|
|
D. Lama - Giuseppe Mazzini in piedi - 1860 - fotografia - Istituto per la Storia del Risorgimento - Roma |
Mazzini nacque a Genova il 22 giugno 1805, da Giacomo – medico e
professore universitario – e Maria Drago. Fu soprattutto la madre ad
avere una funzione determinante nell’educazione del giovane Giuseppe,
ispirata in primo luogo a un forte rigorismo etico.
Durante gli studi universitari (in giurisprudenza) si raccolse intorno a
lui un gruppo di amici accomunati da interessi letterari di tipo
romantico e politici di tipo patriottico-carbonaro.
Nel 1828-29 Mazzini e i suoi amici cercarono di svolgere una battaglia
di carattere politico-letterario dapprima sull’«Indicatore Genovese» e
poi, dopo che questo fu soppresso, sull’«Indicatore Livornese» (presto
costretto anch’esso alla chiusura).
Contemporaneamente Mazzini era attivamente impegnato nella carboneria;
quando nel novembre 1830 la sua appartenenza all’organizzazione venne
scoperta, fu incarcerato per due mesi e, nel gennaio 1831, costretto
all’esilio.
|
|
U. Borzino - Maria Mazzini - dipinto - Museo del Risorgimento - Genova |
Giunto in Francia, a Marsiglia, vi fondò la Giovine Italia, organizzazione politica finalizzata all’unità e all’indipendenza della penisola attraverso un’insurrezione popolare, e all’instaurazione di un regime repubblicano.
L’associazione – che si distingueva dalla carboneria per il carattere
non più segreto ma pubblico del proprio programma – riuscì ad affermarsi
rapidamente tra gli emigrati italiani anche grazie alla attività
intensissima di Mazzini e al timbro profetico del suo messaggio
politico, che assumeva i caratteri di una nuova religione. Una tale
impronta religiosa era del resto comune a gran parte dei movimenti che
combattevano all’epoca per l’indipendenza della propria nazione.
In questi anni l’attività di Mazzini – che in Stati autoritari come
quelli italiani non poteva che svolgersi clandestinamente – era
finalizzata a diffondere la rete cospirativa della Giovine Italia nella
penisola, soprattutto nel Nord e nel Centro.
Questa attività culminò nel febbraio 1834 nel tentativo di organizzare
una invasione della Savoia (allora parte del Regno di Sardegna) dalla
Svizzera con circa duecento seguaci.
Dopo l’insuccesso – che tuttavia cominciò ad accreditare Mazzini come
uno dei leader del movimento per l’indipendenza italiana – fondò in
Svizzera la Giovine Europa, un’organizzazione che raggruppava patrioti
di vari paesi (essenzialmente italiani, polacchi, tedeschi e svizzeri).
Fu allora, nel 1835, che Mazzini scrisse il suo primo testo teorico di una certa ampiezza, Fede e avvenire.
Vi sosteneva tra l’altro che si era conclusa, con la Rivoluzione
francese, l’epoca «individuale» iniziata quasi duemila anni prima con la
comparsa del cristianesimo; la nuova epoca «sociale» avrebbe visto
l’affermarsi di nazioni libere e indipendenti, ciascuna delle quali
aveva ricevuto da Dio una propria missione da attuare nel mondo.
Nella stessa opera si affermava l’impossibilità di fondare la politica
democratica sul concetto di «diritto» (caratteristico dell’epoca
«individuale») e la necessità di affiancare ad esso, con una funzione
prevalente, il nuovo concetto di «dovere», perno dell’epoca «sociale».
A una visione del genere, in cui la politica assumeva forti tratti
religiosi, Mazzini sarebbe rimasto fedele per il resto della sua vita.
Così come avrebbe sempre accompagnato al proprio messaggio
politico-religioso una polemica molto aspra nei confronti della Chiesa
cattolica, portatrice di una religione, a suo avviso, superata perché
legata all’epoca «individuale» ormai trascorsa.
|
|
Bandiera patriottica del 1848 |
Nel 1837, costretto a lasciare la Svizzera, Mazzini si trasferì in
Inghilterra, la nazione dove prevalentemente avrebbe vissuto per il
resto della sua vita. Lì entrò in contatto con intellettuali del rango
di Thomas Carlyle e John Stuart Mill e negli anni seguenti partecipò al
vivace dibattito politico che caratterizzava il movimento democratico e
socialista inglese.
Nel 1839 ricostituì la Giovine Italia, che aveva sciolto qualche anno
prima; ma ora la trama cospirativa dell’organizzazione non poté
raggiungere neppure lontanamente quella della prima Giovine Italia.
I tentativi mazziniani di far scoppiare un’insurrezione nella penisola,
che generalmente si fondavano su una visione eccessivamente ottimistica
del malcontento e dei fermenti rivoluzionari esistenti in Italia, si
conclusero sempre con un insuccesso.
Il nuovo clima creatosi negli Stati italiani a partire dall’elezione di
Pio IX nel 1846, e soprattutto gli avvenimenti rivoluzionari del
1848-49, sembrarono aprire a Mazzini e ai suoi seguaci un grande spazio
di azione. In particolare Mazzini fu, sia pure per breve tempo, la
figura centrale nel triumvirato che si trovò alla testa della Repubblica
romana, un’esperienza che gli diede una grandissima notorietà
internazionale.
Negli anni successivi continuò a impegnarsi in tentativi cospirativi
sempre segnati però dal fallimento: il più clamoroso fu rappresentato
dalla tragica spedizione organizzata nel sud della Campania da Carlo
Pisacane nel 1857, alla quale si sarebbero dovute accompagnare – nei
piani mazziniani – una insurrezione a Livorno e una a Genova (cioè, in
questo secondo caso, in una città che pure faceva parte del Regno di
Sardegna, unico Stato costituzionale della penisola).
|
|
G. Isola - Mazzini in un ritratto giovanile. 1830 - disegno a matita - Istituto Mazziniano - Genova |
Già in precedenza, dopo un altro fallimento – quello del moto
insurrezionale tentato a Milano nel febbraio 1853 – si erano
moltiplicate entro lo stesso campo democratico le critiche alla
strategia mazziniana fondata sull’azione ad ogni costo (e per essa
Mazzini aveva appunto fondato il Partito d’azione).
Il suo isolamento era accentuato dal fatto che molti repubblicani, di
fronte alla nuova e dinamica politica messa in atto da Cavour, si
andavano orientando sempre più a collaborare con la monarchia sabauda.
Tuttavia, se il movimento democratico e più in generale l’intero
schieramento favorevole all’indipendenza si orientò per la soluzione
unitaria (scartando cioè l’ipotesi di una Italia indipendente ma divisa
in vari Stati), questo fu in larga parte conseguenza della predicazione
mazziniana. Mazzini e solo Mazzini, infatti, aveva sostenuto per anni
che occorreva dar vita a uno Stato nazionale che comprendesse l’insieme
della penisola italiana.
Nel 1859-60 la sua influenza sugli avvenimenti che portarono alla
nascita dello Stato italiano fu indiretta ma molto significativa. In
particolare, fu lui ad indicare subito al movimento
democratico-garibaldino la prospettiva di uscire dallo stallo segnato
nel 1859 dalla pace di Villafranca portando la guerra al Sud, nelle
forme di una grande rivoluzione popolare.
Garibaldi però non seguì le sue sollecitazioni a proseguire
immediatamente la spedizione dei Mille fino a liberare anche Venezia e
Roma e in prospettiva – come appunto avrebbe voluto Mazzini – fino a
dare all’Italia un assetto repubblicano.
Sentendosi estraneo a uno Stato nazionale nato sotto il segno
monarchico, Mazzini tornò dunque in esilio e proseguì negli anni
seguenti nei suoi tentativi cospirativi, sempre più isolato visto che
procedeva l’avvicinamento alla monarchia di molti democratici.
Negli stessi anni i suoi seguaci si impegnavano nell’organizzazione
delle prime associazioni operaie della penisola, seguendo le idee
cooperativistiche che il loro leader aveva elaborato da tempo e che da
ultimo consegnava al suo testo più famoso, Dei doveri dell’uomo (1860).
|
|
Genova. Funerali di Giuseppe Mazzini al Cimitero di Staglieno - 17 marzo 1872 - fotografia - Istituto per la Storia del Risorgimento - Roma |
In Italia, ma anche a livello internazionale, il programma
democratico-repubblicano di Mazzini subiva ora la sfida delle nuove idee
socialiste: fu per questo che egli decise di reagire con durezza
sferrando un duro attacco, nel corso del 1871, nei confronti
dell’Associazione internazionale dei lavoratori e della Comune di
Parigi.
Ma si trattò di una battaglia politico-ideale che lo isolò ancora di
più nell’ambito della Sinistra italiana dell’epoca. Nel marzo 1872,
stanco e malato, morì a Pisa dove si era recato col falso nome di George
Brown, così da marcare fino all’ultimo la sua estraneità rispetto a
un’Italia che non era quella che egli aveva sognato.
|
|
Mazzini nella virilità - incisione |
Nelle vicende che portarono alla nascita dello Stato nazionale, nessuno
come Mazzini si mostrò capace di una azione così continua, spesso
frenetica (scriveva ai suoi seguaci decine di lettere nella stessa
giornata), ricominciando dopo ogni insuccesso a organizzare nuove
cospirazioni come se nulla fosse. Convinto di essere il portatore di un
messaggio politico che aveva allo stesso tempo il crisma di una fede
religiosa, Mazzini strutturò la sua vita e la sua personale missione
attorno al concetto di dovere e di sacrificio, sorretto in questo
dall’appoggio decisivo della madre.
A sostenerlo nelle difficoltà operava anche la sua peculiare fede
religiosa. Credeva tra l’altro nell’immortalità dell’anima, che riteneva
fosse destinata a passare attraverso esistenze successive (è in questo
senso che va intesa la sua affermazione d’aver vissuto in Svizzera
«prima di nascere in Italia»).
La convinzione che la propria vita fosse votata a una missione, e che
dunque non vi fosse spazio in essa per ogni forma di felicità
individuale, si affermò in Mazzini fin dai primi anni d’esilio.
I sacrifici e i dolori che caratterizzavano la sua esistenza (tra essi,
la separazione dall’amata Giuditta Sidoli, conosciuta in esilio nel
1831 ma dalla quale presto si era dovuto separare in via definitiva) gli
apparivano come i segni di una predilezione divina, come il
corrispettivo di una visione ispirata da Dio che agli altri era
preclusa.
Proprio da questo derivava l’insofferenza di Mazzini per quanti, entro
lo stesso campo democratico, la pensavano diversamente da lui. Come
osservò lo storico Nello Rosselli, Mazzini «si sente ispirato da Dio e
crede perciò alla superiorità assoluta del suo programma: logicamente
quindi tenta di imporlo».
|
|
Giuditta Bellerio Sidoli |
Dalla percezione di sé come una sorta di profeta derivavano anche le
pose romanticamente pensose e tristi dei suoi ritratti e lo stesso
fascino che la figura di Mazzini esercitò su quanti lo conobbero. «I
pochi giorni che passai in compagnia di Mazzini elettrizzarono tutto il
mio essere […]. Eccitate e risvegliate dal contatto con Mazzini, le mie
forze morali riacquistarono una nuova attività. Sì, lo confesso, a
partire dalla mia comunicazione intellettuale con questo spirito
elevato, cominciò per me un nuovo periodo, una nuova aurora di vita e di
speranza».
Questo avrebbe scritto nelle proprie memorie il patriota e poeta danese
Paul Harro Harring, che aveva conosciuto Mazzini a Ginevra nel 1833.
Ma esistono dozzine di testimonianze analoghe, anche di chi non
condivideva le idee repubblicane del fondatore della Giovine Italia, ma
in lui ammirava l’«elevatezza di carattere» e la totale devozione a
«nobili scopi» (così, ad esempio, il liberale inglese John Stuart Mill).
La sua personalità segnò un’intera generazione di patrioti italiani che
– si pensi ai futuri presidenti del Consiglio Agostino Depretis e
Francesco Crispi – avevano fatto le loro prime esperienze politiche
appunto nell’ambito della cospirazione mazziniana.
Lo scrittore romagnolo Alfredo Oriani rappresentò una figura di
passaggio dall’idea mazziniana e democratica di nazione al nuovo,
aggressivo nazionalismo del primo ‘900. Nelle pagine del suo volume La lotta politica in Italia (1892) emerge tutta l’ammirazione per la figura del fondatore della Giovine Italia.
A. Oriani, La lotta politica in Italia, a cura di A.M. Ghisalberti, Bologna, Cappelli, 1956, pp. 304-312.
Nel 1897 l’ultimo volume della Storia critica del Risorgimento italiano
di Carlo Tivaroni accreditò la visione cosiddetta «conciliatorista» del
Risorgimento, secondo la quale moderati e democratici avevano tutti
concorso, nonostante le reciproche differenze, all’esito finale. In
questo modo anche il repubblicano Mazzini entrava, a fianco di Cavour,
Vittorio Emanuele e Garibaldi, nel Pantheon dell’Italia monarchica. Lo
storico Walter Maturi illustra l’opera di Tivaroni.
W. Maturi, Interpretazioni del Risorgimento, Torino, Einaudi, 1962, pp. 366-367.
Si deve allo storico Gaetano Salvemini il primo compiuto profilo di
Mazzini, comparso nel 1905. Nel testo riprodotto illustra come la
pluridecennale azione mazziniana, se collezionò una serie di sconfitte,
fu però al tempo stesso decisiva nel determinare la nascita dello Stato
italiano.
G. Salvemini, Scritti sul Risorgimento, a cura di P. Pieri - C. Pischedda, Milano, Feltrinelli, 1961, pp. 220-223.
|
|
Mazzini - Fotografia - 1860 |
In un saggio del 1919 il filosofo Giovanni Gentile sottolineava il
rapporto strettissimo che Mazzini aveva stabilito tra religione,
politica e morale. Gentile apprezzava soprattutto il carattere
antindividualistico e antiliberale del pensiero mazziniano, rilevando
come in esso la libertà dell’individuo non fosse altro che mezzo per il
raggiungimento dei fini collettivi.
G. Gentile, I profeti del Risorgimento italiano, Firenze, Vallecchi, 1923, pp. 63-66.
Lo storico e filosofo Guido De Ruggiero, nella sua Storia del liberalismo europeo
(1925) diede del pensiero democratico di Mazzini un giudizio che ne
sottolineava anche alcuni limiti, come il «carattere predicatorio» e
l’estraneità rispetto alla realtà italiana.
G. De Ruggiero, Storia del liberalismo europeo, Bari, Laterza, 1925, pp. 342-346.
Lo storico Luigi Salvatorelli fu autore di una fortunata sintesi di storia dell’unificazione italiana, Pensiero e azione del Risorgimento
(1943). Se ne riproducono le pagine in cui viene delineato il
contrasto, ma anche la complementarità di fondo, tra la visione di
Mazzini e quella di Cavour.
L. Salvatorelli, Pensiero e azione del Risorgimento, Torino, Einaudi, 1943, pp. 185-191.
L’interpretazione del Risorgimento che Gramsci consegnò ai suoi Quaderni del carcere,
pubblicati postumi a partire dalla fine degli anni Quaranta, conteneva
una critica a Mazzini e in genere ai democratici del Partito d’Azione
che poi avrebbe ispirato tutta una corrente storiografica. Gramsci
rimproverava loro di non aver saputo conquistare il consenso dei
contadini attraverso un programma di redistribuzione della terra, ciò
che per conseguenza aveva favorito l’egemonia di Cavour e dei moderati.
A. Gramsci, Quaderni del carcere, a cura di V. Gerratana, III, Torino, Einaudi, 1975, pp. 2010-2013, 2024.
Alcuni studiosi, soprattutto al di fuori dei confini italiani, hanno
sottolineato come nel pensiero di Mazzini vi sia anche il germe di quel
nazionalismo, inteso come sentimento di superiorità sugli altri popoli e
inclinazione ad espandersi ai danni di altri Stati, che si sarebbe
sviluppato a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. Questo sostenne
ad esempio l’inglese Lewis B. Namier in un testo pubblicato la prima
volta nel 1949, del quale riproduciamo alcune pagine.
L. B. Namier, La rivoluzione degli intellettuali, Torino, Einaudi, 1957, pp. 183-188.
Nel primo capitolo delle Note autobiografiche, scritto nel
1861, Mazzini ricorderà il primo insorgere in lui di sentimenti
patriottici, condivisi nella Genova dei primissimi anni Venti da un
gruppo di amici.
G. Mazzini, Note autobiografiche, a cura di R. Pertici, Milano, Rizzoli, 1986, pp. 51-55.
L’Istruzione generale per gli affratellati nella Giovine Italia (1831) costituisce uno dei documenti di fondazione del movimento appena fondato da Mazzini.
G. Mazzini, Scritti politici, a cura di T. Grandi - A. Comba, Torino, Utet, 1987, pp. 164-172.
Nel 1835 Fede e avvenire rappresenta il primo testo nel quale
Mazzini dia un’esposizione generale del suo pensiero. Le pagine che
seguono ne riproducono gli ultimi due capitoli, che mostrano bene il
carattere religioso e profetico che il messaggio mazziniano volle avere
fin dal principio.
G. Mazzini, Scritti politici, a cura di T. Grandi - A. Comba, Torino, Utet, 1987, pp. 458-470.
Uno dei capitoli dell’opera più famosa e diffusa di Mazzini, Dei doveri dell’uomo
(1860) chiarisce come la dedizione alla propria patria dovesse
inserirsi in un quadro più vasto in grado di abbracciare l’intera
umanità.
G. Mazzini, Scritti politici, a cura di T. Grandi - A. Comba, Torino, Utet, 1987, pp. 870-878.
Si deve a Mazzini e ai mazziniani di essersi impegnati ad organizzare
in Italia le prime associazioni di operai, sulla base di una piattaforma
di tipo cooperativistico che affidava il progresso dei lavoratori ad
associazioni di produzione e di consumo da loro liberamente costituite.
Tutto questo è illustrato in un apposito capitolo di Dei doveri dell’uomo (1860).
G. Mazzini, Scritti politici, a cura di T. Grandi - A. Comba, Torino, Utet, 1987, pp. 918-936.
|
|
Mazzini in prigione a Savona riceve la visita del padre. Fu l'ultima volta che si videro - Museo Nazionale del Risorgimento - Torino |
Fino alla morte, avvenuta nel 1852, Maria Drago Mazzini rappresentò per
il figlio lontano un sostegno importantissimo. Il brano di una sua
lettera (che conosciamo perché intercettata e copiata dalla polizia del
Regno di Sardegna) mostra quanto fosse convinta del carattere
assolutamente eccezionale della personalità del figlio.
A. Luzio, La madre di Giuseppe Mazzini, Torino, Fratelli Bocca, 1923, p. 84.
Questa lettera, carica di passione romantica, mostra il legame che
continuava a esistere tra Mazzini e Giuditta Sidoli due anni dopo la
separazione definitiva cui erano stati costretti.
G. Mazzini, Lettere d’amore, Torino, Utet, s.d., pp. 63-68.
Nella lettera di Mazzini indirizzata al fratello minore di un
mazziniano da poco liberato dal carcere, torna un tema centrale nel
patriottismo risorgimentale: la necessità di saper combattere e morire
per l’Italia. Due anni dopo, nel 1860, il giovane destinatario della
missiva avrebbe partecipato alla spedizione garibaldina in Sicilia,
trovandovi la morte.
G. Mazzini, Opere, a cura di L. Salvatorelli, I, Milano, Rizzoli, 1967, pp. 699-701.
La ricerca di mezzi finanziari per le proprie imprese fu una costante
nella vita di Mazzini. Qui si riproduce una ricevuta del 1853, emessa da
lui e da altri dirigenti del Comitato nazionale italiano di Londra, in
cambio di una somma di danaro versata all’associazione.
G. Mazzini, Scritti politici, a cura di T. Grandi - A. Comba, Torino, Utet, 1987, tav. tra le pp. 688 e 689.
La fama che circondò Mazzini in vita si accentuò, in Italia e
all’estero, soprattutto dopo il 1848-49. Ne è testimonianza il fatto che
gli venissero dedicate, ancora in vita, delle poesie. Se ne forniscono
qui due esempi diversi (anche, ovviamente, per qualità poetica): uno
stornello del mazziniano Francesco Dell’Ongaro, composto nel 1851, e un
sonetto che Carducci scrisse nel febbraio 1872, poco prima della morte
di Mazzini.
Mazzini nella poesia, a cura di T. Grandi, Pisa, Domus Mazziniana, 1959, pp. 21 e 51.
Nessun commento:
Posta un commento