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venerdì 6 dicembre 2019

IL MITO DI TOTO'

https://www.youtube.com/watch?v=qQRfN6niuts&list=PLjNOSF06BjIPlzh_bdk1dtTuspsIlYx7B&index=15

Totò, mito di sempre

Non finisce mai di essere d'attualità, Nessun altro come il principe De Curtis: maschera di tutta l'Italia

Totò e Aldo Fabrizi
Totò e Aldo Fabrizi
Si può fare a meno di Totò? Negli anni Cinquanta una certa Italia, ideologica e supponente, ne era convinta. Ma siccome «ogni limite ha una pazienza», l'altra Italia piano piano ha preso la sua rivincita dimostrando nei fatti (negli incassi, nelle battute che diventavano patrimonio di tutti, nel piacere di lasciarsi andare ai suoi lazzi e ai suoi sberleffi) che di Antonio de Curtis di Bisanzio, altezza imperiale, conte palatino, cavaliere del Sacro Romano Impero, duca di Macedonia e d'Illiria, principe di Bisanzio eccetera eccetera, non si poteva proprio fare a meno. Perché nessun altro come lui ha saputo diventare la maschera di un Paese tutto, complesso e nello stesso tempo lineare come l'Italia, capace di arrangiarsi quando serviva, e insieme rispettoso della più autentica generosità, che non nascondeva ipocritamente la sua fame di cibo e di sesso (come invece cercava di fare una certa Italia altezzosa e fintamente libertaria) ma disposto a riconoscere i dritti binari della morale e dell'onestà, convinto che divertirsi fosse un diritto di tutti ma sensibilissimo al dolore e alla sofferenza...
La sua complessità, a volte lunare e surreale a volte lancinante e metafisica, lo ha reso «contemporaneo» a ben più di una generazione, ognuna riconoscendovi quello di cui aveva bisogno: nell'immediato dopoguerra la forza di rivendicare i bisogni per troppi anni repressi, negli anni Cinquanta la capacità di irridere le due grandi «chiese» del Paese — Dc e Pci —, nei Sessanta la capacità eversiva di chi non si fa mai ingabbiare da nessun potere, nei Settanta il distacco ironico dalla cupezza del pensiero dominante. E poi ancora la rivolta contro i «caporali» di ogni tempo, i supponenti, i tracotanti, i furbi, i prepotenti...
In ognuno dei suoi cento e passa film ci sono una pillola di saggezza, una gemma di intelligenza, un giacimento di ironia. E naturalmente una montagna di risate. Perché far ridere, in un mondo che per troppo tempo aveva dimenticato come si faceva, diventò per Totò una specie di missione umanitaria, un imperativo categorico, un obbligo morale. Per questo è impossibile fare a meno di rivedere e rivedere ancora la dettatura della lettera in Totò, Peppino e la malafemmina, il numero del finto morto in Napoli milionaria, il furto della valigia di De Sica nei Due marescialli, la lezione di scasso con destrezza (e col buzzichino) nei Soliti ignoti, la costruzione del busto in mollica del commissario in Totò e Carolina, la vendita della fontana di Trevi in Tototruffa '62, lo spaccio delle diecimila lire false/vere in La banda degli onesti, il direttore d'orchestra-fuoco d'artificio di Totò a colori (e il numero del wagon lit e quello degli esistenzialisti di Capri, e il Pinocchio disarticolato e le composizioni di Aristarco Scannagatti...) e poi l'imitazione della gallina che ha fatto l'uovo in Totò cerca casa, il proclama agli italiani mammoni e sessuofobi in Arrangiatevi!, le battute in arabo- napoletano di Totò sceicco, gli sguardi alle forme procaci delle sue partner, dalla Loren alla Pampanini, i duetti con Peppino, con Fabrizi, con Castellani, con chiunque gli capitasse a tiro.

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