La lingua e la cultura sembrano avere un nesso evidente ma la sua dimensione resta sempre molto difficile da determinare. Per rendere questa operazione possibile si cercherà di capire bene cosa sia la cultura nel suo senso più ampio possibile.
Williams ( 1981) ha definito la cultura come l'intero modo di vivere di un popolo rifacendosi alla definizione classica di Edward Tylor ( 1871) dove:
la cultura, o civiltà, intesa nel suo senso etnografico, è quell'insieme complesso che include la conoscenza, le credenze, l'arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall'uomo come membro di una società.
In altri studiosi si è sottolineato il valore mentale e conoscitivo della cultura come nel caso di Goodenough ( 1964):
la cultura di una società consiste di qualunque cosa uno deve sapere o credere per operare in modo accettabile ai suoi membri... La cultura, essendo quello che la gente deve imparare, diverso dall'eredità biologica, deve consistere del prodotto finale dell'apprendimento: conoscenza nel senso più ampio possibile del termine.
Nel lavoro di Rossi-Landi ( 1973) si parla di cultura come concepita come sistema di mediazione tra l'uomo e l'ambiente in modo da recuperare una certa fisicità. Infatti tra l'uomo e il cibo troviamo la forchetta e anche la cucina. Tra l'uomo e la pioggia abbiamo un ombrello. Tra l'uomo e l'uomo ritroviamo il pensiero.
Nel lavoro di Bourdieu ( 1990) vediamo come la cultura non sia qualcosa di semplicemente presente nella mente umana, né qualcosa presente solo nei rituali o simboli della società, ma piuttosto la cultura sarebbe un "Habitus", ossia un sistema di disposizioni con una dimensione storica attraverso cui l'individuo partecipa in attività che gli permettono di sviluppare una serie di aspettative sul mondo e sul suo modo di stare al mondo avrebbe poi aggiunto Duranti ( 1997). In questo modo si vede un tentativo di pace tra il soggettivismo e l'oggettivismo che divide il mondo delle scienze sociali. L'attore umano soggetto della sua vita può esistere culturalmente e funzionare solo come partecipante in una serie di attività abituali e routinizzate dalla sua azione individuale.
Nel lavoro di Geertz ( 1987) la cultura viene concepita come un processo comunicativo in cui i soggetti agiscono su di un "testo" fatto di simboli e significati. In Clifford ( 1993), il concetto di cultura sarebbe un " predicament", ossia una specie di "imbroglio" non facile da sbrogliare ma di cui però non ci si può sbarazzare facilmente.
Il concetto di cultura enunciato precedentemente compie una breve rassegna storica del significato di questo concetto molto controverso. Secondo Fabietti ( 2004), il concetto di cultura resta valido se adoperato in modo dinamico, aperto, negoziale per meglio adattarsi alla realtà odierna fatta di numerose migrazioni e diaspore e per non assegnare diversità ben definite in mondo liquido.
Sicuramente il metodo di lavoro prediletto nel campo della comunicazione intercultura risulta essere la comparazione di orientamenti generali presenti nei vari paesi piuttosto che analisi di singoli elementi. Per questo genere di approccio si userà il modello di comprensione del fenomeno culturale di Geert Hofstede ( 2001) per la sua capacità di operazionalizzare contrastivamente alcune dimensioni culturali che meglio di altre sembrano prestarsi ad essere abbinate ad alcuni tratti pragmatici della lingua.
Nel lavoro di Hofstede (2001) la definizione di cultura è quella di programmazione collettiva della mente, in cui la " mente" va intesa come:
- la testa che pensa
- il cuore che sente
- mani che agiscono
Questa definizione implica delle conseguenze sul piano delle credenze, dei sentimenti e delle abilità.
Appare chiaro che la cultura non sia osservabile direttamente così come non lo sono i valori culturali, i quali sono i costrutti chiave del programma mentale. Quello che possiamo osservare sono le manifestazioni, i comportamenti, le pratiche di vita e da questi risalire alla programmazione.
Al centro per Hofstede si trovano i valori che rappresentano la tendenza nel preferire uno stato di cose piuttosto che un altro. I valori sono i fini a cui tendiamo e non sono mezzi per andare da qualche parte. Per tale motivo sono di natura polare come positivo o negativo, bene o male, bello o brutto, sicurezza vs pericolosità, razionalità vs irrazionalità, logico vs paradossale.
Questi poli hanno due proprietà: intensità e direzione.
Se prendiamo l'esempio di " possedere denaro" può essere un valore molto rilevante ( forte intensità) nel senso che possederne di più è positivo e possederne meno è negativo.
Per altre persone può variare sia l'intensità che la direzione: chi prende il Vangelo seriamente nutre nei confronti della ricchezza la stessa intensità forte in senso opposto per cui è negativo possederne ed è positivo non possederne. Per altri può essere irrilevante.
I valori non sono isolati ma creano un sistema di valore o gerarchie. Ad esempio il valore della libertà può essere in contrasto con il valore dell'eguaglianza e pertanto crea dei conflitti ed incertezze ideologiche e comportamentali. E' di cruciale importanza distinguere tra:
- valori desiderati, quelli cui effettivamente si aspira
- valori desiderabili, quelli cui si dovrebbe aspirare
Questa differenza è presente tra l'ideologia e la fattualità delle cose. Il desiderabile rientra nell'ideologico mentre il desiderato rientra nello specifico delle proprie scelte.
I valori sono osservabili solo se diventano delle pratiche rendendo visibile delle manifestazioni della cultura quali ad esempio:
- rituali
- eroi
- simboli
Il primo livello osservabile sono i rituali con le loro attività collettive tecnicamente inutili per raggiungere gli scopi desiderati ma che sono socialmente necessarie per tenere l'individuo legato alla collettività. Le cerimonie civili o religiose, i saluti hanno questa funzione. Il secondo strato è occupato dagli eroi, personaggi veri o immaginari, vivi o morti che posseggono tratti ambiti in quella cultura e offrono modelli di comportamento. Nella nostra cultura sono esempi Valentino Rossi, Madre Teresa e Asterix ad esempio. Al terzo strato troviamo i simboli, le parole, i gesti, oggetti i cui significati sono noti solo da chi condivide quella data cultura. Gli slogan, i vestiti o le bevande sono degli esempi di simboli. Se i simboli, eroi e riti sono visibili a tutti, il loro significato culturale è invisibile e interpretabile solo all'interno della cultura. I valori e le pratiche come sistemi costituiscono la cultura, ossia la programmazione collettiva della mente.
La stabilità di questo programma dipende da fattori ecologici, fisici e sociali che variano dalla forza della natura e dell'uomo così come le norme sociali portano al mantenimento delle istituzioni.
Gli elementi stabilizzanti della cultura sono per i fattori ecologici: la geografia di un paese, la sua storia, la sua demografia, il suo sistema di igiene, la sua alimentazione, la sua economia, tecnologia, urbanizzazione. Le norme sociali hanno il ruolo di rafforzare la famiglia, il sistema educativo, la religione, i sistemi politici e le leggi.
Per esempio, in Italia, il passaggio dal fascismo alla repubblica ha rappresentato un cambio radicale per le istituzioni mentre sul piano delle norme sociali è cambiato pochissimo. La stabilità culturale di un modello di società trova la sua spiegazione nella storia: " la cultura come programmazione della mente è anche cristalizzazione della storia nella testa, nel cuore e nelle mani della presente generazione" Hofstede (2001). Cambiare il comportamento risulta più semplice per i bambini mentre per gli adulti risulta più semplice cambiare comportamento piuttosto che modificare i propri valori.
Per rendere " operativo" il modello di Hofstede nel comparare il comportamento di persone provenienti da varie culture vengono identificate cinque dimensioni dove collocare le varie culture. Queste dimensioni corrispondono ai maggiori problemi che una società deve affrontare e ognuna dà risposte diverse.
La prima dimensione culturale è la distanza del potere, la quale considera quanto i membri meno potenti di una organizzazione, un ente o un'istituzione accettano e si aspettano che il potere sia distribuito in modo diseguale; vengono così messi a fuoco il grado di disuguaglianza con cui funziona una particolare società e la dipendenza emotiva dalle persone più potenti.
- la seconda dimensione culturale è l'evitamento dell'incertezza, la quale considera quanto una cultura programma nei suoi membri la tolleranza nei confronti di situazioni non strutturate, nuove, sconosciute, diverse, imprevedibili; viene così individuato il grado di controllo che una società cerca di esercitare su quanto è incontrollabile.
- la terza dimensione è l'individualismo, al contrario del collettivismo, considera il grado con cui l'individuo sa badare a se stesso o rimane integrato nel gruppo, costituito di solito dalla famiglia.
- la quarta dimensione è la maschilità che di contro alla femminilità considera la distribuzione tra i due generi dei ruoli emotivi; vengono così opposte " dure" le società maschili a "tenere" le società femminili.
- la quinta dimensione è l'orientamento temporale che considera quanto a lungo una cultura programma i propri membri ad accettare il differimento della gratificazione dei propri bisogni materiali, sociali ed emotivi.
Dai tanti dati raccolti si prenderanno le caratteristiche delle culture più individualistiche:
- riguardo alla personalità: la normalità sta nel confronto piuttosto che nella ricerca dell'armonia, e si è incoraggiati a esprimere la felicità piuttosto che la tristezza;
- in famiglia: i matrimoni sono basati sull'amore piuttosto che concordati, e si cerca la privacy piuttosto che la compagnia;
- in generale: si sottolineano l'attrazione per il divertimento piuttosto che il dovere, il senso di colpa piuttosto che il senso di vergogna.
Dopo questo esempio sarebbe utile, prima di concludere la trattazione sul concetto di cultura, l'introdurre tre questioni legate al tema della cultura:
- l'etnocentrismo
- il pregiudizio
- lo stereotipo
Quando si osserva una cultura diversa si compie sempre questa operazione partendo dal punto di vista della nostra cultura e questo implica un giudizio implicito sull'altra cultura. Solo la sospensione del giudizio fino a quando le differenze culturali non sono state capite nelle loro radici e nelle loro conseguenze possiamo evitare in parte il pregiudizio etnocentrico. Per evitare questo rischio, Hofstede consiglia di esporre il proprio lavoro al vaglio di altri studiosi che abbiano sistemi di valori diversi e di essere il più possibile espliciti sul proprio sistema di valori.
Un altro rischio in agguato è quello della stereotipizzazione, ossia un processo in cui vengono attribuite indiscriminatamente a tutti i membri di un gruppo le medesime caratteristiche, per esempio quando diciamo che i piemontesi sono cortesi ( cioè falsi) e i genovesi sono parsimoniosi ( cioè avari).
Quindi lo studio degli stereotipi, propri e degli altri, rientra nello studio di una cultura.
Questa breve rassegna rappresenta una panoramica storica sul tema sempre più centrale della cultura nel mondo fatto di individui che provengono da tanti luoghi diversi.
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