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lunedì 4 gennaio 2021

articolo tradotto dal francese all'italiano

 

De-costruire i discorsi dell'odio per meglio combatterli.



La legge inizialmente conosciuta “sul separatismo” e ribattezzata “disegno di legge che consolida i principi repubblicani” intende, tra le altre cose, regolare i richiami all'odio e alle derive politiche estremiste di natura religiosa, in particolare “islamiste”. Presentata al Consiglio dei ministri il 9 dicembre, la nuova legge ha creato, tra l'altro, in seguito all'assassinio di Samuel Paty, un nuovo reato di "messa in pericolo della vita altrui con la diffusione di informazioni relative alla vita privata, familiare o professionale di una persona consentendone l'identificazione o la localizzazione ”. La questione dei discorsi dell'odio e del radicalismo politico o religioso è sempre esistita. Recentemente, il nazismo e il terrorismo ne sono un esempio; così come le guerre di religione e il massacro dei nativi americani.

Tutti questi eventi, antichi e moderni, così come i discorsi che li accompagnano, hanno come caratteristica in comune di attaccare ciò che è sempre più "altro". Questi discorsi attaccano così una persona, un'entità o un gruppo che viene attaccato, denigrato, insultato. Puntano all'esclusione totale, o addirittura all'annientamento politico e sociale di "questi altri", il cui volto e le cui persecuzioni cambiano a seconda del luogo e del tempo. Ecco come tante donne furono perseguitate, accusate di stregoneria, soprattutto durante il Rinascimento; i protestanti furono perseguitati dai cattolici (notte di Saint Barthélémy nel 1572; affare Calas, che diede a Voltaire l'opportunità di denunciare il fanatismo religioso).

Ad ogni modo, Internet e i social network provocano una ripresa di questi fenomeni. Questi discorsi, non solo consentono di attaccare direttamente le persone (attacchi ad hominem), spesso in forma anonima, ma anche di far circolare e alimentare posizioni e discorsi estremi, in modo immediato e incontrollabile. Un messaggio può essere diffuso, in pochi secondi, a migliaia di persone.



Discorso differenziale

Ma in che modo i discorsi designano questi altri, come da odiare, da escludere, o persino da sradicare? Soprattutto, come possiamo decifrare questi discorsi da un lato e decostruirli dall'altro canto per ricreare dei legami sociali? Questo, in un momento storico in cui nuovi ismi e -isti, i quali essenzialmente sono parole che classificano, forniscono i titoli dei giornali ("separatismo") e "islam di sinistra". La domanda si pone tanto più che questi discorsi differenzialisti, in cui si tende a evidenziare criticamente le caratteristiche di uno o più “altri”, tendono a favorire l'esclusione e l'incitamento all'odio. L'odio in molte occasioni ha origini emotive: a volte individuale, a volte collettiva, con una posta in gioco sempre legata alle stesse dinamiche, basate sulla paura dell'altro, come viene spiegato dal libro di prossima uscita “ l’Odio nel discorso”, a cura di Nolwenn Lorenzi Bailly, Editions le Bord de l'eau, document collection.











Nel caso in cui l'odio si rivolga ad una sola persona, si parlerà di molestie: i discorsi di una o più persone convergono per dire delle cose volte a isolare, mettere in disparte, far stare male, escludere una determinata persona da un dato gruppo. Questi fenomeni, e in particolare il cyberbullismo, possono essere devastanti e sconvolgere dellle vite in modo permanente. L'adolescenza è un periodo di vulnerabilità che fa dei giovani uno dei principali bersagli del cyberstalking. La cristallizzazione della persecuzione su una persona è spesso associata al fenomeno del capro espiatorio, evidenziato da René Girard. Il “ tutti contro uno” si manifesta attraverso il processo di nominazione di un capro espiatorio che consente al gruppo di riunirsi contro una persona attraverso la condivisione di un'emozione odiosa.

Quando più persone sono oggetto di incitamento all'odio, il procedimento è lo stesso, ma questo quadro discorsivo si estende alla persecuzione: si può dire che diventa programmatico nel senso che tende ad organizzarsi sistematicamente, come nel caso del genocidio dei tutsi in Ruanda, o di quelli compiuti dal nazismo. Nella lingua francese, la stigmatizzazione è facilitata, tra gli altri procedimenti, dallo stesso sistema linguistico francese. La determinazione obbligatoria dei sostantivi, e in particolare dell'articolo plurale, consente di designare certi gruppi di persone isolandoli, semplicemente nominandoli: "gli ebrei", "gli omosessuali", "i rom" ... Prendendo solo questo esempio dell'uso dell'articolo determinativo, il quale funge da indicatore di demarcazione inclusivo o esclusivo di un gruppo, di una comunità di persone che si suppone abbiano caratteristiche comuni tra loro, le quali smarcano, li mettono in disparte, escludendoli dagli altri secondo determinati criteri.



Lingua riformattata

Il semplice fatto di parlare di certi gruppi di persone in relazione ad altri secondo caratteristiche implicitamente definite diventa già un possibile fattore nello sviluppo del discorso di odio, perché entra in una dinamica di opposizione - "donne", contro " uomini " ; "I buoni credenti" contro "i miscredenti" (discorso che è alla base del discorso di odio terroristico dell'ISIS); "I ricchi" contro "i poveri") - e di distinzioni (basate su tutta una serie di possibili criteri, comprese le razze). Parallelamente al sistema del linguaggio stesso, che è organizzato cognitivamente in modo tale che sembra impossibile, infatti, sfuggire a una categorizzazione del mondo, a volte si compie un lavoro di manipolazione, anche di ri-semanticizzazione delle parole per mettere il linguaggio al servizio di un'ideologia.



Questo tipo di procedimento linguistico, in cui la lingua è riformattata al punto che alle parole viene dato un nuovo significato, è stato evidenziato da Georges Orwell nel suo romanzo 1984. Ma è accaduto anche nella realtà del discorso nazista. , il cui processo di costruzione è stato descritto quotidianamente da Viktor Klemperer, nel libro The Language of the Third Reich.

In questo libro, Klemperer spiega, ad esempio, come il termine "subumano" sia un'invenzione della LTI (la lingua del Terzo Reich) (p.80). Spiega inoltre come l'LTI abbia bandito la parola "sistema" dal tedesco a favore della parola "organizzazione", perché i nazisti:

« n’ont pas de “système”, ils ont une “organisation”, ils ne systématisent pas avec l’entendement, ils cherchent à entrer dans le secret de l’organique » (p.140)





Questo processo di distinzione e categorizzazione è tanto più complesso, poiché ci aiuta, sin dalla tenera età, a comprendere il mondo e ad organizzare le nostre conoscenze e i nostri saperi. In questo modo fondiamo le nostre conoscenze sulle nostre competenze di distinguere le cose l'una dall'altra in modo sempre più preciso. Un animale da un essere umano, poi nel regno animale, un mammifero da un uccello, poi nei mammiferi, un cane da un gatto ecc.

Quindi è particolarmente complicato accettare che questo fenomeno di categorizzazione, essenziale per noi per apprendere e acquisire nuove conoscenze, possa anche trasformarsi in un dato momento in un procedimento di riduzione semplificatrice della realtà.

Stereotipo



Arriviamo a questo punto alla nozione di stereotipo che porta ad attribuire certe caratteristiche in modo sistematico a certe persone, perché in effetti condividono una qualche ideologia, un credo o una cultura religiosa, un orientamento sessuale o una data provenienza geografica. Tuttavia, non è perché le persone condividano una caratteristica significa che siano uguali in tutto e per tutto. Tutt’altro, ciò che distingue queste persone all'interno della stessa associazione per caratteristica comune è di gran lunga superiore a ciò che li unisci. Inoltre, in un certo senso, l'incitamento all'odio e la radicalizzazione derivano dal fatto che in un dato momento le persone hanno rinunciato ad arrivare fin in fondo in questo processo di distinzione, dove si forma la discriminazione come fondamento del sapere e della conoscenza.

In questo senso, la discriminazione in senso negativo è il risultato di una pigrizia cognitiva che tende a raggruppare sotto un'unica etichetta elementi che in realtà hanno in comune un solo tratto.



Questo fenomeno si ricollega al fenomeno dell'essenzializzazione. Questo fenomeno accetta anche la tendenza ad accusare gli altri di farci provare le emozioni che proviamo. È questa forma di pigrizia cognitiva che ci porta a isolare "l'altro" nei nostri discorsi, in un accusatore "tu, tu sei questo / quello / così / così, quindi ti rifiuto per questo unico motivo" ( e qualunque siano le tue altre caratteristiche, tratti, gusti, ecc.). L'incitamento all'odio è quindi prima di tutto un discorso che rinuncia alla ricchezza dell'alterità. Riduce l'altro ad una punta di spillo di ciò che lo costituisce come persona nel suo insieme. Il discorso di odio è in questo un discorso riduzionista. Oltre ad evidenziare una singola caratteristica, di un tratto, si tratta di considerare tutti gli elementi che rendono una persona unica; e quindi imparare a dissociare gli individui da stereotipi globali spesso impropri come "immigrati, vecchi, giovani, ecc. "

Cambiamento di paradigma







In questo senso, uno dei modi per combattere le manifestazioni discorsive dell'odio risiede nella diversificazione degli approcci verso gli altri, nello sviluppo della conoscenza, del sapere - dell'altro, ma anche del mondo, di quello che significa per ognuno essere ebreo, arabo, bisessuale, trader, rosso, cinese, ecc.? Questo implica prestare attenzione alle nostre conversazioni (che sono organizzate in "Io, mi / tu", "loro / noi"); alla scelta delle parole che usiamo e alla loro precisione. Imparare a esprimere le sensazioni provate, le nostre emozioni dicendo "io" e differenziare il nostro vocabolario e le interpretazioni che facciamo delle parole e dei comportamenti degli altri sono alcune delle chiavi per uscire da questo procedimento di stereotipizzazione. Si tratta quindi anche di continuare ad affinare e rafforzare le nostre capacità e competenze linguistiche nel distinguere e, in un certo modo, di cercare di operare ancora di più la distinzione, di categorizzare il mondo ancora più finemente per non essere tentati di dividerlo in modo grossolano o in scatole predefinite in cui rinchiudere gli individui.

Si tratta quindi di educare alla variazione e alla distinzione durante tutto il corso della vita. Addirittura pensare di cambiare il paradigma, passando da quello della differenza a quello della diversità. Questo cambiamento di paradigma può essere ottenuto anche padroneggiando il linguaggio, dal nostro modo di rivolgersi agli altri così come del modo di parlare degli altri.

Déconstruire les discours de haine pour mieux les combattre

Expressions faciales  gravures
Expressions faciales représentant la haine, la jalousie et le désespoir (gravure datées de 1760 environ). Wikipedia/ Charles Le Brun; John Tinney, CC BY-SA

La loi initialement dite « sur les séparatismes » et rebaptisée « projet de loi confortant les principes républicains » entend entre autres réguler les appels à la haine et les dérives politiques extrémistes religieuses en particulier islamistes.

Présentée en conseil des ministres le 9 décembre, elle crée entre autres suite à l’assassinat de Samuel Paty, un nouveau délit de « mise en danger de la vie d’autrui par diffusion d’informations relatives à la vie privée, familiale ou professionnelle d’une personne permettant de l’identifier ou de la localiser ».

La question des discours de haine et de la radicalité politique ou religieuse a toujours existé. Proches de nous, le nazisme ou le terrorisme en sont des illustrations ; comme le sont les guerres de religion et le massacre des Amérindiens.

Tous ces événements, anciens comme modernes, ainsi que les discours qui les accompagnent, ont comme caractéristique commune de s’en prendre à ce qu’il y a de plus « autre ». Ils s’en prennent ainsi à une personne, une entité ou un groupe qui sont attaqués, décriés, insultés. Ils visent à l’exclusion totale, voire à l’anéantissement politique et social de « ces autres », dont le visage et les persécutions changent en fonction des lieux et des époques.

C’est ainsi que de nombreuses femmes furent persécutées, car accusées de sorcellerie en particulier à la Renaissance ; que les protestants le furent par les catholiques (nuit de la Saint Barthélémy en 1572 ; l’affaire Calas, qui donna à Voltaire l’occasion de dénoncer le fanatisme religieux).

Néanmoins, Internet et les réseaux sociaux entraînent une recrudescence de ces phénomènes. Ils permettent en effet non seulement d’attaquer directement des personnes (attaques ad hominem), souvent de manière anonyme, mais aussi de faire circuler et d’alimenter les positions et discours extrêmes, de manière immédiate et incontrôlable. Un message peut être ainsi relayé, en quelques secondes, à des milliers de personnes.

Discours différentialistes

Mais comment les discours désignent-ils ces autres, à haïr, à exclure, voire à éradiquer ? Surtout, comment peut-on décrypter ces discours d’une part, et les déconstruire d’autre part pour recréer du lien social ? Cela, à l’heure où de nouveaux mots en – isme et en -iste, qui sont par essence des mots catégorisants, font la une des journaux (« séparatisme ») et « islamo-gauchiste ». La question se pose d’autant plus que ces discours différentialistes, qui tendent à mettre en exergue de manière critique les caractéristiques d’un ou de plusieurs autres, vont dans le sens de l’exclusion et du discours de haine.

La haine a la plupart du temps des origines émotionnelles : parfois individuelle, et parfois collective, ses enjeux sont toujours liés à un même type de dynamique, fondée sur la peur de l’autre, ce qu’explique l’ouvrage à paraître prochainement La haine en discours, édité par Nolwenn Lorenzi Bailly aux éditions le Bord de l’eau, collection documents.

Dans le cas où la haine vise une seule personne, on parlera de harcèlement : les discours d’une ou plusieurs personnes convergent pour tenir des propos visant à isoler, mettre à part, faire se sentir mal, exclure une personne en particulier d’un groupe donné. Ces phénomènes, et le cyberharcèlement en particulier, peuvent être dévastateurs et bouleverser des vies de manière définitive. L’adolescence est une période de vulnérabilité qui fait des jeunes l’une des principales cibles du cyberharcèlement.

La cristallisation d’une persécution sur un individu est souvent associée au phénomène du bouc émissaire, mis en évidence par René Girard. Le « tous contre un » se manifeste à travers le processus de désignation d’un bouc émissaire qui permet au groupe de refaire son unité contre une personne à travers le partage d’une émotion haineuse.

Lorsque plusieurs personnes font l’objet d’un discours de haine, le processus est le même, mais ce cadre discursif s’étend à la persécution : on peut dire qu’il devient programmatique dans le sens où il tend à s’organiser de manière systématique, comme cela fut le cas pour le génocide des Tutsi au Rwanda, ou ceux perpétrés par le nazisme.

Dans la langue française, la stigmatisation est facilitée, entre autres processus, par le système linguistique lui-même. La détermination obligatoire des substantifs, et l’article pluriel en particulier, permet de désigner en les isolant certains groupes de personnes, juste en les dénommant : « les juifs », « les homosexuels », « les roms »… Pour ne prendre que cet exemple de l’emploi de l’article défini, il agit comme un marqueur de démarcation inclusif ou exclusif d’un groupe, d’une communauté de personnes supposées avoir des caractéristiques communes entre elles, qui les (dé)marquent, les mettent à part, les excluent des autres selon certains critères.

Langue reformatée

Le simple fait de parler de certains groupes de personnes par rapport à d’autres selon des caractéristiques implicitement définies devient déjà un facteur de développement possible du discours de haine, car il entre dans une dynamique d’opposition – « les femmes », versus « les hommes » ; « les bons croyants » versus « les mécréants » (discours qui fonde le discours de haine terroriste de l’EI) ; « les riches » versus « les pauvres »)-, et de distinctions (fondées sur toute une palette de critères possibles, y compris de races).

Parallèlement au système de la langue même qui s’organise cognitivement d’une telle manière qu’il semble impossible, de fait, d’échapper à une catégorisation du monde, un travail de manipulation, voire de resignification des mots est parfois opéré pour mettre la langue au service d’une idéologie.

Ce type de processus linguistique, où la langue est reformatée au point que l’on donne aux mots un sens nouveau, a été mis en évidence par Georges Orwell dans son roman 1984. Mais cela s’est également produit dans la réalité du discours nazi, dont le processus de construction a été quotidiennement décrit par Viktor Klemperer, dans le livre La langue du IIIème Reich.

Documentaire, diffusé sur Arte, sur la vie de Victor Klemperer.

Dans ce livre, Klemperer explique par exemple comment le terme « sous-homme » est une invention de la LTI (la langue du IIIème Reich) (p.80). Il explique encore la manière dont la LTI a banni le mot « système » de l’allemand au profit du mot « organisation », parce que les nazis :

« n’ont pas de “système”, ils ont une “organisation”, ils ne systématisent pas avec l’entendement, ils cherchent à entrer dans le secret de l’organique » (p.140).

Ce processus de distinction et catégorisation est d’autant plus complexe, qu’il nous aide, dès le plus jeune âge, à comprendre le monde et à organiser nos connaissances et savoirs. Nous fondons ainsi nos connaissances sur nos compétences à distinguer les choses les unes des autres de manière de plus en plus fine. Un animal d’un humain, puis au sein du règne animal, un mammifère d’un oiseau, puis au sein des mammifères, un chien d’un chat etc.

Il est donc particulièrement compliqué d’accepter que ce phénomène de catégorisation, qui nous est indispensable pour apprendre, acquérir de nouvelles connaissances, puisse également se transformer à un moment donné en processus de réduction simplificatrice.

Stéréotype

On arrive à ce point à la notion de stéréotype qui conduit à attribuer certaines caractéristiques de manière systématique à certaines personnes, du fait qu’elles partagent en effet, qui une idéologie, qui une croyance ou culture religieuse, qui une orientation sexuelle, qui une origine.

Or, de fait, ce n’est pas parce que des personnes sont susceptibles de partager une caractéristique, qu’elles se ressemblent en tout point. Bien au contraire, ce qui distingue ces personnes au sein d’une même association par caractéristique commune est largement supérieur à ce qui les y rassemble. Aussi, d’une certaine manière, le discours de haine et de radicalisation émane-t-il du fait qu’à un moment donné les personnes ont renoncé à aller au bout de ce processus de distinction, discrimination qui fonde le savoir et la connaissance.

En ce sens, la discrimination au sens négatif est le fruit d’une paresse cognitive qui tend à regrouper sous un même label des éléments qui n’ont en réalité qu’un seul et unique trait en commun.

Ce phénomène rejoint celui d’essentialisation. Il s’accommode également de la tendance à accuser l’autre de nous faire ressentir les émotions que nous ressentons.

C’est cette forme de paresse cognitive qui nous conduit à isoler « l’autre » dans nos discours, dans un accusateur « toi, tu es ceci/cela/comme ceci/comme cela, donc je te rejette pour cette raison unique » (et quelles que soient toutes tes autres caractéristiques, traits, goûts, etc.). Le discours de haine est ainsi d’abord un discours qui renonce à la richesse de l’altérité. Il réduit l’autre à une tête d’épingle de ce qui le constitue comme personne dans son ensemble. Le discours de haine est en cela un discours réductionniste.

Au-delà de la mise en exergue d’une caractéristique, d’un trait, unique, il s’agit d’envisager tous les éléments qui font qu’une personne est unique ; et d’apprendre ainsi à désolidariser les individus de stéréotypages globaux souvent abusifs « les immigrés, les vieux, les jeunes, etc. »

Changement de paradigme

En ce sens, l’une des manières de lutter contre les manifestations discursives de la haine réside dans la diversification des approches d’autrui, dans le développement de la connaissance, du savoir – de l’autre, mais aussi du monde, de ce que signifie pour chacun être juif, arabe, bisexuel, financier, roux, chinois, etc.

Cela passe par une attention à nos propres prises de paroles (qui s’organisent en « moi je/toi tu », « elles et ils/eux ils ») ; aux choix des mots que nous utilisons, à leur précision. Apprendre à exprimer nos ressentis, nos émotions en disant « je » et à nuancer notre vocabulaire et les interprétations que nous faisons des dires et comportements d’autrui constituent certaines des clefs pour sortir de ce processus.

Il s’agit donc, également, de continuer à affiner et renforcer nos capacités et compétences linguistiques à distinguer et, d’une certaine manière, de chercher à opérer encore plus de distinction, à catégoriser encore plus finement le monde pour ne pas, justement, être tenté de le diviser en quartiers grossiers ou en cases prédéfinies dans lesquelles enfermer les individus.

Il s’agit alors d’éduquer à la variation, à la discrimination et ce tout au long de la vie. Voire de changer de paradigme, en passant de celui de la différence à celui de diversité. Ce changement de paradigme peut aussi se faire par la maîtrise du langage, de l’adresse à l’autre en même temps que la manière de parler des autres.

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