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venerdì 19 gennaio 2018

La lingua nel Ventennio fascista.

I diversi ingredienti della retorica mussoliniana traggono la loro linfa dall'esperienza della Prima Guerra mondiale con la costruzione dei miti della vittoria mutilata e della nazione proletaria ( formula usata da Corradini e Pascoli per l'impresa in Libia). Durante la sua militanza socialista e rivoluzionaria, Mussolini apprende le tecniche oratorie del D'Annunzio di tipo fiumano popolarizzando ed assorbendo il lessico socialista per poi svuotarlo di senso con il trascorrere del tempo. La pratica giornalistica educa Mussolini ad una sintassi paratattica e giustappositiva, con l'uso dello stile epigrafico di Alfredo Oriani che si presta ad una comunicazione persuasiva in cui si uniscono emotività e argomentazione razionali. Mussolini nella sua retorica discorsiva predilige l'enfasi degli slogan lapidari, in cui ritmo e suggestione eufonica (assonanze, alliterazioni e ripetizioni) hanno la funzione di ipnotizzare l'uditorio, grazie all'uso dell'intonazione, con pause teatrali e stacchi fra le frasi; i campi semantici del magnetismo, del vitalismo e della virilità si accompagnano all'insistenza sulla forza e sulla grandezza; massiccio l'uso delle metafore militari, religiose e medico-chirurgiche. Queste ultime vengono adoperate per parlare degli avversari con disprezzo, come quando definisce i socialisti con i termini " di impotenza senile con fenomeni di atassia locomotrice". Queste metafore saranno usate contro gli israeliti come " parassiti", " lue" che producono effetti " esiziali" sull'Italia. Quest'esibizione lessicale ha uno scopo solo di tipo polemico mentre solitamente la prosa di Mussolini è scarna di tecnicismi ed incline alla vaghezza e alla ripetizione ossessiva di poche parole d'ordine. Dal punto di vista pragmatico, Mussolini tende ad adattare il discorso alle circostanze, a far emergere la propria personalità di capo politico e di uomo e cerca di stringere con il destinatario, con l'uso dei pronomi e altri deittici, un contratto fiduciario dalla forte potenza persuasiva ( Desideri, 1984). Mussolini approfitta della crisi della democrazia liberale e dell'aspirazione delle masse ad essere guidate da uomini nuovi, da superuomini che incarnino l'ideale romantico del genio e dell'eroe e insiste sui motivi di rigenerazione e della rinascita della nuova Italia fascista. Il suo lessico preferisce l'affissazione espressiva: da riformaiolo ad ultrascemo, a borghesoide ( -oide è di derivazione medica), a intimidatorio, da partitante a pantofolaio, anche in accumulazione ( demo-pluto-giudaico); uso dei prefissi - in ( incoercibile, indistruttibile). Mussolini predilige forme arcaiche quali abitatore per abitante, combattitore per combattente o periglio per pericolo, rurale per contadino o artiere per operaio.
Il fascismo farà un uso attento e ossessivo dei media come la stampa, la radio, il cinema e letteratura d'evasione che diffondono in modo capillare il verbo totalitario con l'obiettivo di fascistizzare le nuove generazioni. Nello stesso periodo si compie intanto la riforma Gentile nella scuola con l'imposizione di un testo unico nelle scuole, dove gli esempi sono tratti dai discorsi del duce. Il buon italiano diventa il buon fascista e tale identificazione al buon italiano rimarrà anche dopo la caduta del fascismo. I riti e simboli fascisti s'innestano sul fondo risorgimentale con l'uso ossessivo del tricolore nei luoghi pubblici e con l'istituzione di nuovi appuntamenti nazionali. Il fascismo crea il mito del capo. Infatti, pochi mesi dopo la chiamata al potere, il duce gira per l'Italia visitando le regioni e le città ignorate dai suoi predecessori gestendo in modo sapiente il contatto diretto con la gente suscitando correnti spontanee di simpatia che toccano punte di fanatismo. In un discorso di Mussolini del 19 Giugno 1923 a Cremona il duce parlava in questo modo " sono della vostra razza, ho lo stesso vostro sangue, le vostre virtù e naturalmente i vostri stessi difetti. Appunto per questo si stabilisce fra noi la perfetta comunione degli spiriti; basta che io vi chiami, perché dalle città e dai casolari un coro unanime risponda: " Presente!".
Il termine duce per parlare della figura carismatica risale già nel periodo tra il 1912 e 1915 da parte dei suoi sostenitori. Si forma una sorte di amore " ardente", di fedeltà che sconfina nella fede ( cieca, assoluta) alimentata dall'uso della tradizione cristiana popolare e sviluppando una religione dello Stato che non sarà mai esplicitamente in conflitto con la chiesa. Il richiamo ai motivi di sangue, con cui è stato " creato l'impero" della spada lucente e del sacro destino che ha spinto l'Italia in guerra rinnovano la sanguinosa simbologia che ha percorso l'Europa sin dagli ultimi decenni dell'Ottocento, culminando nel macello della Grande guerra. Nel discorso dell'impero avviene il recupero del lessico romano con i suoi " legionari, gladio, littorio" che filtra anche nella vita quotidiana dai Littoriali alla littorina con l'ausilio di una vivace creazione di nuovi toponomi.
L'ultima fase del conflitto, con un morente regime, la repubblica sociale, le deportazioni e le stragi naziste, ha segnato questa memoria divisa dell'Italia della ricostruzione e poi del miracolo economico cercando di rimuovere o nascondere la guerra delle parole. Tale divisione, tipica del lessico politico di guerra, s'avverte persino negli appellativi presenti nei due schieramenti: i partigiani per una parte sono ribelli o patrioti e per l'altro schieramento sono dei fuorilegge; Radio Londra parla di repubblichini per parlare dei fascisti di Salò, riformulando in senso polemico o ironico gli stereotipi nazifascisti, sancisce l'uso della resistenza come termine per parlare di un nuovo Risorgimento e conquista un largo uditorio grazie ad una comunicazione tranquilla, confidenziale e chiara nel tessuto argomentativo.

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