Italia – Brasile 3-2, quando Paolo Rossi entrò nel mito
Tra gli sport, il calcio è sicuramente il rito collettivo per antonomasia, capace di sopravvivere ai mutamenti inarrestabili di una società camaleontica come la nostra. Proiettata nel gioco avvolgente della memoria, l’immagine di una partita rimasta negli annali rimane impressa nel ricordo, e a distanza di anni si snocciolano particolari, situazioni, battute e frammenti di frasi ed espressioni che contribuiscono a proiettare nel mito azioni e gol. La partita acquista così il carattere epico delle grandi battaglie, dove gli esponenti più brillanti dell’arte pedatoria si tramutano in novelli Ettore e Achille, impegnati a duellare con nemici che hanno il solo torto di vestire una casacca di altro colore.
“Italia-Brasile 3 a 2”, di Davide Enia (Sellerio), è il racconto della gara tra azzurri e verdeoro disputata allo stadio Sarrià di Barcellona, per i Mondiali 1982. Il testo è la trasposizione del monologo di successo che l’autore porta in scena dal 2002 insieme ai fidi musicisti Fabio Finocchio e Giulio Barocchieri, e racconta la cronaca minuto per minuto dell’incontro che, più di ogni altro, è segnato nell’immaginario collettivo in associazione con la cavalcata vincente della selezione italiana guidata dal ct Enzo Bearzot. Era una partita dal destino segnato, i magici campioni brasiliani, artisti divini del calcio spettacolo, a disputarsi l’accesso alla semifinale contro la squadra azzurra reduce da un cammino fino a quel momento caratterizzato da poche luci (la vittoria con l’Argentina) e tantissime ombre: appena due gol in tre partite, la fase a gironi superata per differenza reti, e un fantasma in campo al posto del centravanti, Paolo Rossi.
Ma le partite di calcio si disputano sul campo, e in quei 90 minuti il dio dell’arte pedatoria assegnò ai nostri la magia di giocare da suoi pari, e a Paolo Rossi (anzi, Paolorrossi, come lo chiama Enia) la grazia di segnare una tripletta che ci fece superare da campioni l’ostacolo carioca. Il racconto celebra quell’evento, trasferendo la visuale della partita a Palermo, nel salotto di casa Enia, dove si trovano riuniti l’autore, i genitori, lo zio Peppe e una serie di altri personaggi come l’amico di famiglia Bruno Curccurù, che, in piedi contro lo stipite della porta, fuma “una nazionale senza filtro appresso all’altra” semplicemente perché si trovava nella stessa posizione quando Bruno Conti segnò il primo gol dell’Italia in quei Mondiali, nella partita contro il Perù. In questa cornice, la voce senza tempo di Nando Martellini racconta i miracoli di quei novanta giri di lancette che bloccarono l’Italia intera davanti agli schermi in quel pomeriggio infuocato di luglio.
Il racconto di Enìa è epico, tragico e comico al tempo stesso, con istantanee velocissime che si susseguono una dietro l’altra mentre il manto erboso del Sarrià celebra il trionfo di Davide contro Golia, del piccolo Conti contro il superbo Socrates, dell’angelo Scirea contro il rude Oscar, del generoso Graziani contro lo snob Falcao, del miracolato Rossi contro il povero Valdir Peres:
“…all’improvviso, dal nulla, in 30 centimetri 30,
tra pallone di cuoio pallone e portiere d’u Brasili Valdir Perez
compare dìntra ‘na maglia azzurra nùmmero 20 nna schiena
un giocatore magro magro magro ca si chiama Paolorrossi,
ca appena Valdir Perez ‘u vede grida:
e dà testate ‘ntìerra.
In ddù momento: 57 casi d’infarto in Brasili perché
Paolorrossi pìgghia ‘a palla ‘a devia ‘a manda dall’àutra bànna,
à palla tràse nna porta e fa GOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOLLE!
Italia 3 – Brasile 2.
Paolorrossi.”
La cronaca di Enia, non nuovo a produzioni che riguardano il calcio (ricordate “Rembò” su Radiodue?) è intervallata da aneddoti su Garrincha, il funambolo brasiliano che fece commuovere il governatore dello stato di Rio, e su Nikolai Trusevic, il calciatore della Dinamo Kiev che fu ucciso con la sua squadra perché aveva osato vincere contro i nazisti occupanti durante la seconda Guerra Mondiale. Ma il pathos si innalza inevitabilmente nel corso della descrizione delle imprese epiche dei ragazzi di Bearzot, guidati da capitan Zoff, protagonista al 90° di una parata al cardiopalma sulla linea di porta:
…Il pallone vola verso il golle, beffardo e sicuro,
e Zoff si guarda attorno, attonito ed impotente.
Nel caos incòccia lo sguardo di Paolo Rossi.
E’ ‘na taliàta breve, ma intesa assai.
“Dinuzzu – ci fa Pablito – io di golle nni fici tri, e c’ham’a fàri?
Pi farne un àutru un ci nnè tìempu! Chi ffa?
Ti jècchi e u pari ‘stu palluni,
oppure hav’a continuàri a tampasiàrtela?”.
Ma Zoff il quarantenne si sente addosso tutta la vecchiaia del proprio corpo portiere,
l’artrite la sciatica e i reumatismi.
Chiude comunque gli occhi, e si talìa dentro.
Pensa: “Minchia! Iddu c’havi raggiùni!”.
E allora s’attùffa felino verso u palluni
che sta per tràsere nna porta.
Strince forte i denti,
e non pare cchìù un cristiànu sanu di mente,
ma un fuòdde con un solo compito ‘nna vita:
pigghiàri quell’arrùsu du palluni, susìrisi e dire al mondo intero:
“Picciotti, c’è picca ‘i fari: stavolta vinciamo noiàutri!”
Nell’immagine che segue al fischio finale dell’arbitro, preludio di quella che sarà la gioia del trionfo madrileno al Santiago Bernabeu la sera della finalissima con la Germania, c’è la gioia di tutta l’Italia, che lascia alle proprie spalle le contraddizioni degli anni ’70 e si lancia verso l’edonismo tipico del decennio successivo.
Tra punte di lirismo acuto e dirompente, e siparietti comici corredati dall’uso colorato del dialetto siciliano, Enia ci fa rivivere la partita come metafora della vita stessa. Sulla scena c’è ognuno di noi, impegnato a difendersi o ad attaccare sul campo del quotidiano: e qualche volta, gli riesce anche di trovare la rete e di segnare tre gol, come fece quel 5 luglio 1982 Paolorrossi da Prato, uno che non è stato un calciatore di calcio, ma un romanzo.
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