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venerdì 4 ottobre 2019

Introduzione al cinema italiano

Introduzione al cinema italiano dal periodo del fascismo agli anni novanta

Una breve introduzione del cinema italiano può iniziare con la segnalazione di due eventi che hanno dato un impulso cruciale per lo sviluppo del cinema italiano. Questi due eventi sono l’istituzione della Mostra di Venezia nel 1932 e la costruzione di Cinecittà nel 1937.

Il fascismo vede nel cinema una forma di promozione internazionale tramite i vari segnali di modernità tecnologica ( ad esempio come l'invenzione della radio di Marconi) presenti in tutti i film come in quel cinema denominato dei “telefoni bianchi. Il nome proviene dalla presenza di telefoni bianchi nelle sequenze di alcuni film prodotti in questo periodo, sintomatica di benessere sociale: uno status symbol atto a marcare la differenza dai telefoni neri, maggiormente diffusi.
Sono personaggi che si muovono all’interno di un ambiente ricco e spesso influenzato da mode straniere. Un incontro tra un ragazzo e una ragazza di ceti sociali diversi, con un happy-end ( finale a lieto fine) che sancisce la scalata sociale.

 Il regime non è interessato alla propaganda in senso stretto, quanto alla realizzazione di pellicole che possano competere con quelle hollywoodiane. A parte poche opere di propaganda come
Scipione l’Africano (1937) di Gallone la maggior parte dei film sono opere di intrattenimento, come le commedie di Camerini ( Gli uomini che mascalzoni, Grandi magazzini ). 
Verso la fine del ventennio su alcune riviste di cinema si comincia a discutere su un “ritorno a Verga”come elemento per segnalare i primi germi del neorealismo con dei film intitolati: "Quattro passi tra le nuvole  di Blasetti, I bambini ci guardano di De Sica e Ossessione di Visconti. 

Commedia dei telefoni bianchi


Le commedie dei telefoni bianchi intendono raffigurare delle scene eleganti per fare vedere un' Italia moderna in ambienti sofisticati, eleganti e colti.

Estratto dal film di propaganda fascista "Scipione l'Africano" con la retorica tipica dell'oratoria mussoliniana.


Luchino Visconti: Ossessione

A rompere ancor più recisamente gli indugi, ci pensa Luchino Visconti con "Ossessione" (1943), torrida trasposizione sulle rive del Po de "Il postino suona sempre due volte" di James M. Cain: irrompe qui, finalmente, sugli schermi, un'Italia vera, abitata dalla miseria e dalla disoccupazione, vessata da una polizia occhiuta e persecutoria. Passione, tradimento, morte scandiscono una storia raccontata senza infingimenti o timori: la censura s'impenna ancora una  volta, ed il film conosce - segnatamente nell'Italia del nord - problemi di circolazione. Ma la strada per una svolta epocale, oramai, è stata aperta.



Video con scene che esemplificano il contesto in cui si svolge questa relazione.

Rossellini : Roma città aperta

Si arriva così allo shock provocato dalla proiezione, il 26 settembre del 1945, di Roma città aperta di Rossellini, in un cineteatro romano, in cui si sancisce tradizionalmente la nascita ufficiale del neorealismo.Il movimento cesserà sette anni dopo, tra il 1952 e il 1953, e niente di precedente o successivo può essere considerato neorealista, a torto o a ragione. Il film si ispira alla storia vera di don Luigi Morosini, torturato e ucciso dai nazisti perché colluso con la Resistenza. Nella Roma del '43 e '44, si intrecciano le vicende di alcune persone, coinvolte nella Resistenza antinazista. Durante l'occupazione, don Pietro protegge i partigiani e, tra gli altri, offre asilo ad un ingegnere comunista: Manfredi. Nel frattempo, la popolana Pina, fidanzata con un tipografo impegnato nella Resistenza, viene uccisa a colpi di mitra sotto gli occhi del figlioletto mentre tenta d'impedire l'arresto del suo uomo, trascinato via su un camion. Poco più tardi, anche don Pietro e l'ingegnere - tradito quest'ultimo dalla propria ex-amante tossicodipendente - vengono arrestati. Manfredi muore sotto le atroci torture inflittegli dai tedeschi per ottenere i nomi dei suoi compagni della Resistenza. La sorte di Don Pietro è la stessa: il sacerdote viene fucilato davanti ai bambini della propria parrocchia, tra i quali il figlio ormai orfano di Pina. Rossellini racconta il film con una immediatezza istintiva, senza dimenticare la passione della narrativa popolare, ma anche senza sacrificare alla finzione cinematografica nessun tratto realistico, sgradevole, provocatorio. Premiato a Cannes, nel 1946, in Italia ottenne una tiepida accoglienza, poiché la critica vi vedeva una eccessiva concessione al gusto melodrammatico popolare.



Film completo



Il neorealismo di Paisà - Rossellini -

L’opera che esprime al meglio le parole di De Santis è Paisà di Roberto Rossellini, del 1946. Vincitore di un cospicuo numero di premi cinematografici, tra i quali la coppa Anica alla XI Mostra di Venezia del 1946, "Paisà" è il secondo episodio della trilogia sulla guerra realizzata da Roberto Rossellini. Diviso in sei episodi,  distinti sotto il profilo narrativo, il film rievoca l'avanzata delle truppe alleate nella Penisola durante la seconda guerra mondiale. Nel primo episodio, ambientato in Sicilia, un gruppo di soldati americani sbarcano in un piccolo paese dal quale i nazisti si stanno ritirando. Una giovane del luogo, Carmela, li accompagna tra i campi che i tedeschi hanno minato. Mentre il manipolo avanza, Carmela si trattiene con un soldato di guardia; il giovane viene ucciso da una fucilata tedesca ed anche Carmela trova la morte precipitando dagli scogli. Nel secondo episodio, ambientato a Napoli, un soldato americano insegue per le strade della città un piccolo sciuscià che gli ha rubato le scarpe. Trovato il ragazzino, il milite - commosso dalla miseria che spinge il bambino a rubare - lo lascia andare. Roma è la città dove si svolge il terzo episodio: qui una prostituta riconosce, in un soldato americano ubriaco, l'uomo che l'aveva messa incinta poco tempo prima, ma costui il giorno dopo riparte senza volerla rivedere. Nel quarto episodio un'infermiera inglese, arrivata a Firenze con l'esercito alleato, cerca disperatamente l'uomo che ama, capo dei partigiani. Ma la battaglia infuria e il giovane perde la vita in combattimento. Sull'Appennino Emiliano, nel quinto episodio, tre cappellani militari, uno cattolico e due di confessioni diverse, vengono ospitati in un convento; durante la permanenza dei religiosi, i frati francescani digiunano per convertire i due eretici. Nel sesto ed ultimo episodio, paracadutisti e partigiani sul delta del Po combattono strenuamente contro i nemici, ma i nazisti hanno la meglio ed in molti vengono ferocemente massacrati. Rossellini descrive senza alcun sensazionalismo, con grande rigore, immagini crude sapiententemente organizzate da una regia studiata, anche se venata, come sempre in Rossellini, da una lieve ironia.

Scene di dialogo tra soldato americano di colore e ragazzino di Napoli


Il successo di "Ladri di biciclette"

L’Italia accusava la coppia di dipingere il bel paese con toni esageratamente foschi, e gli italiani preferivano le commedie di Mario Mattioli. Ma il riconoscimento negli USA di Sciuscià permise alla coppia di reperire i fondi per nuovi film.  Arriva così nel 1948 Ladri di biciclette. Considerato il capolavoro assoluto di De Sica e tratto dal libro omonimo di Luigi Bartolini, il film fu sceneggiato da Cesare Zavattini. La Roma del 1948, non mero sfondo della vicenda bensì protagonista insieme ai personaggi principali, è una città devastata dalla guerra che ha iniziato appena il lento cammino verso la ricostruzione. Siamo a Val Melaina, estrema periferia, dove i nuovi fabbricati ospitano famiglie povere, sulle quali la ferita sociale della guerra si ripercuote in modo più forte. Antonio Ricci, operaio, padre di famiglia, dopo un lungo periodo di disoccupazione, ottiene finalmente un lavoro come attacchino municipale. Il lavoro richiede però l'uso della bicicletta che Antonio ha impegnato al Monte di pietà. Riscattata la bicicletta a prezzo delle lenzuola di casa, dalle quali la moglie Maria si separa sperando nello stipendio futuro del marito, Antonio fa appena in tempo ad attaccare il manifesto cinematografico di Rita Hayworth allorché due balordi gli rubano la bicicletta. Inizia così un mesto pellegrinaggio per Roma, in compagnia del figlioletto Bruno. Antonio s' imbatte nell'indifferenza generale, dapprima al commissariato dove gli agenti hanno tutt' altri problemi che ritrovare la bicicletta di un poveraccio, poi a Piazza Vittorio e a Porta Portese, mercati della povera gente, dove ognuno fa quel che può per arrangiarsi. La ricerca prosegue per le vie di una città affollata e noncurante, Antonio insegue in chiesa un povero vecchio nella speranza di avere informazioni sulla sua bicicletta, durante la messa una signora con cappellino bianco e veletta distribuisce con aria di sufficienza dei buoni per mangiare. Il girovagare sommesso diventa disperato; Antonio, davanti allo stadio, decide di rubare una bicicletta, ma viene inseguito e catturato dalla folla. Solo le lacrime di Bruno gli evitano il carcere. Antonio e Bruno si avviano verso la strada della disperazione, la città si fa buia e ostile.
L’Italia non perdona alla coppia di avere semplicemente rappresentato l’allora reale situazione del paese. Fotografare la disgregazione sociale del dopoguerra era considerato fortemente eversivo dalla classe dirigente, ma il film ottenne l’Oscar nel 1947 come miglior film straniero. 




Film completo





La modernità nel segno della commedia

Due soldi di speranza inaugura la commedia, ma ben presto, con "Pane, amore e fantasia"  (1953, Comencini) si ritorna a una sorta di fenomeno divistico ( Lollobrigida) e con ambientazione cittadina. Con Pane, amore e…(1955, Risi) la commedia diventa nomade  migrando di continuo essendo sia cittadina che paesana. Altro film noto è Poveri ma belli  (dal 1956 di Risi) con ambientazione nei quartieri popolari romani. Ma la commedia paesana continua parallela la sua strada (ad esempio
 La bella mugnaia di Camerini). L’asse città e campagna si amplifica con la serie di
racconti  balneari (una domenica d’agosto , 1950, Emmer,

Tempo di villeggiatura, 1956, Racioppi, La spiaggia, 1953, Lattuada). La commedia ricopre anche diverse fasi della vita quotidiana: dal lavoro al tempo libero alle vacanze. Ma spesso la commedia esprime valori opposti (ad esempio la concezione contraddittoria del matrimonio). Viene anche provata la formula a episodi (Tempi nostri di Blasetti),  L’oro di Napoli (De Sica)  con un racconto diversificato che prospetta diverse storie in un solo film. Commedia all’inizio degli anni Sessanta presenterà  le
caratteristiche di stereotipia presenti nella  commedia all’italiana, e farà leva su un gruppo di attori (Manfredi, Sordi, Gassman, Tognazzi). Si aprono nuove strategie di narrazione che porteranno alla modernità: narrazione non lineare, senza nessi causali o spazio-temporali necessari (ad esempio
 Il sorpasso , 1962, Risi). Commedia favorisce inoltre i racconti plurifocali ( I soliti ignoti). Infine:
i finali diventano amari(  La grande guerra, Monicelli) 
Due soldi di speranza
Scena finale
Film completo

Il fenomeno della commedia all'italiana

Parallelamente all’esperienza del neorealismo, si espande il fenomeno della commedia all’italiana, che a differenza del primo, non ostacolata dalla critica e non censurata dal governo, dilaga incontrastata.
Il via viene dato da Luigi Zampa e Renato Castellani, che sulla scia dell’esempio di Mario Camerini, realizzano, a partire dal 1945, numerosi film che si inseriscono nella prospettiva di una lettura umoristica della realtà italiana. Zampa firma Vivere in pace, del 1947 e Anni difficili, dello stesso anno; Castellani lancia nel 1946 Mio figlio professore, e nel 1951 Due soldi di speranza, che sarà Palma d’oro al Festival di Cannes.
I due registi sviluppano uno stile da commedia che si armonizza bene con l’atmosfera dell’epoca: collocazione sociale ed economica, personaggi modesti, scenari naturali, messaggio finale di fraternità. Sono gli elementi di base del neorealismo presentati attenuati, con una ironia  qualche volta feroce, a volte grottesca, che modifica completamente l’inquietudine del soggetto.
Si ritrovano così insieme vecchi artigiani del cinema come Blasetti e Gallone, nuovi autori come, Fellini, Bolognini, Rossellini e De Sica, sceneggiatori come Amidei, De Concini, Age e Scarpelli, e attori come Totò, Fabrizi e De Filippo, e tutti insieme lavorano costituendo un crogiolo fatto di influenze così diverse da non permettere al genere di costituire un insieme uniforme e immutabile.
Una figura emblematica domina la commedia all’italiana: Antonio de Curtis, alias Totò, che raggiungerà i vertici del suo successo proprio in questo decennio.
Pur avendo sperperato il suo talento in molti film mediocri, a partire dal 1949 appare in film  che gli conferiscono una immagine più drammatica, testimoniando la sua integrazione in quella commedia all’italiana che descrive la miseria del tempo, la durezza dei rapporti sociali, l’iniquità del sistema giudiziario o l’invadenza della burocrazia. Pensiamo a Totò cerca casa (1949) e Guardie e ladri (1951), del duo Steno – Monicelli, a Napoli milionaria (1950) di Eduardo De Filippo, Dov’è la libertà…? (1952) di Roberto Rossellini, Totò e Carolina (1955) di Monicelli. Tutti questi film mostrano come Totò si sia ammirevolmente insinuato nel ruolo dell’italiano miserabile, incline alla disoccupazione, alla piccola delinquenza, alla penuria di case, e sempre alla ricerca di un po’ di dignità umana.

Scene tratte dal film Totò cerca casa




Scena tratta da Miseria e Nobilita'




Totò Tube - Miseria e nobiltà - film completo








Scene tratte dal Film Signori si nasce.






Scene tratte da Toto' turco







I grandi protagonisti della commedia all'italiana

Oltre Totò troviamo i grandi anziani della commedia, come De Filippo, Aldo Fabrizi, Vittorio de Sica, ma anche le nuove leve, come Walter Chiari, Marcello Mastroianni, Alberto Sordi, Ugo Tognazzi, Nino Manfredi, Vittorio Gassman, Gina Lollobrigida e Sofia Loren. Sono attori che finiranno ben presto per immedesimarsi perfettamente nella parte loro assegnatagli, diventando veri e propri “caratteri” e ridisegnando, tramite la caricatura, rapporti di classe e comportamenti sociali.
Prendiamo Alberto Sordi, il piccolo borghese romano, piagnucoloso e ipocrita, vile e fanfarone, che interpreta film molto diversi da loro, ma che sono ai vertici del cinema italiano: Lo sceicco bianco (1952) e I vitelloni (1953) di Fellini, Un americano a Roma (1954) di Steno, Il marito (1958) di Loy e Puccini, La grande guerra (1959) di Monicelli.
E poi Gassman il mattatore, Manfredi il povero buffone, De Sica l’uomo démodé. Tutti dimostrano come la commedia all’italiana basi il suo strepitoso successo sulla presenza di attori ai quali permette di esibire il loro grandissimo talento.
Il grande successo della commedia porterà l’industria cinematografica a sfruttare a fondo il filone, dando vita a stereotipi macchiettistici che finiranno per impoverire il fenomeno.
In questo filone si inserisce, in parte, la fortunata serie di Don Camillo, con Fernandel e Gino Cervi, che offriva una versione sorridente e rassicurante dell’aspro scontro tra comunisti e democristiani, qui diluito nelle semi serie schermaglie del sindaco Peppone e del parroco Don Camillo.
Un’altra serie incontra all’epoca grande successo: Pane, amore e fantasia con De Sica e Gina Lollobrigida.
Seguiranno Lo scapolo (1956) di Antonio Pietrangeli e Il bigamo (1958) di Luciano Emmer, che inaugurano una serie di film che si svilupperanno poi negli anni ’60, incentrati sui comportamenti sessuali, in un’Italia asfissiata dal clericalismo. Ciò spiega come la commedia all’italiana consenta agli autori di affrontare temi che sarebbero altrimenti banditi dalla censura. La commedia all’italiana avrà importanti risultati fino agli anni ’70; poi, subirà un lento calo.

Il mattatore con Vittorio Gassman



Film completo il Mattatore con Vittorio Gassman Regia Dino Risi



Scene tratte dal Film La Grande di guerra di Monicelli





Scene tratte dal film I Vitelloni di Fellini




Lo spaghetti western : Sergio Leone



Altro genere che si impone fortemente durante gli anni ’60 del cinema italiano, è sicuramente il western, rimodellato secondo nuovi canoni, spogliato del mito della leggenda dell’Ovest americano, con una accentuata violenza, e quasi sempre girato in Almeria o in Spagna. In poche parole, lo spaghetti – western. Ultimo grande maestro del western all’italiana è Sergio Leone, che in molti casi utilizza interpreti statunitensi, e che qualche volte finisce per spingersi fin negli USA per le riprese in esterni. Il capostipite è Per un pugno di dollari, del 1964. Qui Leone manda in mille pezzi i canoni arcinoti del mito della frontiera, degli indiani, degli eroi senza macchia e senza paura, delle storie d’amore, lanciando nello schermo una realtà dove di casa sono solamente la violenza, il tradimento, la vendetta e la disperata, amorale lotta per la sopravvivenza. Seguiranno Per qualche dollaro in più, Il Buono, il Brutto e il Cattivo, e naturalmente il capolavoro C’era una volta il West, che è una sorta di antologia western in negativo. Leone portò nel genere western (e non solo) grandi novità, e il suo stile è ancora influente oggi. Nei western tradizionali statunitensi, tanto gli eroi, quanto i cattivi tendono a avere dei tratti caratteriali idealizzati e stereotipati. Al contrario i personaggi di Leone presentano elementi di marcato realismo e verità: raramente sono sbarbati e appaiono sporchi e talvolta rozzi. Si presentano in genere come antieroi, personaggi dalle personalità complesse, astuti e spesso senza alcuno scrupolo. Questi elementi di crudo realismo continuano a vivere in alcuni western odierni.
"Da C'era una volta il West in poi il sogno americano di Leone inventa una delle più entusiasmanti avventure di emigrazione intellettuale di un europeo verso gli Stati Uniti degli ultimi cinquant'anni. Lo sguardo si allarga e il regista, pur mantenendo la capacità analitica di scomposizione dell'azione e di arresto del tempo, conquista il senso dello sguardo fordiano, il piacere di far cavalcare l'occhio entro coordinate geografiche conosciute"
 In una sua ultima intervista il regista Leone confessa che la sua fonte di ispirazione principale sia stato Omero, il poeta della classicità per eccellenza.  I personaggi dell'Illiade e dell'Odissea sono i suoi prototipi perfetti per il suo cinema: il guerriero, il pistolero e i conflitti privati sullo sfondo di vicende collettive.

sergio-leone-opere-vita

Per un pugno di dollari - "Al mio mulo"

Il buono, il brutto e il cattivo

 


Il cinema della vera storia, Rossellini e Monicelli

Altri registi intraprendono un salutare regolamento di conti con la Storia appena trascorsa. La guerra viene finalmente descritta senza false idealizzazioni, mentre l’eroismo dei singoli viene spogliato delle sue vesti propagandistiche, mentre gli episodi vengono descritti con virulenza polemica. Parliamo di alcuni di questi.

Rosselini.

Il generale Della Rovere, di Rossellini, ambientato sul finire dell’occupazione tedesca in Italia, con un gigionesco De Sica che recita la parte del truffatore che diventa eroe. Un film neorealista studiato a tavolino per piacere ad intellettuali e massa.





Film completo Il generale Della Rovere








Monicelli

La Grande Guerra, di Monicelli, ambientato durante la prima guerra mondiale. Si trovano sul fronte due soldati che avevano fatto di tutto per imboscarsi: Oreste Jacovacci (Sordi), romano furbo e scansafatiche, e Giovanni Busacca (Gassman), milanese burbero ma dal cuore d’oro.
Dopo alcuni scontri iniziali i due si chiariscono, stringono amicizia e insieme cercano di sopravvivere alla dura vita militare, fatta di trincea, attacchi alla baionetta, missioni difficili e rari svaghi sentimentali, in uno dei quali fanno conoscenza della prostituta Costantina (Mangano). Dopo la disfatta di Caporetto, i due si fanno sorprendere da un battaglione di austriaci senza la divisa dell’esercito italiano. Vista la derisione e il disprezzo degli austriaci nei loro confronti essi ritrovano la loro dignità di combattenti, rifiutano di fornire informazioni e vengono fucilati. “La Grande Guerra”, vincitore del Leone d’oro a Venezia, è considerato il capolavoro di Mario Monicelli. Il film ha il merito di aver affrontato per la prima volta un tema come quello della prima guerra mondiale in maniera non retorica, con un approccio non eroico, facendo risaltare l’inutilità dei massacri compiuti, con un rifiuto di molti miti militari e patriottici, che allora sembravano intoccabili. La migliore qualità del film è nel perfetto equilibrio raggiunto tra le caratteristiche più genuine della commedia all’italiana e lo sfondo drammatico e corale della guerra. L’andamento collettivo della storia ci permette di apprezzare una quantità di personaggi e di figure memorabili, che riempiono il film di umorismo a volte sarcastico a volte amaro. Si parla di generali ottusi e di soldati mandati a morire per occupare pochi metri di terra. Le polemiche furono infinite. 

I Vitelloni di Federico Fellini

Fellini protrae la sua personalissima esperienza neorealista per tutti gli anni ’50, e firma almeno due capolavori assolutamente realistici: I vitelloni (1953) e Le notti di Cabiria (1957).
Nel primo Moraldo, Riccardo, Leopoldo, Fausto e Alberto sono cinque "vitelloni" di Rimini, vale a dire una compagnia di trentenni sfaccendati che trascorre i giorni al bar, dove s'incontra per parlare di piccole faccende, di ragazze e di grandiose aspettative destinate a spegnersi. Per uno di loro, senza preavviso, le cose stanno però per cambiare: nell'incanto di una festa che saluta la stagione estiva, durante un'esibizione canora di Riccardo, Fausto apprende di aspettare un bambino da Sandra, sorella di Moraldo. Riluttante, accetta le nuove responsabilità e inizia a lavorare presso un negozio di articoli sacri. Nel frattempo, i suoi amici continuano a vivere l'illusione di un tempo immobile, ove la vita non inizia mai; soprattutto Alberto, il più dissennato, che campa mantenuto dal lavoro della sorella e si burla di chi fatica per sopravvivere. Al contrario, Moraldo sente di non appartenere più al provincialismo del suo mondo e comincia a distaccarsi dai compagni. Nel frattempo Fausto, che non è in grado di rinunciare alle proprie abitudini, intraprende una rischiosa relazione con la moglie del suo capo. Durante un veglione di Carnevale, cui partecipano tutti gli amici, Sandra viene a conoscenza del fatto e fugge dal padre di lui, tra le lacrime, portando il figlio con sé. Il giovane, aperti gli occhi sulla sua inettitudine, corre pentito a chiedere il perdono della moglie; ma ad attenderlo c'è anche il padre che, furibondo, lo punisce duramente prendendolo a cinghiate. Il giorno seguente, la vita ricomincia e mentre i due sposi tentano di ricongiungersi, gli altri tornano alla quotidianità con le loro miserie, il loro abbandono, la loro ingenua spensieratezza. Soltanto Moraldo, una mattina, partirà in silenzio su di un treno, con il pensiero rivolto alla vita e alle persone che si sta lasciando alle spalle.

Il mito di La dolce vita - F. Fellini -

Ma è con La dolce vita che Fellini si trasforma in un mito del cinema mondiale, trasferendo sullo schermo  e senza freni tutta la sua complessa personalità, e determinando la prima personale frattura con il neorealismo.  Marcello è un giornalista romano che si occupa di cronache scandalistiche, nonostante conservi l'ambizione di diventare scrittore. Incaricato di accogliere all'aeroporto una famosa stella del cinema, il giovane se ne invaghisce e si offre di accompagnarla in visita per la capitale, tra i lustrini della lasciva vita notturna. Il loro piccolo viaggio si conclude con un bagno nella Fontana di Trevi, dove Marcello, stupito dalle eccentriche maniere della ragazza, le confessa timidamente una puerile ammirazione. Giunta l'alba, la magia di quell'avventura notturna si dissolve e l'incauto giornalista subisce un'aggressione dal fidanzato dell'attrice. L'esistenza frammentata di Marcello, sedotto dai frivoli piaceri della "dolce vita" romana, prosegue negli incontri quotidiani, tra i capricci e le minacce di un'amica gelosa e pericolosamente paranoica, attraversando il delicato incontro con il padre ed i vizi vissuti assieme ad un'aristocrazia arida e fasulla. Per un momento sembra riavvicinarsi a se stesso con l'amicizia che lo lega al trascinante Steiner, scrittore esistenzialista, ma questi, di lì a poco, si suiciderà uccidendo prima i propri figli. Stanco dei toni di questa vita, Marcello sente rinascere la voglia di scrivere e si rifugia nella provincia, pacifica e silenziosa. Ma la sua serenità dura poco: in breve tempo, le lusinghe effimere dell'alta società lo rigettano in un esistenza priva di valori morali. Nel finale, all'indomani di una festa a Fregene, il disincanto di Marcello si concretizza nell'apparizione di un animale decomposto, trainato verso la riva. Sull'orizzonte lontano, oltre la carcassa del mostro, una bambina fa cenno di seguirla, ma il giornalista la intravede appena, senza capire, senza distinguerne le parole. La ragazza è il simbolo di quella grazia che gli uomini, persi nei loro piccoli e grandi fallimenti, non sono più capaci di vedere.

Scene tratte da La Dolce vita di Fellini




Scene tratte da La Dolce vita di Fellini



Otto e mezzo - F. Fellini -

Segue 8 e ½ , il grande racconto che il cinema fa di se stesso, delle sue infinite possibilità, della sua capacità evocativa. È anche l’opera che racchiude tutta l’esperienza del regista, la sua arte, i suoi dubbi, le sue ossessioni. E il rapporto tra i due, tra Fellini e il cinema, il loro gioco continuo, i loro incontri, le loro seduzioni.  Il regista Guido Anselmi, autore di fama, sta attraversando un momento di profonda crisi creativa. Il tempo a sua disposizione trascorre inesorabile, mentre produttori e giornalisti gli si stringono intorno, ansiosi di apprendere a che punto si trovi la lavorazione del suo nuovo film. Vessato da amici, colleghi e dalla moglie Luisa, stanca dei suoi tradimenti e del suo umore incostante, Guido cerca una risposta nelle visioni che affollano la sua mente: i ricordi di una vita, i sogni bizzarri e irrealizzabili, le immagini oscure di un futuro fumoso si riflettono nel suo profondo desiderio di libertà e di solitudine. Anche l'arrivo di Claudia, attrice e musa della sua vita, e dell'amante Carla, riversa nuove inquietudini laddove egli sperava portasse serenità e conforto. Mentre i produttori organizzano le conferenze stampa, Guido è altrove, schivo e confuso, impreparato a soddisfare le loro richieste. Ma fuggire per sempre non è possibile, e il disperato regista si trova costretto a partecipare ad un grandioso rinfresco. Guido è nel panico: non sa come rispondere alle domande che lo sommergono e cerca istintivamente riparo sotto il tavolo, nell'ultimo atto del suo declino umano e artistico. Eppure, quando proprio tutto sembra perduto, le visioni che fino ad ora lo avevano tormentato acquistano d'un tratto chiarezza, luce, rivelando il loro splendore. Tutti insieme, i fantasmi della sua coscienza ricostruiscono un mosaico fatto di verità e bellezza, attraverso cui rinasce il piacere stesso della vita e delle cose di cui si compone. Con una marcia circense, il film ha finalmente inizio.

Scene tratte da Otto e Mezzo di Fellini




l cinema di Pier Paolo Pasolini, Accattone

Tra i grandi cineasti emersi durante questo decennio, Pasolini è sicuramente il più controverso, nonché quello che ha maggiormente suscitato scalpore, fin dopo la sua morte, avvenuta brutalmente, e per cause mai chiaramente definite, nel 1975. Pasolini lo si definisce solitamente come un comunista ossessionato dal sacro. La sua carriera cinematografica inizia a quarant’anni, realizzando, sulla scia del neorealismo, due opere particolarmente significative: Accattone (1961) e Mamma Roma (1962).
Accattone
Primo film di Pasolini, Accattone porta sul grande schermo i motivi dei romanzi pasoliniani. Come nella sua produzione narrativa Pasolini incentra la storia sulla quotidianità povera e derelitta di un giovane sbandato, che vive tra altri ragazzi di strada tra bravate di vario genere, furti, sbronze e prostituzione. Il film, che ebbe ottime critiche al Festival di Venezia, ha un'apparenza di realismo solo nel soggetto. Pasolini realizza la pellicola con uno stile plastico e forti richiami alla pittura manierista. Allo stesso modo utilizza come sottofondo musicale, con un certo effetto straniante, musiche di Bach e impiega il dialetto parlato dai personaggi con metodo filologico. Alla stesura dei dialoghi collaborò anche l'attore protagonista Sergio Citti. Accattone è un personaggio epico nella sua stessa natura di emarginato. Vittorio Cataldi, detto Accattone, vive nella periferia romana e trascorre il suo tempo tra le catapecchie della borgata e il bar nel quale si ritrovano i papponi del quartiere. Non lavora e per sopravvivere si fa mantenere da Maddalena, una prostituta. Maddalena finisce in prigione e Accattone si ritrova a soffrire la fame. Un giorno recandosi sul posto di lavoro della moglie abbandonata, incontra una giovane donna: Stella. Tenta di portarla alla prostituzione; ma, innamoratosi di lei, si convince a trovare un lavoro onesto. Purtroppo il tentativo dura poco, Accattone non riesce ad adattarsi ad una vita normale e ricomincia a rubare. Durante un furto fuggendo dalla polizia, ha un incidente in motocicletta e muore.

Scene tratte da Accattone di Pasolini




Uccellacci e Uccellini - Pasolini -

In Uccellacci e uccellini Totò e Ninetto Davoli sono incaricati di vagare per le periferie e le campagne circostanti la città di Roma allo scopo di sfrattare la povera gente, colpevole di non pagare l'affitto, da inconsistenti baracche e improvvisate dimore. Durante il loro cammino incontrano un corvo parlante, intellettuale Marxista. Il corvo racconta loro le disavventure dei frati francescani Ciccillo e Ninetto, intenzionati ad evangelizzare i falchi e i passerotti (per volontà stessa di San Francesco). I due frati non riusciranno a raggiungere il loro obiettivo, perché, pur essendo riusciti ad evangelizzare le due "classi" di uccelli, non avranno posto fine alla loro feroce rivalità: per questa mancanza verranno rimproverati da San Francesco ed invitati ad intraprendere nuovamente il cammino di evangelizzazione. Nel frattempo prosegue l'infinito cammino dei due protagonisti per le periferie degradate: tra famiglie disperate ed affamate, lotte armate per piccoli fazzoletti di terra, "visioni" dei funerali di Palmiro Togliatti e prostitute i due si stancheranno delle chiacchiere del corvo e, in preda dalla fame, lo divoreranno famelicamente.

Scene tratte da Uccellaci e Uccellini di Pasolini



Il vangelo secondo Matteo (1964) - Pasolini -

Subito dopo Pasolini aggiunge ai temi forti uno stile personale che trasforma il discorso fondamentalmente populista dei primi due film, in qualcosa di più originale e personale. Parliamo di Il vangelo secondo Matteo (1964), Uccellacci e uccellini (1966) e Teorema (1968).  Dice Pasolini del suo Vangelo: "Avrei potuto demistificare la reale situazione storica, i rapporti fra Pilato e Erode, avrei potuto demistificare la figura di Cristo mitizzata dal Romanticismo, dal cattolicesimo e dalla Controriforma, demistificare tutto, ma poi, come avrei potuto demistificare il problema della morte? Il problema che non posso demistificare è quel tanto di profondamente irrazionale, e quindi in qualche modo religioso, che è nel mistero del mondo. Quello non è demistificabile".. 
L'idea Pasoliniana del Vangelo, cioè, non partiva dalla volontà di mettere in discussione dogmatismi o miti, ma si riferiva anche e in primo luogo all'idea della morte, uno dei temi fondamentali dell'impegno intellettuale del Poeta: "È dunque assolutamente necessario morire, perché, finché siamo vivi, manchiamo di senso, e il linguaggio della nostra vita (con cui ci esprimiamo, e a cui dunque attribuiamo la massima importanza) è intraducibile: un caos di possibilità, una ricerca di relazioni e di significati senza soluzione di continuità".. 
Non casualmente – come già nelle opere cinematografiche precedenti – Pasolini affida a un linguaggio sonoro raffinato tutte le vicende più significative narrate nel film. Per una sensibilità quale quella del Poeta, il ricorso alla bachiana Passione secondo Matteo è quasi d'obbligo. Ma, in particolare, alla morte di Gesù, egli associa la Musica funebre massonica, che è a sua volta una delle più alte creazioni di Mozart, che in essa ha anche espresso la propria immagine della morte: nessuna titanica lotta contro il destino ineluttabile. La morte non lo spaventa: Mozart la chiama perfino "cara amica"; nella musica stessa si percepisce il dolore per la separazione, a cui Mozart si dà, senza tuttavia lasciarsene sopraffare. Vi è un solo momento della lunga sequenza della crocefissione e della morte in cui il racconto non è affidato al solo indivisibile binomio "immagini-musica": è quello in cui Cristo pronuncia queste ultime parole: "Voi udrete con le orecchie ma non intenderete e vedrete con gli occhi ma non comprenderete, poiché il cuore di questo popolo si è fatto insensibile e hanno indurito le orecchie e hanno chiuso gli occhi per non vedere con gli occhi e non sentire con le orecchie"..  Per rimanere ancora un momento nell'ambito delle scelte musicali effettuate da Pasolini nel Vangelo: ho trovato straordinario l'accostamento delle ultime immagini del film (Maria – che è qui, non casualmente, la stessa madre di Pasolini – si reca con altri alla tomba del Figlio; il sepolcro si apre e Cristo non è più avvolto nel sudario: è risorto!) al Gloria di una messa cantata congolese. Nel canto, il testo è in latino e la musica ha tutti gli accenti, gli strumenti e i ritmi del folclore africano, quasi a sottolineare l'universalità di un profondo sentimento religioso.


Scene tratte da Il vangelo secondo Matteo di Pasolini


Teorema e la classe borghese - Pasolini -

Teorema, infine, delinea la radiografia singolare e impietosa di una classe borghese incapace di reggere lo scontro con le rivoluzionarie e trasgressive tematiche dell’erotismo, visto in chiave contestataria, ed elevato a segno distintivo del cambiamento sociale. Milano, primavera del ‘68. Una famiglia borghese riceve Angelo, ospite inatteso. Il suo arrivo condizionerà progressivamente la vita dei cinque componenti – marito, moglie, un figlio maschio, una figlia femmina e la serva – avvolti dal grigiore esistenziale del loro sopravvivere. Angelo avrà rapporti sessuali con ognuno di loro e un giorno se ne andrà, lasciando un vuoto non più colmabile che sfocerà in un progressivo atto d’auto-annientamento degli stessi.  Per Teorema, presentato alla Mostra di Venezia nel 1968, piovvero su Pasolini critiche feroci sia da parte della sinistra, che sostenne che si trattava di un film reazionario, oltre ad accusare Pasolini di misticismo, sia dalla destra, che proclamò il suo disgusto per il modo in cui nel film si affrontava il tema della sessualità.  La verità era che né la destra né la sinistra compresero allora, neppure marginalmente, gli intenti dell’autore: rappresentare la totale e irrimediabile perdita di identità della borghesia nel momento in cui essa si avvia – dopo essere entrata in contatto con un "Altro", del tutto estraneo alle certezze prefabbricate, indelebili e indistruttibili dalla "ragione dominante" – a una presa di coscienza che non può che svelare drammaticamente il "vuoto", l’impotenza, la "non esistenza" che costituiscono l’essenza stessa della borghesia. Una perdita d’identità, d’altronde, che non offre alla borghesia alcun motivo di riscatto, ma che le crea intorno soltanto il "deserto", il nulla. "Lo sforzo espressivo di Pasolini è tutt’altro che irrazionalista, tutt’altro che reazionario o mistico", scrive il sopracitato critico Serafino Murri. "Infatti, va a toccare le basi concettuali di una cultura che del proprio mezzo, la ragione illuministica, aveva fatto la gabbia in cui imbalsamare definitivamente, con tutto il carico di ingiustizia presente, la società nei suoi schemi irremovibili, nei suoi antagonismi tutti interni ad essa."  Teorema era nato come tragedia in versi, si era trasformato poi in un libro (romanzo / racconto) molto frammentario che mantiene alcuni capitoli, o meglio "frammenti" in versi, per raggiungere infine la forma della sceneggiatura cinematografica nella quale Pasolini riduce drasticamente la presenza del "parlato", cioè dei dialoghi o della narrazione per mezzo di una voce fuori campo, riservando principalmente alle immagini, e secondariamente alla musica – qui incentrata su citazioni dal Requiem di Mozart – la narrazione degli eventi e delle mutazioni dei propri personaggi. L’Ospite che giunge nella villa della famiglia borghese, e che determina in ciascuno dei componenti di quella famiglia una crisi profonda, una totale perdita di identità, appunto, non ha qualità sovrumane, tanto meno rappresenta un’allegoria divina come qualche commentatore ha voluto intravvedere. È semplicemente il suo essere "Altro" rispetto alla logica borghese su cui si fonda il teorema dell’autoperpetuazione della borghesia stessa, che conduce alla perdita di identità tutti i membri della suddetta famiglia, e all’irrecuperabile "deserto" che ne consegue.  Secondo lo stesso Pasolini, è proprio nel sovvertimento della logica che sorregge l’ideologia (o la totale assenza di ideologia) della società borghese capitalistica che consiste l’unica possibilità di una rivoluzione. Pasolini stesso presentò Teorema sulla rivista francese “Quinzaine littéraire” dicendo del suo film tra l'altro: “Dio è lo scandalo. Il Cristo, se tornasse, sarebbe lo scandalo; lo è stato ai suoi tempi e lo sarebbe oggi. Il mio sconosciuto – interpretato da Terence Stamp, esplicitato dalla presenza della sua bellezza – non è Gesù inserito in un contesto attuale, non è neppure Eros identificato con Gesù; è il messaggero del Dio impietoso, di Jehovah che attraverso un segno concreto, una presenza misteriosa, toglie i mortali dalla loro falsa sicurezza. È il Dio che distrugge la buona coscienza, acquisita a poco prezzo, al riparo della quale vivono o piuttosto vegetano i benpensanti, i borghesi, in una falsa idea di se stessi”.  Teorema (il libro) è stato per me il 'primo incontro' con Pasolini scrittore e poeta: un incontro che ha rappresentato una vera e propria 'scossa' spirituale; un messaggio che ancora oggi considero prezioso, se non fondante, per prendere coscienza dei problemi e degli squilibri sociali e politici, che può fortemente aiutare a scoprire regioni e ragioni inesplorate dell’animo e del pensiero umano.


Scene tratte da Teorema di Pasolini



Il cinema di Bernardo Bertolucci

Inizialmente sembra seguire la strada paterna, interessandosi di poesia e iscrivendosi alla Facoltà di Letteratura Moderna dell'Università La Sapienza di Roma, ma ben presto abbandona gli studi per il cinema una volta conosciuto Pier Paolo Pasolini, ai primi passi come sceneggiatore nel mondo della settima arte. Con una camera a passo ridotto Bertolucci gira due cortometraggi amatoriali nel biennio 1959-1960, La teleferica e La morte del porco. Proprio grazie a Pasolini e all'interessamento del produttore Cino Del Duca, Bertolucci lavora come assistente nel primo film diretto dal letterato friulano, Accattone (1961). Su quel set incontra l'attrice Adriana Asti, che sarà poi sua compagna per diversi anni. L'anno seguente, con Tonino Cervi come produttore, realizza il suo primo lungometraggio, La commare secca, su soggetto e sceneggiatura di Pier Paolo Pasolini, che inizialmente avrebbe dovuto esserne anche il regista. Si stacca ben presto dal mondo e dalla poetica pasoliniani per inseguire un'idea personale di cinema basata sostanzialmente sull'individualità di persone che si trovano di fronte a bruschi cambiamenti del loro mondo e di quello circostante, a livello esistenziale e politico, senza che essi possano o vogliano cercare una risposta concisa.

Il Conformista - B. Bertolucci

Prima dello scandaloso Ultimo Tango a Parigi, ricordiamo La strategia del ragno, e Il conformista, entrambi del 1970. Il conformista è ispirato all’omonimo libro di Moravia, e consacrerà Bertolucci nel panorama della cinematografia internazionale. Nel 1938 a Parigi Marcello Clerici si perde nei propri ricordi. Egli è un giovane professore di filosofia, la cui esistenza è stata segnata da un episodio drammatico: crede infatti di aver ucciso, da ragazzo, Lino Seminara, un autista che ha tentato di avere con lui dei rapporti omosessuali. In seguito, vivrà nella costante ricerca di qualcosa che lo riscatti dal rimorso che l'opprime. Quando il fascismo prende il potere, Clerici, inseguendo il proprio desiderio di normalità, si butta fra le braccia del regime: una scelta che gli consente di inserirsi in una società che ha nell'ordine e nella disciplina i propri emblemi ed in cui il male e la violenza sono ormai divenuti diffusi modelli di comportamento. Anche la sua vita privata rivela una evidente vocazione al conformismo: afflitto da una madre morfinomane e da un padre violento, Clerici è fidanzato con Giulia, una piccolo-borghese leggera e ambiziosa,  ma conta che anch'essa, col matrimonio, diverrà una signora "normale". L'occasione per vincere i sensi di colpa gli è offerta dalla proposta dell'Ovra, la polizia segreta fascista : consegnare ai sicari del regime il professor Quadri, suo vecchio insegnante all'università ed ora esule politico in Francia. Fiancheggiando questo delitto, Marcello ritiene di poter riscattare l'omicidio compiuto in fanciullezza: questa volta, infatti, la morte è giustificata dai principi in cui egli crede. Coperto dal pretesto del classico viaggio di nozze a Parigi, Marcello incontra Quadri e la moglie Anna, una francese molto bella e spregiudicata che si lega morbosamente a Giulia, sua moglie. Marcello, innamoratosi di Anna, tenta di evitarne il coinvolgimento nell'imminente delitto, ma ormai la sua missione non è rinviabile: nel corso di un viaggio in automobile, egli assiste immobile e muto all'assassinio di Quadri e di Anna. Passano gli anni e proprio il 25 luglio del 1943, quando Roma esulta per la caduta del fascismo, Marcello casualmente s'imbatte nell'uomo che credeva di avere ucciso da ragazzo. Se anche si rende conto delle infamie cui l'ha condotto un rimorso infondato, ancora  una volta il suo comportamento si adegua al nuovo corso: accusa Seminara del delitto che lui stesso ha compiuto, denuncia un amico fascista, si accoda a quelli che esultano per la caduta del regime.

 Scene tratte da Il conformista di Bertolucci






Novecento di B. Bertolucci

Film del 1975. Il film narra la storia di due italiani nati lo stesso giorno del 1900, nello stesso luogo (una grande fattoria emiliana) ma su fronti opposti: Alfredo è figlio dei ricchi proprietari della fattoria, i Berlinghieri; Olmo è figlio di Rosina, contadina vedova della medesima fattoria, e non sa chi è suo padre data la promiscuità nella quale vivevano i contadini all'inizio del XX secolo, segregati di notte e sfruttati di giorno come bestie da soma. Proprio le lotte contadine e la Grande Guerra dapprima, e il fascismo con la lotta partigiana per la Liberazione poi, sono al centro dei fatti che si susseguono, con al centro, e per filo conduttore, la vita dei due nemici-amici, impersonati in età adulta da Gerard Depardieu (Olmo) e da Robert De Niro (Alfredo) Burt Lancaster, nel ruolo del nonno di Alfredo, e Donald Sutherland nel ruolo del violento, cinico e spietato Attila, chiamato con la sua ferocia asservita al potere a rappresentare l'arrivo devastante del fascismo in un paese dove la ricca borghesia iniziava a temere le varie organizzazioni socialiste a difesa dei lavoratori, sono alcuni degli altri indimenticabili volti di questa pellicola. Ma non possiamo dimenticare la cugina di Alfredo, Regina, che Laura Betti dipinge con grande mestiere e Dominique Sanda, moglie di Alfredo troppo sensibile per poter sopportare di restare al fianco del marito colpevole, ai suoi occhi, di non aver lasciato fuori dalla sua fattoria le brutture e le nefandezze di quel periodo di travagli politici e sociali.


 Scene tratte da Novecento di Bertolucci



 




Il cinema di Marco Bellocchio

Bellocchio si fa conoscere per le sue numerose battaglie cinematografiche contro le istituzioni costituite (famiglia, scuola, Chiesa, esercito…). Dagli anni ’80 scopre la psicanalisi, ma la sua cinematografia devia verso percorsi poco convincenti. Negli anni ’70 sono tre i film più importanti.

Sbatti il mostro in prima pagina

Film del 1972. L'8 marzo del 1972, alla vigilia delle elezioni, poco dopo un attentato subito da "Il Giornale" ad opera di frange politiche della sinistra, il corpo senza vita di Maria Grazia giovane di quindici anni, figlia del professor Italo Martini, viene trovato in un prato alle porte di Milano. La ragazza è stata violentata e poi strangolata. Seguendo il consiglio dell'ingegner Montelli, finanziatore del quotidiano, il capo redattore Bizanti affida il caso ad un giornalista principiante, Roveda, affiancandogli il più esperto collega  Lauri. Nel frattempo Bizanti segue da solo alcune tracce. Avendo stretto amicizia con Rita Zigai (amante di Mario Boni, uomo della sinistra extraparlamentare) egli entra in possesso del diario della ragazza uccisa. Bizanti con la complicità di Lauri, manipola gli indizi per poter accusare Mario Boni. Le prove vengono presentate alla polizia, alla magistratura e all'opinione pubblica, tramite Roveda. Egli però ha dei dubbi sulla veridicità dei fatti. Continuando le sue ricerche, avvicina il bidello della scuola frequentata da Maria Grazia e scopre che questi è il responsabile del delitto. Scioccato dalla mistificazione, Roveda vorrebbe denunciare l'errore ma Bizanti lo licenzia. Il capo redattore, nuovamente sotto suggerimento del finanziatore Montelli, preferisce infatti tenere lo scoop sulla verità per il dopo elezioni, sfruttandone al meglio le possibilità politiche.

  Scene tratte da Sbatti il mostro in prima pagina di Bellocchio






Consiglio vivamente la visione del film La meglio gioventù di Bellocchio


Il cinema di Ettore Scola

Inizia come giornalista e collaboratore di giornali umoristici. Nel 1954 debutta come sceneggiatore. Negli anni ’60 è lo scrittore ufficiale di Antonio Pietrangeli e Dino Risi. Parliamo di alcuni suoi importanti film.

C’eravamo tanto amati

Film del 1974. Tre amici, Gianni, Nicola e Antonio, sono tutti ex-partigiani. Dopo la guerra, nonostante l'affetto che li unisce, ognuno di loro prende una strada diversa: Gianni, che non ha mai nascosto le sue ambizioni, studia duramente per diventare avvocato e si trasferisce a Milano; Antonio, uomo semplice e spontaneo, passa da un impiego all'altro, fino a quando non ne trova uno stabile come portantino; Nicola, mediocre intellettuale, tenta di affermarsi come critico cinematografico, ma resta ancorato a lavori saltuari, vivendo con la famiglia a Nocera Inferiore. Passa il tempo e Gianni, conclusa la sua esperienza milanese, torna alla capitale dove rincontra Antonio, ora fidanzato con un'avvenente attricetta di nome Luciana. Accecato da suo amore per la ragazza e dalla fiducia nel suo amico, Antonio non si avvede della passione che matura tra i due, esplodendo in un attacco furibondo non appena gli viene rivelata. Ma Gianni, che desidera più di ogni altra cosa affermarsi, tradisce anche Luciana e l'abbandona per unirsi alla figlia di un industriale ricco e volgare. Intanto, anch'egli nuovamente a Roma, Nicola partecipa al telequiz "Lascia o raddoppia" come storico del cinema, fallendo il suo obiettivo a causa di una domanda ambigua e mal posta, che diverrà per lui una vera ossessione. Molti anni separeranno ancora i tre amici. Quando si troveranno di nuovo, Antonio avrà infine sposato Luciana: sarà l'unico a poter fare le somme della propria vita senza aver paura di guardarsi indietro.

  Scene tratte da C'eravamo tanto amati di Ettore Scola






Brutti, sporchi e cattivi - 1976


Il film è ambientato nel mondo delle "baraccopoli" ai margini delle grandi città (in questo caso, Roma). Descrive impietosamente le miserie materiali e morali di cui soffrono i poveri che abitano le baracche. Scola collabora anche al soggetto e alla sceneggiatura. È un lavoro interessante segnato da momenti umoristici e grotteschi e da altri poetici e drammatici.

  Scene tratte da Brutti, sporchi e cattivi di Ettore Scola



Una giornata particolare


Film del 1977. 6 maggio 1938. La Roma fascista è in festa per l'arrivo del Führer in visita al duce. In un edificio popolare Antonietta, una bella donna distrutta dalle gravidanze e dalle fatiche, moglie di un fanatico fascista, conosce (rincorrendo un pappagallo scappato dalla gabbia) il coinquilino Gabriele. È un ex annunciatore della radio, rimosso dall'incarico perché omosessuale. I due fanno amicizia e si confidano i rispettivi problemi. Avranno anche una fugace esperienza amorosa, poi tutto tornerà come prima: lei riprenderà la sua vita di casalinga frustrata, mentre lui sarà inviato al confino. È sottile la linea di demarcazione tra la dimensione del privato e quella dell’impegno sociale e politico.

  Scene tratte da Una giornata particolare di Ettore Scola



Il cinema italiano degli anni '80

A metà degli anni ’80, il cinema italiano si riduce a non più di una novantina di film prodotti. Molte sale cinematografiche chiudono. L’avvento massiccio delle televisioni private, che propongono una media di quaranta film al giorno, allontana il pubblico dal cinema, poco sostenuto economicamente anche dal governo italiano. Fellini continua a lamentarsi della mancanza di fondi, e si congeda definitivamente nel 1990 con La voce della luna. E tutta la generazione anni ’70? Bertolucci, vista l’aria che tirava, si è dato alle produzioni internazionali; i Taviani continuano le loro produzioni storico – ideologiche seguendo un itinerario che va dalla Sicilia alla Toscana; Scola intraprende un lento declino, lasciandoci, nel 1987, un ultimo bel film, La famiglia; Marco Ferreri si ricicla, ma si congeda nel 1996 con Nitrato d’argento; Bellocchio scolorisce, perdendo per strada il forte anticonformismo che l’aveva caratterizzato negli anni ’70.  Negli anni ’80, Pupi Avati lancia due bei film: Gita scolastica (1983) e Regalo di natale (1986). Altri autori del cinema italiano operano in ordine sparso, con risultati alterni. Luigi Comencini dà buona prova di talento nel 1987 con Un ragazzo di Calabria; Monicelli, estremamente prolifico, ci regala due bei film. Speriamo che sia femmina. Nel bel casale di campagna del conte Leonardo vivono la moglie separata, la figlia minore, il vecchio zio e la nipote, figlia di un'attrice romana. La gestione della proprietà è affidata a un amministratore, teneramente legato all'ex moglie del conte. Un bel giorno Leonardo torna a casa per chiedere un prestito alla sua già dissanguata famiglia, ma muore in un incidente dopo aver assistito anche al ritorno della figlia maggiore. Dopo varie peripezie, nella fattoria rimarranno soltanto le donne; una delle quali è incinta.  Parenti serpenti. Durante le festività natalizie, due anziani coniugi chiedono ai figli di prendersi cura di loro in cambio dell'eredità. Ma nessuno vuole assumersi l'onere di dell'ospitalità e progettano un piano per sbarazzarsi dei genitori...Non dimentichiamo poi Franco Zeffirelli, che si è sempre dedicato alla realizzazione di opere grandiose e ambiziose. Spesso adattamenti, curatissimi sempre nel dettaglio e nelle ricostruzioni. Fu scoperto da Visconti. Ricordiamo di lui, La bisbetica domata, Amleto, Romeo e Giulietta, Fratello Sole, Sorella Luna.

Pupi Avati  in una Gita scolastica





La giovane promessa : Nanni Moretti


La crisi e Nanni Moretti

  Alla fine degli anni 70 e soprattutto negli anni 80 e 90 si rivela la giovane promessa Nanni Moretti. Uomo indipendente, scontroso, amato all’estero, lontano dal contesto nazionale, Moretti ha sviluppato un percorso cinematografico originale che inizia con il grido di rabbia, forte e pregnante, di Io sono un autarchico, film del 1976. Uno spaccato al vetriolo delle delusioni di un post – sessantottino sfortunato. Dell’anno successivo è Ecce bombo, ritratto del disagio esistenziale di una gioventù senza mete e orizzonti, pervasa dal conformismo dei luoghi comuni e dalla banalità del quotidiano. 

Sogni d'oro - Nanni Moretti

Ma il regista più energico degli anni 80 – 90 rimane Nanni Moretti. Ironico, caustico, critico, cinico, Moretti e la sua Sacher Film ci hanno regalato tantissimi film interessanti
 
Sogni d’oro, 1981.
Nanni è Michele Apicella, giovane regista emergente alle prese con critici cinematografici camaleontici, aspiranti registi invadenti, un film in lavorazione intitolato "La mamma di Freud", un rapporto difficile con la madre, un odioso regista rivale che gira un musical sul '68, dei sogni che si fanno sempre più ossessivi ... Le fobie che attanagliano Michele lo spingono sempre di più verso l'esasperazione. La lavorazione del film procede a rilento, e Michele si innervosisce con tutti gli attori, facendo loro ripetere le scene decine di volte. Perde la calma con la madre, che picchia senza ragione. Intanto continua a sognare di essere un professore di lettere, innamorato di una sua allieva, Silvia (Laura Morante), che lo ha aspramente criticato. Mentre sprofonda nella depressione, viene invitato ad una singolare trasmissione televisiva, nella quale affronta in una serie di "prove" il regista rivale Gigio Cimino. Si va dallo sproloquio verbale ad una prova canora, ed infine ad una prova fisica di resistenza (vestiti da pinguini e attaccati ad un elastico, i registi devono avanzare su una passerella mentre il pubblico li prende a secchiate d'acqua). Michele perde all'ultima prova, e in seguito i suoi incubi si fanno sempre più reali e ossessionanti. All'anteprima del suo film "La mamma di Freud", Michele ha ancora una visione: mentre Silvia gli dice al ristorante che ha deciso di partire per il Sud America, Michele si trasforma in licantropo e la insegue ululando per i boschi.


Bianca - Nanni Moretti

Michele non solo è un celibe, ma è anche veramente un uomo "solo". Pieno di manie e di fobie, di feticismi e di ossessioni, scruta la vita quotidiana dei suoi vicini di casa e dei pochi amici, invadendone perfino l'intimità con la raccolta delle sue osservazioni. Delle coppie che ha conosciuto (perché è soprattutto la coppia che sembra interessarlo ed affascinarlo) Michele tiene un aggiornato schedario, ricco di numerosi quanto indiscreti dettagli. Michele insegna matematica in una scuola privata ed elitaria, la "Marilyn Monroe", dove tutto - dal corpo docente, ai "posters", ai "juke-box" installati nelle classi - è grottesco e paradossale. E la sua mente, lucida nei ragionamenti occasionati dalla nevrosi, lo è altrettanto quando il nostro sale in cattedra per dimostrare un teorema; egli mal si adatta, in definitiva, ad un ambiente di incompetenti e di svagati, che non è segnato dall'ordine quale lui lo concepisce. Intanto, una sua vicina di casa, che egli conosce, viene trovata uccisa; il commissario di polizia incaricato delle indagini interroga Michele, che spesso e volentieri è stato, dalla sua terrazza, testimone della vita familiare della donna. Ma, almeno per il momento, non sembra si sospetti di lui. Continuando nell'insegnamento, Michele conosce Bianca, una nuova e seducente collega, che ne accetta la timida corte e poi lascia l'amante per lui. Michele (che non solo si è già posto mille interrogativi sulla nuova coppia caduta sotto il proprio obiettivo, avvicinando con un pretesto l'amante di Bianca, ma altrettanti ne pone a quest'ultima, pur essendone innamorato) cade in piena crisi. La sua visione di perfezionista nella vita di tutti i giorni condiziona e finisce con l'inquinare la nozione stessa della felicità, la quale è pur possibile, solo che egli la intende in termini di assolutezza. Intanto si è ricomposta una coppia di amici (Ignazio e Maria) dopo una fugace avventura di ambedue con i rispettivi "partners". Tale evento colma di gioia Michele ma, il giorno in cui egli vedrà in un ristorante che i due cenano in ottima armonia con i due ex-amanti, la cosa lo delude e ne sconvolge la mente.


Lo scenario cinematografico italiano degli anni '80 /'90


Tornatore e Salvatores; Benigni e Pieraccioni

Altri due registi sono di peso negli anni 80 – 90: Giuseppe Tornatore e Gabriele Salvatores.  Il vero esordio di Tornatore è nel 1986 con Nuovo cinema Paradiso, improntato alla nostalgia e alla cinefilia più marcata. Tornatore è dotato di una eccellente preparazione tecnica, degna dei migliori maestri di cinema italiani. Seguono altri film tra i quali citiamo L’uomo delle stelle, Una pura formalità e La leggenda del pianista sull’oceano.  Gabriele Salvatores ottiene l’oscar nel 1991 con Mediterraneo e firma il primo vero film italiano di fantascienza, almeno in senso tecnico: Nirvana, del 1996. Lo ricordiamo anche per Marrakech Express, unico vero road – movie italiano. Compaiono anche Leonardo Pieraccioni e Roberto Benigni, che contribuiscono a rendere protagonista, in campo cinematografico, la toscanità, dopo gli anni della romanità della commedia all’italiana.

Nuovo cinema paradiso di Giuseppe Tornatore







Scene tratte da Mediterraneo di Salvatores






Scene tratte da Marrakech express di Salvatores






Il ciclone di Pieraccioni


Johnny Stecchino di Roberto Benigni


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