1. Pane e tulipani (Italia 2000, col, 110 min.), regia di Silvio Soldini. Con Licia Maglietta, Bruno Ganz, Giuseppe Battiston, Antonio Catania, Marina Massironi.
Trama:
Dimenticata in un autogrill dalla famiglia in gita, la casalinga
pescarese Rosalba ( Licia Maglietta ) finisce a Venezia, dove l’amicizia
del timido cameriere Fernando ( Bruno Ganz) le fa sperare di poter
cambiare vita: ma fino a quando posso durare i sogni?
• Venduto in tutto il mondo ( negli Usa rimase in cartellone per oltre sei mesi ) e campione di incassi in patria, “Pane e tulipani”
venne osannato come il film che segnava la “rinascita del cinema
italiano”. E in effetti, ha tracciato la strada, poi intraprese da altri
autori e attori nel corso degli anni a venire. La Venezia di “Pane e tulipani”
è un’isola irreale e utopica, dove i sogni si realizzano e la
tecnologia non esiste: una danza cavalleresca ballata in punta di piedi.
Strepitosa la prova di Licia Maglietta, che rende credibile un
personaggio realistico ( la casalinga tradita dal marito e frustrata
nelle proprie aspirazioni ) calato in un contesto fuori dal tempo.
Azzeccata atmosfera favolistica.
2. L’ultimo bacio ( Italia 2001, col.117 min. ), regia di Gabriele Muccino. Con Stefano Accorsi, Giovanna Mezzogiorno, Martina Stella, Claudio Santamaria, Sabrina Impacciatore, Stefania Sandrelli.
Trama: Tradimenti,
matrimoni, fughe e rientri coinvolgono cinque amici con le rispettive
consorti: su tutte spicca la storia di Carlo (Stefano Accorsi) e Giulia (
Giovanna Mezzogiorno ): lei al terzo mese di gravidanza, lui sedotto
“per l’ultima volta” da una diciottenne ( Martina Stella ).
• “L’ultimo bacio” diventa da
subito simbolo di una generazione, quella dei trentenni, restia a
diventare adulta, incapace sia di adagiarsi all’interno degli schemi
dettati dalle regole sociali sia di romperli per sostituirli con
principi nuovi. Giovani cresciuti all’interno di famiglie normali,
perennemente in corsa, affetti da depressione cronica e alla ricerca
disperata di un sentimento d’amore che dovrebbe porre fine a ogni forma
di frustrazione. Modello da prendere in esame, per lo studio della
“nuova” commedia all’italiana, grazie ad una perfetta descrizione
sociologica dei tempi attuali e ad un montaggio serrato, che rendono la
pellicola particolarmente efficace e toccante.
3. Le fate ignoranti ( Italia 2001, col. 106 min.), regia di Ferzan Ozpetek. Con Margherita Buy, Stefano Accorsi, Andrea Renzi, Serra Yilmaz, Rosaria De Cicco, Gabriel Garko.
Trama: Rimasta
vedova, la borghese Anna ( Margherita Buy ) scopre con grande sconcerto
che suo marito Massimo ( Andrea Renzi ) aveva un amante, Michele
(Stefano Accorsi). E piano piano viene coinvolta nel mondo variopinto,
multietnico e multisessuale che Massimo frequentava in gran segreto.
• Girato a Roma, quello di Ozpetek, è un
film che osa parecchio e offre uno spaccato inedito di una capitale
abitata da immigrati, omosessuali, emarginati di ogni colore ed età,
ancora oggetto di imbarazzo nell’Italia conformista dei primi anni del
XXI secolo. Ma porta anche alla luce con delicatezza e con intelligente
parsimonia nell’uso dei cliché storie d’amore, di malattia, di morte. Si
riflette sulle differenze culturali e sui valori della famiglia
tradizionale, ormai in profonda crisi di fronte alle trasformazioni
storiche e sociali e sulla ormai dilagante globalizzazione delle razze
umane. Nastri d’argento sia per Margherita Buy, che per Stefano Accorsi.
4. La stanza del figlio ( Italia 2001, col, 99 min. ), regia di Nanni Moretti. Con Nanni Moretti, Laura Morante, Jasmine Trinca, Silvio Orlando, Giuseppe Sanfelice.
Trama: La
vita normale dello psicoanalista Giovanni ( Nanni Moretti ) è sconvolta
dall’improvvisa morte del figlio ( Giuseppe Sanfelice ) durante
un’immersione, mettendo in crisi anche il rapporto con la moglie ( Laura
Morante ) e la figlia (Jasmine Trinca ). L’improvvisa visita di
un’amica del figlio innesca tutta una serie di eventi che permetteranno
alla famiglia di elaborare il lutto.
• Una commedia amara, amarissima,
probabilmente la migliore di Nanni Moretti, che racconta gli effetti che
la morte di un figlio provoca in una famiglia medioborghese. La
sceneggiatura, molto efficace, libera la trama da qualsiasi lacrimevole
retorica, affrontando in modo originale, più vero e niente affatto
scontato, un tema molto abusato. Sensi di colpa, solitudine, incapacità
di comunicare, Nanni Moretti orchestra tutti questi elementi, con la
sagacia del grande regista e vince la Palma d’Oro al Festival di Cannes.
5. L’ora di religione (Italia 2002, col, 102 min.), regia di Marco Bellocchio. Con Sergio Castellitto, Piera Degli Esposti, Jacqueline Lustig, Chiara Conti, Gigio Alberti.
Trama: Ernesto
Picciafuoco ( Sergio Castellito ), pittore e illustratore di fiabe per
bambini, riceve la visita del segretario di un cardinale che gli
annuncia il processo di beatificazione della madre, uccisa in un momento
di follia da Egidio, fratello pazzo del protagonista e bestemmiatore
incallito. Ernesto deve allora far fronte all’intrusione nel suo mondo
laico di personaggi che vivono e praticano la religione come forma di
assicurazione per l’eternità, mentre rimane affascinato dalla maestra di
religione del figlio.
• Uno dei migliori film italiani degli ultimi trentanni, L’ora di religione,
sorretto da un Sergio Castellito da applausi, getta lo sguardo sul
presente e sulla società italiana contemporanea. Il regista Marco
Bellocchio, riprendendo idealmente i temi del suo primo film, I pugni in tasca,
del 1965, si interroga sul senso e sulla forza di scelte che si danno
per scontate e che invece devono essere quotidianamente ribadite:
proprio come è costretto a fare il protagonista, che vede riemergere un
passato che credeva superato e che invece tutti sembrano disposti a
tradire. La chiave scelta è quella del grottesco, che aggira i limiti
del racconto realistico e permette di affrontare tutti i temi sul
tavolo- le azioni dettate dal tornaconto, l’arroganza delle istituzioni,
le ambiguità della Chiesa- senza cadere nel cinismo o
nell’autoconsolazione. Incetta di premi nazionali e internazionali:
menzione speciale a Cannes, Oscar europeo a Sergio Castellitto, Nastri
d’argento a Bellocchio e Castellito, David di Donatello a Piera Degli
Esposti. Capolavoro.
6. Respiro ( Italia 2002, col, 100 min. ), regia di Emanuele Crialese. Con Valeria Golino, Vincenzo Amato, Francesco Casisa, Filippo Pucillo, Elio Germano.
Trama: Grazia
( Golino ) è una giovane madre di tre figli, ha un marito che fa il
pescatore e un lavoro nella fabbrica del pesce vicino al porto. Creatura
inquieta, dai comportamenti incomprensibili, Grazia è vista con
sospetto e diffidenza dagli abitanti dell’isola di Lampedusa. Quando il
marito cerca di convincerla a lasciare l’isola per andare a curarsi a
Milano, la donna scappa dal paese e si rifugia, con la complicità del
figlio maggiore, in una grotta: verrà creduta morta da tutti. Ma così
non rinuncia alla sua personale idea di libertà.
• Film memorabile, Respiro
afferma un’idea di cinema come viaggio, come incontro con culture
diverse, come sforzo di svelare la realtà al di là degli stereotipi.
Valeria Golino, la musa di Crialese, recita con un gruppo di attori
scelti tra gli abitanti di Lampedusa, e si muove in fusione perfetta nel
paesaggio aspro e splendente dell’isola. Il suo personaggio vive di
scatti luminosi e sorprendenti, così come di buie depressioni e di
chiusure improvvise. Respiro è una risalita verso il passato (
gli anni ’60 ) che rilegge i nodi fondanti del mito mediterraneo:
l’infanzia, la femminilità, la terra immersa in uno splendore solare e
marino che acceca, che sorregge un incantato desiderio di vita e di
libertà. Premio speciale della Critica a Cannes e Nastro d’argento come
migliore attrice protagonista per la Golino.
7. La meglio gioventù ( Italia 2003, col. 354 min. ), regia di Marco Tullio Giordana. Con Luigi Lo Cascio, Alessio Boni, Adriana Asti, Sonia Bergamasco, Fabrizio Gifuni.
Trama: Diviso
in quattro puntate e prodotto originariamente per la televisione, il
film uscì al cinema in due atti. Ritratto di un’epoca che va dagli anni
’60 ad oggi, il film di Giordana mette in scena il Bel Paese attraverso
lo sguardo di Nicola e Matteo Carati ( Lo Cascio e Boni ), uniti nella
fratellanza, divisi nelle intenzioni, diversi nel destino.
• “La meglio gioventù” è un’opera nella quale ci si guarda alle spalle e si tenta un bilancio: come Novecento
(1976) di Bertolucci, il film compie una lunga panoramica che abbraccia
enormi porzioni della nostra storia recente. La pellicola prova a
rintracciare nella storia i segni premonitori di ciò che siamo, le forme
ancora in incubazione della crisi sociale contemporanea e il buono che,
nonostante tutto, continua ad esserci. Opera colossale e smisurato
romanzo di formazione, La meglio gioventù segna un punto fermo
nella recente storia del cinema italiano, anche grazie allo splendido
apporto dei due giovani protagonisti. Identità nazionale e sentimenti di
appartenenza alla propria terra, sono le chiavi di lettura per godere
del film, ispirato all’omonima raccolta di poesie di Pier Paolo
Pasolini.
8. Le conseguenze dell’amore ( Italia 2004, col, 100 min. ), regia di Paolo Sorrentino. Con Toni Servillo, Olivia Magnani, Adriano Giannini, Antonio Ballerio, Nino D’Agata.
Trama: Contabile
della mafia, da dieci anni in Svizzera per riciclare denaro sporco,
Titta Di Girolamo ( Servillo ) si innamora della barista ( Magnani )
dell’hotel in cui risiede, e per regalarle un’auto usa soldi non suoi.
Quando due killer cercano di derubarlo, lui fa sparire l’ingente
refurtiva: ma il mancato incontro con la ragazza lo spinge ad accettare
passivamente la punizione dei suoi “datori di lavoro”.
• Opera seconda di Paolo Sorrentino, per
la seconda volta insieme a Toni Servillo, suo alter-ego cinematografico,
nel film si avverte già la capacità del regista napoletano di lavorare
sulle convenzioni nostrane- in questo caso il film di mafia-sabotandole,
quasi facendole implodere, trasformandole in qualcosa di nuovo e mai
visto. “Le conseguenze dell’amore” è un noir interiore e
imprevedibile, in cui si fondo stile e tragedia dell’assurdo, con un
finale impossibile da dimenticare. A sorpresa 5 David di Donatello:
miglior film, regia, sceneggiatura, attore protagonista e fotografia.
9. La seconda notte di nozze ( Italia 2005, col. 103 min. ), regia di Pupi Avati. Con Antonio Albanese, Katia Ricciarelli, Neri Marcoré, Marisa Merlini, Angela Luce.
Trama: Avati,
splendido direttore d’attori, mette insieme un trio di protagonisti
tanto bizzarro, quanto sorprendentemente efficace: Neri Marcorè, che
offre al suo personaggio tratti di luciferina cialtronaggine; Katia
Ricciarelli, al suo debutto d’attrice, che colpisce per misura e
naturalezza; ma soprattutto la commovente interpretazione di Antonio
Albanese, nei panni del tenero personaggio di Giuliano, possidente del
sud appena uscito dal manicomio. Un’idiota dai tratti quasi
pirandelliani che nella sua ingenuità assume su di sé parte del senso
della vita di un’Italia che usciva dalla Seconda Guerra Mondiale e
cercava (con forza ma senza troppo illudersi) una “pulizia” interiore.
• Amaro affresco dell’Italia meridionale
del secondo dopoguerra, il film di Pupi Avati tocca le corde della
poesia, per la sua delicatezza dei percorsi della memoria, e per quelle
note sottili e ripiegate della malinconia, dosate al punto
giusto. Antonio Albanese, vero mattatore della pellicola, regala al
regista un’interpretazione tanto trattenuta quanto intensa, capace di
toccare le corde della poesia e della commozione senza cadere nel
patetico. La dimostrazione della grande sensibilità interpretativa
dell’attore, nonchè della capacità più unica che rara di vestire una
parte così difficile e intensa al tempo stesso. Un film avventuroso,
elegiaco e bello che con delicatezza malinconica capovolge le idee
convenzionali e dice cose dure, anche se non originali: che l’essere
umano può diventare abietto, quando è affamato o alimentato da
pregiudizi. Applausi scroscianti al Festival di Venezia, dove però non
si aggiudica alcun premio.
10. Il caimano ( Italia 2006, col. 112 min. ), regia di Nanni Moretti. Con Silvio Orlando, Margherita Buy, Jasmine Trinca, Nanni Moretti, Elio De Capitani, Michele Placido.
Trama: Una
giovane regista ( Trinca ) vorrebbe fare un film sull’ascesa al potere
del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi; propone il copione al
proprio produttore ( Orlando ), che accetta, pur roso dai dubbi. Gli
ostacoli sono molti e non solo di natura personale. Le difficoltà
comunque, non impediscono di girare almeno la lunga sequenza finale, in
cui Berlusconi viene condannato a sette anni di reclusione.
• De Il caimano si è parlato
molto già prima che uscisse. Il film, infatti, riguarda Berlusconi, e la
sua uscita a ridosso delle elezioni del 2006 ha fatto molto rumore. Il
personaggio pubblico viene però isolato all’interno di una finzione
debitrice di Borges e Pirandello, e di un labirinto di specchi narrativi
a tratti vertiginoso. Di pirandelliano, infatti, nel film c’è proprio
il personaggio di Berlusconi, interpretato da diversi attori: quello
immaginato dalla protagonista ( De Capitani ); quello interpretato da
Michele Placido; quello vero nelle sequenze di repertorio; e c’è infine
quello cui lo stesso Moretti offre il suo volto. L’autore “divora”
l’immagine del suo nemico sostituendosi a lui nell’ultima apocalittica
sequenza. Grottesca pazzia per un film da vedere.
11. Gomorra ( Italia 2008, col. 135 min.), regia di Matteo Garrone. Con Toni Servillo, Gianfelice Imparato, Maria Nazionale, Salvatore Cantalupo, Gigio Morra.
• L’impresa di trasformare in film il testo di Roberto Saviano sembrava impossibile. Gomorra letterario
è infatti un romanzo tuttora indecifrabile per come ha saputo mescolare
l’impianto giornalistico, la scrittura d’inchiesta e la narrativa.
Epica e informazione, nello stile dello scrittore, diventano un tutt’uno
e il magma di avvenimenti, personaggi, folklore e descrizione
politico-economica costituiscono un nucleo difficilmente scomponibile.
Il regista Matteo Garrone ha invece compiuto il miracolo, con una
descrizione che si avvale dell’adesione ai classici canoni del modello
neorealista. I dialoghi sono recitati in napoletano stretto,
sottotitolati in italiano; gli ambienti sono quelli autentici dei
quartieri di Vele e di Scampia; gli attori provengono dal capoluogo
campano e in alcuni casi persino dalla strada; quel che viene raccontato
affonda le radici nella cronaca del libro. Il risultato è eclatante,
anche grazie all’interpretazione di attori come Toni Servillo,
Gianfelice Imparato e Maria Nazionale. Molti premi, tra cui spicca il
Gran Premio della Giuria a Cannes, segnale di rinascita del cinema
italiano in ambito internazionale.
12. Il divo ( Italia 2008, col.111 min. ), regia di Paolo Sorrentino. Con Toni Servillo, Anna Bonaiuto, Giulio Bosetti, Flavio Bucci, Carlo Buccirosso.
• Al suo quarto lungometraggio il giovane
regista napoletano Paolo Sorrentino si conferma autore di razza,
confezionando un film interessante e innovativo nel panorama italiano
contemporaneo. Lo stile barocco e sontuoso che caratterizza il film può
rivelarsi a tratti disturbante, e infatti non ha mancato di suscitare
qualche rimostranza da parte dei critici, ma il film ha comunque
riscosso grande successo, anche a livello internazionale, ammaliando il
pubblico e vincendo il Premio della Giuria al Festival di Cannes, del
2008. Il divo è un affresco epocale, un pò biografia, un pò
film inchiesta, un pò opera rock il cui indiscusso protagonista è lo
strepitoso Toni Servillo nel ruolo del divino Giulio Andreotti, l’uomo
che ha partecipato in prima persona a tutti gli eventi più importanti
della storia della Repubblica italiana.
13. Basilicata coast to coast ( Italia 2010, col. 105 min. ), regia di Rocco Papaleo. Con Rocco Papaleo, Giovanna Mezzogiorno, Alessandro Gassman, Max Gazzé, Paolo Briguglia, Claudia Potenza.
Trama: La
storia del picaresco viaggio di quattro amici ( Papaleo, Gassman, Gazzè,
Briguglia ), ai quali si aggiunge una giornalista figlia di onorevole (
Mezzogiorno) , che decidono di attraversare la Basilicata a piedi, da
Maratea a Scanzano Jonico, per partecipare ad un festival della canzone.
Ognuno ha i suoi problemi, e il viaggio errante avrà per tutti un
valore terapeutico. L’avventura servirà a loro per ritrovare se stessi e
per riacquistare fiducia nelle proprie capacità.
• Prendendo come modello L’Armata Brancaleone,
di Mario Monicelli, il lucano Rocco Papaleo al suo esordio da regista,
costruisce un film, diventato fin da subito un cult del cinema italiano
contemporaneo, nonché una delle pellicole più apprezzate degli ultimi
anni. Considerato un vero e proprio “inno al meridione italiano”, Basilicata coast to coast, ha ottenuto unanimi dichiarazioni di consenso, presso la critica specializzata: il Manifesto lo ha definito «Un’idea bella e commovente»; Il Messaggero «Non esplosivo ma dolce»; L’Unità «ben recitato, ben girato e pieno di magnifiche musiche» oltreché «struggente, randagio, emozionante»; il Corriere della Sera «Film vitale, simpatico, con qualcosa di prolisso e didascalico, ma pieno di una genuina voglia di cinema e racconto»; La Stampa «un piccolo film che trova con spontaneità una sua intonata forma artistica». Tre David di Donatello e due Nastri d’argento, tra cui quelli come miglior regista esordiente a Rocco Papaleo.
14. Senza arte ne parte ( Italia 2011, col, 90 min. ), regia di Giovanni Albanese. Con Vincenzo Salemme, Donatella Finocchiaro, Giuseppe Battiston, Hassani Shapi, Paolo Sassanelli, Giulio Beranek.
Trama: La
storiadi Enzo (Vincenzo Salemme),Carmine (Giuseppe Battiston) e Bandula
(Hassani Shapi),tre operai che lavorano in un pastificio nel salento,
improvvisamente licenziati per far spazio a nuovi macchinari pronti a
sostituirli. Alla fine l’occasione per ricominciare viene data loro
proprio dal vecchio datore di lavoro (Paolo Sassanelli) che li assume
per fare la guardia ad alcune opere di arte contemporanea,acquistate per
esser rivendute al miglior offerente.Dopo aver scoperto che le opere
potevano essere riprodotte con facilità, si ingegnano per rifarle così
da poter rimpiazzare quelle originali che, avrebbero venduto per conto
loro. Imprevisti e guai a non finire. Lieto fine.
• Piccolo film del regista emergente Giovanni Albanese, Senza arte ne parte
emerge grazie ad una trama piuttosto svelta, a dialoghi molto
divertenti e alla vérve degli interpreti. I personaggi di Salemme e
Battiston sono entrambi riusciti,l’umorismo del primo, in particolare,
ha libero sfogo, ed ha modo di emergere. Il film a sorpresa ha ricevuto
la nomination come miglior commedia ai Nastri d’argento del 2011. Una
commedia all’italiana in pieno stile, quasi una Banda degli onesti dei
giorni nostri, comunque tra le commedie più gradevoli e originali, della
pletora di film mediocri che abbondano nel nostro cinema contemporaneo.
15. L’intrepido ( Italia 2013, col, 104 min. ), regia di Gianni Amelio. Con Antonio Albanese, Livia Rossi, Gabriele Rendina, Sandra Ceccarelli.
Trama: La
storia racconta la vita di Antonio, un 48enne che fa la professione di
tappabuco, ovvero il “rimpiazzo”, sostituendo a lavoro quelli che, per
qualche ora o qualche giorno, non possono andare a lavorare, ed allora
il lavoro di Antonio diventa il lavoro di tutti: da operaio a guidatore
di tram, da venditore di rose a muratore, in una Milano in cui viene
esaltata l’impersonalità, grazie alla fotografia efficace di Luca
Bigazzi.
• Non è un film sul lavoro l’ultima opera
del Maestro Gianni Amelio, ma è proprio il lavoro che crea una diga, che
divide due generazioni. Quella di Antonio, il protagonista,
magistralmente interpretato dal grande Antonio Albanese; e quella di suo
figlio e di una giovane ragazza sua amica ( Gabriele Rendina e Livia
Rossi ). Il regista coglie appieno l’atteggiamento di due diverse
generazioni rispetto al mondo del lavoro, modellando sul protagonista un
personaggio irreale, stralunato, candido, quasi sospeso in un limbo.
Albanese sembra infatti, uno “Charlot dei tempi moderni”,
mentre i due giovani vivono l’incapacità di comunicare, come un nemico
invincibile. Questo film rende il tema del lavoro il suo personaggio
principale a cui Antonio Albanese fa da spalla nella migliore
interpretazione della sua carriera. Presentato alla 70esima edizione del
festival di Venezia, il film non vince, ma viene profondamente e
convintamente applaudito da pubblico e critica; come peraltro, ne viene
lodata la perfetta interpretazione di Antonio Albanese definito “un personaggio chapliniano nell’Italia d’oggi”.
16. La grande bellezza ( Italia 2013, col, 142 min. ), regia di Paolo Sorrentino. Con Toni Servillo, Sabrina Ferilli, Carlo Verdone, Isabella Ferrari, Carlo Buccirosso, Iaia Forte.
Trama: Roma
si offre indifferente e seducente agli occhi meravigliati dei turisti, è
estate e la città splende di una bellezza inafferrabile e definitiva.
Jep Gambardella ( Toni Servillo ) ha sessantacinque anni e la sua
persona sprigiona un fascino che il tempo non ha potuto scalfire. È un
giornalista affermato che si muove tra cultura alta e mondanità in una
Roma che non smette di essere un santuario di meraviglia e grandezza.
Intorno a lui tutta una serie di personaggi che si muovono nella Roma
bene dei decadenti anni 2000. La grande bellezza di Roma, riesce
comunque a fuoriuscire, come un bagliore accecante in mezzo ai problemi
dei tempi nostri.
• Il film che riconsegna l’Oscar come miglior film straniero all’Italia, 16 anni dopo La vita è bella,
è quello che consegna il sodalizio Sorrenti-Servillo alla storia del
cinema mondiale.Forse l’opera più ambiziosa di Sorrentino fino ad oggi,
La grande bellezza è un film che vive delle stesse contraddizioni che
racconta, di eccessi barocchi e intimità commoventi, momenti di un
surrealismo concretissimo come di puro e cristallino godimento estetico
essenziale, di una crepuscolarità costante e ininterrotta perfino dalla
luce del giorno e momenti di straordinaria lucidità su sé stessi e sul
mondo.
Un film opulento per ragionata necessità, ma nel quale il regista trova perfino, niente affatto paradossalmente, lo spazio per calmierare la scalmatezza della sua vorticosa macchina da presa. Strepitoso Toni Servillo e ottimi i co-protagonisti a partire da Sabrina Ferilli e Carlo Verdone. Pletora di premi nazionali e internazionali.
Un film opulento per ragionata necessità, ma nel quale il regista trova perfino, niente affatto paradossalmente, lo spazio per calmierare la scalmatezza della sua vorticosa macchina da presa. Strepitoso Toni Servillo e ottimi i co-protagonisti a partire da Sabrina Ferilli e Carlo Verdone. Pletora di premi nazionali e internazionali.
17. Il nome del figlio ( Italia 2015, col, 94 min. ), regia di Francesca Archibugi. Con Alessandro Gassman, Valeria Golino, Rocco Papaleo, Micaela Ramazzotti, Luigi Lo Cascio.
• La Archibugi , ispirandosi alla commedia
francese “Cena fra amici” realizza una commedia ‘orecchiabile’, uno
scavo nel passato (gli anni Settanta), con cui il film mantiene una
relazione dialettica, per interrogarsi sul presente e provare a
immaginare un futuro, ‘generato’ nell’epilogo. Il nome del figlio
è un vaudeville sociologico, visto che la prosa è alternata da strofe
cantate e conosciute, che si tuffa nel cuore dei suoi personaggi
portando il film verso territori nuovi e riportandolo dentro i confini
nazionali, dentro la nostra storia, le nostre vite cariche di
preconcetti e pregiudizi. Sempre empatica nei confronti dei propri
personaggi, la regista romana dirige un gruppo di attori intelligenti
che, come ‘canta’ Dalla nel film, sono arrivati “alle porte
dell’universo ognuno con i suoi mezzi e ognuno in modo diverso, magari
arrivando a pezzi”. Attori-autori, Valeria Golino, Luigi Lo Cascio,
Rocco Papaleo e Alessandro Gassmann contribuiscono alla creazione del
film, intrecciando una tensione emotiva ed estetica che raggiunge l’acme
sulle note di “Telefonami tra vent’anni”. Con loro ma fuori campo,
fuori tempo rispetto al flusso di musica e di coscienza, fuori salotto e
al di là della finestra, si (ri)leva Micaela Ramazzotti: uno
straordinario assolo di cinque grandi interpreti, su tutti Gassman che
ai Nastri d’argento si aggiudicherà il premio come miglior attore
protagonista dell’annata; e la Ramazzotti che vincerà meritatamente
nella categoria “miglior attrice non protagonista”. La miglior pellicola
italiana dell’annata 2015, e una delle migliori degli ultimi vent’anni:
grande film che rasenta il capolavoro.
18. Per amor vostro ( Italia 2015, col, 110 min. ), regia di Giuseppe M. Gaudino. Con Valeria Golino, Massimiliano Gallo, Adriano Giannini, Elisabetta Mirra.
• Gaudino affida alle poderose spalle
interpretative di Valeria Golino le innumerevoli sfaccettature di una
persona che si fa presente/passato e forse anche futuro e ne viene
ripagato quasi che il nome di finzione che le attribuisce volesse, più o
meno inconsciamente, far correre il pensiero a una ‘grande’ del cinema
come Anna Magnani. Se la colonna sonora musicale riesce a far confluire
in un magma di suoni e di stili, il rapporto tra gli inferi urbani e un
cielo che a tratti si fa quasi più ctonio degli inferi stessi, la messa
in parallelo della vita quotidiana della protagonista e il mondo ‘della’
e ‘da’ soap opera in cui lavora e si innamora suona un po’ didascalico.
Ma quando si ha a disposizione una ‘vera’ attrice anche questo ostacolo
può essere superato. E il paragone con Anna Magnani non è azzardato:
Valeria Golino è di gran lunga infatti la miglior attrice italiana del
cinema moderno, e al festival del cinema di Venezia trionferà con un
consenso quasi unanime. Vincerà infatti la Coppa Volpi come miglior
interprete femminile della prestigiosa kermesse veneziana ( la seconda
in carriera ). Massimo Bertarelli de Il Giornale loda l’interpretazione
di Valeria Golino, che giudica abbia meritato la Coppa Volpi, “spicca in
un bel ritratto di donna orgogliosa e sensibile”. Su L’espresso,
Emiliano Morreale ha apprezzato il film e l’interpretazione di Valeria
Golino “meritatissima Coppa Volpi a Venezia”. Cristina Piccino su Il
Manifesto, parla addirittura di interpretazione epocale di Valeria
Golino, definendo il personaggio da lei interpretato “unico nel cinema
italiano”. Pellicola memorabile, accolta però con freddezza nelle sale.
19. Lo chiamavano Jeeg Robot ( Italia 2016, col, 112 min.), regia di Gabriele Mainetti. Con Claudio Santamaria, Luca Marinelli, Ilenia Pastorelli, Stefano Ambrogi, Maurizio Tesei.
• Quello realizzato da Gabriele Mainetti è
un superhero movie classico, con la struttura, le finalità e l’impianto
dei più fulgidi esempi indipendenti statunitensi. Pensato come una
“origin story” da fumetto americano degli anni ’60, girato come un film
d’azione moderno e contaminato da moltissima ironia che non intacca mai
la serietà con cui il genere è preso di petto, Lo chiamavano Jeeg Robot
si muove tra Tor Bella Monaca e lo stadio Olimpico, felice di riuscire a
tradurre in italiano la mitologia dell’uomo qualunque che riceve i
poteri in seguito a un incidente e che, attraverso un percorso di colpa e
redenzione, matura la consapevolezza di un obbligo morale. Il risultato
è riuscito oltre ogni più rosea aspettativa, somiglia a tutto ma non è
uguale a niente, si fa bello con un cast in gran forma scelto con la
cura che merita ma ha anche la forza di farlo lavorare per il film e non
per se stesso. Claudio Santamaria è il protagonista, outsider da tutto,
un po’ rintronato e selvaggio, avido, alimentato a film porno, pieno di
libido ma anche dotato della dirittura morale migliore; Luca Marinelli è
la sua nemesi, piccolo boss eccentrico e sopra le righe, spaventoso e
sanguinario con i suoi occhi piccoli e iniettati di follia ma anche
malato di immagine (ha partecipato a Buona Domenica anni fa e sogna di
diventare famoso e rispettato con il crimine), l’anello di congiunzione
tra la borgata di Roma e il Joker. Intorno a loro un trionfo di
comprimari tra i quali spicca (per adeguatezza alla parte e physique du
role) Ilenia Pastorelli. 7 David di Donatello, tutti quelli agli attori,
per quello che è, probabilmente, il film italiano di fantasy più bello
di tutti i tempi.
20. Perfetti sconosciuti ( Italia 2016, col, 97 min.), regia di Paolo Genovese. Con Valerio Mastrandrea, Kasia Smutniak, Giuseppe Battiston, Anna Foglietta, Marco Giallini, Edoardo Leo.
Trama: Quante
coppie si sfascerebbero se uno dei due guardasse nel cellulare
dell’altro? È questa la premessa narrativa dietro la storia di un gruppo
di amici di lunga data che si incontrano per una cena destinata a
trasformarsi in un gioco al massacro. E la parola gioco è forse la più
importante di tutte, perché è proprio l’utilizzo “ludico” dei nuovi
“facilitatori di comunicazione” – chat, whatsapp, mail, sms, selfie,
app, t9, skype, social – a svelarne la natura più pericolosa: la
superficialità con cui (quasi) tutti affidano i propri segreti a quella
scatola nera che è il proprio smartphone (o tablet, o pc) credendosi
moderni e pensando di non andare incontro a conseguenze, o peggio
ancora, flirtando con quelle conseguenze per rendere tutto più
eccitante.
• David di Donatello come miglior film
della stagione 2015/2016, la pellicola di Paolo Genovese ha avuto un
incredibile successo di pubblico, oltre 20 milioni di euro di incassi,
secondo solo al film nazional-popolare di Checco Zalone. Lodato anche
dalla critica, quasi incondizionatamente, il film è una commedia
all’italiana a tutti gli effetti, sui falsi miti dei tempi attuali e
mantiene un tono narrativo adeguato dal primo all’ultimo secondo:non
melodrammatico (alla L’ultimo bacio), non romanticamente nostalgico
(alla Il nome del figlio), non farsesco, non cinico, ma comico al punto
giusto, con sfumature sarcastiche e iniezioni di dolore. Questa “cena
delle beffe” attinge a molto cinema francese e americano, ma la
declinazione dei rapporti fra i commensali è italiana, con continui
riferimenti a un presente in cui il lavoro è precario, i legami fragili e
i sogni impossibili. La scrittura è crudele, precisa, disincantata, e
ha il coraggio di lasciare appese alcune linee narrative, senza la
compulsione televisiva a chiudere ogni scena. C’è anche una coda alla
Sliding Doors che mostra come il “gioco” (prima che diventi al massacro)
sia gestibile solo con l’ipocrisia e l’accettazione di certe regole non
scritte: ed è questa la strada che più spesso scelgono gli esseri
“frangibili”. Azzeccato il cast.
Domenico Palattella
https://associazioneladolcevita.wordpress.com/2016/12/31/gli-anni-2000-20-pellicole-memorabili-del-cinema-italiano/
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