Le mille arti di Massimo Troisi: la leggenda di un mito
Attore,
sceneggiatore e persino regista: in poco più di dieci anni, il grande
Massimo Troisi(1953-1994) ha realizzato 12 film, riscuotendo un grande
successo di pubblico e numerosi riconoscimenti. E, dall’esordio nel 1981
fino ai giorni nostri, non ha mai smesso di far parlare di sè…
“Sono trascorsi piu’ di vent’anni da
quando il ticchettio del tempo, e del suo cuore, si è fermato. Ed è
ancora difficile accettarlo e farsene capaci di ciò.”
-L’arte… dell’umiltà.
Considerando la tristemente breve durata della sua carriera, è
notevole, per quantità e qualità, la ricchezza dei testi dedicati al
cinema e alla comicità di Massimo Troisi, che vanno ad aggiungersi a una
già folta schiera di recensioni cinematografiche e articoli
giornalistici. Tra questi, resta memorabile il commosso ricordo che
Gianni Minà gli dedicò il 5 giugno 1994, appena un giorno dopo la sua
morte. Il giornalista, grande amico di Massimo, lo definì in questi
termini sulle pagine de “l’Unità”:
“Era un essere umano leggero, lieve,
forse stonato in un’epoca e in una società dello spettacolo dove imporre
la propria presenza, essere arroganti, è il comportamento di moda.
Massimo sapeva stare al mondo rendendo gradevole la vita dei suoi amici e
della gente che gli era cara senza sfiorare mai gli altri con le sue
angustie”.
Dopo la morte di Massimo si moltiplicano i testi che lo riguardano:
molto spesso, oltre a essere attente analisi e preziose raccolte di
informazioni, si tratta di vere e proprie dichiarazioni di affetto e
gratitudine nei confronti di un artista che, con la sua semplicità e
sincerità, ha saputo parlare al cuore di milioni di persone,
indipendentemente dal livello sociale, economico, scolastico, e ben
oltre le barriere territoriali e linguistiche. La grande umiltà di
Massimo, è qui sintetizzata alla perfezione nelle parole del suo grande
amico di infanzia Alfredo Cozzolino, il quale era presente quella notte
del 4 giugno 1994, quando a casa della sorella ad Ostia (Roma), Massimo
si sentì male e morì per infarto:
“Com’era Massimo? Speciale in ogni
momento, più di quanto, chi non l’ha conosciuto, possa immaginare. Forse
la sua grande popolarità, immutata anche tanti anni dopo la sua
scomparsa, è dovuta al fatto che quando recitava lui rimaneva sempre se
stesso, o anche perché oggi, più che mai, risuona l’assenza della sua
voce in tempi di vuoto assordante. Lui dominava la scena anche quando se
ne stava in disparte, in silenzio, limitandosi a osservare, o a
guardare di sottecchi, con quello sguardo misto tra curiosità, candore e
divertimento. Con Massimo sembrava sempre di trovarsi nella scena di un
suo film, e infatti, inevitabilmente, arrivava un suo commento, sempre
leggero ma lapidario, o una battuta folgorante che oltre a far
riflettere scatenava una risata (nostra) e un lieve sorriso (suo)”.
Massimo Troisi è stato un personaggio molto amato anche dai giornalisti, che alle conferenze stampa “erano felicissimi perchè lui era straordinario, intelligente, mai banale, sempre ironico”, come ha ricordato Cristiana Caimmi, curatrice del lancio dei suoi film.-L’arte…dei sentimenti.
Nella sua filmografia come regista, Massimo ha spesso raccontato
storie d’amore, mettendo al fianco del protagonista donne determinate,
pienamente coscienti di sé e dei propri desideri. Donne capaci di
prendere l’iniziativa, di esprimere i propri sentimenti, bisogni e
debolezze, e in grado di mettere in difficoltà un uomo invece pigro,
timido e impacciato, come egli stesso ha più volte confessato di essere.
Per il suo primo film, “Ricomincio da tre”(1981), Troisi si
affida a Fiorenza Marchegiani: il personaggio con cui l’attrice debutta
sul grande schermo, l’infermiera fiorentina Marta, è una donna che non
conosce ostacoli né inibizioni, che ignora completamente il tabù della
gelosia e confessa senza problemi al proprio amato di averlo tradito con
un ragazzo più giovane. Giuliana De Sio è l’indimenticabile Anna di “Scusate il ritardo”(1983).
In “Scusate il ritardo”(1982), dell’anno successivo, è la
volta di Anna ( la grande Giuliana De Sio), una ragazza in cerca di
conferme, che fa della sua paura e delle sue incertezze il nucleo della
sua forza. Seguirà Vittoria ( Jo Champa, nel film “Le vie del signore sono finite”,
del 1987), personaggio disincantato e non facilmente impressionabile:
sarà l’amore a farla tornare dal suo Camillo (Massimo Troisi), non certo
la malattia psicosomatica di cui lui cade vittima dopo essere stato
lasciato da lei. Anche la Cecilia di “Pensavo fosse amore…invece era un calesse”(1991)
(interpretata da Francesca Neri) rompe il fidanzamento con
Tommaso-Troisi: sentendosi trascurata e molto insoddisfatta della loro
vita di coppia, rivolge le proprie attenzioni a un altro uomo, salvo poi
tornare sui suoi passi, e con tanto di riconciliazione finale. Nel “Postino”(1994), Maria Grazia Cucinotta è Beatrice Russo, la donna amata da Mario ( Massimo Troisi).
Per il suo ultimo capolavoro, infine, Massimo ha subito pensato a
Maria Grazia Cucinotta, volendo più di ogni altra cosa una donna che
desse un’idea forte e prorompente di femminilità, tanto da lasciare
senza fiato, con un solo sguardo, l’innamoratissimo postino Mario. La
complessità delle storie d’amore raccontate dal Massimo regista ed
attore, non banali e non avvolte da tradizionali luoghi comuni, risiede
in quel desiderio di Massimo di abbandonare ogni banalità e di
affrontare il quotidiano in modo diretto e originale, facendo si che non
solo i dialoghi o le storie d’amore dei suoi film, ma anche le gag, gli
sketch, le risposte alle domande dei giornalisti, diventino vere e
proprie gemme di innovativa comicità. “Il
mondo intero proprio”, è la frase che Massimo pronuncia in riva al mare
al Neruda di Noiret, mentre parlano di poesia e metafore, e il primo
chiede all’amico, con la sua voce timida e il fare esitante: “Volete
dire allora che per esempio, non so se mi spiego, che il mondo intero,
no? Il mondo intero proprio, dico col mare, col cielo, con la pioggia,
le nuvole…è la metafora di qualcosa?”.-L’arte…della leggerezza: Massimo e la letteratura.
Nella sua carriera teatrale e cinematografica, Troisi ha sempre
parlato con la sua lingua napoletana. La parlata di Troisi è come una
“lingua confidenziale”, con la quale l’attore napoletano si sentiva a
suo agio. Agli esordi Troisi non ritenne prioritaria la questione della
comprensibilità e perciò continuò a parlare unicamente in napoletano.
Nonostante in quel periodo la parlata dell’attore suscitasse
immediatamente attenzione nella cinematografia italiana, in quanto gli
elementi dialettali venivano proposti con intransigenza ed estremismo,
Massimo non se ne curò molto e affermò più volte, nel corso di
interviste o apparizioni televisive, di saper parlare unicamente il suo
dialetto. Ad esempio si ricorda l’intervista per “Mixer” di Isabella Rossellini, nella quale la giornalista chiese a Troisi «Ma perché parli sempre in napoletano?» ricevendo da quest’ultimo la risposta: «Perché è l’unico modo in cui so parlare».
In seguito, Troisi ebbe l’urgenza di voler comunicare anche a un
pubblico maggiore e per questo la presenza del dialetto dai suoi film,
dopo “Scusate il ritardo” si affievolisce. Massimo, quindi,
realizza una lingua “italiana popolare”, ma comunque ricca di venature
dialettali. Proprio il suo meraviglioso uso della lingua
italo-napoletana, è stato oggetto di numerosi studi da parte di numerosi
critici, scrittori o professori universitari, i quali hanno analizzato
con grande perizia l’affascinante costruzione letteraria dei suoi
discorsi, da un punto di vista stilistico, linguistico e semiologico,
individuando nel codice espressivo di Massimo ( fatto di volta in volta
di italiano e di dialetto, di silenzi e di linguaggio non verbale) il
segreto della sua comicità così estrema e tutt’altro che omologata. In
particolare Orio Caldiron, professore di storia e critica del cinema
all’università “La Sapienza” di Roma, sintetizza così la grandezza
artistica di Troisi:
“Massimo continua a essere parte di
noi perchè ha stabilito un legame con il livello profondo del pubblico:
la sua comicità non sconvolge lo sguardo, arriva al cuore, allo stomaco,
fino alla testa. Non abbandona lo spettatore, perchè affronta le paure
dell’uomo, l’impossibilità di raccontare gli amori, gli umori…Una
maschera moderna: voce e volto di un carnevale dei sentimenti eterni,
portati in scena con pudore e autoironia. E’ quasi impossibile non
essere suggestionati nella visione dei suoi film, o dei suoi monologhi,
da quel timbro di voce inconfondibile, che rimane nella testa e nel
cuore, così come tutta la musicalità del dialetto napoletano”.
“Massimo
continua a essere parte di noi perchè ha stabilito un legame con il
livello profondo del pubblico”, ha scritto Orio Caldiron, professore di
storia e critica del cinema all’università “La Sapienza” di Roma.-L’arte…di convincere anche la critica.
Troisi, nel corso della sua carriera, è stato accolto in maniera
favorevole da gran parte della critica cinematografica italiana, ma
anche internazionale. Già il suo primo film, “Ricomincio da tre”(1981),
ricevette grandi consensi da parte della critica, con particolare
attenzione per lo stesso Troisi, che venne definito a quel tempo come il
“salvatore del cinema italiano”, allora ritenuto in crisi. Inoltre, già all’uscita di “Ricomincio da tre”, Massmo venne paragonato a Totò e a Eduardo de Filippo, paragone che con franchezza egli così commentò:
« No, a me sembra anche irriverente
fare questo paragone. Ma non lo dico per modestia, perché non si fa il
paragone con Totò o con Eduardo, questa è gente che è stata
trenta-quaranta anni e quindi ci ha lasciato un patrimonio. » (Massimo Troisi)
Massimo
Troisi per il suo primo film, “Ricomincio da tre”(1981), vinse due
David di Donatello, come miglior film e miglior attore protagonista. Qui
in una scena del film, con l’attore e suo grande amico Renato Scarpa.
Il secondo film, “Scusate il ritardo”, è stato definito dalla critica italiana come “l’opera migliore dell’autore partenopeo”. Antonio Tricomi su “Cinemasessanta” del 1983 scrisse: «Ancora
una volta Troisi ha saputo cogliere gli umori della sua generazione,
passata dalle aperture utopistiche ad un sedentarismo domestico e
claustrofobico, dalla foga contestataria fino ad un’insofferenza flebile
e diffusa, dai miti della rivoluzione sessuale ad una paralizzante
insicurezza nei confronti delle donne». L’unico insuccesso, dal punto di vista puramente critico, è il film con Benigni, “Non ci resta che piangere”(1984),
il quale venne accolto tiepidamente dalla critica, nonostante il
grandissimo successo al botteghino. Troisi apparve successivamente in “Il viaggio di Capitan Fracassa”(1990)
nel ruolo di Pulcinella, personaggio paragonato spesso a lui per la
comicità, per l’uso del dialetto, ma anche per l’aspetto e il modo di
recitare. Federico Salvatore, originario di San Giorgio a Cremano come
Troisi, in un’intervista a “Vite straordinarie”, ha definito Troisi un “Pulcinella moderno”.
« Massimo è Pulcinella senza maschera.
A parte che Pulcinella è stato, nel pieno del suo vigore, della sua
vita centrale, censurato, e ha operato lo stesso senza maschera. Per me
Troisi rappresenta il Pulcinella che porta. Poiché Pulcinella è stato
internazionale, Pulcinella è stato francese, Pulcinella è stato inglese,
Pulcinella ha superato il Volturno. Massimo ha fatto la stessa cosa,
l’unico napoletano con la napoletanità che ha superato il Volturno,
quindi per me rappresenta un’ultima possibilità che abbiamo avuto, da un
punto di vista teatrale e cinematografico, di superare, di uscire dallo
stereotipo della napoletanità, fine a se stessa. »
(Federico Salvatore)
Massimo
Troisi mentre viene premiato con la prestigiosa “Coppa Volpi”, come
miglior interprete maschile dell’edizione 1989 del Festival del cinema
di Venezia, ex aequo con Marcello Mastroianni, per la sublime
interpretazione del film “Che ora è?”
Probabilmente il maggiore successo di Troisi è “Il postino”(1994),
il suo ultimo film. L’attore ricevette ottime critiche da moltissimi
attori internazionali, tra i quali Sean Connery, che rivelò che gli «avrebbe fatto piacere girare un film con Troisi», e inoltre ottenne anche numerose recensioni favorevoli da giornali americani, come “The
Washington Times” («Il Postino rappresenta quel trionfo internazionale
che Troisi sperava di avere e che non ha fatto in tempo a godersi») e anche il “New York Times” («Troisi dà al suo personaggio una verità e una semplicità che significa tutto»). La
popolarità di Massimo Troisi, quindi, non è stata premiata solo dagli
incassi e dallo straordinario successo di pubblico che a tutt’oggi i
suoi film hanno. Anche la critica, dunque, si è fin da subito accorta
delle sue straordinarie capacità, come attore e come regista: il suo
esordio cinematografico, “Ricomincio da tre”, gli fa
conquistare, oltre a una miriade di premi minori, il David di Donatello
per il miglior film e il miglior attore (1981). La sua sublime
interpretazione del 1989 in “Che ora è?” di Ettore Scola, gli
vale la Coppa Volpi come miglior interprete maschile del prestigioso
Festival del cinema di Venezia, ex aequo con Marcello Mastroianni,
protagonista insieme a Troisi dello stesso film. Nel 1995, poi, per il
film “Il postino”, Massimo riceve addirittura cinque nomination
all’Oscar, il quarto di tutti i tempi a ricevere una nomination
all’Oscar postumo: tra le altre viene segnalato come miglior attore e
miglior regista in tandem con Michael Radford; ma delle cinque
nominations si concretizzò solo quella per la miglior colonna sonora
(scritta dal maestro Luis Bacalov). L’attribuzione, poi, di premi anche
ad attori non protagonisti ( David di Donatello a Lello Arena e Lina
Polito per “Scusate il ritardo” nel 1983, e ad Angelo Orlando per “Pensavo fosse amore…invece era un calesse”,
nel 1992) mostra un chiaro riconoscimento alla sua capacità di
affiancarsi di attori meritevoli e di valorizzarne al massimo le
potenzialità. Massimo Troisi e Lello Arena, storia di una grande e fraterna amicizia.-L’arte…di ispirarsi alla realtà.
Nei suoi film e sketch, Troisi utilizza una larga varietà di
tematiche che spesso sono al centro di quasi tutto l’arco narrativo
dell’opera. Troisi ha più volte preso ispirazione dalla sua famiglia per
alcuni sketch televisivi e teatrali. L’attore napoletano, Renato Scarpa
ha raccontato che la comicità di Massimo scaturisce dalla famiglia
stessa dell’attore, e ne sono una prova i moltissimi aneddoti che la
madre raccontava ai suoi figli dopo essere tornata dal mercato.
Ricorrenti sono anche le apparizioni televisive in cui Troisi parlava
della sua famiglia, sottolineando le caratteristiche di alcuni dei suoi
familiari, specialmente il nonno e la nonna, che lui stesso definiva i
“capocomici”. Anche ne “La smorfia” (il gruppo teatrale fondato
da Massimo Troisi, insieme a Lello Arena ed Enzo Decaro) Troisi si
ispira alla sua famiglia per realizzare alcuni sketch. Ad esempio, nello
sketch “Il basso”, Troisi racconta:
« Cioè io mi ricordo a me… veniva mia
nonna, no? Prendeva la pelle tra due dita, […] faceva l’iniezione,
lasciava e io non sentivo proprio dolore. È che mia nonna se le faceva
sul dito tutte quante. […] Quaranta iniezioni di vitamine, che io ne
avevo bisogno, […] tutte quante sul dito! Mia nonna mi ricordo aveva
fatto ’nu braccio ’e chesta manera! ».
A Pippo Baudo rivelò come la battuta fosse ispirata a un fatto reale
riguardo a suo nonno al quale, invece di mescolare i flaconcini con la
medicina e quelli con l’acqua distillata, la nonna iniettò solamente
quest’ultima: nonostante l’errore, il nonno diceva di sentirsi meglio.
Anche nei suoi film, Troisi si è ispirato alla sua famiglia per
realizzare nuovi personaggi o situazioni: ad esempio, in “Ricomincio da tre”
la scena del matrimonio della sorella, interpretata da Cloris Brosca,
si ispira davvero al matrimonio della sorella dell’attore, mentre in “Scusate il ritardo”,
il personaggio del fratello che fa l’attore comico di successo
(interpretato da Franco Acampora) era un personaggio autobiografico. Massimo Troisi e Napoli, storia di un grande amore: uno dei figli più degni e più amati della città partenopea.
Altro tema importante nella carriera di Massimo, è la sua amata
città, Napoli, e le problematiche sociali ad essa correlati. Infatti, in
moltissimi film e sketch de La Smorfia, Troisi non manca di
parlare anche della città di Napoli e, soprattutto, delle problematiche
che all’epoca la affliggevano. Troisi, semplicemente, denuncia
ironicamente i problemi che affliggevano il capoluogo campano, citando
ad esempio la mancanza d’acqua, la mortalità infantile a causa dei virus
e la difficoltà nel trovare lavoro. Troisi approfondisce questi temi
anche nello sketch “Il basso”, sempre de La Smorfia,
dove stavolta interpreta un napoletano frustrato, vittima della povertà
della sua terra che cerca di raccontare in televisione la sua
situazione.
Altra caratteristica che predomina nei film di Troisi e nella sua
vita personale è sicuramente la sua timidezza. Sebbene la timidezza sia
stata per Troisi un difetto negli anni giovanili (in un’intervista, ad
esempio, dichiarava di non essere mai stato molto bravo con le ragazze
proprio perché era timido), egli ha saputo rendere questa peculiarità un
elemento di grande successo nei personaggi che lui stesso interpreta.
Ad esempio, in “Ricomincio da tre”, la timidezza del
personaggio interpretato da Troisi, Gaetano, nei confronti dell’altro
sesso è l’elemento portante dell’intera storia del film. Ciò ritorna
anche nei suoi successivi film, come “Pensavo fosse amore… invece era un calesse” e soprattutto ne “Il postino”, dove il personaggio dell’attore napoletano riesce a vincere la sua timidezza grazie alla poesia.
Tra i temi predominanti dello stile teatrale e cinematografico di
Massimo Troisi, è da segnalare anche il tema della religione. Troisi è
sempre stato una persona molto religiosa, così come tutti i membri della
sua famiglia, in particolare la madre che gli insegnava diligentemente i
principi del cristianesimo. Troisi inserisce la religione sia nei suoi
sketch sia in alcuni dei suoi film. Ad esempio, in “Ricomincio da tre”,
la religione si manifesta attraverso la ricerca del miracolo da parte
del padre del personaggio interpretato da Troisi che, attraverso le
preghiere, tenta di convincere la Madonna a fargli ricrescere la mano.
Nonostante questo, l’attore napoletano era solito prendere in giro anche
la religione in alcuni dei suoi sketch, come ad esempio nel famoso
episodio della “Natività”, dove Troisi metteva in scena delle parodie dell’Angelo Gabriele, del Cherubino, di un Re Mago e di Ponzio Pilato. Sempre in “Ricomincio da tre”,
inoltre, Troisi inserisce anche il tema del paranormale (ad esempio
quando cerca di muovere degli oggetti attraverso la telecinesi). Alfredo
Cozzolino, grande amico di Troisi, raccontò in un’intervista il
rapporto di Troisi nei confronti della religione:
« Massimo era cresciuto in una
famiglia molto ma molto religiosa; in particolare la mamma ci teneva a
educare Massimo secondo i principi della nostra religione. Accadde poi
che alle scuole elementari, Massimo ebbe per insegnante un sacerdote
“tutto d’un pezzo”. Un omaccione grande e grosso, con una voce
stentorea: ogni qualvolta si parlava di religione e dei tanti episodi
del Vecchio e Nuovo Testamento, gridava a gran voce i passaggi
fondamentali delle varie storie; tra questi, vi era anche
“Annunciazione! Annunciazione!”. Troisi, circondato da educatori
religiosissimi, “esorcizzò” in qualche misura questa esperienza
educativa creando questo ad altri episodi dove, con molto tatto, prese
un po’ in giro la religione ».
I
due miti “moderni” di Napoli: Massimo Troisi e Diego Armando Maradona. I
due si conobbero alla fine degli anni ’80, ai tempi di Maradona al
Napoli, e tra loro nacque una bella amicizia, in nome del grande amore
per Napoli e per la napoletanità.
Infine, l’immancabile passione per il calcio: nel film “Scusate il ritardo”
e in molte interviste, Troisi, dopo una simpatia giovanile per la Roma,
non nascose mai il suo tifo per la squadra di calcio del Napoli,
all’epoca al successo grazie a Diego Armando Maradona. Lo stesso Troisi
conobbe il calciatore e i due ebbero modo di frequentarsi in molte
occasioni. – L’arte…dell’amore e dell’amicizia.
Massimo è stato legato sentimentalmente alla scrittrice Anna
Pavignano, con la quale ha avuto anche un sodalizio artistico durato
fino alla sua morte, a Jo Champa, conosciuta sul set de “Le vie del Signore sono finite”, a Clarissa Burt e a Nathalie Caldonazzo, con la quale rimarrà legato fino alla sua prematura scomparsa. Massimo
Troisi e la sceneggiatrice Anna Pavignano, ebbero una storia d’amore
che durò parecchi anni. Terminata la loro relazione, rimase una profonda
amicizia, ed una collaborazione artistica che durò fino alla morte di
Massimo, nel 1994.
Ha poi avuto, nel corso della sua carriera, numerose collaborazioni
artistiche, con altri valenti attori, spesso sfociate in grandissime e
fraterne amicizie: su tutti quelle con Marco Messeri, Lello Arena, Enzo
Decaro, Pino Daniele, Roberto Benigni, Ettore Scola, Marcello
Mastroianni, Giuliana De Sio, Carlo Verdone e Anna Pavignano. Tra tutte
queste collaborazioni, va ricordato in primis, quelle con il regista
Ettore Scola e con il grande Marcello Mastroianni. La collaborazione tra
i tre, portò alla realizzazione di due gustosissimi e riuscitissimi
film, “Splendor” e “Che ora è?” entrambi del 1989 ed
entrambi interpretati dalla strana coppia Troisi-Mastroianni. La coppia
funziono talmente tanto, che si aggiudicò ex-aequo il premio come
miglior interpretazione maschile al Festival del cinema di Venezia, per “Che ora è?”, e
ricevette profondi appalusi anche per il primo film, presentato in
concorso a Cannes, pur non aggiudicandosi nessun premio alla kermesse
francese. Poi tra il “divo” degli anni ’60 (Mastroianni) e quello di venti/trent’anni dopo (Troisi), nacque una profonda e sincera amicizia. Ettore
Scola, Massimo Troisi e Marcello Mastroianni sul set del film “Che ora
è?”(1989). Il loro fu un sodalizio a tre che portò alla realizzazione di
due film: “Splendor”, presentato in concorso al Festival di Cannes; e
“Che ora è”, presentato in concorso al Festival di Venezia.
Tra le altre collaborazioni, vanno ricordate in particolare quelle
con Marco Messeri, Anna Pavignano e Pino Daniele, tutti conosciuti da
Troisi nella trasmissione televisiva “Non stop”: col primo
avvierà un sodalizio artistico e umano molto importante, la seconda
sceneggerà molti film interpretati da Troisi, mentre il terzo comporrà
la colonna sonora di Ricomincio da tre, Le vie del Signore sono finite e Pensavo fosse amore… invece era un calesse. Riguardo all’amicizia e alla loro collaborazione, Pino Daniele dice:
« Era facilissimo lavorare con
Massimo, perché mi lasciava molto campo libero nella scelta delle
musiche, nella proposta, nel gusto: si fidava molto del mio intuito. »
Massimo
Troisi e Pino Daniele, in una foto dei primi anni ’90. Collaborarono
insieme, per svariati film di Massimo, e la loro fu una profonda
amicizia. Dopo la morte di Massimo, nel corso degli anni a venire, Pino
Daniele, dedicherà parecchi album e canzoni all’amico prematuramente
scomparso.
Altra importante collaborazione è con Roberto Benigni, con il quale Troisi dirige, scrive e interpreta “Non ci resta che piangere”. Gli attori appariranno insieme anche in “Morto Troisi, viva Troisi!”(1982). La
coppia ottiene un grande successo di pubblico e il film da loro diretto
è considerato una delle “pietre miliari della nuova comicità italiana”.
Non a caso queste due personalità rappresentano l’identità regionale
tipica del comico italiano che riesce però a spandere la propria vena
coinvolgendo e conquistando l’intera nazionalità. Anche dopo
l’esperienza artistica i due attori si terranno spesso in contatto e
infatti avranno modo di discutere sull’eventualità di girare un sequel
di “Non ci resta che piangere”, poi mai realizzato a causa
della prematura scomparsa di Troisi. Il loro era un legame talmente
forte, che il grande Roberto Benigni, scrisse una struggente poesia in
suo onore, e negli occhi di tutti rimane la commozione di Renzo Arbore (
anch’egli grande amico di Massimo), mentre legge la poesia che Roberto
dedicò a Troisi, nella trasmissione “Speciale per me” del 2009.
A Massimo Troisi
Non so cosa teneva “dint’a capa”, intelligente, generoso, scaltro, per lui non vale il detto che è del Papa, morto un Troisi non se ne fa un altro. Morto Troisi muore la segreta arte di quella dolce tarantella, ciò che Moravia disse del Poeta io lo ridico per un Pulcinella. La gioia di bagnarsi in quel diluvio di “jamm, o’ saccio, ‘naggia, oilloc, azz!” era come parlare col Vesuvio, era come ascoltare del buon Jazz. “Non si capisce”, urlavano sicuri, “questo Troisi se ne resti al Sud!” Adesso lo capiscono i canguri, gli Indiani e i miliardari di Holliwood! Con lui ho capito tutta la bellezza di Napoli, la gente, il suo destino, e non m’ha mai parlato della pizza, e non m’ha mai suonato il mandolino. O Massimino io ti tengo in serbo fra ciò che il mondo dona di più caro, ha fatto più miracoli il tuo verbo di quello dell’amato San Gennaro.
Roberto Benigni
Lello
Arena, Massimo Troisi e Roberto Benigni, storia di un legame
indissolubile, storia di tre “limpidi” talenti del cinema degli anni ’80
e ’90.-L’arte del cinema…in 12 film.
Dopo aver lasciato La Smorfia, Troisi decise di intraprendere la carriera cinematografica. Il produttore Mauro Berardi gli propose un film di Luigi Magni, “‘O Re”, dedicato a re Francesco II di Borbone, che lui però rifiutò in favore di “Ricomincio da tre”,
sempre prodotto da Mauro Berardi, pellicola nella quale debuttò sia
come attore che come sceneggiatore e regista. Il film, acclamato dalla
critica, permise a Troisi di ottenere tre Nastri d’argento per il
miglior regista esordiente, miglior attore esordiente e per il miglior
soggetto e due David di Donatello per il miglior film e per il miglior
attore. Il film ottenne anche uno straordinario successo di pubblico. La
locandina del surreale film tv, che Troisi diresse e interpretò nel
1982, dal titolo “Morto Troisi, viva Troisi!”. Nel film da segnalare
anche la partecipazione di attori del calibro di Roberto Benigni, Carlo
Verdone e Marco Messeri.
L’anno seguente accettò di dirigere uno speciale televisivo trasmesso da Rai Tre per la serie “Che fai, ridi?”, dedicato ai nuovi comici italiani di inizio anni ’80, “Morto Troisi, viva Troisi!”, un
vero e proprio film tv, con Marco Messeri, Roberto Benigni, Lello Arena
e Carlo Verdone. Sempre nel 1982, tornò a recitare al fianco di Lello
Arena nel film “No grazie, il caffè mi rende nervoso”, nel
quale un fanatico e invasato difensore delle tradizioni napoletane
(pizza, sole e mandolino), cercando in tutti i modi di impedire lo
svolgimento del “Primo Festival Nuova Napoli”, simbolo della novità
usurpatrice della tradizione, finisce col provocare la morte di Troisi,
in un vicolo, dentro un organetto e con la pizza in bocca. Di questo
film sono da ricordare in particolare i monologhi di Troisi
nell’albergo, al commissariato e dal giornalaio. La successiva tappa
della carriera cinematografica è del 1983, con “Scusate il ritardo”,
nel quale il protagonista è simile nei caratteri al Gaetano del film
precedente, ma più timido e impacciato; è incapace di consolare un suo
amico in crisi affettiva ma è a sua volta incapace di amare la sua
donna. Il titolo del film è un riferimento sia al troppo tempo trascorso
dal film precedente, del 1981, sia ai diversi tempi dell’amore e alla
non sincronia dei rapporti di coppia. La
locandina del film “Scusate il ritardo”(1983), da molti ritenuto il
miglior film di Troisi, quello in cui la sua poetica e le sue idee,
lontane dai luoghi comuni classici, ne fuoriescono in maniera più
limpida e lineare.Troisi e Benigni. Altro grande successo di pubblico (ma non di critica) lo ottenne nel 1984 con “Non ci resta che piangere”,
unico film a fianco di Roberto Benigni, da lui molto lontano per lingua
e gestualità. Il film – basato su una trama elementare – è ricco di
citazioni storiche e rimane comunque nell’immaginario collettivo per le
invenzioni e le gag di Troisi e Benigni. Mario (Troisi) e Saverio
(Benigni), trovato chiuso un passaggio a livello, passano la notte in
una locanda, ma la mattina scoprono di essersi risvegliati a “Frittole”,
nel 1492. Devono adeguarsi alla vita dell’epoca pur sperando di
rientrare nel loro mondo. Fra le tante gag è da menzionare la scena
della scrittura di una lettera a Girolamo Savonarola, chiara citazione
dell’analoga scena interpretata da Totò e Peppino De Filippo in “Totò, Peppino e… la malafemmina”. Tra
le sequenze più esilaranti del film “Non ci resta che piangere”(1984),
con i leggendari Massimo Troisi e Roberto Benigni, vi è la scena della
dettatura della lettera. un omaggio aperto e dichiarato a Totò e Peppino
De Filippo nel film “Totò, Peppino e la malafemmena”(1956)
Quando decidono di lavorare insieme sono entrambi a un punto
particolare della loro carriera. Troisi, dopo i primi due film, ha paura
di ripetersi. Benigni viene dalla sua prima regia (“Tu mi turbi”,
1983). Il sodalizio tra due comici della forza, originalità e simpatia
di Massimo Troisi e Roberto Benigni , quasi coetanei ma diversi in tutto
salvo che nel comune ripudio della commedia tradizionale, ha prodotto
gli esiti sperati nell’accoglienza del pubblico, che a partire
dall’uscita natalizia del 1984 ha poi premiato “Non ci resta che piangere”
(titolo evidentemente paradossale) con gli incassi più alti della
stagione. Gli autori hanno dovuto licenziare il film in tutta fretta per
non mancare le festività e lo hanno perfino accompagnato con un
divertente romanzetto che ne dà una versione ora fedele e ora libera. Ma
il bersaglio del successo popolare è stato colpito in pieno. Meno
positivo, per la verità, il giudizio della critica, che pur riconoscendo
i punti brillanti ha tuttavia stigmatizzato le falle dell’impianto
narrativo e le manchevolezze di rigore e ritmo.
Troisi e Benigni si sono visibilmente divertiti a fare il film e lo
hanno volutamente fatto a propria immagine e somiglianza. Gli effetti
del tandem si moltiplicano appunto per due sugli spettatori. Senza
dubbio la comicità di Benigni, folletto estroverso, imprevedibile e
sanguigno, è distante da quella di Troisi, introversa, stralunata, “di
rimessa”. Ma per integrarsi i partner si sono comportati come coniugi di
un buon matrimonio, ciascuno rinunciando a una parte di sé, delle
proprie prerogative, assecondando il gioco dell’altro e talvolta, a
beneficio dell’intesa, scambiandosi i ruoli. La lettera al Savonarola
non è il maestro Saverio a dettarla, bensì il bidello Mario; l’altro si
limita ad ammirare l’eloquenza letteraria dell’amico. Tra
i molti momenti rimasti nella storia del cinema italiano, del film “Non
ci resta che piangere”(1984), vi è la sequenza in cui appare Leonardo
Da Vinci (Paolo Bonacelli). Troisi e Benigni sono esilaranti mentre gli
suggeriscono di inventare il semaforo, il termometro, il treno…
Troisi e Benigni passarono insieme tutta l’estate del 1983, alla
ricerca di ispirazione e idee per il film che tanto vorrebbero girare.
Prima giocano a ricordare e interpretare personaggi famosi del passato, e
trascorrono le serate fingendo di essere, a turno, uno Freud e l’altro
Marx, impegnati in interviste impossibili e dialoghi esilaranti e
surreali. Poi cominciano a pensare che sarebbe buffo tornare indietro
nel tempo e cercare di sorprendere gli antenati inventando una lampadina
o uno sciacquone, senza in realtà sapere come queste cose funzionino.
Una sera, mentre Troisi è alle prese coi fornelli, provano a immaginare
cosa potrebbe accadere se in cucina con loro ci fosse anche Leonardo Da
Vinci…e da questo spunto cominciarono a lavorare a quello che poi
diventerà il ben noto capolavoro della comicità “Non ci resta che piangere”(1984). La locandina del film “Non ci resta che piangere”(1984), il capolavoro comico della coppia Troisi-Benigni.
Le invenzioni hanno grazia e spirito: l’idillio di Troisi che si
spaccia da artista intonando Yesterday, Volare e Fratelli d’Italia e la
fanciulla che esprime entusiasmo ripetendo all’infinito i verbi; quel
daziere automatico che reclama anche lui all’infinito lo stesso
balzello; e quella madre che avendo perduto tutti in famiglia per colpa
del Savonarola, accoglie gli ospiti come figli, ma ha un occhio di
riguardo soltanto per Mario e continua a ringraziarlo anche quando è
Saverio a prendersi cura di lei.
Il titolo del film aveva una valenza ironica all’uscita del film. Ora
che abbiamo perso il più tenero della coppia, si sovrappone la
malinconia. Del loro felice sodalizio entrambi ebbero a dire:
“Io dentro tengo una grande felicità.
Adesso mi godo la felicità di questo film fatto a quattro mani con
Benigni e poi sì, ci sarà ancora un altro lavoro e salteranno fuori i
fogliettini con tutti gli appunti. Io mi devo spiegare, ecco. Non
dovendo andare in ufficio tutt’ e mattine ho il tempo necessario per
pensare. Un momento…non è che uno ci mette che sò, sette anni e poi così
il film viene cchiù bello e divertente, ma io scrivendo cierti fatti li
improvviso a me stesso…” (Massimo Troisi)
“I Taviani dirigono un giorno per uno,
Castellano e Pipolo fanno un ciak per uno. Io e Troisi no. Come attori
ci conosciamo e ci apprezziamo da tanto tempo, quindi sulla recitazione
non abbiamo avuto problemi, ci fidavamo l’uno dell’altro.” (Roberto
Benigni)
“Benigni è schifosamente tollerante. E poi eravamo già amici prima di fare il film. Io non credo proprio a chi dice che ha vissuto certe cose e così
sono belle perché sono vere. Ma chi l’ha detto che deve essere accussì?
Io invento e perché uno nun po’ inventà e fare cose belle? Diffido da
quanti vogliono nel cinema la vita vera a tutti i costi. Ma che è, ‘nu
peccato inventarla?” (Massimo Troisi)
“Sulle gag e su tutta l’impostazione
del film avevamo la stessa visione. Mi fidavo completamente di Massimo,
che sa tenere la troupe e ha più credibilità di me come regista. A me la
figura del regista viene da parodiarla…mi piace scherzare con la
troupe. A me poi piace fare più l’attore, essere quello che deve essere
cucinato e non quello che cucina, insomma la pietanza e non il cuoco. In questo film abbiamo fatto dei tentativi nuovi, ci siamo divertiti.” (Massimo Troisi)
Poi venne il 1986, e Troisi venne ingaggiato in regime di partecipazione straordinaria nel film diretto da Cinzia Torrini, “Hotel Colonial”,
girato in Colombia, nel quale si tenta la carta del cast
internazionale. Troisi interpreta un traghettatore napoletano emigrato
in Sudamerica che aiuta il protagonista nella ricerca del fratello. “Le
vie del signore sono finite”(1987), il film da cui è tratta questa
immagine, contiene una delle battute più divertenti di Troisi. A una
ragazza convinta che i treni partono e arrivano in orario grazie a
Mussolini, Camillo, il suo personaggio, risponde: “Cioè, per far
arrivare i treni in orario, no? Se vogliamo, mica c’era bisogno di farlo
capo del governo, bastava farlo capostazione, no?”.
Nel 1987 fu attore e regista in “Le vie del Signore sono finite”,
ambientato durante il periodo fascista; interpretò il ruolo di Camillo
Pianese, un invalido “psicosomatico”, assistito dal fratello Leone
(l’inseparabile amico di sempre Marco Messeri), lasciato dalla sua donna
e che si trova a consolare un suo amico, malato autentico e innamorato
della stessa donna senza essere ricambiato. Il film vinse il Nastro
d’argento alla migliore sceneggiatura. Nel triennio seguente collaborò
come attore con Ettore Scola in tre film, i primi due con Marcello
Mastroianni: “Splendor” (1989), in cui è proiezionista di un cinema prossimo alla chiusura; “Che ora è?”
(1989), sui rapporti conflittuali tra padre e figlio, per il quale
venne premiato con la Coppa Volpi per la migliore interpretazione
maschile, ex aequo con Mastroianni, alla Mostra del Cinema di Venezia; e
“Il viaggio di Capitan Fracassa” (1990), dove interpretò
Pulcinella, presentato in anteprima alla 41ª edizione al “Berlin
International Film Festival”. L’ultima regia di Troisi, prima del
capolavoro del “Postino”, è quella di “Pensavo fosse amore… invece era un calesse” del 1991, con Francesca Neri e Marco Messeri. Massimo Troisi in scena con la bella Francesca Neri, nel film “Pensavo fosse amore…invece era un calesse”(1991).-L’arte…del Postino: il film che lo consegna alla leggenda e la sua prematura morte.
« Ed è stata un’esperienza umana
grandissima, perché lui stava male e ha voluto fare questo film a tutti i
costi: tutti gli dicevano “ma dai, fai il trapianto e poi lo farai”, e
lui diceva “No, questo film lo voglio fare con il mio cuore”. […] E poi
questo film è il suo testamento morale. » (Renato Scarpa su Massimo Troisi)
Massimo Troisi e Philippe Noiret sul set de “Il postino”(1994), il capolavoro artistico del grande Massimo.
Innamoratosi del romanzo del cileno Antonio Skàrmeta “Il postino di Neruda”,
e soprattutto del personaggio del protagonista, Massimo Troisi, già
provato per l’aggravarsi della patologia cardiaca di cui soffriva,
decise caparbiamente di trarne la versione cinematografica. All’inizio
del 1994 Troisi, recatosi ancora una volta negli Stati Uniti per dei
controlli cardiaci, apprese di dover sottoporsi con urgenza a un nuovo
intervento chirurgico, dopo quello del 1976 alla valvola mitralica, si
parlò in pratica di trapianto di cuore, ma decise di non rimandare le
riprese del suo nuovo film: “Il postino” (1994), girato tra
Procida e Salina. Adatta il testo di Skàrmeta modificandone
ambientazione ( dal Cile all’Italia) e cronologia (dal 1969 al 1952),
affidando in prima battuta a Furio e Giacomo Scarpelli e successivamente
lavorando al copione assieme ad Anna Pavignano e all’amico scozzese
Michael Radford, cui affida la direzione del film ( anche se l’attore è
accreditato anche per la regia “in collaborazione” per volontà di
Radford stesso). Il personaggio in questione è quello di Mario Ruoppolo,
disoccupato figlio di pescatori che, quando nell’estate del 1952 arriva
sull’isola di Procida il celebre poeta Pablo Neruda ( Philippe Noiret),
viene assunto come primo e unico postino locale proprio per recapitare
la corrispondenza al poeta in esilio, dato che fino a quel momento il
resto della popolazione, quasi interamente analfabeta, non aveva avuto
necessità di una figura del genere. Mario rimane immediatamente
affascinato dalla persona dell’intellettuale e, lentamente, tra lui e
Neruda nasce un rapporto di amicizia, tanto che il secondo darà al primo
un grande aiuto per conquistare la bella ostessa Beatrice (
l’esordiente Maria Grazia Cucinotta nel ruolo della vita, scippato alla
cantante tarantina Mietta, che aveva ottenuto la parte in prima battuta
battendo anche la concorrenza di Monica Bellucci; ma fu proprio Troisi
ad innamorarsi di quegli occhi “rotondi e pieni di luce” della
Cucinotta, e a volerla fortemente per impersonare l’amata Beatrice).
Mario riuscirà a sposare la donna, che gli darà anche un figlio, ma
presto perderà l’amico: dopo la sua partenza dall’isola, infatti, non
avrà più notizie di Neruda. Il poeta lo ricorderà solo tardivamente,
tornando in quei luoghi dopo cinque anni e scoprendo che Mario è morto a
seguito degli incidenti scoppiati nel corso di una manifestazione
comunista durante la quale avrebbe voluto leggere proprio un suo poema. Un’altra
profonda scena di Massimo Troisi, nel suo capolavoro “Il postino”.
Stremato dalla malattia al cuore, riuscì comunque a portare a termine il
film, il suo testamento artistico, il film a cui diede “letteralmente”
la vita.
La malinconia e la dolenza che hanno sempre contraddistinto la comicità e lo stile cinematografico di Massimo trovano nel “Postino”
una declinazione drammatica e sofferente, eppure lieve e lunare al
tempo stesso. Il film, che all’epoca dell’uscita cercò con successo di
rilanciare la tradizione della commedia all’italiana su scala
internazionale, racconta un’Italia sospesa tra stereotipo e utopia, un
mondo chiaramente metaforico di una condizione più ampia, esistenziale
più che geografica, e trova nel rapporto, in tutti i sensi squilibrato
tra il personaggio di Troisi e quello di Noiret un baricentro narrativo
emozionale perfetto, che si perde proprio quando questo rapporto viene a
mancare. Il tentativo, riuscito, di recuperarlo attraverso trovate
evocative, ma ricche di poesia e di brividi emozionali, come quella di
registrare i suoni dell’isola per riportare a se l’amico perduto, è
ulteriore conferma della natura intimamente impressionista e
sintatticamente poetica della storia e della sua declinazione. Molti
sono i temi che erano evidentemente cari a Troisi: “Il postino” è
film che parla al cuore, che parla di ricerca della cultura, del senso
della poesia, di amore e della natura spesso incerta e volatile
dell’amicizia ( questi ultimi due argomenti già centrali nel precedente
cinema dell’attore napoletano, spesso definito, non a caso, “il comico dei sentimenti”),
ma a passare in primo piano è quasi inevitabilmente la sovrapposizione
tra interprete e personaggio. Massimo sorregge e domina tutto il film, e
la sua recitazione è qui meno verbale che altrove, e se è funzionale
alla caratterizzazione di Mario e rappresenta la spina dorsale
irrinunciabile di un film altrimenti molto meno incisivo, tradisce le
difficoltà di un uomo malato: Troisi, rimandò il trapianto di cuore a
cui doveva sottoporsi pur di girare il film, spesso si fece sostituire
da una controfigura nei campi lunghi, per non affaticarsi troppo, ma
purtroppo 12 ore dopo la fine delle riprese, morì per arresto cardiaco a
casa della sorella, a Ostia.
“ Stava male da tanto tempo, ormai,
quando girò Il postino. Sul set poteva interpretare solo i primi piani,
tanto era esausto. Ma lo voleva fare, ci teneva tantissimo, al quel
personaggio tratto dal romanzo del cileno Antonio Skàrmeta”. Racconta il regista Michel Radford.
“Con Massimo ci vedemmo a Roma e decidemmo di trasformarlo in un film
cambiarlo tutto, tranne la storia d’amore con la ragazza e il rapporto
del giovane con Neruda. Le riprese furono complicate, lui girava un’ora
al giorno, i primi piani. Ma avevamo tutti una pena nel cuore. Una volta
lo dissi a Massimo e lui mi rispose che io avevo un’umanità che è
uguale ovunque. A tutto il resto avremmo pensato noi, insieme. Era
davvero una persona speciale.”
Massimo
Troisi, Philippe Noiret e Maria Grazia Cucinotta in una scena del film
“Il postino”, quella in cui il timido Mario si fa accompagnare da
Neruda, per poter conquistare l’amata Beatrice.
La visione del film, dunque, è avvolta da una commozione, da cui è difficile non farsi “ricattare”,
merito anche della strepitosa colonna sonora del maestro Luis Bacalov e
di Sergio Endrigo, che unita alla sofferta, magistrale interpretazione
di Troisi e al perfetto Neruda di Philippe Noiret, fanno del film uno
dei grandi capolavori del cinema mondiale: vero, sincero, poetico,
umano, commovente…una perla nel deserto!!! Un’altra
scena dal film “Il postino”(1994), quella del matrimonio tra il povero
Mario e l’ostessa Beatrice, con Pablo Neruda testimone di nozze.“Il postino” venne presentato al Festival del cinema di
Venezia il primo settembre del 1994, anticipando di tre settimane
l’uscita nelle sale. Negli Usa uscì invece nel giugno dell’anno
successivo, riuscendo così ad ottenere cinque candidature ai premi Oscar
del 1996: come miglior film, miglior attore protagonista, miglior
regia, miglior sceneggiatura non originale e miglior colonna sonora. Ne
vinse solo uno: quello per la miglior colonna sonora, firmata
dall’argentino Luis Bacalov e da Sergio Endrigo, ma già di per sè, le
numerose candidature all’Oscar ne fanno il film italiano ad avere
ricevuto più nominations alla prestigiosa kermesse americana.
Da San Giorgio a Cremano ad Hollywood: la vicenda umana di Massimo
Troisi non ha perso, dunque, di autenticità, ovunque si sia dipanata.
Sarà per questo che, a più di venti anni dalla sua morte, l’artista
napoletano è assurto a simbolo, anche e soprattutto presso le nuove
generazioni. Massimo si propone sintesi ideale di una maschera che
coniuga Eduardo e Totò. La sua mimica è eletta come rappresentativa di
un’essenza meridionale moderna, non convenzionale, lontana dagli
stereotipi. E tale è rimasta, sopravvivendo alla sua morte prematura
avvenuta il 4 giugno del 1994, quando aveva 41 anni. Tutti
vogliono ricordare Massimo Troisi, così, nel pieno della sua salute,
mentre assiste da bordo campo, e si prepara ad entrare in campo alla
partita del cuore, nel settembre del 1992, che si giocò a Trapani, per
omaggiare i tragici assassini di Falcone e Borsellino, che avvenne pochi
mesi prima.
Un talento ineguagliabile, un poeta, un attore e artista di eccelso
livello, amatissimo dal pubblico, ma troppo presto andatosene via!
Rimangono di lui, le sue interviste, i suoi sketch, le sue poesie, i
suoi pensieri, e i suoi 12 film: non tanti ma neanche pochi, sufficienti
comunque perchè la sua anima e la sua eredità artistica rimangano
immortali allo scorrere impetuoso del tempo, nel cuore del pubblico
delle vecchie e delle nuove generazioni.
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