Studenti più soli ma la scuola a distanza piace agli italiani
La maggior parte dei cittadini è favorevole all’insegnamento da remoto, ma così i ragazzi perdono il legame sociale
Ilvo Diamanti
Il Covid sta cambiando la nostra vita e il mondo intorno a noi. È una considerazione ovvia. Io stesso l’ho espressa in diverse occasioni, su Repubblica . Eppure, continuo a ripeterlo, anzitutto a me stesso. Ogni volta che mi trovo ad affrontare questioni di importanza prioritaria. Come la scuola. L’istituzione a cui sono affidati il nostro sistema educativo, la promozione della ricerca e della conoscenza. Ma, al tempo stesso, forse: ancor prima, luogo di socializzazione. Perché a scuola si formano amicizie e relazioni che attraversano la nostra vita. Infatti, penso che tutti noi abbiamo amici incontrati durante il periodo scolastico. In particolare, alle “superiori”. Una fase biografica che orienta la nostra personalità. Anche per questo i provvedimenti del governo che prevedono la “Didattica a Distanza” (DaD) alle “superiori” appaiono importanti. Perché incidono sul presente e, ancor più, sul futuro della nostra società. Tito Boeri e Roberto Perotti, nei giorni scorsi, sulle pagine di questo giornale, hanno sottolineato come la chiusura delle scuole, insieme alla DaD, accentueranno, inevitabilmente, le diseguaglianze nell’apprendimento. Soprattutto a svantaggio degli studenti che appartengono a famiglie di ceto — e con livello di istruzione — più basso. Si tratta di un effetto di-mostrato da alcune ricerche condotte in Europa. Fra l’altro, in Germania, Belgio e Olanda. Mentre in Italia un’indagine condotta dal Censis, nello scorso aprile, mostra come vi sia un divario significativo, nell’accesso alla DaD, a svantaggio degli studenti del Mezzogiorno. Un’indagine recente, condotta nelle scorse settimane da Demos per Repubblica sull’atteggiamento degli italiani verso la DaD alle “superiori”, sottolinea, però, come la diffusione di questa pratica non preoccupi i cittadini. Al contrario. Quasi i due terzi del campione intervistato (rappresentativo dell’intera popolazione) esprime, infatti, un giudizio “positivo” di questa tecnica, che permette di condurre e seguire le lezioni “a distanza”. Appunto. Ciascuno a casa propria. Da solo. Come, dall’altra parte dello schermo e del collegamento, il professore. Si tratta, peraltro, di un orientamento generalizzato. Attraversa tutte le fasce d’età e tutte le categorie sociali. Anche se le persone direttamente interessate alla questione, cioè gli studenti delle superiori, costituiscono una piccola frazione del campione. Tuttavia, la DaD viene svolta anche altrove. In particolare: all’Università (lo dico per esperienza diretta). E sono, probabilmente, molte le persone intervistate che hanno figli adolescenti. Studenti alle superiori o all’università. Per questo è significativo osservare come la DaD ottenga maggior favore proprio fra le categorie maggiormente coinvolte. Anzitutto: gli studenti. E, comunque, fra le persone con un livello di istruzione elevato: medio-alto. Peraltro, il giudizio risulta molto positivo anche fra gli operai. I quali, spesso, hanno figli che studiano.
È probabile, dunque, che le ragioni a sostegno di questo metodo di insegnamento siano diverse. Anzitutto, la preoccupazione generata dal Covid, che spinge tutti, in misura più o meno elevata, a limitare i contatti con persone esterne alla cerchia familiare. Per limitare i rischi di contagio. E la scuola è, sicuramente, un luogo di contatto. In ambienti, talora, non adeguati, per carenza di aule che permettano di mantenere le distanze di sicurezza. Una preoccupazione che coinvolge i giovani, gli studenti. Ma anche le loro famiglie.
Naturalmente, la DaD richiede strumenti, tecnologie e competenze digitali non sempre diffusi in modo omogeneo. Per questo l’età e il livello d’istruzione costituiscono condizioni favorevoli, anche se non necessarie.
Tuttavia, è significativo osservare come la scuola mantenga, fra gli italiani, un livello di fiducia elevato. Anzi: maggioritario (superiore al 50%). La DaD, peraltro, appare tanto più apprezzata quanto maggiore è la fiducia verso la scuola. E ciò suggerisce come il valore dell’insegnamento prevalga su altre valutazioni. Proprio per questo, però, è opportuno qualche avvertenza. Perché, come si è detto, la scuola non è solo luogo di insegnamento. Ma di socialità. Di incontro. Di relazioni. Con altri studenti, con altri giovani. E con altre figure meno giovani. Con i docenti. Infatti, a scuola si va per apprendere. Testi, metodi, storie e storia. E per conoscere gli altri. Persone, non solo docenti e studenti. La “scuola a distanza”, per quanto utile (e, in questa fase, necessaria), ci abitua ad agire e a vivere “da soli”. Sostituendo il “digitale” al “contatto personale”. Con il rischio di costruire una società di “persone sole”. E “da soli” è difficile essere felici. Di certo, il “distanziamento” annuncia il “declino” del “legame sociale”. Cioè, della società. Il ritorno della didattica in presenza, previsto a partire dal prossimo gennaio, dunque, è opportuno. Per contrastare il Virus della solitudine. A condizione, ovviamente, di non liberare…il Corona-Virus.
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