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venerdì 19 gennaio 2018

Il linguaggio della moda: Abbigliamento e identità

L'abbigliamento, inteso come sistema di costanti e variabili di una comunità, un gruppo o una classe, costituisce un vero e proprio codice che può essere interpretato alla luce di valenze economiche, simboliche, politiche e stilistiche diversamente connotate nel tempo, nello spazio e nel sociale.
Già il Castiglione nel 1528 indicava la scelta dell'abbigliamento in funzione di quel che si intende sembrare e farsi riconoscere come tale da coloro che non hanno la possibilità di ascoltare né di vedere in azione una data persona. Tuttavia soltanto alla fine del 18 secolo e agli inizi del 19 secolo, in tutta Europa, si verificano grossi cambiamenti nel settore del vestiario. In quel periodo nascono le riviste di moda, un'industria tessile molto importante, le innovazioni tecniche come la macchina da cucire e la meccanizzazione dei prodotti, la nascita dei grandi magazzini e della grande distribuzione. La creazione dei nuovi circuiti economici favoriti dalla rivalutazione del lusso e dall'impatto dei media si poteva capire con la nascita di periodici come quello milanese " Il Corriere delle dame" nel 1820.
Per quel che riguarda l'analisi dell'abito come marcatore sociale e culturale occorre risalire alla fine dell'Ottocento ed inizio Novecento con alcuni pensatori quali George Simmel sulla moda intesa come " forma di vita in cui la tendenza all'eguaglianza sociale e quella alla differenziazione individuale si compongono in un fare unitario".
L'analisi dei ritratti in forma verbale presenti nei testi letterati comincia con Carlo Merkel con il libro "Come vestivano gli uomini del Decamerone" ( 1898) in cui si illustra come ogni singolo indumento ci raccontava dello status sociale d'ogni personaggio. Tutti questi indumenti ritraggono il povero come il ricco, il vanitoso, il matto e il savio, inserendo i loro dati in una quantità di episodi che li vivificano e ci rappresentano il costume in azione ( Merkel, 1898).
E' stato messo in evidenza da Eco come a discapito del proverbio " l'abito fa il monaco" e che " l'elmo fa l'eroe" sono tutte manifestazioni di moda nel vivere quotidiano. Ad esempio solo attraverso lo studio dei vestiti dominanti a Venezia del Cinquecento si può capire l'impiego sfrenato dell'oro nei tessuti.
Nel contesto odierno si deve cercare nelle pubblicità e nei videogiochi, senza menzionare il ruolo del cinema hollywoodiano nel creare mode tra i più giovani sin dagli anni 50 del secolo scorso.
Dagli studi della semiotica, sappiamo che il vestito costituisce un codice autonomo, ossia un sistema di segni con le proprie regole. I vestiti possono essere analizzati sul piano morfologico e strutturale come sarà il caso con il Total Look di Coco Chanel compiuta da Floch ( 1995) in cui si possono individuare i tratti classici e barocchi nel vestito con il " lineare" in opposizione a " pittorico", piano a profondo, forma chiusa a forma aperta, molteplicità a unità, chiarezza a oscurità. Ne risulterebbe che i marcatori delle tasche delle giacche Chanel in quanto segni della fine del testo siano leggibili come elementi classici ma in commistione con tratti barocchi, quali gli accessori dorati, con le decorazioni floreali o le borse. Altrettanto interessanti sono i lavori sulle acconciature intese come elemento strutturale di tipo cromatico, sintattico, simbolico e pragmatico in grado di parlare alla luce di alcune manipolazioni involontarie\volontarie, statiche\dinamiche, biologiche\culturali. Tutti conosciamo dai testi di Walt Disney, il ruolo dei capei d'oro come connessi alla luce, e dunque al divino e all'astratto, mentre quelli neri sono stati correlati all'ombra, al pauroso e al concreto; i rossi al fuoco e al pericolo.
Anche se si possono nutrire dei dubbi su queste interpretazioni degli abiti rimane attendibile la posizione hegeliana dove l'indumento è visto come il tramite per assicurare il passaggio dal sensibile al senso, la trasformazione del corpo in messaggio. Se pensiamo alle camice rosse e le camicie nere, i colletti blu, le tute blu, l'eskimo dei sessantottini e i cappottoni dei poliziotti, voltagabbana, le bandane, black block. Nel mondo musulmano il colore di riferimento è il verde mentre l'arancione diventa il colore dei prigionieri di Guantanamo. Il vestiario diventa sempre più importante dal punto di vista interculturale in termini di distinzione di un gruppo da un altro, da altre sette religiose, dalle comunità immigrate.

Veste linguistica e identità vestiarie

Il processo di unificazione europea e di profonda globalizzazione dell'umanità non consente una comprensione del codice dell'abbigliamento inteso come triade di segni, simboli ed emblemi ( Barthes, 1967). In questo contesto è difficile rintracciare marche precise di identità culturale così come decodificarle. Inoltre sul piano linguistico, la questione è ancora più complicata perché i media tendono a strani ibridismi con un linguaggio " della moda" diverso da uno "sulla moda" e " dalla moda". Il linguaggio della moda italiana si colloca nel solco di un'omogeneità liquida di tipo postmoderna per dirla alla Bauman ( 2000). Il fenomeno della moda sembra un fenomeno frutto della sintesi di due tendenze opposte: il bisogno di uguaglianza sociale e quello di differenziazione individuale. Da qui sembra inevitabile che il lessico della moda sembri un assemblaggio di molte stratificazioni nel tempo già molto prima che gli stilisti parlassero di puzzle look o di stile multietnico ( Kenzo) o di afro-eleganza ( Iceberg) con lo scopo di evidenziare la predilezione per l'ibridità di tradizioni vestimentarie e stili decorativi molto diversi. Nel sistema linguistico si sarebbe passati da un tipo di classificazione incentrata sulla funzione protettiva del guardaroba individuale e collettivo, ad uno che ne focalizza la struttura e la funzione deformativa. Il primo elemento identitario nell'abbigliarsi narra il passaggio dal vestimento al travestimento. Come prova di questo passaggio si potrebbe citare la dismissione degli abiti di San Francesco, intesa come "degré zero" di una comunicazione invece ricca di d'orpelli o il caso della tipizzazione delle maschere nella commedia dell'arte, ossia un unicum per il numero di esempi di personaggi e per il ruolo di modello svolto per secoli in tutta Europa. Nell'ambito del vestiario si fa molto ricorso ad elementi linguistici alterativi con funzione derivativi come ad esempio:
- il diminutivo o accrescitivo come elementi non solo connessi con la dimensione " grande\piccolo" come in " vestito\vestitino| vestitone; borsa\borsetta\borsona| ma anche al tratto di leggerezza come in ( bolero\bolerino, golfino\ lana\ lanetta) cappottino\one; in questi casi le forme valutative indicano il tessuto leggero o pesante; o all'ampiezza della decorazione come in rigatino come tessuto sottile e non legato alla dimensione della persona che indossa tale capo d'abbigliamento.
- molti sono i nomi delle parti del corpo tipo colletto, orecchino, polsino; o spolverino come soprabito per ripararsi nel viaggio dalla polvere; o il citato davantino come pezzo di stoffa applicato sul petto di abiti femminili;
- spesso il il genere del nome cambia quando riferito al vestiario come nel caso di ( mantello per mantellina; crine in crinolina; petto in pettorina; spesso anche dal femminile al maschile come in borsa\borsello; camicia\giacchetto\ giacchettino; giubba\ giubbone\ giubbetto; gonna\gonnello\gonnellino\ gonnellone; maglia\maglione; mutande\ mutandoni; piuma\ piumino; scarpa\ scarpone\ scarponcino.

Nella formazione delle parole della moda risultano impiegati altrettanto spesso alcuni tipi di prefissi. Si pensi ad esempio ad antifiamma, antifreddo, antipiega, antimacchia, sopraveste, sopramanica, sottogonna, sottoveste o monomarca o monopetto o doppiopetto, miniabito, minicappotto, maxicardigan, maxicappotto, maxigonna, extracorto, extralungo, extrasottile. Quest'ultimi provengono dall'influsso del linguaggio pubblicitario e da calchi quali extrasmall o extralarge.
Molto produttiva è la coppia Verbo+Nome come in copricapo, copricostume, passamontagna, passamano, passanastro, prendisole, reggicalze, reggiseno, scaldamuscoli; Aggettivo+nome come in doppiopetto, frescolana, dolcevita; Nome+ nome come in abito-mantello, abito-pullover, borsa-cono gelato, cappotto-vestaglia, capospalla, gonna-pantalone, abito-fantasia, spinapesce.

Le trame iconico-verbali in cui si trovano i termini della moda sono caratterizzati in prevalenza da alte strutture nominali. In questi testi ricorrono molti deittici, l'accumulo di aggettivi ridondanti e di strutture asindetiche.

L'identità ipse e il made in Italy fuori dall'Italia

Le fasi di maggiore rilievo per identificare il vestiario come forma di vita " italiana" in opposizione al costume regionale e contadino e all'abito straniero sono fondamentalmente tre: la prima è del periodo del quattro-cinquecento che Leonardo chiamò " belle fogge e pazze invenzioni"; la seconda riguarda la nascita di un'uniforme nazionale; infine si colloca il periodo del boom economico in cui si designano i grandi marchi dell'alta sartoria del made in Italy.
Questi vestiti all'inizio distinguevano l'assetto sociale dell'epoca con l'ausilio del vestiario d'uomini ( religiosi, laici, militari, nobili, baroni, magistrati, rettori, mercanti, cittadini, contadini, facchini, cestaruoli, mendicanti) e di donne come ( gentildonne, mogli, donzelle da maritare, cortigiane, meretrici, nobili, borghesi, popolane, artigiane, contadine, serve, fantesche, ortolane, orfanelle, pinzocchere).
In seguito, il linguaggio della moda subirà grandi modificazioni fra Ottocento e Novecento con una vera e propria rivoluzione nell'abbigliamento femminile: gli abiti e le gonne sono indossati per enfatizzare il movimento del corpo e l'estensione dell'io corporeo.
Pensando ai grandi stilisti italiani è possibile rivedere nel rosso Valentino un po' la storia di quel rosso pompeiano, negli abiti di Pucci si ritrovano i colori delle contrade di Siena, nei vestiti di Ferré si rivedono i colori delle pietre di molti edifici italiani, nelle donne di nero di Dolce e Gabbana si rivedono le donne portatrici d'acqua del sud fino a giungere alla moda che non si vede di Armani.
Annullata la moda restano il gusto, l'eleganza e l'alta qualità di prodotti non riproducibili in serie.
Certo oggi le metafore del vestiario hanno perso la loro forza evocativa e simbolica-sociale per lasciare lo spazio della narratività dell'abito a quella del corpo, all'uso dei tatuaggi e piercing e dunque non segue più strategie verbali quanto iconiche e gestuali. Resta il fatto che l'alta sartoria italiana è riuscita ad abitare la " provincia del grande impero" mantenendo la sua identità. La dimostrazione del ruolo del made in Italy nella moda si può intuire con la forte contraffazioni dei vestiti all'italiana come forma di identificazione con tutto ciò che è elegante ed esclusivo.





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