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Alberto Sordi, storia di una leggenda del cinema italiano
Il 15 giugno 1920 nasceva Alberto Sordi, uno dei più geniali ed estrosi interpreti del cinema italiano, in grado di segnare la storia del costume del nostro Paese. Amato ancora oggi dal pubblico di ogni età e celebrato come una sorta di mito leggendario, è stato capace di raccontare ogni sfumatura dell’italiano medio, quello idealista e un po’ mammone, scavando i suoi personaggi con sfrontatezza e originalità
Con il suo inconfondibile sorriso
sornione e vagamente beffardo ha attraversato gli anni più profondi ed
intensi della storia del nostro Paese: dalla seconda guerra mondiale al
boom economico, passando per gli anni di piombo e Tangentopoli, finendo
ai giorni nostri, cogliendo sempre con grande maestria ed efficiente
lucidità i veloci cambiamenti sociali, trasformandoli solo come lui
sapeva fare in caricature ironiche e irriverenti. Nel corso di una lunga
carriera, Alberto Sordi è stato: vigile, industriale,
medico, giornalista, stracciarolo, tassista, marchese, geometra. Tutti
personaggi che sono ormai cristallizzati e che, anche nelle commedie più
esilaranti, commuovono e fanno riflettere. La sua era una versatilità
eccelsa che gli ha permesso di essere sia un commediante pungente che
interprete drammatico.
Alberto nasce nel cure di Roma,
precisamente nel rione popolare di Trastevere, il 15 giugno 1920. Quella
della recitazione è stata una passione che emerse fin da subito.
Infatti, già nelle scuole elementari iniziò a improvvisare piccole
recite, anticipando la gloriosa carriera che lo portò ad essere uno dei
maggiori interpreti del cinema italiano del secolo scorso. Nel 1937
trovò lavoro come comparsa a Cinecittà – appare nel film kolossal Scipione l’Africano in un ruolo da generico di un soldato romano e in Giarabub,
di Goffredo Alessandrini – e vinse un concorso indetto dalla Metro
Goldwyn Mayer per doppiare la voce di Oliver Hardy. Come doppiatore
lavorò fino al 1951 dando la voce tra gli altri a Bruce Bennett, Anthony
Quinn, John Ireland, Robert Mitchum, Pedro Armendariz e, per gli
italiani, a Franco Fabrizi e persino Marcello Mastroianni.
È alla radio,
durante la stagione 1947-1948, che cominciò ad ottenere il successo
personale con le trasmissioni di Corrado che lo lancia attraverso Rosso e Nero (1947), Oplà (1947) e Vi parla Alberto Sordi
(1948 -1950), dove creò alcuni personaggi destinati alla grande
popolarità: il Signor Dice in collaborazione con Fiorenzo Fiorentini ed
Ettore Scola, il Conte Claro, e Mario Pio. Nel cinema invece, per oltre
dieci anni, interpretò ruoli minuscoli e poco significativi in una
ventina di film, ad eccezione di quello sostenuto in I tre aquilotti
di Mario Mattòli. Era, però, comunque un Alberto Sordi mediocre,
bruttarello, con due baffetti appiccicati per forza, che appariva in
parti scolorite e a lui inadatte, quasi al limite dello stucchevole.
La figura di Alberto Sordi tuttavia era destinata ad emergere. Così, tra il 1952 e il 1955, la popolarità di Sordi esplose sul grande schermo grazie all’avvento della celeberrima “commedia all’italiana”, dapprima con due film diretti da Federico Fellini, Lo sceicco bianco (1952) e I vitelloni (1953), e poi con alcuni diretti da Steno, Un giorno in pretura (1953), Un americano a Roma (1954) e Piccola posta
(1955), dove costruisce il tipo del ragazzo un po’ vigliacco, carogna,
approfittatore, indolente e scansafatiche, infantile e qualunquista che
lo accompagnerà per tutti gli anni cinquanta. La sua popolarità divenne
molto consistente tanto che Sordi si trovò, di lì in avanti, a recitare
senza soluzione di continuità, arrivando a lavorare sino a 10 pellicole
l’anno.
A partire dal toccante capolavoro La grande guerra
(1959) diretto da Mario Monicelli, dimostra un talento straordinario
nel calarsi psicologicamente anche in personaggi drammatici quando non
apertamente grotteschi. Basti citare il sottotenente Innocenzi di Tutti a casa (1960) di Luigi Comencini; il vigile inflessibile costretto a genuflettersi davanti al potente di turno ne Il vigile (1960) di Luigi Zampa; il giornalista Silvio Magnozzi di Una vita difficile
(1961) di Dino Risi; l’industriale fallito disposto a vendere un occhio
per riassestare le sue finanze e accontentare una moglie sin troppo
esigente ne Il boom (1963) di Vittorio De Sica; il medico della
mutua disposto a qualsiasi compromesso per diventare primario in una
clinica di lusso nel dittico Il medico della mutua (1968) di
Luigi Zampa e Il Prof. Dott. Guido Tersilli, primario della clinica
Villa Celeste, convenzionata con le mutue (1969) di Luciano Salce.
E poi ancora l’editore partito alla ricerca del cognato disperso in Africa in Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa? (1968) di Ettore Scola; il geometra incarcerato senza motivo mentre si trova in vacanza in Detenuto in attesa di giudizio
(1971) di Nanni Loy – per questo ruolo si aggiudicò nel 1972 l’Orso
d’Oro al Festival di Berlino; il baraccato che una volta all’anno
insieme alla moglie organizza interminabili partite a carte nella villa
lussuosa di una ricca e bizzarra signora con segretario ed ex amante al
seguito in Lo scopone scientifico (1972) di Luigi Comencini: fino ad arrivare al drammatico ruolo che recita in Un borghese piccolo piccolo (1977) di Mario Monicelli, che rappresenta il suo apice di una carriera prestigiosa.
Con Monicelli recitò nuovamente nel doppio, beffardo e amaro ruolo sostenuto ne Il marchese del Grillo (1981). Affrontò anche libere trasposizioni di Molière (Il malato immaginario del 1979 e L’avaro del 1990, entrambi diretti da Tonino Cervi) e Romanzo di un giovane povero (1995) di Ettore Scola, il quale, nel 2003, dopo la sua morte, gli dedicherà il film Gente di Roma. Come regista diresse in totale 18 pellicole, a partire dal 1966. Ottimi risultati arrivarono nei tre film con Monica Vitti: Amore mio aiutami (1969), Polvere di stelle (1973) e Io so che tu sai che io so (1982). Indimenticabili sono Un italiano in America (1967), insieme con Vittorio De Sica, Finché c’è guerra c’è speranza (1974) e Amore mio aiutami (1969).
Detentore di ben cinque Nastri d’Argento e di sette David di Donatello,
Alberto Sordi ottiene nel 1995 il prestigioso Leone d’Oro alla Carriera
al Festival di Venezia, entrando definitivamente nell’Olimpo degli
attori della storia cinematografica.
https://www.rsi.ch/cultura/focus/Alberto-Sordi-10692290.html
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