Alessandro Manzoni in un brano de I Promessi Sposi. Renzo, tornato al suo paese dopo molto tempo, incontra un vecchio amico e scopre di essere molto più affezionato a lui di quanto credesse: «E, dopo un’assenza di forse due anni, si trovarono a un tratto molto più amici di quello che avesser mai saputo d’essere nel tempo che si vedevano quasi ogni giorno; perché all’uno e all’altro […] eran toccate di quelle cose che fanno conoscere che balsamo sia all’animo la benevolenza; tanto quella che si sente, quanto quella che si trova negli altri»9. Infine, l’amicizia risponde anche ad un bisogno naturale di sostegno e incoraggiamento che tutti provano durante il corso della vita. Cosa c’è infatti, di più gratificante nei momenti di sconforto, che il poter confidarsi con un amico?
commento Guccini:
Un altro grande esponente del significato di amicizia fu il cantautore Francesco Guccini che, nel 1974 con l’album ‘’Stanze di vita quotidiana’’, nella ‘’Canzone per Piero’’ racconta la sua più grande amicizia. Parla, ormai dopo venticinque anni, di ‘’quei giorni spesi a parlare di niente sdraiati al sole inseguendo la vita, come qualcosa capito per sempre’’ e delle ‘’risate più pazze, di sbornie assurde e fantasie’’. In sostanza, la sua vita si è svolta con l’amico Pietro, sono stati adolescenti insieme e adesso stanno invecchiando.
Tutto ciò dimostra che l’uomo non è fatto per stare da solo, e l’amicizia è una delle cose fondamentali che costituiscono la sua vita.
la luna e i falò di Cesare Pavese
la luna e i falò tratta il tema dell' amicizia come sentimento in cui si trova quella protezione che non si è potuto avere dai suoi genitori e crea di conseguenza una grande fiducia tra i personaggi in questione.
http://www.istalcidedegasperi.it/website/phocadownload/articoli/Traccia%20saggio%20Amicizia.pdf
http://www.laspigaedizioni.it/ipromessisposi/Prima%20parte%20-%20Percorsi%20tematici_4.pdf
http://www.istitutochiaravalle.altervista.org/attachments/article/208/UDA%20Amicizia.pdf
canzoni di piero
http://www.fabiosroom.eu/it/canzoni/canzone-per-piero/
DOCUMENTO 1
Francesco
Guccini, Canzone per Piero (1)
(Stanze
di vita quotidiana,
1974)
Mio
vecchio amico di giorni e pensieri,
da quanto tempo che ci conosciamo,
venticinque anni sono tanti e diciamo,
un po' retorici, che sembra ieri.
Invece io so che è diverso e tu sai
quello che il tempo ci ha preso e ci ha dato,
io appena giovane sono invecchiato,
tu forse giovane non sei stato mai.
Ma d'illusioni non ne abbiamo avute,
o forse sì, ma nemmeno ricordo,
tutte parole che si son perdute
con la realtà incontrata ogni giorno.
Chi glielo dice a chi è giovane adesso
di quante volte si possa sbagliare
fino al disgusto di ricominciare
perché ogni volta è poi sempre lo stesso.
Eppure il mondo continua e va avanti
con noi o senza e ogni cosa si crea
su ciò che muore e ogni nuova idea
su vecchie idee e ogni gioia sui pianti.
Ma più che triste, ora, è buffo pensare
a tutti i giorni che abbiamo sprecati,
a tutti gli attimi lasciati andare,
ai miti belli delle nostre estati.
[…]
Quei giorni spesi a parlare di niente,
sdraiati al sole inseguendo la vita,
come l'avessimo sempre capita,
come qualcosa capito per sempre.
Il mio Leopardi, le tue teologie,
esiste Dio? (2) Le risate più pazze,
le sbornie assurde, le mie fantasie,
le mie avventure in città con ragazze.
[…]
Le sigarette con rabbia fumate,
i blue jeans vecchi e le poche lire,
sembrava che non dovesse finire
ma ad ogni autunno finiva l'estate.
Poi tutto è andato e diciamo siam vecchi,
ma cosa siamo e che senso ha mai questo
nostro cammino di sogni fra specchi,
tu che lavori quando io vado a letto (3).
.....
da quanto tempo che ci conosciamo,
venticinque anni sono tanti e diciamo,
un po' retorici, che sembra ieri.
Invece io so che è diverso e tu sai
quello che il tempo ci ha preso e ci ha dato,
io appena giovane sono invecchiato,
tu forse giovane non sei stato mai.
Ma d'illusioni non ne abbiamo avute,
o forse sì, ma nemmeno ricordo,
tutte parole che si son perdute
con la realtà incontrata ogni giorno.
Chi glielo dice a chi è giovane adesso
di quante volte si possa sbagliare
fino al disgusto di ricominciare
perché ogni volta è poi sempre lo stesso.
Eppure il mondo continua e va avanti
con noi o senza e ogni cosa si crea
su ciò che muore e ogni nuova idea
su vecchie idee e ogni gioia sui pianti.
Ma più che triste, ora, è buffo pensare
a tutti i giorni che abbiamo sprecati,
a tutti gli attimi lasciati andare,
ai miti belli delle nostre estati.
[…]
Quei giorni spesi a parlare di niente,
sdraiati al sole inseguendo la vita,
come l'avessimo sempre capita,
come qualcosa capito per sempre.
Il mio Leopardi, le tue teologie,
esiste Dio? (2) Le risate più pazze,
le sbornie assurde, le mie fantasie,
le mie avventure in città con ragazze.
[…]
Le sigarette con rabbia fumate,
i blue jeans vecchi e le poche lire,
sembrava che non dovesse finire
ma ad ogni autunno finiva l'estate.
Poi tutto è andato e diciamo siam vecchi,
ma cosa siamo e che senso ha mai questo
nostro cammino di sogni fra specchi,
tu che lavori quando io vado a letto (3).
- Guccini conobbe Piero all’età di nove anni, durante un’estate.
- Sono allusioni alle discussioni filosofico-esistenziali tipiche dell’adolescenza.
- L’espressione è significativa e indica due vite che ora non si incontrano più come in passato.
Cicerone
Tutti sanno che la vita non è vita senza
amicizia, se, almeno in parte, si vuole vivere
da uomini liberi. […] Allora è vero quanto
ripeteva, se non erro, Architta di Taranto […]
"Se un uomo salisse in cielo e contemplasse
la natura dell'universo e la bellezza degli
astri, la meraviglia di tale visione non
gli darebbe la gioia più intensa, come dovrebbe,
ma quasi un dispiacere, perché non avrebbe
nessuno a cui comunicarla". Così la natura
non ama affatto l'isolamento e cerca sempre
di appoggiarsi, per così dire, a un sostegno,
che è tanto più dolce quanto più è caro l'amico.
CICERONE, De amicitia
Renzo nei promessi Sposi
"Renzo …!" disse quello, esclamando insieme e interrogando. "Proprio," disse Renzo; e si corsero incontro. "Sei proprio tu!" disse l'amico, quando furon vicini: "oh che gusto ho di vederti! Chi l'avrebbe pensato?" […] E, dopo un'assenza di forse due anni, si trovarono a un tratto molto più amici di quello che avesser mai saputo d'essere nel tempo che si vedevano quasi ogni giorno; perché all'uno e all'altro […] eran toccate di quelle cose che fanno conoscere che balsamo sia all'animo la benevolenza; tanto quella che si sente, quanto quella che si trova negli altri. […] Raccontò anche lui all'amico le sue vicende, e n'ebbe in contraccambio cento storie, del passaggio dell'esercito, della peste, d'untori, di prodigi. "Son cose brutte," disse l'amico, accompagnando Renzo in una camera che il contagio aveva resa disabitata; "cose che non si sarebbe mai creduto di vedere; cose da levarvi l'allegria per tutta la vita; ma però, a parlarne tra amici, è un sollievo".
A. MANZONI, I Promessi Sposi, cap. XXXIII, 1827
Quattro amici al bar di Gino Paoli
Quattro amici al bar” è una canzone di Gino Paoli del 1991. Il brano, uno dei suoi maggiori successi, racconta le ambizioni, i sogni e le speranze di un gruppo di amici che crescendo scelgono la certezza di un lavoro fisso e una famiglia. Ma proprio quando gli amici se ne sono andati, arriva una nuova generazione di sognatori.
testo
Eravamo quattro amici al bar
che volevano cambiare il mondo,
destinati a qualche cosa in più
che a una donna ed un impiego in banca.
Si parlava con profondità di anarchia e di libertà,
tra un bicchier di coca ed un caffè
tiravi fuori i tuoi perché e proponevi i tuoi “farò…”.
Eravamo tre amici al bar
uno si è impiegato in una banca,
si può fare molto pure in tre
mentre gli altri se ne stanno a casa.
Si parlava in tutta onestà di individui e solidarietà
tra un bicchier di vino ed un caffè
tiravi fuori i tuoi perché e proponevi i tuoi “però…”.
Eravamo due amici al bar
uno è andato con la donna al mare,
i più forti però siamo noi
qui non serve mica essere in tanti.
Si parlava con tenacità di speranze e possibilità
tra un bicchier di whisky ed un caffè
tiravi fuori i tuoi perché e proponevi i tuoi “sarà…”.
Son rimasto io da solo al bar
gli altri sono tutti quanti a casa
e quest’oggi verso le tre son venuti quattro ragazzini
son seduti lì vicino a me con davanti due coche e due caffè,
li sentivo chiacchierare han deciso di cambiare
tutto questo mondo che non va.
Sono qui con quattro amici al bar
che hanno voglia di cambiare il mondo.
definizione di amicizia in Treccani
amicizia Vivo e scambievole affetto fra due o più persone, ispirato in genere da affinità di sentimenti e da reciproca stima. Nella filosofia greca il termine a. (ϕιλία) si incontra dapprima come concetto fisico in Empedocle con il significato di forza cosmica, e insieme anche di divinità, che spinge in armonica unità gli elementi (aria, acqua, terra, fuoco). Come concetto etico, l’a. nelle prime determinazioni datene dai pensatori antichi (e particolarmente da Platone nel Liside) non veniva ancora nettamente distinta dal concetto dell’ἔρως, cioè dell’amore, della tendenza affettiva in genere. Una prima delimitazione del concetto fu data da Aristotele, che definì l’a. come amore di benevolenza (per cui l’amante vuole, non il bene proprio, come nell’amore di concupiscenza, ma quello dell’amato), caratterizzato altresì dalla reciprocità e dal ‘convivere’, cioè dalla comunanza di ideali e di vita. Dopo Aristotele, il tema fu largamente sviluppato, specie dai peripatetici, dagli stoici e dagli epicurei. All’argomento è dedicata una delle operette filosofiche di Cicerone, il Laelius. Il concetto dell’a. sulla base della definizione aristotelica è stato assunto dal cristianesimo e insieme elevato: al disopra dell’a. naturale e umana vi è quella cristiana, fondata sull’amore fraterno che congiunge gli uomini fra loro e con Dio, Padre comune. Secondo una concezione già manifesta nella Bibbia (dove Abramo è detto «amico di Dio» e questi parla a Mosè come a un amico e Gesù chiama amici, non servi, i discepoli) e che ha risonanze anche fuori del cristianesimo (Filone, mandeismo, manicheismo), esiste inoltre un’a. soprannaturale, divina. S. Tommaso, sviluppando concetti aristotelici e cristiano-neoplatonici (pseudo-Dionigi Areopagita), vede in essa l’essenza della carità infusa, in quanto questa implica la benevolenza mutua tra il giusto, che vuole la gloria di Dio, e Dio che vuole il bene del giusto e gli conferisce la grazia santificante, per cui potrà vedere Dio faccia a faccia. Questa concezione venne fatta propria specialmente dai domenicani tedeschi e acquistò un’importanza speciale nella mistica tedesca del sec. 14°, tra i gruppi degli Amici di Dio.
definizione della parola amicizia nel dizionario Garzanti
1. legame tra persone basato su affinità di sentimenti, schiettezza, disinteresse e reciproca stima: rapporto di amicizia; fare, stringere amicizia con qualcuno; rompere, troncare l’amicizia; amicizia interessata, che mira a un utile, non sincera | buone relazioni: l’amicizia tra due paesi, stati, nazioni | (prov.) patti chiari, amicizia lunga
2. relazione amorosa (quando non la si vuole nominare in modo esplicito)
3. (spec. pl.) persona con cui si ha un legame di amicizia: la cerchia delle amicizie | persona, specialmente influente, con cui si ha una relazione sociale e che può tornare utile: avere amicizie nella magistratura
Etimologia: ← dal lat. amicitĭa(m), deriv. di amīcus ‘amico’.
Amicizia tra Svevo e Joyce
L'amicizia tra Svevo e Joyce nacque da circostanze del tutto casuali. Infatti
Joyce, esule dalla sua Irlanda, insegnava a Trieste presso la Berlitz School, e Svevo prese da lui lezioni di inglese, lingua di cui aveva bisogno per i suoi
viaggi e le esigenze commerciali della fabbrica di vernici del suocero in cui
lavorava.
Per Joyce “fu un sollievo immenso, nella noia mortale dell'insegnamento, trovare almeno un alunno con cui poter conversare”. Quelle lezioni si trasformarono ben presto in discussioni letterariei. Pertanto, durante le visite a casa di Svevo, lo scrittore irlandese non disdegnò di parlare dei suoi progetti letterari e Svevo ben presto potè così leggere e ammirare alcune sue opere. In quello stesso autunno anche Svevo sottopose al giudizio di Joyce i suoi primi due romanzi Una vita e Senilità, pubblicati senza successo alcuni anni prima. Joyce li apprezzò tanto da incitare il triestino a proseguire nella scrittura letteraria. Fu probabilmente grazie
agli incoraggiamenti di Joyce che Svevo portò a termine La coscieza di Zeno e che reagì all'indifferenza con cui l'universo letterario italiano accolse anche il suo terzo romanzo. Convinto della bontà della sua opera, spedì una copia all'amico che la guerra aveva costretto a soggiornare in Francia. Questi fece conoscere l'opera ai suoi amici francesi i quali, anche sulla base della pubblicità dell'inglese, rimasero affascinati da quest'ultima opera e ne proposero a Svevo una pubblicazione in francese. Nel giro di pochi mesi il nome di Svevo cominciò a circolare sempre più frequentemente nei circoli culturali francesi e europei.
Joyce, esule dalla sua Irlanda, insegnava a Trieste presso la Berlitz School, e Svevo prese da lui lezioni di inglese, lingua di cui aveva bisogno per i suoi
viaggi e le esigenze commerciali della fabbrica di vernici del suocero in cui
lavorava.
Per Joyce “fu un sollievo immenso, nella noia mortale dell'insegnamento, trovare almeno un alunno con cui poter conversare”. Quelle lezioni si trasformarono ben presto in discussioni letterariei. Pertanto, durante le visite a casa di Svevo, lo scrittore irlandese non disdegnò di parlare dei suoi progetti letterari e Svevo ben presto potè così leggere e ammirare alcune sue opere. In quello stesso autunno anche Svevo sottopose al giudizio di Joyce i suoi primi due romanzi Una vita e Senilità, pubblicati senza successo alcuni anni prima. Joyce li apprezzò tanto da incitare il triestino a proseguire nella scrittura letteraria. Fu probabilmente grazie
agli incoraggiamenti di Joyce che Svevo portò a termine La coscieza di Zeno e che reagì all'indifferenza con cui l'universo letterario italiano accolse anche il suo terzo romanzo. Convinto della bontà della sua opera, spedì una copia all'amico che la guerra aveva costretto a soggiornare in Francia. Questi fece conoscere l'opera ai suoi amici francesi i quali, anche sulla base della pubblicità dell'inglese, rimasero affascinati da quest'ultima opera e ne proposero a Svevo una pubblicazione in francese. Nel giro di pochi mesi il nome di Svevo cominciò a circolare sempre più frequentemente nei circoli culturali francesi e europei.
Cesare Pavese
A me piace parlare con Nuto; adesso siamo uomini e ci conosciamo; ma prima, ai tempi della Mora, del
lavoro in cascina, lui che ha tre anni più di me sapeva già fischiare e suonare la chitarra, era cercato e ascol-
tato, ragionava coi grandi, con noi ragazzi, strizzava l’occhio alle donne. Già allora gli andavo dietro e alle
volte scappavo dai beni per correre con lui nella riva o dentro il Belbo, a caccia di nidi. Lui mi diceva come
fare per essere rispettato alla Mora; poi la sera veniva in cortile a vegliare con noi della cascina.
C. Pavese,La luna e i falò 1950
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