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S. Lega - Ritratto di Giuseppe Garibaldi - 1861 - olio su tela - Museo civico Don Giovanni Verità - Modigliana (Forlì) |
Nato a Nizza il 4 luglio del 1807 da una famiglia di commercianti marittimi – il padre Domenico possedeva una tartana, la Santa Reparata,
con la quale esercitava il cabotaggio nel Mediterraneo – si iscrive nel
1821 nel registro dei mozzi e, in poco più di dieci anni, percorre
tutta la carriera di marinaio mercantile.
Nel 1832 gli viene rilasciata la patente di capitano di seconda classe e
come tutti i marinai mercantili ha l'obbligo di prestare servizio per
cinque anni nella marina da guerra. Nel 1833 si arruola nella marina
sarda e il 26 dicembre dello stesso anno si imbarca sulla nave Euridice assumendo il nome di “Cleombroto”.
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Malinsky - Garibaldi nel Sud America - 1815 - olio su tela - Museo del Risorgimento - Milano |
Nel febbraio del 1834 partecipa ad un tentativo insurrezionale a Genova
che viene scoperto e sedato sul nascere dalla polizia sarda. Garibaldi,
che in quel momento è un marinaio di terza classe della Regia marina
sarda, non rientra sulla nave e fugge da Genova. Nel giugno dello stesso
anno viene condannato alla «pena di morte ignominiosa».
Dopo aver trascorso un periodo di latitanza nel Mediterraneo e a
Marsiglia, nel 1835 si imbarca per Rio de Janeiro, scappando dal colera
che impazza nella cittadina portuale francese. Rimarrà nel continente
sudamericano fino al 1848.
In questi anni sudamericani il nizzardo aderisce alla massoneria e partecipa, prima, alla rivoluzione farrouphila,
nella provincia del Rio Grande do Sul che lotta per l'indipendenza
dall'impero brasiliano, poi, alla guerra tra Uruguay e Argentina e tra
unitari (Colorados) e federalisti (Blancos) che incendia il Rio de La Plata. A Montevideo, in Uruguay, tra le file dei Colorados costituisce, insieme ad altri esuli italiani, la Legione italiana. L'eco delle imprese sudamericane di Garibaldi si diffonde in Europa e in Italia.
Nel 1848 Garibaldi ritorna in Italia insieme ad altri esuli e si mette al servizio di re Carlo Alberto. Dopo aver comandato 1.500 volontari durante la prima guerra d'indipendenza, nel 1849 partecipa alla difesa della Repubblica romana che il 4 luglio capitolerà sotto l'offensiva delle truppe francesi guidate dal generale Oudinot. Il 2 luglio, intanto, il nizzardo, insieme alla moglie, che aveva sposato in Sudamerica, Anita Ribeiro Da Silva, e ad altri volontari fugge da Roma cercando di raggiungere Venezia.
I garibaldini,
però, sono attaccati e dispersi dagli austriaci nei pressi della
Repubblica di San Marino e solo 250, fra i quali Garibaldi con la
moglie, riprendono la strada per Venezia. Il nizzardo, dopo una fuga
avventurosa in cui Anita perde la vita nei pressi di Ravenna, riuscirà a mettersi in salvo raggiungendo il Regno di Sardegna e, poi, abbandonando, per una seconda volta, la penisola italiana.
Dopo il 1849 ha inizio il cosiddetto “secondo esilio”
di Garibaldi. In questo periodo, il nizzardo redige una prima stesura
delle proprie memorie e intraprende una serie di sfortunate imprese
commerciali marittime tra il Sudamerica e l'Asia. Imprese che gli
varranno, poi, anche l'accusa di “schiavista” o di “negriero” per aver
partecipato, secondo alcune fonti, alla tratta degli schiavi cinesi, i coolies, tra il Perù e Canton.
Nel 1854 Garibaldi torna in Italia e, acquistando una parte dell'isola
di Caprera, il 29 dicembre del 1855, fissa nell'isola a largo della
Sardegna la sua nuova residenza. L'anno successivo aderisce alla Società Nazionale convinto che le aspirazioni sabaude potessero coincidere con quelle del movimento d'indipendenza nazionale.
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T. Spotti - Garibaldi torturato nelle carceri di Gualeguay sputa in faccia al comandante Leonardo Millan - 1837 - litografia - Musei Civici, raccolta Bertarelli - Milano |
Nel 1859, per disposizione ministeriale, a Garibaldi viene conferito il
grado di generale sardo con il compito di organizzare la divisione dei
Cacciatori delle Alpi che si distingue, durante la seconda guerra d'indipendenza, nei combattimenti di Varese, S. Fermo e Tre Ponti in Valtellina.
All'indomani della pace di Villafranca,
Garibaldi si dimette dalla carica di ufficiale sardo ma ritorna in
azione nella tarda primavera del 1860 quando, alla testa di circa mille
volontari, parte dallo scoglio di Quarto, a Genova, per una spedizione
verso la Sicilia da dove giungevano notizie di rivolte contro il regime
borbonico.
La “spedizione dei Mille”
sbarca a Marsala l'11 maggio e a Salemi, il 14 maggio, Garibaldi si
autoproclama dittatore della Sicilia. Dopo le battaglie di Calatafimi,
Palermo e Milazzo le truppe garibaldine, ingrossate da altri volontari
provenienti dalla penisola, sbarcano in Calabria e risalgono velocemente
la penisola.
Il Regno delle Due Sicilie
collassa sotto la spinta dell'azione garibaldina, a causa di una
condotta militare a dir poco disastrosa degli ufficiali napoletani e
sotto il peso dell'isolamento diplomatico della dinastia dei Borbone.
Dopo la battaglia del Volturno l'esercito del Regno delle Due Sicilie
capitola e Garibaldi viene acclamato come liberatore. Il 9 novembre del
1860, però, il nizzardo, dopo aver accolto nella vecchia capitale
borbonica il re sabaudo Vittorio Emanuele II, si ritira sull'isola di Caprera desistendo dal progetto di raggiungere Roma.
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G. Le Gray - Uno dei ritratti più famosi di Garibaldi con la spada, ripreso a Palermo nel 1860. - fotografia - Biblioteca Nazionale, Gabinetto delle Stampe - Palermo |
Progetto che tenterà invano di raggiungere nell'agosto del 1862, quando sarà il neonato esercito italiano a fermare sull'Aspromonte l'avanzata dei volontari garibaldini che dalla Sicilia si muovevano verso la Città Eterna, e nel novembre del 1867 quando a Mentana,
dopo alcuni vani tentativi di scatenare una sollevazione popolare a
Roma, saranno i dragoni pontifici e le truppe regolari francesi dotate
dei moderni fucili chassepots a bloccare l'avanzata dei garibaldini.
La fama di Garibaldi nel mondo, però, continua a crescere incessantemente. Dopo la spedizione dei Mille,
infatti, la notorietà del nizzardo si era diffusa ovunque, tanto che
nel 1862 Abraham Lincoln lo invitò a schierarsi con l'esercito del Nord
nella guerra di secessione americana.
Nell'aprile del 1864, durante un breve soggiorno in Inghilterra,
Garibaldi trovò un'accoglienza entusiastica da parte dei sudditi di Sua
Maestà. E, infine, nel settembre del 1867, a Ginevra, nel primo
Congresso internazionale della Lega della pace e della libertà venne
salutato come «l'uomo più valoroso e più disinteressato del suo secolo».
Giuseppe Garibaldi, inoltre, partecipò anche alla terza guerra d'indipendenza
guidando un corpo di volontari di circa 38.000 uomini che nel luglio
del 1866, con l'offensiva del Monte Suello, costrinse al ripiegamento le
truppe asburgiche e, poi, nell'agosto dello stesso anno, con la
battaglia di Bezzecca, sconfisse gli austriaci che cercavano di ricacciare i volontari italiani verso il lago d'Idro.
L'ultima campagna militare del nizzardo, infine, si svolse in Francia
nell'inverno a cavallo tra il 1870 e il 1871 dove l'armata dei Vosgi
capeggiata da Garibaldi difese vittoriosamente la città di Digione
dall'attacco delle truppe tedesche.
Gli ultimi anni della sua vita furono contraddistinti da un vivace impegno politico i cui toni visceralmente anticlericali si alternarono con quelli patriottici e con una profonda delusione verso la «nazione fatta».
L. Pessani - Caprera - dipinto - Biblioteca e archivio del Risorgimento Firenze |
Eletto deputato del Regno nel 1874 presentò un piano di imbrigliamento e
canalizzazione del Tevere che evitasse le rovinose inondazioni che
affliggevano costantemente Roma.
Nel 1879, infine, fu tra i fondatori della Lega della Democrazia che
raccoglieva tutte le associazioni democratiche e si batteva per una
riforma elettorale a suffragio universale.
Alla notizia della sua morte, avvenuta a Caprera il 2 giugno del 1882,
la Camera dei deputati deliberò il lutto per due mesi, la sospensione
delle sedute fino al 12 giugno e lo spostamento della tradizionale festa
dello Statuto.
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F.lli Alinari - Ritratto di Garibaldi - fotografia - Archivi Alinari- Firenze |
Giuseppe Garibaldi è senza dubbio l'italiano più famoso dell'Ottocento.
Simbolo dell'anima popolare del Risorgimento e celebrato padre della
patria all'indomani della morte, l'eroe dei due mondi è una figura
fondamentale della storia nazionale su cui, però, ha sempre pesato una
duplice caratterizzazione simbolico-culturale.
Ad una diffusa agiografia garibaldina che ritrae il nizzardo nelle
vesti del «cavaliere dell'umanità» e dell'eroe romantico corrisponde un
altrettanto diffusa leggenda nera che dipinge Garibaldi come un
avventuriero crudele, autore di vessazioni e «indegne ruberie». Al
corsaro viene contrapposto il filibustiere, all'eroe il mercenario, all'alter Christus il «diavolo rosso».
Classificato come «bandito di primo catalogo» dopo la condanna a morte
del 1834, Giuseppe Garibaldi diventa, dopo le prime vittorie
sudamericane, l'emblema del sovversivismo patriottico e del radicalismo
nazionale.
Il nizzardo, nel volgere di poco tempo, però, riesce ad incarnare
quella necessità diffusa, anche tra i moderati, di avere un capo
carismatico che possa mettersi al servizio della causa nazionale.
Garibaldi è un personaggio pittoresco che colpisce la fantasia popolare
– grazie anche al suo abbigliamento eccentrico che combina le sembianze
del gaucho con la sensibilità romantica – ed è reso celebre,
prima ancora delle vittorie militari, da un uso consapevole dei mezzi di
comunicazione del tempo e da un cospicuo numero di intellettuali che ne
magnificano le sorti come Alexandre Dumas, George Sand e Victor Hugo.
Militare e uomo politico, patriota e repubblicano, massone ed anticlericale,
Giuseppe Garibaldi è un uomo che fa del realismo politico e
dell'eccezionalità due caratteristiche costitutive della sua
personalità.
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F. Palizzi - Garibaldi a cavallo - olio su tela - Collezione privata - Roma |
Di umili origini sociali e di modesta levatura culturale, Garibaldi è
essenzialmente un'autodidatta sia nella formazione politico-militare che
in quella culturale.
La prima grande scuola di vita è il mare. Infatti, dopo una breve
educazione scolastica Garibaldi percorre velocemente tutta la carriera
di marinaio mercantile e sul mare combatte numerose battaglie.
L'incontro con le idee mazziniane e con gli ideali patriottici è ancora
avvolto nel racconto leggendario tramandato nelle numerose versioni
delle memorie.
Storia e leggenda, nella sua vita, si combinano e si confondono in un
amalgama a volte inestricabile che ha finito per trasformare Garibaldi
in un autentico mito politico che, dall'indomani della morte e almeno
fino allo scoppio della Grande Guerra, ha costituito uno dei tasselli
fondamentali della pedagogia politica del neonato Stato unitario.
Antonio Gramsci analizza il rapporto tra i moderati e i democratici
mettendo in luce la capacità dei primi di guidare l'azione dei secondi e
di utilizzarne i risultati. Secondo l'intellettuale sardo, se i
moderati erano un gruppo sociale «relativamente omogeneo», i democratici
non rappresentavano «nessuna classe storica» e non furono capaci,
pertanto, di esprimere un programma di governo e una ferma direzione
politica. In definitiva, il Partito d'Azione, sia per i continui
contrasti tra i suoi leader, ad esempio tra Mazzini e Garibaldi, che per
il rapporto di subordinazione che alcune delle sue maggiori personalità
avevano «coi capi dei moderati», appare a Gramsci come uno strumento «a
servizio dei moderati».
A. Gramsci, Il Risorgimento, Roma, Editori Riuniti, 2000 (19751), pp. 86-92.
Nella rilettura della storia d'Italia operata da Alfredo Oriani – che
ha notevolmente contribuito alla costruzione e alla diffusione del
paradigma interpretativo del Risorgimento come «conquista regia» e come
«sopruso eroico di un minoranza» – Garibaldi, seppur con accentuazioni
diverse rispetto all'epica risorgimentale, conserva il suo status
di eroe e, insieme a Mazzini, viene spesso contrapposto a Cavour, a
Vittorio Emanuele e alla classe dirigente del Paese. Il brano riprodotto
si colloca dopo i fatti della Repubblica romana e ripercorre la vita
del nizzardo fino ai fatti del 1849.
A. Oriani, La Lotta politica in Italia, Bologna, Cappelli Editore, 1956 (18921), pp. 412-417.
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Pompei. Giuseppe Garibaldi con il suo Stato Maggiore in visita agli scavi - 22 ottobre 1860 - stereogramma - Collezione dott. Piero Becchetti - Roma |
Benedetto Croce, raccoglie, per primo, la vasta produzione letteraria –
dalla memorialistica di Abba e Bandi alla letteratura
eroico-celebrativa di Marradi, Pascoli, Carducci e D'Annunzio – che
trova in Giuseppe Garibaldi il soggetto tematizzante. La “letteratura
garibaldina”, secondo la denominazione coniata da Croce, ha svolto un
importante ruolo nell'educazione politica della nuova Italia.
B. Croce, Letteratura garibaldina, in Id., Opere, VI, La letteratura della nuova Italia, Roma-Bari, Laterza, 1974 (19401), pp. 5-14.
Lo storico inglese Denis Mack Smith delinea un antiretorico ritratto
giovanile di Giuseppe Garibaldi mettendo in evidenza le origini umili ma
non povere della sua famiglia di provenienza, la centralità della
formazione marinara e la prima descrizione fisica del corpo del
nizzardo. Quest'ultimo sarà poi un elemento ricorrente nella costruzione
del mito dell'eroe dei due mondi.
D. Mack Smith, Garibaldi. Una grande vita in breve, Roma-Bari, Laterza, 1982 (19561), pp. 3-10.
La battaglia di San Antonio del Salto, dell'8 febbraio 1846,
rappresenta il combattimento più importante del periodo sudamericano di
Garibaldi che procurò al nizzardo una grande notorietà sia in Europa che
in Italia. Jasper Ridley evidenzia come esistano ben 9 versioni
differenti di questa battaglia e che, sebbene si risolse in una gloriosa
ritirata per il nizzardo, si tramutò, ben presto, in un trionfo
mediatico amplificato, prima, dai giornali sudamericani e, poi, da
quelli europei. Nei conflitti sudamericani, combattuti tra piccoli
eserciti male armati e su territori molto vasti, l'uso della stampa si
rivelò fondamentale e si configurò come una sorta di prolungamento delle
isolate battaglie militari.
J. Ridley, Garibaldi, Milano, Mondadori, 1975, pp. 235-242.
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E. Pagliano - Giuseppe Garibaldi dal vero - Museo del Risorgimento - Milano |
Nella pacifica agitazione che precede il 1848, in Italia si intrecciano
le richieste di riforme liberali con quelle di unità nazionale e di
indipendenza dallo straniero. In questo contesto storico, in cui si
invoca un capo carismatico che sappia guidare un popolo alla vittoria,
si innesta la prima codificazione del mito di Garibaldi che appare come
la prova vivente delle virtù guerriere di un popolo che deve trovare la
sua identità nei campi di battaglia.
A. Scirocco, Garibaldi. Battaglie, amori, ideali di un cittadino del mondo, Roma-Bari, Laterza, 2001, pp. 125-135.
Piero Pieri traccia una rapida sintesi della presa di Palermo da parte
dei garibaldini durante la spedizione dei Mille. Oltre all'impeto eroico
dei volontari garibaldini, reso oltremodo celebre dalla retorica
risorgimentale, lo storico militare mette in luce l'inerzia, le
indecisioni e gli errori degli alti gradi napoletani che portarono alla
paralisi dell'esercito borbonico e alla decisione di abbandonare la
città. Secondo Pieri, la presa di Palermo – che giunge dopo lo sbarco
dei garibaldini a Marsala l'11 maggio, la proclamazione della dittatura
il 14 e la battaglia di Calatafimi il giorno successivo – segna una
nuova fase nella spedizione dei Mille. La conquista della città
coincide, infatti, con lo sbarco in Sicilia della prima grossa
spedizione di rinforzo che aggiunge, ai volontari partiti da Quarto la
notte del 5 maggio e alle squadre siciliane raccolte sull'isola, altri
2.500 uomini.
P. Pieri, Storia militare del risorgimento, Torino, Einaudi, 1962, pp. 670-674.
Giorgio Candeloro riprende uno dei temi più dibattuti dalla
storiografia d'ispirazione gramsciana sul Risorgimento: la questione
contadina e, più in generale, la mancata riforma agraria. Secondo
Candeloro, la dittatura garibaldina in Sicilia andò incontro a due
grandi fallimenti politici che si sarebbero poi riverberati su tutto il
processo di unità nazionale. Da un lato, il decreto di Salemi del 14
maggio, con cui chiamava alla leva ben 13 classi di giovani, rimase
senza risultati significativi. Dall'altro lato, i provvedimenti a favore
dei contadini non erano espressione di un programma riformatore ma
rispondevano ad esigenze politico-militari contingenti. In questo
complesso quadro politico-militare, la distanza che esisteva tra il
democraticismo garibaldino e le rivendicazioni contadine isolane si
accrebbe sempre di più fino a giungere, secondo Candeloro, alla
paradigmatica repressione operata da Nino Bixio a Bronte il 4 agosto.
G. Candeloro, Storia dell'Italia moderna, IV, Dalla rivoluzione nazionale all'Unità, Milano, Feltrinelli, 1964, pp. 462-465.
Roberto Martucci fornisce una ricostruzione storica dell'impresa dei
Mille ben lontana dai toni epici della retorica patriottarda. Secondo
l'autore, infatti, la spedizione garibaldina viene progettata e
finanziata dal Regno sardo e si configura come un tipico caso di «guerra
sporca» che viene portata all'interno dei confini di uno Stato europeo
indipendente e neutrale con il quale si intrattenevano regolari
relazioni diplomatiche. Questa guerra è stata combattuta, da un lato, da
un gruppo di volontari militarmente esperti strettamente legati alla
Corona o a Cavour – molti di questi avevano preso parte ad alcune
campagne militari sabaude – e dall'altro lato, è avvenuta ricorrendo
anche alla corruzione dei burocrati e degli alti ufficiali borbonici.
R. Martucci, L'invenzione dell'Italia unita, Milano, Sansoni, 1999, pp. 160-164.
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Faustin - Garibaldi, le lion de la libertè - 1871 - litografia - Museo Centrale del Risorgimento - Roma |
Giuseppe Monsagrati si sofferma sul clima culturale che fa da sfondo al
viaggio di Garibaldi in Inghilterra dell'aprile del 1864 e
sull'ammirazione e la venerazione che i sudditi della regina Vittoria
ebbero nei suoi confronti. Secondo Monsagrati, senza il clamore di
quella mobilitazione di massa – che ne sancisce quasi una beatificazione
laica – la fama di Garibaldi non avrebbe avuto la stessa risonanza
mondiale.
G. Monsagrati, Garibaldi e il culto vittoriano dell'eroe, in «Studi Storici», gennaio-marzo 2001, pp. 165-173.
Giovanni Spadolini traccia una breve sintesi della proposta politica
dell'ultimo Garibaldi, ormai vecchio e non più in grado di combattere,
lodandone il realismo e il suo innato fiuto politico. L'attività
politica del nizzardo, negli ultimi anni della sua vita, fu rivolta ad
organizzare le varie correnti dell'Estrema Sinistra parlamentare ed
extra-parlamentare sulla base di un programma nel quale spiccavano
riforme di grande pragmatismo come il suffragio universale e
l'istruzione elementare obbligatoria, laica e gratuita.
G. Spadolini, I radicali dell'ottocento da Garibaldi a Cavour, Firenze, Le Monnier, 1982, pp. 16-19.
Mario Isnenghi evidenzia come Garibaldi possa essere interpretato, da
un lato, come «un vinto politico» nei confronti della monarchia e del
partito moderato e, dall'altro lato, come «un vincitore», sia sul piano
territoriale, «la conquista del Mezzogiorno è cosa sua», che «sul piano
dell'affabulazione mitizzante». D'altronde, sottolinea Isnenghi, la
presenza del nizzardo nell'immaginario collettivo nazionale è
eccezionale ed è testimoniata dalle innumerevoli epigrafi, lapidi e
statue che costellano lo scenario pubblico del Paese e che hanno
contribuito ad «una sorta di riscrittura semiufficiale del
Risorgimento».
M. Isnenghi, I due volti dell'eroe. Garibaldi vincitore-vinto e vinto-vincitore, in Tracce dei vinti, a cura di S. Bertelli-P. Clemente, Firenze, Ponte alla Grazie, 1992, pp. 265-266 e 288-297.
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Calendario dell'anno 1863 - litografia - Musei Civici, raccolta Bertarelli - Milano |
Secondo Romano Ugolini il mito di Garibaldi ha origine per circostanze
per lo più fortuite. Il nizzardo, infatti, dopo la condanna a morte in
contumacia del 1834 diventa un eroe suo malgrado all'interno della
ristretta cerchia degli esuli e quando fugge da Marsiglia, a causa
dell'epidemia di colera, arriva in Brasile già circonfuso dell'aureola
di eroe.
R. Ugolini, Garibaldi. Genesi di un mito, Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1982, pp. 68-71.
Nelle pagine conclusive del suo volume, Lucy Riall illustra le modalità
con cui il mito di Garibaldi venne concepito, costruito e promosso. La
studiosa inglese mette in relazione la diffusione dell'immagine di
Garibaldi con il parallelo sviluppo della stampa e il consistente
aumento del numero dei lettori. In questo modo, attraverso la
pubblicazione di alcuni libri, articoli e stampe, negli anni Cinquanta
dell'Ottocento, si viene a formare un canone garibaldino che narra le
vicende biografiche del nizzardo. Dopo gli eventi del 1859-1860 la
narrazione epica della vita del nizzardo riuscì ad autoalimentarsi fino a
diventare un mito che incorporava alcuni temi e alcune idee chiave del
Risorgimento. Anche se il mito in alcune declinazioni non corrispose
alla realtà dei fatti, secondo Lucy Riall, rappresentò,
indiscutibilmente, un mito efficace.
L. Riall, Garibaldi. L'invenzione di un eroe, Roma-Bari, Laterza, 2007, pp. 472-479.
Angela Pellicciari fornisce un ritratto dissacrante della figura di
Garibaldi. Nella prima parte, la studiosa cattolica descrive il nizzardo
come un fervente massone, ferocemente anticattolico e – basandosi sul
racconto di Augusto Vittorio Vecchj, in arte Jack La Bolina – coinvolto
nella tratta dei coolies, gli schiavi cinesi che da Canton
vengono portati a Lima, in Perù, a lavorare nei depositi di guano.
Dall'altro lato, utilizzando alcune fonti di parte liberale, la
Pellicciari sostiene che la spedizione dei Mille sia stata, in realtà,
una invasione segretamente preparata, organizzata e finanziata dal Regno
sabaudo nei confronti di un Regno amico attraverso una corruzione
sistematica dei quadri della Marina e dell'esercito borbonico.
A. Pellicciari, L'altro Risorgimento, Casale Monferrato, Piemme, 2000, pp. 228-234.
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Garibaldi ferito in un combattimento navale - illustrazione tratta da J. W. Mario, Garibaldi e i suoi tempi, Treves - Milano - 1884 |
Il documento riproduce la Patente de Corso originale
rilasciata a Garibaldi, il 14 novembre del 1836, dal governo della
Repubblica del Rio Grande do Sul. Il 7 maggio del 1837 il nizzardo si
avviò con la lancia Mazzini, di 20 tonnellate e un equipaggio di 14 uomini, verso le coste dell'Atlantico meridionale per compiere le sue azioni corsare.
S. Candido, Giuseppe Garibaldi corsaro riograndese (1837-1838), Roma, Istituto per la storia del risorgimento italiano, 1964, pp. 163-164.
In questa lettera indirizzata all'amico ed esule Giovanni Battista
Cuneo – primo biografo del nizzardo nel 1850 e grande costruttore
dell'immagine pubblica dell'eroe in Sudamerica attraverso alcuni
appassionati resoconti giornalistici – si può cogliere il temperamento e
il carattere di Garibaldi. Il nizzardo scrive da Gualeguay, in
Argentina, dove era sbarcato dopo essere stato gravemente ferito in un
conflitto a fuoco con l'equipaggio della lancia Maria, inviata per catturare il corsaro.
G. Garibaldi, Epistolario, I, (1834-1848), a cura di
G. Fonterossi-S. Candido-E. Morelli, Roma, Istituto per la storia del
Risorgimento italiano, 1973, pp. 19-20 (lettera nr. 12).
Il documento riproduce un breve resoconto redatto da Garibaldi – e
inviato alla Commissione della Legione italiana di Montevideo – sul
combattimento di San Antonio del Salto avvenuto l'8 febbraio del 1846.
Alla Commissione della Legione Italiana - Montevideo, in G. Garibaldi, Scritti e discorsi politici e militari, I, (1838-1861), a cura della Regia Commissione, Bologna, Cappelli, 1934, pp. 73-74, nr. 31.
La sera del 2 giugno 1849, allo scadere dell'armistizio, le truppe
francesi, guidate dal Generale Oudinot, occuparono alcune posizioni
strategiche per la difesa di Roma: Villa Corsini, Villa Pamphilj e il
Casino dei Quattro Venti. I difensori della Repubblica romana riuscirono
a mantenere soltanto l'avamposto del Vascello. Poche ore dopo Mazzini
scrisse un messaggio a Garibaldi, che giaceva ammalato nel suo alloggio,
chiedendogli quali misure suggerisse di prendere per la difesa di Roma.
La risposta del nizzardo si tradusse in questo celebre biglietto, che
riproduciamo, nel quale chiese per se stesso i poteri di dittatore
oppure di essere degradato al rango di soldato semplice. Nessuna delle
due ipotesi si concretizzò ma questa breve missiva testimonia, da un
lato, lo stato di profondo disaccordo, tra i leader democratici, sulla
condotta della difesa politica e militare della Repubblica romana – a
Garibaldi, infatti, era stato negato sia di portare il suo esercito a
Nord contro gli austriaci, che a Sud contro i borbonici – e dall'altro
lato, il notevole fascino che esercitava sul nizzardo la dittatura
militare dell'antica Repubblica romana.
G. Garibaldi, Epistolario, II, (1848-1849), a cura di
L. Sandri, Roma, Istituto per la storia del Risorgimento italiano,
1978, p. 172 (lettera a Giuseppe Mazzini, nr. 581).
Questa lettera di Garibaldi a Mazzini precede la nascita della Società
Nazionale. Il nizzardo, dopo la sconfitta della Repubblica romana del
1849 e le difficoltà del «secondo esilio» – in cui ha intrapreso alcune
sfortunate imprese commerciali come marinaio mercantile – argomenta, in
questa missiva, le ragioni del perché sia necessario appoggiarsi al
Piemonte per raggiungere l'Unità italiana.
G. Garibaldi, Epistolario, III, (1850-1858), a cura
di G. Giordano, Roma, Istituto per la storia del Risorgimento italiano,
1978, pp. 62-64 (lettera a Giuseppe Mazzini, nr. 734).
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G. Fattori - Garibaldi a Palermo (particolare) - 1862 - olio su tela - Collezione privata |
Dopo lo sbarco a Marsala l'11 maggio – i Mille erano salpati da Quarto
la notte del 5 – i volontari garibaldini, ai quali si sono uniti altri
gruppi di insorti, squadre di picciotti a cavallo e armati, arrivano a
Salemi la domenica del 13. Il giorno successivo, il 14 maggio, Giuseppe
Garibaldi assume solennemente la dittatura in Sicilia nel nome di
Vittorio Emanuele, re d'Italia. Copie del decreto vengono affisse per le
strade e i banditori lo leggono a voce.
Proclama della Dittatura in Sicilia, in G. Garibaldi, Scritti e discorsi politici e militari, I, (1838-1861), a cura della Regia Commissione, Bologna, Cappelli, 1934, p. 251 (nr. 206).
La spedizione dei Mille volge al suo ultimo atto: Garibaldi e i suoi
volontari sono entrati a Napoli, il re delle Due Sicilie si è ritirato
nella fortezza di Gaeta e le truppe dell'esercito borbonico sono
concentrate tra Capua e Gaeta, appoggiandosi al Volturno e al
Garigliano. In questo documento, estendendo lo Statuto albertino al
Mezzogiorno, Garibaldi prepara l'unione dei territori meridionali al
Regno sabaudo, ma si riserva ancora la direzione dello Stato per
continuare la marcia verso Roma.
Italia e Vittorio Emanuele, in G. Garibaldi, Scritti e discorsi politici e militari, I, (1838-1861), a cura della Regia Commissione, Bologna, Cappelli, 1934, pp. 299-300 (nr. 258).
Un primo elenco nominativo di coloro che sbarcarono a Marsala venne
stilato il 19 aprile del 1862. Nel 1877 venne svolta una nuova inchiesta
informativa e nel 1878 viene pubblicato l'elenco alfabetico dei Mille
di Marsala che qui riproduciamo.
Elenco alfabetico dei Mille di Marsala, Supplemento al nr. 266 della «Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia» del 12 novembre 1878, pp. 1-22.
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G. Titone - Sbarco dei Mille a Marsala - dipinto - Museo del Risorgimento - Milano |
Dalla Sicilia, dove il nizzardo visita i luoghi delle imprese di due
anni prima – Alcamo, Partinico, Calatafimi – inizia una nuova spedizione
liberatrice, la cui meta finale, questa volta, è Roma. A Marsala,
Garibaldi pronuncia questo celebre discorso all'insegna del motto «Roma o
morte». La spedizione venne fermata, però, il 29 agosto 1862, sui monti
dell'Aspromonte, in Calabria, dalle truppe dell'esercito regio che
spararono sui volontari garibaldini, ferendo al malleolo lo stesso
Garibaldi.
Parole dette al popolo a Marsala il 19 luglio 1862, in G. Garibaldi, Scritti e discorsi politici e militari, II, (1862-1867), a cura della Regia Commissione, Bologna, Cappelli, 1935, pp. 121-123 (nr. 505).
John Morley, ministro del governo inglese, racconta lo straordinario
entusiasmo per la visita di Garibaldi a Londra nell'aprile del 1864.
La visita in Inghilterra del 1864, in D. Mack Smith, Garibaldi. Una grande vita in breve, Roma-Bari, Laterza, 1982 (19561), pp. 254-255.
Con questa lettera Garibaldi cerca l'appoggio di tutta la massoneria
per raggiungere l'Unità d'Italia, ovvero la presa di Roma e la caduta
del potere temporale dei papi attraverso un'azione che combinasse
un'insurrezione democratica nell'urbe con l'ingresso di un corpo di
spedizione nello Stato pontificio.
Al Sup.˙ . C.˙ . di Palermo, in G. Garibaldi, Scritti e discorsi politici e militari, II, (1862-1867), a cura della Regia Commissione, Bologna, Cappelli, 1935, pp. 385-386 (nr. 872).
Al viscerale sentimento anticlericale, ribadito quasi in ogni suo
scritto, Garibaldi unisce la profonda convinzione del ruolo patriottico
che può svolgere la massoneria definita, in questo scritto, come il «più
antico propugnacolo del diritto e della coscienza» e il «vero
antagonismo del papato».
All'Assemblea Massonica Costituente di Napoli, in G. Garibaldi, Scritti e discorsi politici e militari, II, (1862-1867), a cura della Regia Commissione, Bologna, Cappelli, 1935, p. 397 (nr. 883).
Questo documento mette in luce l'ennesimo tentativo, dopo il 1860 e il
1862, di marciare su Roma e sconfiggere le truppe dello Stato pontificio
attraverso un'insurrezione popolare e un corpo di spedizione militare.
Dopo la mancata insurrezione dei romani, il 3 novembre 1867, uno scontro
a fuoco nei pressi Mentana, nel Lazio, tra i volontari garibaldini e le
truppe franco-pontificie, mise fine per l'ultima volta al progetto
garibaldino di “liberare” Roma.
Agli italiani, in G. Garibaldi, Scritti e discorsi politici e militari, II, (1862-1867), a cura della Regia Commissione, Bologna, Cappelli, 1935, pp. 437-438 (nr. 926).
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P. Tagliacozzo - Giuseppe Garibaldi a Caprera intorno al 1875 con la terza moglie Francesca Armosino, Clelia, Manlio (in braccio) e Menotti Garibaldi (seduto) - 1875 - fotografia - Istituto per la Storia del Risorgimento - Roma |
Esistono molte versioni delle memorie di Giuseppe Garibaldi – da quelle
di Theodore Dwight a quelle di Elpis Melena (Speranza Von Schwartz), da
quelle di Francesco Carrano e quelle più note di Alexandre Dumas – che
si sono basate, in parte, su un manoscritto redatto dal nizzardo, dopo
l'avventurosa fuga da Roma, tra il 1849 e il 1850. Il documento qui
riprodotto, invece, è la prefazione scritta da Garibaldi, il 3 luglio
1872, alle proprie memorie autobiografiche che saranno pubblicate, per
la prima volta, soltanto dopo la morte dell'eroe dei due mondi.
Prefazione alle mie memorie, in G. Garibaldi, Memorie, a cura di G. Armani, Milano, Rizzoli, 1982, pp. 41-43.
Di data incerta, ma scritto probabilmente dopo il 1871, il testamento
politico di Garibaldi combina un viscerale anticlericalismo con un
profondo stato di amarezza nei confronti della classe dirigente del
Paese. Nell'appendice del 1881 il nizzardo lascia, poi, una serie di
disposizioni per la cosiddetta «pira omerica», il rogo del suo corpo
dopo la morte. Queste disposizioni saranno del tutto disattese nei
funerali di Stato e il corpo di Garibaldi sarà tumulato a Caprera in un
sepolcro di granito dove è inciso il suo nome.
Testamento politico, in G. Garibaldi, Memorie, a cura di G. Armani, Milano, Rizzoli, 1982, pp. 389-391.
La sera del 4 giugno 1882 Giosuè Carducci, al teatro Brunetti di
Bologna, tiene una delle più note orazioni funebri pronunciate in
occasione della morte di Garibaldi. Nei versi carducciani si condensano,
arricchendosi di una veste epica, tutte le rappresentazioni che, per
più di un trentennio, hanno accompagnato la figura dell'eroe dei due
mondi. La commemorazione del «poeta garibaldino» si caratterizza, però,
anche per una dura reprimenda contro i partiti, dal «monarchico» al
«socialista», che avrebbero cercato di impossessarsi della sua memoria e
della sua eredità politica.
Discorso di Giosuè Carducci per la morte di Garibaldi, in Le tre Italie per Giuseppe Garibaldi, a cura della Associazione mazziniana italiana, inserto de «Il pensiero Mazziniano», nr. 11, dicembre 1982 pp. 26-31.
D. Mack Smith, Garibaldi.Una grande vita in breve, Milano, Mondadori, 1999 (I ed. 1956).
J. Ridley, Garibaldi, Milano, Mondadori, 1975.
M. Milani, Giuseppe Garibaldi. Biografia critica, Milano, Mursia, 2006 (I ed. 1982).
A. Scirocco, Garibaldi. Battaglie, amori, ideali di un cittadino del mondo, Roma-Bari, Laterza, 2007 (I ed. 2001).
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