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venerdì 26 gennaio 2018

Lingua e pensiero

Il tema della lingua legato al concetto di pensiero rientra nella difficoltà di circoscrivere bene la sua reale natura. Storicamente si sono affrontate due posizioni filosofiche:
- l'universalismo
- e il relativismo

L'universalismo, nato con Platone e Cartesio, Spinoza, Leibniz e Kant, sostiene che per capacità innate ragioniamo tutti allo stesso modo e che il pensiero informa la lingua.
Dall'altra parte si trova il relativismo, con autori quali Locke, Berkeley, Hume, che nega l'innatismo delle categorie mentali e sostiene invece che la conoscenza viene acquisita attraverso l'esperienza. Pertanto se l'esperienza è diversa sarà diverso il modo di pensare. I maggiori sostenitori di questa tesi saranno Edward Sapir e Whorf. Sapir afferma ( 1949):

è un'illusione immaginare che uno si adatti alla realtà senza l'uso della lingua e che la lingua sia meramente un mezzo incidentale per risolvere specifici problemi di comunicazione. Il fatto è che " il mondo reale" è in larga misura costruito sulle abitudini linguistiche del gruppo. Nessuna lingua è sufficientemente simile ad un'altra per essere considerata rappresentante della stessa realtà. I mondi in cui vivono società diverse sono mondi distinti, non meramente lo stesso mondo con attaccate diverse etichette.

Per Whorf ( 1956) il principio della relatività linguistica vuol dire, in termini informali, che gli utenti di grammatiche marcatamente diverse vengono indirizzati dalle loro grammatiche verso tipi diversi di osservazioni e valutazioni diverse di atti di osservazione esternamente simili, e dunque non sono equivalenti come osservatori ma devono arrivare a interpretazioni diverse del mondo.

Ideologicamente, dal momento che il diverso tende ad essere interpretato in termini di dominanza-subalternità, la posizione universalista e relativista si contrappongono spesso radicalmente nel bene e nel male. Il lato positivo dell'universalismo può garantire l'uguaglianza, glissare sulle differenze e risultare democraticamente rispettose di tutte le culture. Negativamente può spiegare le differenze in termini di attesa del raggiungimento del progresso da parte di coloro che sono esclusi in questo momento. Per antropologi come Hill e Mannheim ( 1992) si può parlare di " un universalismo ingenuo e razzista, e un evoluzionismo altrettanto volgare in antropologia e storia".
Questo modello è molto presente nella cultura occidentale nei riguardi dei popoli primitivi o da parte dell'alta cultura " colta" verso la cultura di massa " ignorante".
Il relativismo sembra positivamente rispettare le differenze ma negativamente rischia con il suo lato incommensurabile spingere all'incomunicabilità tra le culture data l'impossibilità di intendersi l'una con l'altra. Questo modello oggi rischia di convalidare ed esaltare per partito preso ogni forma di diversità. Pertanto un conto è filosoficamente capire e rispettare come gli altri pensano, sentono e agiscono, un conto è indiscriminatamente giustificare valori e pratiche e condonare tutto.
In modo pratico prevale la versione debole del relativismo come osserva Kramsch prevale una versione debole del relativismo declinata in questo modo:

- la traduzione da una lingua all'altra è possibile, anche se è vero che nelle sfumature dei significati qualcosa può andare perduto;
- numerosi individui multilingui conoscono le proprie lingue in modo de-etnicizzato, e cioè non deterministicamente legato ad una particolare collettività.
- con la crescente mobilità nel mondo globale diventa sempre più difficile sostenere che tutti i membri di una cultura nazionale o peggio ancora, tutti i parlanti di una lingua sovranazionale pensino alla stessa maniera.

La versione debole del relativismo sostiene che solo alcune categorie mentali più generali e astratte sono innate ma che la forma effettiva con cui vengono realizzate sono il risultato dell'esperienza.
Molto utile sarà di stabilire quale sia l'impatto della lingua sul pensiero in termini cognitivi, dato che la rappresentazione mentale della realtà dipende dalla nostra cognizione e tenendo presente che la cultura rappresenta la programmazione mentale e quindi parlare di pensiero significa parlare di cultura. Molto interesse per il campo della relatività linguistica è ricaduto sul lessico notando come alcune lingue ipodifferenziano o iperdifferenziano rispetto ad altre. Per esempio in hopi la parola " masa'ytaka" significa qualcosa che vola eccetto l'uccello e include significati quali " insetto, aeroplano, pilota, aquilone". In pintupi, una lingua arborigena dell'Australia, ci sono molte parole per designare un buco:

yarla  = buco in un oggetto
pirti = buco nel terreno
kartalpa = buco piccolo nel terreno
pirnki = buco in una lastra rocciosa
yulpilpa = buco poco profondo in cui vivono le formiche
mutare = buco speciale in una lancia
nyarrkalpa= covo cunicolare di animale piccolo
pulpa= covo di coniglio
makarnpa = covo di iguana
katarta= buco lasciato da un'iguana quando esce dopo l'ibernazione

Da questo esempio emerge la possibilità di tradurre dal pintupi ma con la necessità di usare più parole per dire la stessa cosa. Lo stesso discorso vale per categorie grammaticali come i pronomi in bislama che possiede sei morfologizzazioni del pronome noi:

mitufala = noi due senza di te
mitrifala = noi tre senza di te
yumitu = noi due, io e te
mifala = noi e non voi
yumitri = noi tre, io, te e lui
yumi = noi tutti, senza distinzione

Oppure si pensi all'ordine inglese STOP che può tradursi come fermati vs fermatevi, dovere scegliere  tra il tu e il lei con fermati o si fermi, fermatevi o si fermino.
Per compiere questi studi di linguistica cognitiva è necessario esplicitare quali aspetti linguistici sono significativi per il pensiero e combinare aspetti grammaticali ben definiti con rigorose dimostrazioni di fenomeni cognitivi chiaramente distinti di percezione, classificazione e memoria.

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