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venerdì 6 dicembre 2019

IL MITO DI GARIBALDI

I protagonisti » Garibaldi  
Nasce a Nizza il 4 luglio del 1807 e muore sull'isola di Caprera il 2 giugno 1882
 

 
S. Lega - Ritratto di Giuseppe Garibaldi - 1861 - olio su tela - Museo civico Don Giovanni Verità - Modigliana (Forlì)  
 
Nato a Nizza il 4 luglio del 1807 da una famiglia di commercianti marittimi – il padre Domenico possedeva una tartana, la Santa Reparata, con la quale esercitava il cabotaggio nel Mediterraneo – si iscrive nel 1821 nel registro dei mozzi e, in poco più di dieci anni, percorre tutta la carriera di marinaio mercantile.
Nel 1832 gli viene rilasciata la patente di capitano di seconda classe e come tutti i marinai mercantili ha l'obbligo di prestare servizio per cinque anni nella marina da guerra. Nel 1833 si arruola nella marina sarda e il 26 dicembre dello stesso anno si imbarca sulla nave Euridice assumendo il nome di “Cleombroto”.

 
Malinsky - Garibaldi nel Sud America - 1815 - olio su tela - Museo del Risorgimento - Milano  
Nel febbraio del 1834 partecipa ad un tentativo insurrezionale a Genova che viene scoperto e sedato sul nascere dalla polizia sarda. Garibaldi, che in quel momento è un marinaio di  terza classe della Regia marina sarda, non rientra sulla nave e fugge da Genova. Nel giugno dello stesso anno viene condannato alla «pena di morte ignominiosa».
Dopo aver trascorso un periodo di latitanza nel Mediterraneo e a Marsiglia, nel 1835 si imbarca per Rio de Janeiro, scappando dal colera che impazza nella cittadina portuale francese. Rimarrà nel continente sudamericano fino al 1848.
In questi anni sudamericani il nizzardo aderisce alla massoneria e partecipa, prima, alla rivoluzione farrouphila, nella provincia del Rio Grande do Sul che lotta per l'indipendenza dall'impero brasiliano, poi, alla guerra tra Uruguay e Argentina e tra unitari (Colorados) e federalisti (Blancos) che incendia il Rio de La Plata. A Montevideo, in Uruguay, tra le file dei Colorados costituisce, insieme ad altri esuli italiani, la Legione italiana. L'eco delle imprese sudamericane di Garibaldi si diffonde in Europa e in Italia.
Nel 1848 Garibaldi ritorna in Italia insieme ad altri esuli e si mette al servizio di re Carlo Alberto. Dopo aver comandato 1.500 volontari durante la prima guerra d'indipendenza, nel 1849 partecipa alla difesa della Repubblica romana che il 4 luglio capitolerà sotto l'offensiva delle truppe francesi guidate dal generale Oudinot. Il 2 luglio, intanto, il nizzardo, insieme alla moglie, che aveva sposato in Sudamerica, Anita Ribeiro Da Silva, e ad altri volontari fugge da Roma cercando di raggiungere Venezia.
I garibaldini, però, sono attaccati e dispersi dagli austriaci nei pressi della Repubblica di San Marino e solo 250, fra i quali Garibaldi con la moglie, riprendono la strada per Venezia. Il nizzardo, dopo una fuga avventurosa in cui Anita perde la vita nei pressi di Ravenna, riuscirà a mettersi in salvo raggiungendo il Regno di Sardegna e, poi, abbandonando, per una seconda volta, la penisola italiana.
Dopo il 1849 ha inizio il cosiddetto “secondo esilio” di Garibaldi. In questo periodo, il nizzardo redige una prima stesura delle proprie memorie e intraprende una serie di sfortunate imprese commerciali marittime tra il Sudamerica e l'Asia. Imprese che gli varranno, poi, anche l'accusa di “schiavista” o di “negriero” per aver partecipato, secondo alcune fonti, alla tratta degli schiavi cinesi, i coolies, tra il Perù e Canton.
Nel 1854 Garibaldi torna in Italia e, acquistando una parte dell'isola di Caprera, il 29 dicembre del 1855, fissa nell'isola a largo della Sardegna la sua nuova residenza. L'anno successivo aderisce alla Società Nazionale convinto che le aspirazioni sabaude potessero coincidere con quelle del movimento d'indipendenza nazionale.
 

  T. Spotti - Garibaldi torturato nelle carceri di Gualeguay sputa in faccia al comandante Leonardo Millan - 1837 - litografia - Musei Civici, raccolta Bertarelli - Milano
Nel 1859, per disposizione ministeriale, a Garibaldi viene conferito il grado di generale sardo con il compito di organizzare la divisione dei Cacciatori delle Alpi che si distingue, durante la seconda guerra d'indipendenza, nei combattimenti di Varese, S. Fermo e Tre Ponti in Valtellina.
All'indomani della pace di Villafranca, Garibaldi si dimette dalla carica di ufficiale sardo ma ritorna in azione nella tarda primavera del 1860 quando, alla testa di circa mille volontari, parte dallo scoglio di Quarto, a Genova, per una spedizione verso la Sicilia da dove giungevano notizie di rivolte contro il regime borbonico.
La “spedizione dei Mille” sbarca a Marsala l'11 maggio e a Salemi, il 14 maggio, Garibaldi si autoproclama dittatore della Sicilia. Dopo le battaglie di Calatafimi, Palermo e Milazzo le truppe garibaldine, ingrossate da altri volontari provenienti dalla penisola, sbarcano in Calabria e risalgono velocemente la penisola.
Il Regno delle Due Sicilie collassa sotto la spinta dell'azione garibaldina, a causa di una condotta militare a dir poco disastrosa degli ufficiali napoletani e sotto il peso dell'isolamento diplomatico della dinastia dei Borbone.
Dopo la battaglia del Volturno l'esercito del Regno delle Due Sicilie capitola e Garibaldi viene acclamato come liberatore. Il 9 novembre del 1860, però, il nizzardo, dopo aver accolto nella vecchia capitale borbonica il re sabaudo Vittorio Emanuele II, si ritira sull'isola di Caprera desistendo dal progetto di raggiungere Roma.

 
G. Le Gray - Uno dei ritratti più famosi di Garibaldi con la spada, ripreso a Palermo nel 1860. - fotografia - Biblioteca Nazionale, Gabinetto delle Stampe - Palermo  
Progetto che tenterà invano di raggiungere nell'agosto del 1862, quando sarà il neonato esercito italiano a fermare sull'Aspromonte l'avanzata dei volontari garibaldini che dalla Sicilia si muovevano verso la Città Eterna, e nel novembre del 1867 quando a Mentana, dopo alcuni vani tentativi di scatenare una sollevazione popolare a Roma, saranno i dragoni pontifici e le truppe regolari francesi dotate dei moderni fucili chassepots a bloccare l'avanzata dei garibaldini.
La fama di Garibaldi nel mondo, però, continua a crescere incessantemente. Dopo la spedizione dei Mille, infatti, la notorietà del nizzardo si era diffusa ovunque, tanto che nel 1862 Abraham Lincoln lo invitò a schierarsi con l'esercito del Nord nella guerra di secessione americana.
Nell'aprile del 1864, durante un breve soggiorno in Inghilterra, Garibaldi trovò un'accoglienza entusiastica da parte dei sudditi di Sua Maestà. E, infine, nel settembre del 1867, a Ginevra, nel primo Congresso internazionale della Lega della pace e della libertà venne salutato come «l'uomo più valoroso e più disinteressato del suo secolo».
Giuseppe Garibaldi, inoltre, partecipò anche alla terza guerra d'indipendenza guidando un corpo di volontari di circa 38.000 uomini che nel luglio del 1866, con l'offensiva del Monte Suello, costrinse al ripiegamento le truppe asburgiche e, poi, nell'agosto dello stesso anno, con la battaglia di Bezzecca, sconfisse gli austriaci che cercavano di ricacciare i volontari italiani verso il lago d'Idro.
L'ultima campagna militare del nizzardo, infine, si svolse in Francia nell'inverno a cavallo tra il 1870 e il 1871 dove l'armata dei Vosgi capeggiata da Garibaldi difese vittoriosamente la città di Digione dall'attacco delle truppe tedesche.
Gli ultimi anni della sua vita furono contraddistinti da un vivace impegno politico i cui toni visceralmente anticlericali si alternarono con quelli patriottici e con una profonda delusione verso la «nazione fatta».
 
L. Pessani - Caprera - dipinto - Biblioteca e archivio del Risorgimento Firenze  
Eletto deputato del Regno nel 1874 presentò un piano di imbrigliamento e canalizzazione del Tevere che evitasse le rovinose inondazioni che affliggevano costantemente Roma.
Nel 1879, infine,  fu tra i fondatori della Lega della Democrazia che raccoglieva tutte le associazioni democratiche e si batteva per una riforma elettorale a suffragio universale.
Alla notizia della sua morte, avvenuta a Caprera il 2 giugno del 1882, la Camera dei deputati deliberò il lutto per due mesi, la sospensione delle sedute fino al 12 giugno e lo spostamento della tradizionale festa dello Statuto.
 

 
F.lli Alinari - Ritratto di Garibaldi - fotografia - Archivi Alinari- Firenze  
Giuseppe Garibaldi è senza dubbio l'italiano più famoso dell'Ottocento.
Simbolo dell'anima popolare del Risorgimento e celebrato padre della patria all'indomani della morte, l'eroe dei due mondi è una figura fondamentale della storia nazionale su cui, però, ha sempre pesato una duplice caratterizzazione simbolico-culturale.
Ad una diffusa agiografia garibaldina che ritrae il nizzardo nelle vesti del «cavaliere dell'umanità» e dell'eroe romantico corrisponde un altrettanto diffusa leggenda nera che dipinge Garibaldi come un avventuriero crudele, autore di vessazioni e «indegne ruberie». Al corsaro viene contrapposto il filibustiere, all'eroe il mercenario, all'alter Christus il «diavolo rosso».
Classificato come «bandito di primo catalogo» dopo la condanna a morte del 1834, Giuseppe Garibaldi diventa, dopo le prime vittorie sudamericane, l'emblema del sovversivismo patriottico e del radicalismo nazionale.
Il nizzardo, nel volgere di poco tempo, però, riesce ad incarnare quella necessità diffusa, anche tra i moderati, di avere un capo carismatico che possa mettersi al servizio della causa nazionale.
Garibaldi è un personaggio pittoresco che colpisce la fantasia popolare – grazie anche al suo abbigliamento eccentrico che combina le sembianze del gaucho con la sensibilità romantica – ed è reso celebre, prima ancora delle vittorie militari, da un uso consapevole dei mezzi di comunicazione del tempo e da un cospicuo numero di intellettuali che ne magnificano le sorti come Alexandre Dumas, George Sand e Victor Hugo.
Militare e uomo politico, patriota e repubblicano, massone ed anticlericale, Giuseppe Garibaldi è un uomo che fa del realismo politico e dell'eccezionalità due caratteristiche costitutive della sua personalità.
 

  F. Palizzi - Garibaldi a cavallo - olio su tela - Collezione privata - Roma
Di umili origini sociali e di modesta levatura culturale, Garibaldi è essenzialmente un'autodidatta sia nella formazione politico-militare che in quella culturale.
La prima grande scuola di vita è il mare. Infatti, dopo una breve educazione scolastica  Garibaldi percorre velocemente tutta la carriera di marinaio mercantile e sul mare combatte numerose battaglie.
L'incontro con le idee mazziniane e con gli ideali patriottici è ancora avvolto nel racconto leggendario tramandato nelle numerose versioni delle memorie.
Storia e leggenda, nella sua vita, si combinano e si confondono in un amalgama a volte inestricabile che ha finito per trasformare Garibaldi in un autentico mito politico che, dall'indomani della morte e almeno fino allo scoppio della Grande Guerra, ha costituito uno dei tasselli fondamentali della pedagogia politica del neonato Stato unitario.
 
Antonio Gramsci analizza il rapporto tra i moderati e i democratici mettendo in luce la capacità dei primi di guidare l'azione dei secondi e di utilizzarne i risultati. Secondo l'intellettuale sardo, se i moderati erano un gruppo sociale «relativamente omogeneo», i democratici non rappresentavano «nessuna classe storica» e non furono capaci, pertanto, di esprimere un programma di governo e una ferma direzione politica. In definitiva, il Partito d'Azione, sia per i continui contrasti tra i suoi leader, ad esempio tra Mazzini e Garibaldi, che per il rapporto di subordinazione che alcune delle sue maggiori personalità avevano «coi capi dei moderati», appare a Gramsci come uno strumento «a servizio dei moderati».
A. Gramsci, Il Risorgimento, Roma, Editori Riuniti, 2000 (19751), pp. 86-92.
 
Nella rilettura della storia d'Italia operata da Alfredo Oriani – che ha notevolmente contribuito alla costruzione e alla diffusione del paradigma interpretativo del Risorgimento come «conquista regia» e come «sopruso eroico di un minoranza» – Garibaldi, seppur con accentuazioni diverse rispetto all'epica risorgimentale, conserva il suo status di eroe e, insieme a Mazzini, viene spesso contrapposto a Cavour, a Vittorio Emanuele e alla classe dirigente del Paese. Il brano riprodotto si colloca dopo i fatti della Repubblica romana e ripercorre la vita del nizzardo fino ai fatti del 1849.
A. Oriani, La Lotta politica in Italia, Bologna, Cappelli Editore, 1956 (18921), pp. 412-417.
 
 

  Pompei. Giuseppe Garibaldi con il suo Stato Maggiore in visita agli scavi - 22 ottobre 1860 - stereogramma - Collezione dott. Piero Becchetti - Roma
Benedetto Croce, raccoglie, per primo, la vasta produzione letteraria – dalla memorialistica di Abba e Bandi alla letteratura eroico-celebrativa di Marradi, Pascoli, Carducci e D'Annunzio – che trova in Giuseppe Garibaldi il soggetto tematizzante. La “letteratura garibaldina”, secondo la denominazione coniata da Croce, ha svolto un importante ruolo nell'educazione politica della nuova Italia.
B. Croce, Letteratura garibaldina, in Id., Opere, VI, La letteratura della nuova Italia, Roma-Bari, Laterza, 1974 (19401), pp. 5-14.
 
Lo storico inglese Denis Mack Smith delinea un antiretorico ritratto giovanile di Giuseppe Garibaldi mettendo in evidenza le origini umili ma non povere della sua famiglia di provenienza, la centralità della formazione marinara e la prima descrizione fisica del corpo del nizzardo. Quest'ultimo sarà poi un elemento ricorrente nella costruzione del mito dell'eroe dei due mondi.
D. Mack Smith, Garibaldi. Una grande vita in breve, Roma-Bari, Laterza, 1982 (19561), pp. 3-10.
 
La battaglia di San Antonio del Salto, dell'8 febbraio 1846, rappresenta il combattimento più importante del periodo sudamericano di Garibaldi che procurò al nizzardo una grande notorietà sia in Europa che in Italia. Jasper Ridley evidenzia come esistano ben 9 versioni differenti di questa battaglia e che, sebbene si risolse in una gloriosa ritirata per il nizzardo, si tramutò, ben presto, in un trionfo mediatico amplificato, prima, dai giornali sudamericani e, poi, da quelli europei. Nei conflitti sudamericani, combattuti tra piccoli eserciti male armati e su territori molto vasti, l'uso della stampa si rivelò fondamentale e si configurò come una sorta di prolungamento delle isolate battaglie militari.
J. Ridley, Garibaldi, Milano, Mondadori, 1975, pp. 235-242.

 
E. Pagliano - Giuseppe Garibaldi dal vero - Museo del Risorgimento - Milano  
Nella pacifica agitazione che precede il 1848, in Italia si intrecciano le richieste di riforme liberali con quelle di unità nazionale e di indipendenza dallo straniero. In questo contesto storico, in cui si invoca un capo carismatico che sappia guidare un popolo alla vittoria, si innesta la prima codificazione del mito di Garibaldi che appare come la prova vivente delle virtù guerriere di un popolo che deve trovare la sua identità nei campi di battaglia.
A. Scirocco, Garibaldi. Battaglie, amori, ideali di un cittadino del mondo, Roma-Bari, Laterza, 2001, pp. 125-135.
 
Piero Pieri traccia una rapida sintesi della presa di Palermo da parte dei garibaldini durante la spedizione dei Mille. Oltre all'impeto eroico dei volontari garibaldini, reso oltremodo celebre dalla retorica risorgimentale, lo storico militare mette in luce l'inerzia, le indecisioni e gli errori degli alti gradi napoletani che portarono alla paralisi dell'esercito borbonico e alla decisione di abbandonare la città. Secondo Pieri, la presa di Palermo – che giunge dopo lo sbarco dei garibaldini a Marsala l'11 maggio, la proclamazione della dittatura il 14 e la battaglia di Calatafimi il giorno successivo – segna una nuova fase nella spedizione dei Mille. La conquista della città coincide, infatti, con lo sbarco in Sicilia della prima grossa spedizione di rinforzo che aggiunge, ai volontari partiti da Quarto la notte del 5 maggio e alle squadre siciliane raccolte sull'isola, altri 2.500 uomini.
P. Pieri, Storia militare del risorgimento, Torino, Einaudi, 1962, pp. 670-674.
 
Giorgio Candeloro riprende uno dei temi più dibattuti dalla storiografia d'ispirazione gramsciana sul Risorgimento: la questione contadina e, più in generale, la mancata riforma agraria. Secondo Candeloro, la dittatura garibaldina in Sicilia andò incontro a due grandi fallimenti politici che si sarebbero poi riverberati su tutto il processo di unità nazionale. Da un lato, il decreto di Salemi del 14 maggio, con cui chiamava alla leva ben 13 classi di giovani, rimase senza risultati significativi. Dall'altro lato, i provvedimenti a favore dei contadini non erano espressione di un programma riformatore ma rispondevano ad esigenze politico-militari contingenti. In questo complesso quadro politico-militare, la distanza che esisteva tra il democraticismo garibaldino e le rivendicazioni contadine isolane si accrebbe sempre di più fino a giungere, secondo Candeloro, alla paradigmatica repressione operata da Nino Bixio a Bronte il 4 agosto.
G. Candeloro, Storia dell'Italia moderna, IV, Dalla rivoluzione nazionale all'Unità, Milano, Feltrinelli, 1964, pp. 462-465.
 
Roberto Martucci fornisce una ricostruzione storica dell'impresa dei Mille ben lontana dai toni epici della retorica patriottarda. Secondo l'autore, infatti, la spedizione garibaldina viene progettata e finanziata dal Regno sardo e si configura come un tipico caso di «guerra sporca» che viene portata all'interno dei confini di uno Stato europeo indipendente e neutrale con il quale si intrattenevano regolari relazioni diplomatiche. Questa guerra è stata combattuta, da un lato, da un gruppo di volontari militarmente esperti strettamente legati alla Corona o a Cavour – molti di questi avevano preso parte ad alcune campagne militari sabaude – e dall'altro lato, è avvenuta ricorrendo anche alla corruzione dei burocrati e degli alti ufficiali borbonici.
R. Martucci, L'invenzione dell'Italia unita, Milano, Sansoni, 1999, pp. 160-164.
 

 
Faustin - Garibaldi, le lion de la libertè - 1871 - litografia - Museo Centrale del Risorgimento - Roma  
Il culto vittoriano dell'eroe
Giuseppe Monsagrati si sofferma sul clima culturale che fa da sfondo al viaggio di Garibaldi in Inghilterra dell'aprile del 1864 e sull'ammirazione e la venerazione che i sudditi della regina Vittoria ebbero nei suoi confronti. Secondo Monsagrati, senza il clamore di quella mobilitazione di massa – che ne sancisce quasi una beatificazione laica – la fama di Garibaldi non avrebbe avuto la stessa risonanza mondiale.
G. Monsagrati, Garibaldi e il culto vittoriano dell'eroe, in «Studi Storici», gennaio-marzo 2001, pp. 165-173.
 
Giovanni Spadolini traccia una breve sintesi della proposta politica dell'ultimo Garibaldi, ormai vecchio e non più in grado di combattere, lodandone il realismo e il suo innato fiuto politico. L'attività politica del nizzardo, negli ultimi anni della sua vita, fu rivolta ad organizzare le varie correnti dell'Estrema Sinistra parlamentare ed extra-parlamentare sulla base di un programma nel quale spiccavano riforme di grande pragmatismo come il suffragio universale e l'istruzione elementare obbligatoria, laica e gratuita.
G. Spadolini, I radicali dell'ottocento da Garibaldi a Cavour, Firenze, Le Monnier, 1982, pp. 16-19.
 
Mario Isnenghi evidenzia come Garibaldi possa essere interpretato, da un lato, come «un vinto politico» nei confronti della monarchia e del partito moderato e, dall'altro lato, come «un vincitore», sia sul piano territoriale, «la conquista del Mezzogiorno è cosa sua», che «sul piano dell'affabulazione mitizzante». D'altronde, sottolinea Isnenghi, la presenza del nizzardo nell'immaginario collettivo nazionale è eccezionale ed è testimoniata dalle innumerevoli epigrafi, lapidi e statue che costellano lo scenario pubblico del Paese e che hanno contribuito ad «una sorta di riscrittura semiufficiale del Risorgimento».
M. Isnenghi, I due volti dell'eroe. Garibaldi vincitore-vinto e vinto-vincitore, in Tracce dei vinti, a cura di S. Bertelli-P. Clemente, Firenze, Ponte alla Grazie, 1992, pp. 265-266 e 288-297.
 

 
Calendario dell'anno 1863 - litografia - Musei Civici, raccolta Bertarelli - Milano  
Genesi di un mito
Secondo Romano Ugolini il mito di Garibaldi ha origine per circostanze per lo più fortuite. Il nizzardo, infatti, dopo la condanna a morte in contumacia del 1834 diventa un eroe suo malgrado all'interno della ristretta cerchia degli esuli e quando fugge da Marsiglia, a causa dell'epidemia di colera, arriva in Brasile già circonfuso dell'aureola di eroe.
R. Ugolini, Garibaldi. Genesi di un mito, Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1982, pp. 68-71.
 
Nelle pagine conclusive del suo volume, Lucy Riall illustra le modalità con cui il mito di Garibaldi venne concepito, costruito e promosso. La studiosa inglese mette in relazione la diffusione dell'immagine di Garibaldi con il parallelo sviluppo della stampa e il consistente aumento del numero dei lettori. In questo modo, attraverso la pubblicazione di alcuni libri, articoli e stampe, negli anni Cinquanta dell'Ottocento, si viene a formare un canone garibaldino che narra le vicende biografiche del nizzardo. Dopo gli eventi del 1859-1860 la narrazione epica della vita del nizzardo riuscì ad autoalimentarsi fino a diventare un mito che incorporava alcuni temi e alcune idee chiave del Risorgimento. Anche se il mito in alcune declinazioni non corrispose alla realtà dei fatti, secondo Lucy Riall, rappresentò, indiscutibilmente, un mito efficace.
L. Riall, Garibaldi. L'invenzione di un eroe, Roma-Bari, Laterza, 2007, pp. 472-479.
 
Angela Pellicciari fornisce un ritratto dissacrante della figura di Garibaldi. Nella prima parte, la studiosa cattolica descrive il nizzardo come un fervente massone, ferocemente anticattolico e – basandosi sul racconto di  Augusto Vittorio Vecchj, in arte Jack La Bolina – coinvolto nella tratta dei coolies, gli schiavi cinesi che da Canton vengono portati a Lima, in Perù, a lavorare nei depositi di guano. Dall'altro lato, utilizzando alcune fonti di parte liberale, la Pellicciari sostiene che la spedizione dei Mille sia stata, in realtà, una invasione segretamente preparata, organizzata e finanziata dal Regno sabaudo nei confronti di un Regno amico attraverso una corruzione sistematica dei quadri della Marina e dell'esercito borbonico.
A. Pellicciari, L'altro Risorgimento, Casale Monferrato, Piemme, 2000, pp. 228-234.
 

 
Garibaldi ferito in un combattimento navale - illustrazione tratta da J. W. Mario, Garibaldi e i suoi tempi, Treves - Milano - 1884  
Il documento riproduce la Patente de Corso originale rilasciata a Garibaldi, il 14 novembre del 1836, dal governo della Repubblica del Rio Grande do Sul. Il 7 maggio del 1837 il nizzardo si avviò con la lancia Mazzini, di 20 tonnellate e un equipaggio di 14 uomini, verso le coste dell'Atlantico meridionale per compiere le sue azioni corsare.
S. Candido, Giuseppe Garibaldi corsaro riograndese (1837-1838), Roma, Istituto per la storia del risorgimento italiano, 1964, pp. 163-164.
In questa lettera indirizzata all'amico ed esule Giovanni Battista Cuneo – primo biografo del nizzardo nel 1850 e grande costruttore dell'immagine pubblica dell'eroe in Sudamerica attraverso alcuni appassionati resoconti giornalistici – si può cogliere il temperamento e il carattere di Garibaldi. Il nizzardo scrive da Gualeguay, in Argentina, dove era sbarcato dopo essere stato gravemente ferito in un conflitto a fuoco con l'equipaggio della lancia Maria, inviata per catturare il corsaro.
G. Garibaldi, Epistolario, I, (1834-1848), a cura di G. Fonterossi-S. Candido-E. Morelli, Roma, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, 1973, pp. 19-20 (lettera nr. 12).
 
Il documento riproduce un breve resoconto redatto da Garibaldi – e inviato alla Commissione della Legione italiana di Montevideo – sul combattimento di San Antonio del Salto avvenuto l'8 febbraio del 1846.
Alla Commissione della Legione Italiana - Montevideo, in G. Garibaldi, Scritti e discorsi politici e militari, I, (1838-1861), a cura della Regia Commissione, Bologna, Cappelli, 1934, pp. 73-74, nr. 31.
 
La sera del 2 giugno 1849, allo scadere dell'armistizio, le truppe francesi, guidate dal Generale Oudinot, occuparono alcune posizioni strategiche per la difesa di Roma: Villa Corsini, Villa Pamphilj e il Casino dei Quattro Venti. I difensori della Repubblica romana riuscirono a mantenere soltanto l'avamposto del Vascello. Poche ore dopo Mazzini scrisse un messaggio a Garibaldi, che giaceva ammalato nel suo alloggio, chiedendogli quali misure suggerisse di prendere per la difesa di Roma. La risposta del nizzardo si tradusse in questo celebre biglietto, che riproduciamo, nel quale chiese per se stesso i poteri di dittatore oppure di essere degradato al rango di soldato semplice. Nessuna delle due ipotesi si concretizzò ma questa breve missiva testimonia, da un lato, lo stato di profondo disaccordo, tra i leader democratici, sulla condotta della difesa politica e militare della Repubblica romana – a Garibaldi, infatti, era stato negato sia di portare il suo esercito a Nord contro gli austriaci, che a Sud contro i borbonici – e dall'altro lato, il notevole fascino che esercitava sul nizzardo la dittatura militare dell'antica Repubblica romana.
G. Garibaldi, Epistolario, II, (1848-1849), a cura di L. Sandri, Roma, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, 1978, p. 172 (lettera a Giuseppe Mazzini, nr. 581).
 
Questa lettera di Garibaldi a Mazzini precede la nascita della Società Nazionale. Il nizzardo, dopo la sconfitta della Repubblica romana del 1849 e le difficoltà del «secondo esilio» – in cui ha intrapreso alcune sfortunate imprese commerciali come marinaio mercantile – argomenta, in questa missiva, le ragioni del perché sia necessario appoggiarsi al Piemonte per raggiungere l'Unità italiana.
G. Garibaldi, Epistolario, III, (1850-1858), a cura di G. Giordano, Roma, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, 1978, pp. 62-64 (lettera a Giuseppe Mazzini, nr. 734).
 
 
  G. Fattori - Garibaldi a Palermo (particolare) - 1862 - olio su tela - Collezione privata
Il Dittatore della Sicilia
Dopo lo sbarco a Marsala l'11 maggio – i Mille erano salpati da Quarto la notte del 5 – i volontari garibaldini, ai quali si sono uniti altri gruppi di insorti, squadre di picciotti a cavallo e armati, arrivano a Salemi la domenica del 13. Il giorno successivo, il 14 maggio, Giuseppe Garibaldi assume solennemente la dittatura in Sicilia nel nome di Vittorio Emanuele, re d'Italia. Copie del decreto vengono affisse per le strade e i banditori lo leggono a voce.
Proclama della Dittatura in Sicilia, in G. Garibaldi, Scritti e discorsi politici e militari, I, (1838-1861), a cura della Regia Commissione, Bologna, Cappelli, 1934, p. 251 (nr. 206).
 
La spedizione dei Mille volge al suo ultimo atto: Garibaldi e i suoi volontari sono entrati a Napoli, il re delle Due Sicilie si è ritirato nella fortezza di Gaeta e le truppe dell'esercito borbonico sono concentrate tra Capua e Gaeta, appoggiandosi al Volturno e al Garigliano. In questo documento, estendendo lo Statuto albertino al Mezzogiorno, Garibaldi prepara l'unione dei territori meridionali al Regno sabaudo, ma si riserva ancora la direzione dello Stato per continuare la marcia verso Roma.
Italia e Vittorio Emanuele, in G. Garibaldi, Scritti e discorsi politici e militari, I, (1838-1861), a cura della Regia Commissione, Bologna, Cappelli, 1934, pp. 299-300 (nr. 258).
 
Un primo elenco nominativo di coloro che sbarcarono a Marsala venne stilato il 19 aprile del 1862. Nel 1877 venne svolta una nuova inchiesta informativa e nel 1878 viene pubblicato l'elenco alfabetico dei Mille di Marsala che qui riproduciamo.
Elenco alfabetico dei Mille di Marsala, Supplemento al nr. 266 della «Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia» del 12 novembre 1878, pp. 1-22.

 
G. Titone - Sbarco dei Mille a Marsala - dipinto - Museo del Risorgimento - Milano  

Dalla Sicilia, dove il nizzardo visita i luoghi delle imprese di due anni prima – Alcamo, Partinico, Calatafimi – inizia una nuova spedizione liberatrice, la cui meta finale, questa volta, è Roma. A Marsala, Garibaldi pronuncia questo celebre discorso all'insegna del motto «Roma o morte». La spedizione venne fermata, però, il 29 agosto 1862, sui monti dell'Aspromonte, in Calabria, dalle truppe dell'esercito regio che spararono sui volontari garibaldini, ferendo al malleolo lo stesso Garibaldi.
Parole dette al popolo a Marsala il 19 luglio 1862, in G. Garibaldi, Scritti e discorsi politici e militari, II, (1862-1867), a cura della Regia Commissione, Bologna, Cappelli, 1935, pp. 121-123 (nr. 505).
 
John Morley, ministro del governo inglese, racconta lo straordinario entusiasmo per la visita di Garibaldi a Londra nell'aprile del 1864.
La visita in Inghilterra del 1864, in D. Mack Smith, Garibaldi. Una grande vita in breve, Roma-Bari, Laterza, 1982 (19561), pp. 254-255.
 
Con questa lettera Garibaldi cerca l'appoggio di tutta la massoneria per raggiungere l'Unità d'Italia, ovvero la presa di Roma e la caduta del potere temporale dei papi attraverso un'azione che combinasse un'insurrezione democratica nell'urbe con l'ingresso di un corpo di spedizione nello Stato pontificio.
Al Sup.˙ . C.˙ . di Palermo, in G. Garibaldi, Scritti e discorsi politici e militari, II, (1862-1867), a cura della Regia Commissione, Bologna, Cappelli, 1935, pp. 385-386 (nr. 872).
 
Al viscerale sentimento anticlericale, ribadito quasi in ogni suo scritto, Garibaldi unisce la profonda convinzione del ruolo patriottico che può svolgere la massoneria definita, in questo scritto, come il «più antico propugnacolo del diritto e della coscienza» e il «vero antagonismo del papato».
All'Assemblea Massonica Costituente di Napoli, in G. Garibaldi, Scritti e discorsi politici e militari, II, (1862-1867), a cura della Regia Commissione, Bologna, Cappelli, 1935, p. 397 (nr. 883).
 
Questo documento mette in luce l'ennesimo tentativo, dopo il 1860 e il 1862, di marciare su Roma e sconfiggere le truppe dello Stato pontificio attraverso un'insurrezione popolare e un corpo di spedizione militare. Dopo la mancata insurrezione dei romani, il 3 novembre 1867, uno scontro a fuoco nei pressi Mentana, nel Lazio, tra i volontari garibaldini e le truppe franco-pontificie, mise fine per l'ultima volta al progetto garibaldino di “liberare” Roma.
Agli italiani, in G. Garibaldi, Scritti e discorsi politici e militari, II, (1862-1867), a cura della Regia Commissione, Bologna, Cappelli, 1935, pp. 437-438 (nr. 926).
 
P. Tagliacozzo - Giuseppe Garibaldi a Caprera intorno al 1875 con la terza moglie Francesca Armosino, Clelia, Manlio (in braccio) e Menotti Garibaldi (seduto) - 1875 - fotografia - Istituto per la Storia del Risorgimento - Roma  

Esistono molte versioni delle memorie di Giuseppe Garibaldi – da quelle di Theodore Dwight a quelle di Elpis Melena (Speranza Von Schwartz), da quelle di Francesco Carrano e quelle più note di Alexandre Dumas – che si sono basate, in parte, su un manoscritto redatto dal nizzardo, dopo l'avventurosa fuga da Roma, tra il 1849 e il 1850. Il documento qui riprodotto, invece, è la prefazione scritta da Garibaldi, il 3 luglio 1872, alle proprie memorie autobiografiche che saranno pubblicate, per la prima volta, soltanto dopo la morte dell'eroe dei due mondi.
Prefazione alle mie memorie, in G. Garibaldi, Memorie, a cura di G. Armani, Milano, Rizzoli, 1982, pp. 41-43.
 
Di data incerta, ma scritto probabilmente dopo il 1871, il testamento politico di Garibaldi combina un viscerale anticlericalismo con un profondo stato di amarezza nei confronti della classe dirigente del Paese. Nell'appendice del 1881 il nizzardo lascia, poi, una serie di disposizioni per la cosiddetta «pira omerica», il rogo del suo corpo dopo la morte. Queste disposizioni saranno del tutto disattese nei funerali di Stato e il corpo di Garibaldi sarà tumulato a Caprera in un sepolcro di granito dove è inciso il suo nome.
Testamento politico, in G. Garibaldi, Memorie, a cura di G. Armani, Milano, Rizzoli, 1982, pp. 389-391.
 
La sera del 4 giugno 1882 Giosuè Carducci, al teatro Brunetti di Bologna, tiene una delle più note orazioni funebri pronunciate in occasione della morte di Garibaldi. Nei versi carducciani si condensano, arricchendosi di una veste epica, tutte le rappresentazioni che, per più di un trentennio, hanno accompagnato la figura dell'eroe dei due mondi. La commemorazione del «poeta garibaldino» si caratterizza, però, anche per una dura reprimenda contro i partiti, dal «monarchico» al «socialista», che avrebbero cercato di impossessarsi della sua memoria e della sua eredità politica.
Discorso di Giosuè Carducci per la morte di Garibaldi, in Le tre Italie per Giuseppe Garibaldi, a cura della Associazione mazziniana italiana, inserto de «Il pensiero Mazziniano», nr. 11, dicembre 1982 pp. 26-31.
 
In questa sezione sono riportate indicazioni bibliografiche generali per approfondire le vicende storiche che hanno visto protagonista Giuseppe Garibaldi

D. Mack Smith, Garibaldi.Una grande vita in breve, Milano, Mondadori, 1999 (I ed. 1956).
J. Ridley, Garibaldi, Milano, Mondadori, 1975.
M. Milani, Giuseppe Garibaldi. Biografia critica, Milano, Mursia, 2006 (I ed. 1982).
A. Scirocco, Garibaldi. Battaglie, amori, ideali di un cittadino del mondo, Roma-Bari, Laterza, 2007 (I ed. 2001).

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