1.1 LE ORIGINI DELLA STORICA DIVISIONE TRA NORD E SUD
Le origini di questa storica divisione tra Nord e Sud sono da sempre oggetto di numerosi dibattiti tra
molti storici. Quasi tutte le diverse correnti ideologiche e politiche, nonostante le controverse opinioni
al riguardo, si incontrano nel stabilire che tale differenza economico e sociale esistesse e fosse già
marcata precedentemente all’Unità. Altre correnti, corrispondenti alla minoranza, sostengono e
valorizzano il territorio meridionale, attribuendo totale responsabilità alle politiche errate delle
istituzioni.
Nonostante questi differenti punti di vista, bisogna sottolineare che il nostro Paese si trovava, in
particolare tra il 1810 e il 1860, in una posizione di svantaggio se paragonato a tutte le superpotenze
europee, ciò dovuto in gran parte alla presenza di numerosi e diversi Stati al suo interno che
perseguivano politiche economiche e commerciali differenti.
Francesco Nitti, nel suo libro “Nord e Sud” (1900, pg 2) ci ricorda che, in questi stessi anni, Paesi
come la Francia, l’Inghilterra e la Germania, conoscevano un periodo di grande sviluppo, mentre
l’Italia, divisa, ebbe grandi difficoltà di crescita. Lo stesso storico fu un grande sostenitore della tesi
secondo cui l’Italia pre-unitaria non presentava marcate differenze economico-sociali tra il Nord e il
Sud, ma, anzi, furono proprio i processi risorgimentali di unificazione e le successive politiche di
industrializzazione e di infrastrutturazione a marcare tale divario.
La situazione politica pre-unitaria, come viene documentata dallo storico Denis Mack Smith, nella
sua opera “Storia d’Italia dal 1861 al 1997”, presentava, nel 1850, una penisola divisa in due, in cui
il Nord era guidato dal Piemonte di Cavour, di stampo liberale, che attraverso le sue politiche filofrancesi cercò di imporre una radicale accelerata economica, per poter competere con le superpotenze
europee. Il codice civile venne riformato su stampo francese, venne istituita una banca che potesse
fornire crediti alle imprese industriali, e i dazi vennero ridotti significativamente. Il Regno delle due
Sicilie, invece, guidava il Sud d’Italia pre-unitario attraverso politiche fin troppo conservatrici. Il
governo, sempre secondo lo storico Smith, si basava su politiche derivanti dalle tradizioni e cioè di
stampo aristocratico in cui il livello delle tasse era al minimo, ma, allo stesso tempo, gli investimenti
infrastrutturali risultavano totalmente nulli. I dazi, al contrario del Piemonte di Cavour, erano altissimi
per proteggere la produzione interna e scoraggiare le importazioni e le esportazioni.
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La situazione economica del Paese non era molto differente da quella politica, nel senso che anche a
livello economico la scarsa propensione all’innovazione da parte del Regno delle due Sicilie
comportava una più bassa e diversificata produzione media per tutto il Paese. Certamente bisognava
considerare altri due aspetti: il primo consisteva nell’osservare la penisola suddivisa in tanti e
differenti Stati con ognuno una diversa politica economica interna; in secondo luogo considerarla per
la conformazione del suo territorio. L’Italia presentava una conformazione territoriale molto
particolare: le risorse primarie, come ad esempio quelle minerarie o energetiche, non erano ben
distribuite sul territorio, a sfavore del Mezzogiorno. Tali aspetti, oltre al più scarso livello di
produzione, dovuto alla bassa propensione agli investimenti tipico del meridione, comportarono uno
svantaggio nei confronti delle potenze europee. Questa inferiore ricchezza di materie prime si rivelò,
in una economia prevalentemente basata sull’agricoltura, in tutto il Paese.
Il Nord, liberale e propenso alla innovazione, adottava tecniche di agricoltura più avanzate in parte
copiate dai Paesi europei che gli permettevano di risultare più produttivo del Sud la quale, viceversa,
adottando politiche conservatrici, basava l’agricoltura su tecniche tradizionali fondate sul sistema
feudale: latifondi coltivati da braccianti che producevano solo per autoconsumo. L’interesse per gli
investimenti sulle nuove tecniche di produzione era scarso e con i prezzi che risultavano altissimi il
commercio era scoraggiato. Il tutto fu certamente favorito da un quasi totale analfabetismo e da una
altissima disoccupazione.
Nell’Italia pre-unitaria il livello di sviluppo industriale era molto scarso, ma non assente del tutto.
L’industria era prevalentemente costituita da artigiani a servizio della élite. Difatti l’Italia viene
considerata, ancora oggi, un Paese di “tardiva rivoluzione”, in quanto la mancanza di materie prime
e di risorse ne ha rallentato lo sviluppo fino al 1880.
La situazione post-unitaria del nostro Paese si presentò diversamente dalle aspettative. L’unificazione
era avvenuta troppo velocemente e di conseguenza si accumularono molteplici difficoltà. Bisognava
unificare otto sistemi giuridici, economici e giudiziari. La base da cui partirono i governi non
presentava una sicura situazione economica in quanto la maggior parte dei governatori non avevano
mai visitato i territori meridionali di conseguenza sottovalutarono la disastrosa situazione di povertà
in cui si trovava il Sud. Si pensava che fino ad allora le ricchezze del Sud fossero nascoste e inespresse
e che tramite l’unificazione venissero liberate.
I primi provvedimenti governativi cominciarono a vedersi con la tramutazione in legge di un decreto
che estese la legislazione piemontese anche al meridione, processo che gli storici definiscono
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“piemontesizzazione”. Tali provvedimenti proseguirono nell’ottica di recuperare i capitali necessari
per unificare il paese e dotarlo delle infrastrutture di cui aveva un pressante bisogno.
Per raggiungere gli obiettivi sopracitati il governo intraprese vie alquanto spiacevoli per la
popolazione, in particolare al Sud, come ad esempio l’introduzione della tassa sul macinato nel 1868,
che fece lievitare il prezzo del pane colpendo le fasce più deboli della popolazione.
Oltre ad essa venne anche intrapresa una decisa opera di abolizione dei privilegi feudali, tra cui
l'importante vendita di ampi terreni demaniali dello Stato e della Chiesa. Le intenzioni erano di
aumentare la produttività agricola con una redistribuzione della terra, ma di fatto questi terreni
andarono nelle mani dei possidenti che avevano i capitali per acquistarli e mantenerli.
Tuttavia bisogna sottolineare che ne vennero intraprese alcune positive, come la realizzazione di
opere pubbliche e la realizzazione di nuove reti ferroviarie.
La situazione mostrò un lieve cambiamento solamente a partire dall’epoca giolittiana nei primi anni
del 1900 quando si evidenziarono maggiori interessi riguardo la situazione meridionale. Nonostante
ciò non si arrestò l’inizio della famosa “emigrazione” che interessò quelle aree proprio in questo
stesso periodo. Secondo la letteratura diffusa, le cause della prima emigrazione meridionale, della
seconda metà del XIX secolo, sono: la crisi delle campagne, del grano e la situazione di
impoverimento economico che colpì il Sud all'indomani dell'Unità, quando gli investimenti
industriali si concentrano tutti al Nord.
A peggiorare tale situazione ci pensarono le due Guerre Mondiali, in cui il richiamo alle armi
costrinse, in particolare al Sud, l’abbandono delle terre da parte degli uomini, lasciando alle donne il
compito di coltivarle. Le donne meridionali non erano abituate a tale lavoro in quanto le terre erano
situate lontano dalle abitazioni e loro generalmente si occupavano solamente delle faccende
domestiche.
La conseguenza fu ovvia: il Pil nazionale, sommato alle conseguenze delle Guerre, calò
spaventosamente.
http://tesi.cab.unipd.it/53676/1/Biscaro_Marco.pdf
DOSSIER SVIMEZ
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http://www.digiec.unirc.it/documentazione/materiale_didattico/1465_2013_353_17761.pdf
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