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lunedì 25 novembre 2019

commedia all’italiana



Con l’espressione «commedia all’italiana»si indica quel fortunato filone cinematografico che nasce e si sviluppa in Italia tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso. Anzi, per la precisione, questo termine(mutuato dal titolo di un celebre film di Pietro Germi del 1961, Divorzio all’italiana) è usato per designare, più che un filone vero e proprio, un periodo creativo particolarmente felice per la cinematografia italiana, in cui vengono prodotte commedie brillanti, ricche di situazioni esilaranti, ma caratterizzate da contenuti profondi e di grande attualità. Negli anni del cosiddetto boom economico, in cui il nostro Paese visse un momento di straordinaria crescita economica e di sviluppo tecnologico, questi film si ripropongono di raccontare i drastici cambiamenti che il benessere diffuso ha prodotto nella mentalità e nei costumi degli italiani di allora: la nascita di un nuovo rapporto con il potere e con la religione,la ricerca di nuove forme di emancipazione economica e sociale sia all’interno del lavoro, sia nell’ambito della famiglia e dei rapporti matrimoniali. Obiettivo dei registi di questo filone cinematografico è analizzare i fermenti e le contraddizioni della società dell’epoca, rappresentando, in modo più o meno bonario, il carattere degli italiani con i loro vizi e le loro virtù. In questo senso, il testimone forse più lucido e disincantato è sicuramente Pietro Germi, che, insieme a Mario Monicelli, è considerato il padre della commedia all’italiana. Autore di film quali Divorzio all’italiana, con cui si aggiudicò nel 1962 l’ambito premio Oscar, Sedotta e abbandonata (1964), In nome della legge (1949), la cinematografia di Germi prende di mira soprattutto l’arretratezza sociale e culturale in cui versava il sud Italia (l’amatissima Sicilia),ma anche l’ipocrisia e il malcostume diffusi negli strati sociali medio e alto borghesi dell’Italia del nord (Signore e signori). Sulla falsariga di Germi si muove Mario Monicelli, con la differenza che la satira monicelliana rappresenta il malcostume e i difetti (qualche volta le virtù) comuni un po’ a tutti gli italiani, senza particolari differenze regionali, come nei Soliti ignoti(1958), La grande guerra(1959), con cui vinse il prestigioso Leone d’oro alla mostra del cinema di Venezia, e soprattutto L’armata Brancaleone(1966) e Brancaleone alle Crociate (1975), due film ambientati nel Medioevo, dedicati alle avventure di un gruppo squinternato di straccioni al seguito di Brancaleone da Norcia, unico e spiantato rampollo di una nobile famiglia decaduta, nonché sedicente cavaliere. Un altro grande rappresentante di questo filone cinematografico è Dino Risi,di cui ricordiamo soprattutto Il sorpasso(1962), potente affresco satirico dell’Italia del benessere e del miracolo economico, considerato unanimemente dai critici il suo capolavoro, In nome del popolo italiano(1971), I mostri(1963), dove mette a nudo le caratteristiche negative dell’italiano medio. Accanto a questi maestri, altri grandi registi che hanno approfondito alcune tematiche della commedia all’italiana in modo originale e interessante, sono Ettore Scola, autore di film di indubbio valore arti-stico come C’eravamo tanto amati (1974),Brutti sporchi e cattivi (1976), La famiglia(1987) commedia che ripercorre ottant’anni di storia italiana (1906-1986) attraverso la saga di una famiglia, Il mondo nuovo(1982), ambientato nel periodo della rivolu-zione francese; Luigi Comencini, Luigi Magni, Luigi Zampa, Lina Wertmüller,Luciano Salce, Sergio Corbuccie il fratello Bruno Corbucci, celebre soprattutto per i film della saga del commissario Nico Giraldi (Monnezza), interpretato da Tomas Milian. Fondamentale per il successo della commedia all’italiana fu il contributo apportato dagli sceneggiatori, come Steno (Stefano Vanzina), Suso Cecchi d’Amico,Rodolfo Sonego, Age e Scarpelli, che regalarono dialoghi indimenticabili ai personaggi, e naturalmente degli attori. Alberto Sordi, Totò, Peppino de Filippo, Vittorio Gassman, Gino Cervi, Ugo Tognazzi, Nino Manfredi, Gastone Moschin, Marcello Mastroianni e, fra le donne Monica Vitti, Carla Gravina e Franca Valeri, sono solo alcuni fra gli interpreti che seppero incarnare con sensibilità e intelligenza i vizi e le virtù, i tentativi di emancipazione e gli involgarimenti degli italiani del boom. Il progressivo inasprimento dello scontro sociale e politico negli anni Settanta,con l’irruzione del terrorismo, della crisi economica, e di un diffuso senso di insi-curezza, finirà per spegnere quella spinta al sorriso ironico che era stata la carat-teristica dominante della commedia all’italiana degli anni migliori, sostituita pocoalla volta da una visione sempre più cruda e drammatica della realtà. Nel 1975,Mario Monicelli con il film Amici miei, tratto da un’idea di Pietro Germi, imprimerà in tal senso una svolta fondamentale alla commedia: scompaiono definitivamente il lieto fine e il finale leggero; i personaggi rimangono comici ma diventano amari e patetici, in un’atmosfera di generale amarezza e disincanto. In conclusione, possiamo dire che, se Monicelli con I soliti ignoti segna l’inizio della commedia all’italiana, con Amici miei ne decreta la fine. Il glorioso filone stava ormai scivolando nel racconto di storie private, e non presentò più, se non raramente, quelle caratteristiche di satira lucida e sanguigna a cui doveva la sua specificità.Qualche garbata esercitazione su temi affini ad opera di autori della generazione più recente, come Mediterraneo(1991) e Puerto Escondido(1992) di Gabriele Salvatores, Benvenuti in casa Gori(1990) di Alessandro Benvenuti– battistrada quest’ultimo di una nuova voga per la disincantata,mordace ironia toscana – o Ferie d’agosto(1996) di Paolo Virzì, o ancora le commedie dell’attore-regi-sta Carlo Verdone, hanno fatto parlare di una ripresa e di una ripetizione degli schemi della commedia all’italiana, anche se ciò ma non ha impedito ad alcuni di denunciare il definitivo tramonto di questo genere.

1 commento:

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