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venerdì 6 dicembre 2019

IL MITO DI GIOVANNI AGNELLI

Agnelli, il vero re d'Italia


L'icona dell'Avvocato ne esce comunque con la piega perfetta, come la riga dei suoi elegantissimi pantaloni. E non è poco. Mentre i documentari dedicati a personaggi semisconosciuti fanno solo bene al protagonista, quelli girati sulle leggende di solito o sono inutili, perché non aggiungono nulla, o stucchevoli, perché tendono a mitizzare.
Il biopic Agnelli, dedicato all'Avvocato italiano più famoso nel mondo - prodotto da HBO, diretto da Nick Hooker e presentato ieri a Venezia - non è né l'una cosa né l'altra. Agli americani, che non conoscono il mito-Agnelli, lo racconta benissimo. E a noi italiani, che invece lo conosciamo bene, mostra non solo il bianco abbagliante della sua scintillante Dolce Vita (titolo di una sezione del documentario), tra yacht, party e conquiste, ma anche il grigio, come quello dei suoi gessati, ai quali a volte è parso essere più interessato che all'azienda, e persino il nero dell'abisso in cui sprofondò quando si uccise il figlio Edoardo (una causa a cui l'Avvocato, fanno capire alcuni intervistati, non si dedicò abbastanza).
Anyway, gli americani e gli italiani, l'anno prossimo, su Sky (ri)ascolteranno con interesse la storia dell'«uomo che inventò la vanità» (lo chiama così un suo vecchio amico di barca e di feste), il quale adorava essere Gianni Agnelli, e soprattutto adorava il fatto che lo si adorasse. Un uomo il cui padre morì decapitato dall'elica di un idrovolante e la cui madre aveva un leopardo come animale domestico, ricorda Lapo Elkann, l'altro «pazzo» di famiglia che prese il timone della Fiat a 45 anni, e per il resto visse una vita che fu come il suo stile. Inimitabile.
La storia, come si dice, c'è tutta: la guerra da ufficiale, i viaggi per il mondo (Vittorio Valletta disse al giovane Gianni di non preoccuparsi, che sarebbe arrivato il suo tempo, e intanto si godesse la vita: Lui lo prese in parola, ricorda la sorella Maria Sole), la Fiat (diceva: la F sta per Fabbrica, perché noi le cose le facciamo, la I per Italia perché non l'abbiamo mai venduta, la A per automobili perché è il nostro mondo, e la T come Torino perché qui siamo e qui sempre staremo), la moglie Marella (forse l'unica persona che avesse più charme di lui, ecco perché se ne innamorò), l'arte (amava in particolare Balthus), e poi le macchine, il mare, lo sport... Il docufilm è impeccabile. Fa sfilare tutti gli Agnelli sopravvissuti, del ramo principale e di quelli collaterali, e poi Kissinger (confessa che sconsigliò all'Avvocato di prendersi come socio Gheddafi), il rivale De Benedetti, lo stilista Valentino («Agnelli e Marella? Una coppia top-top class») e poi collaboratori, le donne che lo amarono (Pamela Churchill, Anita Ekberg e Jackie Kennedy, in un filmato in Super8 di Benno Graziani rinvenuto di recente...) e soprattutto le persone che lo conobbero meglio, più da vicino e senza filtri: il suo maggiordomo (il quale nella sua ingenua semplicità lo descrive con la battuta perfetta: Qualsiasi cosa gli venisse in mente, la faceva... Già, Lui poteva farla, anche andare due ore a sciare in elicottero, o fuggire mezza giornata a Capri sull'Agneta, e poi tornare a Torino, o Parigi, o Venezia...) e il cuoco (ricordo: Venne a pranzo un presidente della Repubblica purtroppo non si fa il nome, ndr e l'Avvocato mi chiese di preparare dei testicoli di toro. Io gli dissi che forse era meglio cucinare qualcos'altro, ma lui rispose: Fai come dico: facciamo trovare due coglioni a un coglione»
Certo, qualcuno obietterà: ma cosa ci dice questo Agnelli che già non sapevamo? Forse di assolutamente inedito, poco. Però, intanto, gli americani un documentario sull'Avvocato riuscito o meno che sia - l'hanno fatto. Rigoroso, ricco di materiale, ben costruito. Da noi, a 14 anni dalla morte di Gianni Agnelli, non è uscito ancora né un documentario, né una vera biografia, né un film (chissà cosa potrebbe venire fuori, chessò, dalla macchina da presa di Sorrentino...). Timore reverenziale o sudditanza psicologica? Del resto, il collega Tony Damascelli, un esperto della materia, mi fa notare che l'Italia è l'unico Paese europeo in cui The silence of the Lambs non fu tradotto letteralmente, come in Francia o in Spagna: Il silenzio degli agnelli. Ma degli innocenti. Di chi è la colpa?

LA STORIA

Giovanni Agnelli: una vita tra industria, calcio, gossip e politica [ di Simone Balocco e Paola Maggiora ]

Quindici anni fa oggi moriva, a 81 anni, uno dei personaggi che hanno caratterizzato l'Italia nel secondo dopoguerra. Un imprenditore che ha unito in sé saggezza industriale, pragmatismo e “occhio lungo”, oltre ad essere stato un personaggio da copertina, da gossip e viaggi “diplomatici” incontrando i personaggi che contavano nel Mondo, per non parlare del suo amore per lo sport. La mattina del 24 gennaio 2003 moriva Giovanni Agnelli.
Agnelli è un personaggio per nulla storico nel vero senso del termine, ma che ha scritto una pagina importante per la città di Torino, il Piemonte, l'Italia, l'Europa ed il Mondo.


Origini e il legame speciale con il nonno paterno

A Torino, il nome “Agnelli” è uno dei più importanti della città. Famiglia di ricchi possidenti terrieri provenienti da Villar Perosa, centro a 50 chilometri ad ovest dal capoluogo sabaudo, gli Agnelli hanno legato il loro nome indiscutibilmente alla FIAT, la più grande casa automobilistica italiana. Nata l'11 luglio 1899, tra i fondatori spicca proprio un Agnelli, Giovanni, oltre ad altri notabili della città e della provincia chiamati intorno ad un tavolo per far nascere in città la prima e vera fabbrica di auto in Italia, partendo dalla piccola azienda del meccanico Giovanni Battista Ceirano, chiamata prima Società Anonima Fabbrica Italiana di Automobili Torino e poi Fabbrica Italiana Automobili Torino.
Giovanni Agnelli, classe 1866, era sposato con Clara Boselli ed ebbe due figli, Aniceta Caterina ed Edoardo. Il secondogenito, fondatore di Sestriere e presidente del Consiglio di Amministrazione del quotidiano torinese “La Stampa”, sposò la principessa Virginia Bourbon del Monte ed ebbe sette figli, quattro femmine e tre maschi: Clara, Susanna, Maria Sole e Cristiana; Giovanni, Giorgio ed Umberto. Il primo figlio maschio ebbe il nome del nonno paterno. I sette eredi Agnelli ebbero un'educazione molto attenta ed austera, come era d'uopo in quei tempi per i figli delle famiglie più ricche e in vista.
Edoardo era l'erede designato a prendere le redini della casa automobilistica con sede al Lingotto non appena il padre avrebbe lasciato il posto. La vita fu tremenda con Edoardo, il 14 luglio 1935 morì in un incidente.
Giovanni Agnelli jr frequentò le scuole inferiori presso il Collegio San Giuseppe di Torino e il liceo ginnasio “Massimo d'Azeglio” di Torino, l'istituto scolastico torinese frequentato dalle persone in della città. In quella stessa scuola, il 1° novembre 1897, era stata fondata la squadra di calcio per cui tutti gli Agnelli facevano il tifo, Gianni compreso: la Juventus FC. Il padre Edoardo ne era presidente dal 1923 e durante i suoi dodici anni di presidenza il sodalizio vinse ben sei scudetti, di cui cinque consecutivi tra il 1931 ed il 1935.
La morte tragica del padre legò il giovane Giovanni al nonno e mise in cattiva luce la madre Virginia, che dopo la morte del marito intrecciò una relazione con Curzio Malaparte, scrittore e giornalista all'inizio vicino al fascismo e dopo pochi anni un fervido anti-, inviso ad Agnelli senior. Lo stesso patriarca si oppose al matrimonio con la ex nuora altrimenti le avrebbe tolto la potestà sui sette figli che sarebbero passati sotto la tutela del suocero.
Il 30 novembre 1945 anche la madre morì in un incidente automobilistico quando aveva 44 anni. I giovani Agnelli si trovavano orfani di padre e di madre. Quello fu l'annus horribilis visto che sedici giorni dopo morì il vecchio patriarca a 79 anni e l'anno dopo morì la nonna Clara.
A 25 anni Giovanni Agnelli si trovò a badare ai fratelli e ad avere in mano i destini della famiglia e dell'azienda. Il nonno aveva stabilito che il primo nipote maschio sarebbe diventato l'erede della FIAT. Ma non subito, dopo gli studi universitari ed una serie di anni “sabbatici”.


La guerra, l'università e i primi incarichi

Quando l'Italia entrò nel secondo conflitto mondiale (10 giugno 1940), Giovanni Agnelli aveva 19 anni e si era diplomato l'anno precedente l'inizio della conflitto. Nel 1940 seguì (e gli fecero seguire) il corso per ufficiale di complemento presso la Scuola di Applicazione di Cavalleria di Pinerolo, venendo poi arruolato nel 1º Reggimento "Nizza Cavalleria" partendo per il fronte russo. Tornato in Italia, a cavallo tra il 1941 ed il 1942 fu arruolato nel Reggimento Cavalleggeri di Lodi e andò a Tripoli. Il 29 aprile 1943 tornò a casa, su spinta del nonno, e si guadagnò la Croce di guerra al valor militare il 14 febbraio 1943.
Nel mentre, seguì anche i corsi della Facoltà di giurisprudenza dell'Università degli Studi di Torino dove si laureò.
Tra il 1945 ed il 1946 rappresentò la FIAT nelle trattative con il Comitato Liberazione Nazionale per la “normalizzazione” della FIAT. Il 23 febbraio 1946 Vittorio Valletta divenne Amministratore delegato dell'azienda poiché non appena fu ricostruito il nuovo Consiglio di Amministrazione il giovane Agnelli fece un passo indietro, affidando al 63enne Valletta le redini dell'azienda. Giovanni Agnelli non rientrava nei ranghi societari, se non diventando presidente di un'azienda del gruppo, la RIV (Roberto Incerti Villar Perosa), azienda di Villar Perosa specializzata nella costruzione di cuscinetti a sfera attiva sin dall'inizio del secolo e dove il nonno fu tra i fondatori.
Con la fine della guerra iniziò a prendere mano con la “cosa pubblica”, venendo eletto sindaco di Villar Perosa, il feudo di famiglia. Indossò la fascia tricolore del piccolo comune della Val Chisone fino al 1980, ininterrottamente.
Un ruolo di rilievo lo ebbe nel 1947, quando successe a Piero Dusio alla carica di Presidente della Juventus. A 26 anni, Giovanni Agnelli era a capo della sua squadra del cuore. Rimase in carica fino al 1954, quando passò le redini della squadra al fratello minore Umberto, all'epoca 22enne (in carica fino al 1962).
La FIAT intanto si stava riprendendo, come l'Italia, dai postumi del conflitto e aveva iniziato a costruire le prime macchine utilitarie che la renderanno celebre in tutto il Mondo: "Topolino", “Balilla”, “1500d” e “1400”: il Paese stava entrando nel periodo del boom economico, il “miracolo italiano”, e le autovetture che uscivano da Mirafiori entravano nelle case (anzi nei garage) degli italiani.
Gianni, nel frattempo, aveva seguito i consigli del nonno: viaggiare e viversi la giovinezza.


I viaggi, il matrimonio, i flirt

Giovanni Agnelli, come detto, ascoltò alla regola i consigli del nonno, si estraniò dall'azienda, viaggiò e imparò come si fanno le pubbliche relazioni. Perché Agnelli jr non era uno sprovveduto: i suoi viaggi erano di conoscenza. E non a caso tra il 1947 ed il 1966, il rampollo Agnelli conobbe politici europei e mondiali, imprenditori, banchieri e personaggi di spicco con cui intrecciò relazioni importanti ai fini della sua maturità imprenditoriale.
Nel 1953 Gianni Agnelli si sposò con Marella Caracciolo dei Principi di Castagneto: lui 32enne, lei 26nne, erede di una celebre famiglia dell'alta borghesia di origine napoletana. Si sposarono (ovviamente) all'estero, presso il castello di Osthoffen, nel nord est della Francia. Ebbero due figli: Edoardo e Margherita e per un totale di otto nipoti.
Viaggiò soprattutto in Costa Azzurra e America, dove intrecciò un solido rapporto con l'allora deputato democratico John Fitzgerald Kennedy che diventerà presidente degli USA nel gennaio 1961. E proprio gli USA (nel loro complesso) trasformeranno Gianni Agnelli, anche grazie agli incontri con banchieri e industriali.
Agnelli aveva molte caratteristiche che giocarono a suo favore: saggezza, parlantina, stile. Tre caratteristiche che lo renderanno un'icona senza tempo. E il suo charme riempirà le notizie di cronaca rosa di quegli anni, attribuendogli numerosi flirt con donne bellissime e ricchissime. Ma il matrimonio con la Caracciolo durò nonostante tutte questi voci, vere o presunte.


1966, nasce il regno dell'Avvocato

Gli Agnelli non sono solo FIAT, ma la cassaforte di famiglia è una società che avrà il compito di guardare dall'alto, in senso generico, tutta l'attività di famiglia. Questa società, creata negli anni Cinquanta, era l'Istituto Finanziario Industriale (IFI) e Giovanni Agnelli fu nominato presidente nel 1959. Nel 1961 ci furono le celebrazioni a Torino di “Italia '61” in occasione dei cento anni dell'Unità d'Italia: Giovanni Agnelli fu nominato presidente dell'Esposizione Internazionale del Lavoro. L'Italia iniziò a conoscere quel quarantenne appartenente ad una delle famiglie più importanti del Mondo. Ma l'anno di svolta della vita industriale di Agnelli fu il 1963, quando fu nominato AD della FIAT insieme a Gaudenzio Bono, molto vicino a Valletta. Era chiaro che era questione di poco tempo e il nipote di nonno Giovanni si sarebbe seduto dove si era seduto per quarant'anni anni l'amato nonno.
Il 30 aprile 1966 cambiò la vita industriale dell'Italia: Giovanni Agnelli, a 45 anni, divenne Presidente della FIAT. Un Agnelli tornava a sedersi sulla poltrona più importante dell'azienda dopo vent'anni.
Giovanni Agnelli si conquistò due soprannomi celebri: Gianni (diminutivo di Giovanni) e Avvocato, grazie alla sua laurea in giurisprudenza anche se non esercitò mai la pratica forense e non fu mai iscritto all'Ordine degli avvocati di Torino. Agnelli era comunque inesperto per gestire un'azienda con oltre 10mila dipendenti ed un fatturato di miliardi e per questo motivo Valletta “vigilò” su di lui, ma l'anno dopo fu lasciato libero di agire, anche perché Valletta morì. Gaudenzio Bono passò al ruolo di Amministratore delegato e dg della società.
Il “miracolo economico” era terminato da almeno due anni, gli italiani avevano scoperto la motorizzazione di massa e le autovetture dell'azienda torinese erano nei garage di milioni di italiani. L'azienda andava nel complesso bene, ma per l'Italia iniziavano anni duri.
Uno dei desideri di Valletta prima e di Agnelli dopo fu quello di creare stabilimenti FIAT in Europa e nel Mondo: il primo fu in Unione Sovietica (nella città di Togliatti, a 800 km da Mosca), dove si sarebbe costruita la FIAT 124 tramite un accordo con l'ente statale russo. Tutto sarebbe stato in mano alla FIAT: costruzione dello stabilimento, costi di gestione, formazione degli operai e nonostante le difficoltà dalla fabbrica di quella città uscirono i primi modelli e furono molto venduti.
Il 1968 non fu solo l'anno della contestazione studentesca e dei primi scioperi, ma anche l'anno in cui entrarono in vigore i trattati del Mercato Europeo Comune: caddero i dazi sulle merci importate e in Italia iniziarono a circolare le prime autovetture straniere (così come le FIAT negli allora cinque Stati della CEE). Per la FIAT fu un colpo duro, avendo perso (ma non per colpa sua) il monopolio delle autovetture. Come se non bastasse, iniziò anche la concorrenza dell'Alfa Romeo, azienda automobilistica milanese nata nel 1910 con un altro target rispetto alla FIAT, ma che poté contare sugli aiuti del governo per la costruzione di un grande impianto industriale nell'entroterra napoletano, il “Giambattista Vico” di Pomigliano d'Arco. Nella città napoletana erano già attivi altri ambiti industriali: la ALFA Motori Avio e Aerfer.
La nascita della INCA-Alfasud SPA, nel 1968, scombinò i piani della FIAT perché questa grande società tri-teste era guidata da Alfa Romeo, Finmeccanica e IRI, ovvero con lo “zampino” dello Stato per favorire l'abbattimento della disoccupazione nel Meridione. La prima vettura che uscì dagli stabilimenti di Pomigliano fu l'Alfasud, commercializzata nel 1972.
Agnelli non fu mai favorevole a questa scelta per due motivi: il mercato italiano era (per i tempi di allora) saturo per “ospitare” un altro costruttore di auto utilitarie (anche se l'Alfa Romeo aveva un target più elevato); non si poteva competere con un'azienda privata che godeva del “sostegno” del governo.
Ma il biennio 1968-1970 fu importante per la FIAT della gestione “Avvocato Agnelli”, in quanto entrarono nel gruppo altre tre aziende automobilistiche italiane che stavano vivendo momenti differenti della loro esistenza: Autobianchi, Ferrari e Lancia. L'Autobianchi era già nel giro FIAT ma era indipendente e per rafforzarsi entrò definitivamente nel Gruppo FIAT, Ferrari entrò nel gruppo FIAT ma non la parte delle corse, ancora in mano all'ingegner Enzo Ferrari, la Lancia era sull'orlo della bancarotta e passò dai Pesenti alla FIAT per una cifra irrisoria.
Gianni Agnelli contava su un'azienda sana, conosciuta e apprezzata nel Mondo ma voleva andare oltre, voleva andare oltre il pensiero di Valletta: rendere il marchio internazionale, comprando stabilimenti e partnership all'estero. Per fare questo, Agnelli capì che doveva lasciare “per strada” alcuni pezzi societari: furono cedute metà azioni di Grandi Motori a Finmeccanica e ci fu la cessione totale di FIAT Veivoli all'Aerfer. Solo così ci si poteva dedicare alla scalata dell'Europa. Valletta voleva una FIAT su tre fronti: terra-mare-cielo, Agnelli voleva solo la terra, l'asfalto.
In quegli anni era quasi vicina l'acquisizione di Citroen. Mancavano solo le firme tra l'Avvocato e François Michelin, azionista di maggioranza del marchio parigino: da una parte un'azienda che produceva utilitarie, l'altra che produceva auto di un settore più elevato ma con i conti in rosso. Peccato che il Presidente de Gaulle, fervido nazionalista, si oppose perché non voleva che un'azienda come quella del marchio delle “due frecce in su” passasse in mani straniere. Nel 1972 l'accordo sfumò anche per alcuni problemi tra i tecnici delle due case automobilistiche e Citroen passò al gruppo PSA-Peugeot, di cui ancora oggi fa parte. Ma il dado era tratto: la FIAT doveva espandersi, costruire stabilimenti, costruire macchine utilitarie di qualità e creare occupazione in nuovi mercati.
In breve tempo vengono costruite la “128” in Jugoslavia (Zastava), “125” e “126” in Polonia, “124” in Turchia. Ma l'Europa era poco, Agnelli voleva andare Oltreoceano ed ecco che a Belo Horizonte venne costruita la “147”, la versione “verde-oro” della “127”. La FIAT era presente in quattro Continenti grazie a Ferrari, Lancia, Autobianchi, Seat, Zastava, FSM, Automoveis, Concorde e Tofas.


L'”autunno caldo”, la Presidenza di Confindustria. De Benedetti e Romiti

Nel 1969 l'Italia è scossa dalle prime bombe terroristiche e il periodo che è andato da settembre a dicembre è passato alla storia come l'”autunno caldo”, contraddistinto da scioperi continui da parte degli operai per il rinnovo del contratto di lavoro del comparto metalmeccanico e per avere maggiori diritti. I problemi erano già presenti da tempo, ma da settembre in avanti la lotta si fece aspra.
“Metalmeccanico” fa rima con FIAT e proprio Gianni Agnelli dovette affrontare in prima linea questo problema che nella sua azienda, l'azienda metalmeccanica per antonomasia in Italia, era molto forte.
Gli scioperi furono a singhiozzo durante tutta la giornata lavorativa, ma ripetuti nel tempo. Iniziarono prima i carrellisti che incrociando le braccia, fermavano tutta la produzione. Via via, scioperò tutta l'azienda.
La questione dell'”autunno caldo” si risolse con l'inizio dell'anno nuovo, con un nuovo contratto di lavoro che fu pesante per le aziende. La produzione ne risentì in maniera importante: in quattro mesi, la FIAT perse quasi 300mila ordini, con l'aggiunta che iniziò la concorrenza delle fabbriche automobilistiche straniere. La competitività le marchio torinese stava vacillando così come i conti (-20 miliardi di lire in due anni). Non mancarono anche episodi di violenza tra dipendenti tra chi voleva scioperare e chi no
. Il periodo 1970-1974 per Mirafiori fu nero: come detto produzione in calo, concorrenza, “internazionalizzazione” che non portava i frutti sperati e crisi petrolifera misero in difficoltà l'azienda torinese, con Agnelli in testa. Eppure il cinquantenne Avvocato era uno che sapeva il fatto suo, era caratterialmente preparato e forte e non si arrivò mai allo scontro (se non verbale) con le parti in causa. La domanda è: se ci fosse stato Valletta, noto sergente, come sarebbe finita la situazione in FIAT? In questo periodo emersero tre figure rilevanti: Umberto Agnelli, ultimogenito di papà Edoardo, Vittorio Caissotti di Chiusano e Cesare Romiti.
Nel 1974 la FIAT si trasformò in una holding, dove l'auto non era il core business aziendale ma la punta di diamante di un gruppo che spaziava dai veicoli aziendali (Iveco) alle macchine movimento terra (FIAT-Allis) fino al settore siderurgico (Teksid). In quegli anni, l'azienda torinese, per aumentare produzione ed occupazione, costruì diversi stabilimenti nel Meridione: Termoli, Sulmona, Cassino, Termini Imerese furono i centri da dove uscirono i nuovi “prodotti” marchiati FIAT.
Gianni Agnelli diventò, inoltre, presidente di Confindustria, il sindacato degli imprenditori italiani. La scelta cadde sul presidente della FIAT vista la sua capacità nel cercare sempre accordi che non ledevano le parti in causa. Rimase a capo di Confindustria per due anni e il suo posto fu poi preso dall'economista Guido Carli, fino all'anno prima governatore della Banca d'Italia.
Durante il suo biennio di presidenza, l'Avvocato siglò uno storico accordo, datato 25 gennaio 1975, dove si accettava di unificare il punto di contingenza per tutti i lavoratori rivalutandolo al livello più alto per contrastare l'inflazione.
Agnelli e i colleghi sapevano che sarebbe rimasto in sella solo due anni, ma in quel breve periodo ebbe un rapporto privilegiato con Enrico Berlinguer, segretario del PCI, e con Luciano Lama, segretario generale della CGIL. Il biennio di Agnelli, a posteriori, fu molto criticato poiché si ritenne che concesse troppo ai sindacati, per non contare che le lotte dentro le fabbriche non diminuirono.
Nella primavera 1976 entrò in FIAT, grazie al rapporto di amicizia con Umberto Agnelli, il giovane ingegnere torinese Carlo de Benedetti, leader degli industriali torinesi. De Benedetti rimase in azienda solo per pochi mesi come Amministratore delegato, ma cercò di cambiare l'indirizzo dell'azienda prevaricando la dirigenza, pensando che l'azienda dovesse essere cambiata nella fase “decisionale”. Ad Agnelli questo non piacque e l'Ingegnere (questo il suo storico soprannome) fu messo alla porta. Nel 1978 entrò in Olivetti, storica azienda di Ivrea specializzata nelle costruzione di macchine da scrivere prima e di materiale informativo poi, per uscirvi nel 1996.
Eppure i conti della FIAT erano negativi, molto negativi. Era necessario quindi cercare altri partner e il partner arrivò dalla Libia e fu Lafico (Lybian Arab Foreign Investment Company), la banca libica di Muhammar Gheddafi che portò ad un aumento di capitale della società pari al 9% con la promessa di arrivare in pochi anni addirittura a superare il 20%. Il giorno della firma fu il 1° dicembre 1976. L'ingresso di quei capitali furono molto criticati, visto che non si pensava che Agnelli, vicino alla causa occidentale del Mondo, avesse accettato l'offerta di un nemico dell'Occidente come Gheddafi.
Eppure grazie agli aiuti libici, la FIAT si risollevò dalle perdite e dal fatto che aveva perso in maniera netta il monopolio delle vendite in Italia (75% del mercato nel 1968, 51% nel 1979) e in Europa le vendite diminuirono in maniera sensibile (nello stesso periodo, 6,5 a 5,5). Ma l'accordo durò solamente dieci anni.


La “marcia del Quarantamila”, l'uscita di Lafico, l'entrata dell'Alfa Romeo e la Ford “scappa”.

Gli anni Ottanta si aprono con la celeberrima “marcia dei Quarantamila”: dalla metà degli anni Settanta, le lotte sindacali non cessarono e si arrivò allo scontro totale. Dal 20 settembre 1980, i cancelli di Mirafiori rimasero chiusi: mai ci fu una protesta così lunga per la casa torinese. Eppure la situazione non era rosea per il sindacato: il 14 ottobre, 35° giorno di chiusura, i quadri della FIAT e molti operai scesero per le strade di Torino a manifestare contro i sindacati. intimandoli a chiudere le trattative con Agnelli e permettere il ritorno in fabbrica degli operai. L'azienda aveva vinto, il sindacato aveva perso e nulla più fu come prima. L'azienda non licenziò i dipendenti ma mise in cassa integrazione circa 23mila dipendenti. Gianni Agnelli ne uscì vincitore.
L'azienda negli anni Ottanta risalì la china con la produzione di sei autovetture che hanno fatto la storia dell'automobilismo italiano: Panda, Uno, Croma e Ritmo. Per non parlare della Lancia Thema e della Autobianchi Y10.
Tra il 1985 ed il 1986 Agnelli portò a casa l'Alfa Romeo, acquistandola dall'IRI, ma non portò a buon fine il contratto di acquisizione della Ford per creare un'unica società automobilistica di livello superiore in Europa.
Ford era interessata all'acquisto dell'azienda del “Biscione” di Arese ma la FIAT acquistò l'Alfa Romeo, l'altra azienda che produceva auto in Italia ma che non era sotto l'ala torinese: con l'ingresso del marchio di Arese, in Italia si sarebbero costruito solo autovetture del gruppo FIAT. E l'Italia, anche grazie all'accordo, diventava un Paese dove altre case automobilistiche non avevano impiantato i loro stabilimento di produzione.
Il 1986 è l'anno di uscita di Lafico dalla FIAT. Il motivo è storico: il 15 aprile 1986 degli aerei militari americani bombardarono la Libia (in particolare Tripoli, la capitale) dopo l'attacco della stessa verso obiettivi americani. L'azienda torinese, e quindi Agnelli, fu in crisi e decise di “silurare” l'importante partner libico. L'operazione fu terminata a settembre e la quota libica fu acquistata dalla finanziaria agnelliana IFIL, grazie alla volontà di Agnelli e Romiti ed Enrico Cuccia di Mediobanca. L'accordo fatto dieci anni prima con la banca libica aveva messo in imbarazzo l'azienda di Mirafiori davanti all'Occidente e ai partner americani.
La fine degli anni '80 vide Giovanni Agnelli uscirne vincitore industrialmente: è il re degli industriali italiani, un esempio da seguire, un mito per molti, un rivale acerrimo per altri.
L'azienda lambì le inchieste di Tangentopoli, ma Romiti ne fu coinvolto: una macchia che scalfì l'immagine.
Il 17 giugno 1992 l'azienda negherà gli addebiti di corruzione, ma dopo pochi mesi molti dirigenti verranno coinvolti nel tourbillon degli interrogatori del pool. Il 21 aprile 1993 Romiti decide di deporre spontaneamente, rilasciando una testimonianza di oltre 20 pagine dove spaziò dal raccontare la storia del Gruppo FIAT e i vari “problemi” del sistema politico nazionale. Il 25 novembre 1993, Craxi disse che la FIAT finanziava il sistema politico “per sua scelta” e venne fuori che l'azienda aveva finanziato molto il PSI. L'11 dicembre 1995 Romiti diventa Presidente della FIAT.


I centenari del cuore. I lutti. La morte

Nel 1996, Gianni Agnelli uscì di scena: avendo compiuto 75 anni, dovette cedere il ruolo di Presidente della FIAT come stabilito. Nel 1996 successe prima Romiti e poi Paolo Fresco, che traghettò l'azienda al centenario.
Il biennio 1997-1999 furono emozionanti per l'Avvocato: nel giro di due anni, i suoi due amori compirono cento anni. Prima la Juventus, nata il 1° novembre 1897, poi la FIAT, venuta alla luce l'11 luglio 1899.
Il centenario della FIAT fu quello più sentito, visto che Torino fu vestita a festa tutto l'anno per celebrare un marchio automobilistico noto in tutto il mondo. Per l'Avvocato, quello fu il momento spartiacque della sua vita: passare il timone e ritirarsi a vita privata, anche se fu insignito del ruolo di Presidente onorario della società.
Il 19 giugno 1999, durante la seduta del 109° congresso del CIO, alla città di Torino furono assegnati i Giochi olimpici invernali che si sarebbero tenuti dal 10 al 26 febbraio 2006. Dopo cinquant'anni, l'Italia tornava ad ospitare la kermesse invernale (Cortina d'Ampezzo, 1956) e dopo quarantasei anni di attesa quelle estive (Roma, 1960). L'Avvocato, contento per la decisione del CIO, fu nominato Presidente del Comitato d'onore organizzativo: un ruolo rappresentativo, ma di grande prestigio.
Ma in quel periodo, gli Agnelli subirono un lutto molto grave: il 13 dicembre 1997 morì, a 33 anni, Giovanni Alberto Agnelli, detto Giovannino, figlio di Umberto e di Antonella Bechi Piaggio. Sposato con l'americana Frances Avery Howe, per “Giovannino” si presentava un avvenire roseo, poiché era stato designato dallo zio Gianni a diventare Presidente della FIAT. Il funerale di “Giovannino” fu strettamente riservato, tanto che Umberto Agnelli aveva telefonato alle quattro sorelle di non prendervi parte. L'Avvocato era ancora convalescente per la frattura al femore riportata in un incidente domestico.
Nel Consiglio di Amministrazione FIAT, il posto di “Giovannino” fu preso da John Elkann, 22enne figlio della secondogenita di Agnelli, Margherita. Questa nomina non fu accettata dal primogenito dell'Avvocato, Edoardo.
E lo stesso Edoardo venne trovato cadavere il 15 novembre 2000. Il suo corpo era ai piedi di un viadotto della A6 nei pressi dell'uscita di Fossano. Aveva 46 anni ed era, come detto, il figlio primogenito dell'Avvocato. La sua vita fu molto complessa tra crisi personali e l'aver vissuto in maniera bohémienne.
A distanza di anni, non si sa di certo cosa sia successo quel giorno, se Edoardo si è suicidato o è stato ucciso. Ad aggiungersi alla fitta trama perizie errate, la sicurezza che non lo controllò e gli errori da parte della Procura che seguì il caso.
Una cosa è certa: il padre lo aveva tagliato fuori dall'azienda, senza se e senza ma. I motivi furono diversi: non essersi mai interessato alla “cosa di famiglia”, i suoi viaggi in India, il suo essere vicino all'islamismo e l'arresto per eroina negli anni Ottanta.
Edoardo comunque vide sempre con il fumo negli occhi il fatto che suo cugino Giovanni Alberto prima e suo nipote John, nonostante la loro giovanissima età (33 anni il primo, 21 il secondo), avessero ottenuto ruoli di prestigio. In particolare il nipote, che a 22 anni era entrato nel CDA FIAT al posto di Giovannino poco dopo la sua morte. Per non parlare che non sopportava la figura di Luca Cordero di Montezemolo, amico di famiglia, che ebbe sempre un rapporto privilegiato con l'Avvocato, tanto che entrò nelle sue grazie.
Il 2000 fu anch'esso negativo per Agnelli: da una parte, il respingimento dell'offerta della Daimler-Chrysler che voleva comprare tutta l'azienda automobilistica e la cessione del 20% a General Motors. Per la prima volta nella centenaria storia dell'industria, la presenza straniera fu davvero sensibile. L'Avvocato fu un visionario concreto: in tempi non sospetti aveva detto che il mercato automobilistico nel nuovo Secolo sarebbe cambiato e che era necessario che altre aziende sarebbero dovute entrare con quote. E la FIAT nel 2001 in Italia aveva il 35% e in Europa il 10%: in altri dieci anni la quota di mercato era calata in Italia e in Europa in maniera molto forte.
Nel dicembre 2001, Agnelli tenne il suo ultimo discorso ai dirigenti e agli azionisti FIAT: quella fu la sua ultima presenza in azienda, il fisico si stava debilitando e iniziò ad avere gravi problemi di salute.
GM acquistò il 20% di FIAT Auto (il 5% del valore di GM) e, sfruttando una clausola contrattuale, la FIAT avrebbe ceduto, tra il 2002 ed il 2010, l'intero suo pacchetto al colosso automobilistico di Detroit. L'accordo saltò nel 2005, ma l'Avvocato non poté vederlo.
La mattina del 24 gennaio 2003,Giovanni Agnelli morì a Villar Perosa presso villa Frescot. La notizia colpì l'opinione pubblica e due giorni dopo il Duomo di Torino fu gremito di persone, molte sconosciute, che vollero rendere un saluto al capitano d'industria che aveva segnato la vita italiana e del capoluogo piemontese per oltre cinquant'anni. Alle esequie parteciparono almeno 50mila persone e ci fu anche un diretta su Rai Uno.
La salma dell'Avvocato riposa nella cappella privata di famiglia nel cimitero di Villar Perosa.

Giovanni Agnelli non è stato solo l'Avvocato, ma la sua vita ha toccato molti rami e molti interessi. Eccone una carrellata:

La politica
Giovanni Agnelli ha attraversato cinquant'anni di vita italiana e non poteva mancare un suo approccio alla politica. Quando passò le redini di Confindustria, Ugo La Malfa, leader del Partito Repubblicano Italiano, da sempre con un ricco numero di voti nel Torinese, ebbe l'idea di candidare Giovanni Agnelli per le elezioni politiche che si sarebbero tenute il 20 giugno 1976. L'Avvocato vacillò, ma alla fine rifiutò l'offerta del capo del partito dell'edera.
La Malfa sperò di portare in Parlamento Gianni Agnelli in un periodo intenso della storia contemporanea italiana, un industriale di rilievo e persona conosciuta in tutto il mondo per lo stile, il carisma e di un'autorevolezza come pochi nel Paese. Le elezioni per la VII legislatura videro in Parlamento però due fratelli minori di Gianni: Umberto e Susanna. Il primo fu eletto deputato per la DC e rimase in Parlamento dal 1976 al 1979, mentre Susanna ebbe una vita politica di tutto rilievo: Ministro degli Esteri nel governo Dini (prima donna a capo della Farnesina), Sottosegretario agli Esteri tra il 1983 ed il 1991 (prima donna a ricoprirne la carica), deputata e senatrice per i Repubblicani tra il 1976 ed 1992 ed eurodeputata nella prima legislatura (1979-1981). Il primo Agnelli a varcare la soglia dei palazzi romani fu però Giovanni Agnelli senior, il loro nonno, senatore nella 26ma legislatura del Regno d'Italia (1921-1924).
Ma l'Avvocato entrò in Parlamento con la nomina a senatore a vita. Il ruolo di senatore a vita non è elettivo, ma nominativo: come recita l'articolo 59 della Costituzione, durante il suo settennato il Presidente della Repubblica ha facoltà di nominare cinque cittadini, con i diritti civili e politici in regola, che abbiano “illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”. Francesco Cossiga, fra il 2 maggio ed il 1° giugno 1991, nominò senatori a vita quattro politici ed un industriale: i politici furono Giovanni Spadolini, Giulio Andreotti, Paolo Emilio Taviani, Francesco de Martino, l'industriale fu proprio Giovanni Agnelli.
Il ruolo di senatore a vita nella politica attiva non dà mai a grande visibilità, visto che proprio i senatori si siedono nel gruppo misto e non si espongono.
Agnelli però fece parlare di sé durante due voti di fiducia, nel 1994 e nel 1998. Nel primo caso, diede la fiducia al governo Berlusconi (centro destra) e nel secondo al governo d'Alema (centrosinistra).
Una nota a parte: ancora oggi non si sa a quale presidente della Repubblica Agnelli intendesse nel dire, al suo cuoco, con “Voglio dare dei c......i a un c......e” durante un suo ricevimento.

Il costume
Costa Azzurra, Saint Moritz, New York, Forte dei Marmi. Gianni Agnelli aveva qui i suoi buen ritiro. Lì si incontrava con banchieri, politici, capi di Stato e di governo, donne bellissime e personaggi potenti. La vita dell'Avvocato è stata ricca di successi e il suo nome era legato a caratteristiche che ne hanno quasi fatto un brand.
Il suo stile è stato imitato, uno su tutti l'orologio sul polsino della camicia. Un vezzo, un vero marchio di fabbrica. Per non parlare della sua lieve “zoppia” dovuta a tre gravi incidenti occorsogli durante la vita che lo costrinsero spesso ad usare un bastone e a indossare scarpe ortopediche.
Per non parlare del fatto di essere stato anche un mecenate dell'arte insieme alla moglie Marella.

Lo sport
Parlare di Gianni Agnelli e sport significa parlare di tre cose: barca a vela, sci e calcio.
Le riviste di gossip hanno spesso immortalato l'Avvocato sulle sue barche al largo e sulle piste da sci. E proprio lo sci lo ha portato a fratturarsi le gambe, andando a complicare una deambulazione già precaria per colpa di un grave incidente automobilistico nel 1952 dove rischiò anche l'amputazione dell'arto.
Durante i Gran Premi, era probabile che nei pit stop piombasse l'Avvocato, vestito con tuta di ordinanza e cuffie alle orecchie. Particolare fu il suo legame con il tedesco Michael Schumacher che con la “rossa” di Maranello in undici stagioni vinse cinque Mondiali, tutti consecutivi (2000-2004), portando sul podio più alto il marchio del Cavallino rampante dai tempi di Jody Scheckter. La scuderia con il pilota di Hurth si piazzò anche due volte al secondo posto ed una volta terzo. Per la stagione 2003, la casa di Maranello omaggiò Giovanni Agnelli con una vettura ad hoc, la F2003GA, che debuttò a maggio in Spagna, vincendo il primo di sette GP quella stagione. A fine stagione, Schumacher vinse il titolo con due punti di vantaggio sul finlandese della McLaren-Mercedes Kimi Räikkönen ed il secondo pilota, il brasiliano Rubens Barrichello, che vinse due Gran Premi, si piazzò al quarto posto finale a diciassette punti dal podio.
Ma è con il calcio che Agnelli divenne un mito, grazie alla Juventus, il suo vero amore. Come tutti gli Agnelli del resto. Un amore quello fra la dinastia torinese ed il club bianconero nato nel 1923 con l'ingresso del padre di Agnelli jr, Edoardo, presidente fino alla morte (1935) e in quel lasso di tempo la squadra vinse sei scudetti di cui ben cinque consecutivi (prima di altre due squadre a riuscirci nel tempo), diventando la squadra più amata (e seguita) d'Italia.
Gianni Agnelli fu presidente del club dal 1947 al 1954 e in questo lasso di tempo il club vinse due scudetti. Dopo di lui, diventarono presidente altri due Agnelli (Umberto 1955-1962; Andrea dal 2010 a oggi), tre persone del “giro” (Vittore Catella 1962-1971; Vittorio Caisotti di Chiusano 1990-2003; Franzo Grande Stevens 2003-2006) ed un altro che con l'Avvocato ha scritto un rapporto di fedeltà con cui condivideva la visione dei primi tempi della squadra, Giampiero Boniperti.
In sette anni, sotto la presidenza dell'Avvocato, il club si classificò tre volte al secondo posto, una volta terzo ed una volta quarto grazie a giocatori che scrissero la storia del club: Karl Aage Hansen e John Hansen, Pietro Rava, Johannes Pløger, Pasquale Vivolo, Bruno Garzena.
Ancora oggi quando si parla di Juventus, si parla di Agnelli, un binomio che ha fatto la storia, anche perché l'Avvocato fu nominato presidente onorario del club fino al 1994, quando il fratello minore Umberto divenne Amministratore delegato della squadra, tornando a vincere scudetti e coppe.
Sarà un caso, ma i periodi senza un Agnelli al comando (1897-1922, 1935-1947), coincisero solo con la vittoria di due Coppe Italia e di ruolo da comprimaria nel panorama calcistico nazionale.
Gianni Agnelli ha legato il suo nome alla Juventus per altri due elementi: il vernissage agostano di Villar Perosa e i soprannomi dati ai giocatori della Juventus.
Il giorno dopo Ferragosto a Villar Perosa, la cittadina-feudo degli Agnelli, si gioca di consueto la cosiddetta “partita in famiglia”: Juventus A contro Juventus B, Prima squadra contro Primavera. Un'occasione dove la squadra abbraccia tutti i tifosi che si fanno chilometri per assistere ad un'amichevole “scontata” nel risultato, ma che permette ai tifosi non solo di vedere dal vivo i giocatori, ma anche i dirigenti. E Gianni Agnelli è stato uno di questi, anche se in Val Chisone arrivava con l'elicottero, ma si sedeva in panchina con l'allenatore di turno come se fosse un giocatore qualsiasi.
L'era del calcio business ha cambiato l'happening di Villar Perosa, visto che la squadra in questi ultimi anni ha girato il Mondo per disputare amichevoli e l'appuntamento della cittadina è un po' sfocato.
E poi i nomignoli, ognuno caratteristico: Omar Sivori divenne “Il vizio”, Claudio Gentile divenne “Gheddafi”, Zbigniew Boniek era “bello di notte” perché in Europa giocava in un altro modo rispetto al campionato, Aldo Serena “Bravo dalla cintola in su”, Gianluca Vialli era “Michelangelo della Cappella Sistina “, Diego Armando Maradona “Migliore di qualunque allenatore “, Roberto Baggio fu prima “Raffaello” e poi “coniglio bagnato”, Alessandro del Piero passò da “Pinturicchio” a “Godot” e Zinedine Zidane “più bello che utile”, Marcello Lippi “Il più bel prodotto di Viareggio, dopo Stefania Sandrelli”.
Platini non ebbe soprannomi ma l'Avvocato tirò fuori una frase che fece epoca, per dire che con pochi milioni la Juve aveva comprato uno dei giocatori più forti della storia: lo abbiamo comprato per un tozzo di pane e lui ci ha messo sopra il fois gras. Platini regalò a Gianni Agnelli uno dei suoi tre Pallone d'oro vinti consecutivamente con la Juventus.
I tifosi bianconeri, durante il match casalingo di campionato contro il Piacenza del 26 gennaio 2003, esposero questo striscione in ricordo di Gianni Agnelli, deceduto due giorni prima: La passione bianconera, la classe di Torino, lo stile italiano, la leggenda di un grande uomo.


Cosa rimane oggi di Giovanni Agnelli

L'anno dopo l'Avvocato, morì il Dottore: il gruppo dovette cambiare strategia e un pezzo della storia industriale morì e fu necessario cambiare pagina. Il nuovo presidente fu Luca Cordero, vice-Presidente John Elkann e Amministratore delegato Sergio Marchionne. L'anno dopo nacque FIAT Group e l'azienda tornò dopo molti anni in utile. Nel 2008, dopo quattro anni, una macchina FIAT vinse il premio di “Auto dell'anno”: alla Panda succedette la 500, portando la casa torinese a vincere nove volte il prestigioso premio che, comprendendo le due vittorie dell'Alfa (156 e 147) e l'unica della Lancia (Delta) porta il gruppo a dodici titoli. Ad oggi FIAT ha piazzato sei secondi posti ed un terzo posto.
Nel giugno 2009 nacque l'accordo con Chrysler, l'anno successivo le prime auto FIAT approdarono dopo quasi trent'anni negli Stati Uniti d'America.
Il 12 ottobre 2014 ci fu la vera svolta: nacque il marchio FIAT Chrysler Automobiles (FCA), composto da FIAT, Alfa Romeo, Lancia, Maserati, FIAT Professional, Abarth, Jeep, Chrysler, Dodge, Ram Trucks, Mopar, SRT. Questo gruppo, capitanato da FIAT Group, è tra i top del Mondo. Questa scelta mise FIAT in una posizione di vantaggio, ma molti hanno criticato la scelta in quanto, nonostante i tanti aiuti statali che ha avuto l'azienda negli anni, la nuova “azienda” ha la sede legale in Olanda e quella fiscale a Londra.
Chissà cosa avrebbe detto l'Avvocato di tutto questa radicale cambiamento. Una cosa è certa: in tempi non sospetti disse che la FIAT non era in grado di affrontare i cambiamenti del mercato dell'auto del XXI secolo.
Cosa rimane oggi di Gianni Agnelli? Sicuramente siamo senza un capitano d'industria lungimirante, dotato di saggezza e stile. A quindici anni dalla sua morte, l'Italia è cambiata, la FIAT è cambiata.
Parlare di Agnelli può essere fuori dalla storia, visto che in questi tre lustri è cambiato il Mondo, ma pensando a lui si pensa a tutte quelle utilitarie che hanno scritto la storia del nostro Paese: chi non ha mai avuto in casa una Panda, una Uno, un Punto o magari ha visto girare una Croma, una Alfa o una Ferrari e si è sentito orgoglioso di essere italiano grazie alle autovetture uscite dalla fabbrica di quell'azienda nata nel 1899 che ha reso l'Italia ricca.
Gianni Agnelli fa rima con lavoro, con tute blu, scioperi e sindacati, Juventus e calcio, vittorie e il rispetto dell'elite mondiale. All'Avvocato hanno dedicato libri, servizi giornalistici, documentari. Lui che in tempi non sospetti disse una frase epocale, quasi da futurista: l'automobile è il simbolo della libertà dell’uomo nel movimento.
Si è detto che Agnelli è stato il “re senza corona” d'Italia, uno spregiudicato imprenditore che ha lasciato dietro di sé gli affetti per compiacersi ed innalzare il suo ego.
Amante dell'arte e dell'informazione, l'Avvocato era famoso per le chiamate a Boniperti al mattino dopo aver letto tutti i giornali italiani (in primis, “La Stampa” di famiglia) e anche per aver spaccato l'opinione pubblica, come nel rapporto con Romiti: in FIAT comandava l'Avvocato o il Cavaliere?
L'Italia è andata avanti ugualmente, ma sarebbe bello sapere come sarebbe oggi il nostro Paese con l'Avvocato e cosa direbbe. Anzi, divebbe.

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