa ma soprattutto alle nuove aperture democratiche, poiché poté frequentare l’osservatorio di economia agraria di Portici per la protezione di Manlio Rossi-Doria che la dirigeva, diventando una delle quattro figure di “maestri” del riscatto meridionalista, non solo lucano, insieme a Levi autore del Cristo e dell’Orologio, a Rossi-Doria maestro e fondatore della sociologia rurale in Italia nel mentre che al Nord Alessandro Pizzorno provvedeva a quella industriale, e al medico ed epidemiologo Rocco Mazzarone, grande educatore nell'ombra. Su loro spinta Scotellaro fu autore di una fondamentale inchiesta sui Contadini del Sud, vicina tuttavia alle raccolte di storie di vita e alle inchieste che andavano facendo (contemporaneamente o dopo quella di Rocco), Danilo Montaldi al Nord (i marginali del mondo contadino e periferico, la “leggera”), Bianciardi e Cassola al centro (i minatori della Maremma), Franco Cagnetta in Sardegna (i banditi di Orgosolo) e Danilo Dolci in Sicilia (quelli di Partinico)... La storia dell'inchiesta sociale in Italia, dopo il 1945, è ancora da scrivere ed è una storia per tanti aspetti appassionante, giungendo fino alle inchieste di Alessandro Leogrande, una figura che per molti aspetti ha potuto ricordarci quella di Rocco.
Questa storia si intreccia in vario modo a quella del neorealismo, quello meno “populista” e meno ideologico la cui influenza è evidente nel “Baobab” di cui parliamo, nei racconti di Rocco, ora curati e introdotti con rigore da Giulia Dell’Aquila (Ramorra, un giovane di quegli anni; Uno si distrae al bivio, un giovane di sempre che, se si “distrae” e non sa prendere al momento giusto la strada giusta, rischiando di non ritrovar più quella di casa, la giusta direzione, ieri come sempre e a a maggior ragione oggi e proprio oggi, tra giovani sbalestrati tra proposte perlopiù insensate e, appunto, devianti). Ma, come mettono in luce nei loro ottimi saggi di accompagnamento all'opera di Scotellaro Sebastiano Martelli e soprattutto Franco Vitelli che all’opera di Scotellaro ha dedicato tante fatiche, la sua originalità sta nell'accostamento e nel confronto, oggi più possibile e importante che mai, tra il Rocco poeta, il Rocco sociologo, il Rocco militante. Senza alcun narcisismo ma vedendosi in qualche modo egli stesso come un figlio del secolo, egli ha cantato un tempo “nuovo” che esigeva modi nuovi di star nella vita, nella Storia. L'“alba nuova” era quella, non solo italiana, non solo meridionale, non solo lucana, di un mondo contadino in rivolta, dalla Cina (di Mao) all’India (di Gandhi) e dall’America Latina (di Guevara) all’Africa (di Fanon, di Lumumba). Poi anche questa speranza è crollata, ma Scotellaro non ha potuto vederla ed è morto avendo ancora nel cuore il “sogno di una cosa”.
Per Rocco poeta credo valgano sempre le considerazioni, partecipi come poche altre volte nel suo lavoro di critico, di Franco Fortini, che così ne ha scritto in La poesia di Scotellaro (Basilicata 1974): si tratta perlopiù di «liriche relativamente brevi, che partono spesso, come molta poesia contemporanea, da un dato descrittivo», ma «senza nessun idoleggiamento della parola» e secondo «una tonalità, in genere, dimessa, ma col gusto di un’astuta giunzione tra aggettivo e sostantivo, fra verso e verso» che gli viene da Sinisgalli e per suo tramite da Lorca, dalla tradizione barocca. Ma c’è nella poesia di Rocco – ed è questo, credo, che ancora ce ne commuove - «qualcosa dell’affettuosa e disperata bohème contadina russa dipinta da Chagall e cantata da Esenin (…) Di qui, anche, la sua metrica (…) con la sua tendenza al verso lungo, dinoccolato, di respiro lento e di accenti diseguali (…), la rima facile, di cadenza popolare e che talvolta si impreziosisce e si fa ricca e luccicante». I versi che più lo rappresentano sono forse questi: «Io sono un filo d'erba, / un filo d'erba che trema./ E la mia Patria è dove l’erba trema./ Un alito può trapiantare /il mio seme lontano.»
Ma sono anche il Rocco sociologo e il Rocco narratore che non vanno trascurati, con il valido aiuto di Vitelli e Martelli. Il Rocco che sente il bisogno di ascoltare e trascrivere la voce del guardiano di bufale analfabeta, affascinante come un “expletiveo de li expletivei”, la vita per forza e per scelta (per convinzione) marginalizzata di Chironna evangelico, l’ostinata rivolta contro lo Stato traditore di diritti e speranze di Michele Mulieri. Con la storia (aggiunta) della vita stessa di Rocco raccontata da Francesca Armento sua madre... E il Rocco che se parla di sé lo fa per vedersi in mezzo agli altri, simile agli altri, e per ascoltarne il lamento, la speranza. La sua attualità sta in questo: che nel mondo i contadini sono ancora milioni, soffocati dalle multinazionali, dalle banche, dalle tecnologie. E pur sempre in attesa - forse ormai inutile, chissà - di “un’alba nuova”.
Tutte le opere
Rocco Scotellaro
A cura di Franco Vitelli, Giulia Dell’Aquila, Sebastiano Martelli. Oscar Moderni Baobab, Mondadori, Milano,
Perché abbiamo bisogno di Scotellaro"
Rocco Scotellaro, il sindaco-poeta di Tricarico (1923-1953)
Recentemente mi è capitato di discutere di poesia tenendo tra le mani il grande libro che raccoglie Tutte le opere (non solo poetiche) di Rocco Scotellaro. Un volume di 840 pagine, pubblicato un paio di mesi fa da Mondadori, suddiviso in sei sezioni, denso di versi, racconti, prose giornalistiche, scritti cinematografici, il romanzo autobiografico L'uva puttanella e l'inchiesta socio-antropologica Contadini del Sud del sindaco-poeta di Tricarico (Matera), morto per un infarto il 15 dicembre 1953, a soli trent'anni, tre anni dopo l'ingiusto arresto per un presunto delitto di concussione (che lo costrinse al carcere per 45 giorni), da cui venne infine prosciolto. Una morte prematura, che porta con sé il carico di sofferenza e amarezza determinato da quell'accusa. Un anno dopo la scomparsa, il suo Contadini del Sud vince il Premio San Pellegrino per l'inchiesta e alla sua produzione poetica viene assegnato il Premio Viareggio. Mi è capitato di parlarne, dicevo, e di raccogliere riflessioni sul tempo e i suoi effetti, su quel che resta e quel che viene cancellato, partendo da una domanda: quanto possono essere considerati attuali la poetica e il pensiero di Scotellaro, la fotografia di un mondo contadino che sembra essere ormai così lontano? Non ho dubbi, so cosa rispondere, perché l'opera di Scotellaro custodisce un'anima senza tempo, è un cantiere permanente per la costruzione di storie e azioni presenti e future.
“ Io sono un filo d'erba / un filo d'erba che trema. / E la mia Patria è dove l'erba trema. / Un alito può trapiantare / il mio seme lontano Rocco Scotellaro, 1949
Rivelare il mondo contadino attraverso la poesia (d'amore e malinconia, di natura e verità), i racconti e le inchieste, è stato un atto generoso e lungimirante che ha creato le basi per riconoscere e dare un nome a quel che è venuto dopo e, forse, a quel che stiamo vivendo oggi: indagando il sentimento autentico legato alla terra, la relazione intensa, sincera e drammatica tra uomo e natura, possiamo "entrare nelle cose", analizzare le trasformazioni, riuscire a vedere più chiaramente e, se mossi da buona volontà, provare a riorganizzarci per un nuovo inizio mettendo al centro l'essenziale. Ecco, dunque, perché ho scelto di partire dalla parole di Franco Vitelli, il più attento e autorevole studioso di Scotellaro e ora curatore di quest'opera imponente, non domanda ma dato di fatto: "Perché abbiamo bisogno di Scotellaro". Per Vitelli siamo di fronte a un'eredità preziosa che attraversa i territori della letteratura, della politica, della cultura socio-antropologica e che non riguarda solo il Sud e la sua storia, ma un "mondo oltreconfine" dove "si abbia a cuore la sorte delle umani genti".
“ Sradicarmi? la terra mi tiene / e la tempesta se viene / mi trova pronto Rocco Scotellaro, 1942
Per Carlo Levi, autore nel 1964 della prefazione per il volume Laterza che includeva L'uva puttanella e Contadini del Sud, l'opera di Scotellaro rappresenta una "meditazione su se stesso e il mondo" ed "è la vita nel suo farsi, da ogni parte aperta, immediatamente diventata parola". Franco Vitelli parla di coincidenza tra parola e cosa, tra poesia e mondo contadino, che acquista voce entrando nella storia. Estetica e pensiero sociale vengono inclusi, così, in un "discorso che è sempre andato oltre le ragioni letterarie - talvolta eludendole - per dire chi siamo e dove vogliamo andare". Ma ancora e, anzi, soprattutto, la riflessione di Vitelli dà un senso a quel perché (abbiamo bisogno di Scotellaro), senza peccare di ingenuo anacronismo ma regalando una certezza, una possibilità di riscatto, individuando un nuovo inizio: "La società dello sperpero e dello sfrenato consumismo può e deve trovare modello nella frugalità contadina che era saggezza per sopravvivere nelle condizioni piene di rischi e limitate risorse, mente ora diventa misura per opporsi alla hybris della modernità che non conosce limiti. Oggi che quasi tutti i vincoli di solidarietà sociale sono saltati, o stanno per saltare stremati dalla vittoriosa prepotenza del capitale finanziario, occorre ripartire da una nuova centralità del soggetto eticamente rinnovato e dallo spirito comunitario".
“ Essi vestono e parlano e giudicano secondo un accordo che li avvince, si riconoscerebbero in qualsiasi parte della terra "I contadini guardano l'aria", dalle prose giornalistiche di Scotellaro
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