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martedì 12 maggio 2020

IUS SOLI COME BATTAGLIA DI CIVILTA' IN ITALIA


IUS SOLI COME BATTAGLIA DI CIVILTA' IN ITALIA

Questa analisi prende forma dall'articolo di Brahim Maarad all'interno del magazine Espresso a proposito del riconoscimento della cittadinanza italiana ai figli degli immigrati di lunga data.
Nel titolo vediamo come la durata temporale della presenza sul territorio da parte delle seconde generazioni sia un elemento culturale molto importante come strategia di difesa dei propri diritti in linea con la dimensione culturale di tipo " orientamento temporale a breve termine" perché i fatti compiuti da questi ragazzi sono già iscritto nel passato o nel presente.
 Di fatto, per potere passare verso una dimensione culturale " a lungo termine" è necessario compiere un riconoscimento del precedente periodo vissuto nella dimensione culturale temporale "a breve termine" come tipica dimensione culturale nel vivere degli Italiani. Il concetto di " ius soli" viene menzionato come una rivendicazione di "civiltà" da parte dei ragazzi delle seconde generazioni per tentare di ridurre la distanza sociale dal potere perché tale legge sullo " ius soli" sarebbe un modo per ridurre la presenza di una gerarchia sociale di tipo esistenziale nello spazio sociale italiano. Inoltre lo "ius soli" è anche un modo per fare aumentare il propio " collettivismo" all'interno della comunità italiana creando un spazio più ampio e "coscienzioso" e in definitiva un modo per ottenere un maggiore senso di armonia all'interno della società italiana. L'introduzione dello " ius soli" rappresenta una possibilità per aderire ad una dimensione culturale di " debole evitamento dell'incertezza" in cui la politica vede i cittadini come competenti, inoltre la creazione di un orientamento culturale a " lungo termine" si potrebbe rivedere con il fatto che il paese sia capace di modificare le sue tradizioni in funzione del cambiamento sociale presente in Italia. Tutto questo per giungere ad una dimensione di tipo "soddisfatti" con una maggiore sensazione di controllo della propria vita.
L'autore di questo articolo Maarad Brahim racconta cosa significa sentirsi italiano ma non poterlo sinora diventarlo per legge. In sostanza, il sentirsi italiano significa accettare di aderire ad una dimensione culturale di " debole evitamento dell'incertezza" perché l'ambiguità e l'incertezza devono essere accettati nella mia vita quotidiana. Nello stesso tempo, questi ragazzi sono costretti ad aderire ad una dimensione di tipo " vincolati" con la presenza di un sentimento di abbandono da parte delle istituzioni poiché le cose non dipendono dal mio volere, non mi è concesso di essere felice in questa situazione né di ricordare delle emozioni positive. E poi, soprattutto, la mia libertà di parola viene molto ridotta dal mio stato di cittadino senza cittadinanza.
L'introduzione di una legge come lo " ius soli" sarebbe la creazione di uno spazio di futuro come orientamento temporale a lungo termine per l'intera nazione dove i fatti di molte persone potrebbero svolgersi in Italia, in cui uno stato di cultura " umanista" come l'Italia possa mostrarsi capace di adattarsi alle esigenze delle circostanze.
Questo articolo è scritto da un giovane giornalista come Maarad che segue la politica come forma di potenziamento e riconoscimento del suo bisogno di faccia positiva ma tale riconoscimento gli viene negato con il divieto al voto durante le elezioni italiane. Questa negazione rappresenta un costo molto elevato da subire per la tutela della sua faccia negativa intesa come libertà di non essere impedito nel mio vivere quotidiano.
In pratica osserviamo come il suo lavoro di giornalista per Maarad offra faccia positiva mentre la faccia collettiva dell'Italia, ossia lo Stato offra soltanto forti costi da sopportare per la sua faccia negativa di cittadino " non cittadino italiano".
Pertanto la faccia collettiva del paese spinge le seconde generazioni nella dimensione di tipo " vincolati" perché le cose per loro non dipendono dalla loro volontà. In questo modo, lo Stato crea diseguaglianze di tipo esistenziale tra le persone, facendo aumentare per tutti i cittadini italiani e non l'obbligo di aderire ad una società con alto indice di distanza sociale tra i suoi membri " in-group" e le seconde generazioni percepite ancora come " out-group" nonostante il loro vissuto sociologico sia totalmente italiano.
Nel suo articolo, Maarad cita il fatto che potrebbe votare in Marocco ma non intende farlo perché non conosce i candidati politici, ossia la sua adesione ad un "forte evitamento dell'incertezza" come risposta tipica del vivere in Italia non consente al giovane giornalista di votare nel suo paese di origine. La sua risposta è un esempio lampante della sua integrazione nel tessuto culturale italiano mostrando di aderire nella pratica ad un " in-group" italiano mentre il Marocco è percepito come un "out-group" per il giornalista Maarad. In definitiva, il suo paese di origine è diventato un paese " out-group" portando la sua persona a vivere nella dimensione di tipo " individualismo" perché il suo " io è coscienzioso" della sua situazione particolare. Tuttavia questa dimensione di tipo " individualismo" rappresenta una forma di minaccia per il suo bisogno di faccia positiva e pertanto viene nominata la presenza di altri 800.000 ragazzi nella sua situazione come modalità per ottenere la creazione di questo nuovo "in-group" dentro la società italiana. Menzionare la presenza di 800.000 ragazzi nella sua posizione serve per creare dei costi molto elevati alla difesa della faccia negativa dello Stato. Questi giovani hanno aderito ad una dimensione identitaria di tipo " temporale" con l'orientamento temporale a breve termine" ma poi sono considerati come " out-group" ( stranieri) della società italiana e questo li spinge a vivere in una dimensione di tipo " vincolati".
Questa situazione potrebbe cambiare con l'approvazione della legge " ius soli" al Senato. Purtroppo questa legge è ferma da due anni,vale a dire è un modo per esemplificare la lentezza di un paese legale che non vuole né accettare né vedere il cambiamento come tipica risposta di chi vive nella dimensione culturale " a breve termine" dove tutti i fatti rilevanti del passato sono tutti inscritti nel passato.
Quindi lo ius soli diventa una contesa tra la faccia collettiva della "politica" che vuole rimanere in un orientamento temporale a breve termine perché esiste una stabilità dello Stato come sempre uguale a se stesso e ci sono delle linee universali su ciò che è bene o male nelle situazioni. Un'altra parte della politica e della società cerca di aderire a questi cambiamenti epocali abbracciando la dimensione di un orientamento temporale a lungo termine cercando di proporre una politica capace di adattarsi alle circostanze e dove le tradizioni di un paese si possono modificare.
Per Maarad e in generale per il gruppo " seconde generazioni" questa legge è un atto di civiltà, ossia è un modo per indicare come l'assenza di una tale legge rappresenti un costro troppo elevato per la faccia collettiva di un'intera collettività nazionale incapace di offrire una dimensione di tipo " soddisfatti" alla sua nuova popolazione. Inoltre sarebbe un atto che consentirebbe al paese di ampliare il proprio concetto di famiglia allargata con un rinnovato senso di adesione al suo " collettivismo". In definitiva è una legge per enfatizzare il bisogno di appartenenza.
La condizione di " straniero" per questi ragazzi si palesa soprattutto quando i loro compagni di studi italiani compiono dei viaggi all'estero con un approccio tipico della dimensione culturale di " debole evitamento dell'incertezza" perché vivono i viaggi con poco stress e tranquillità. Tutto questo è precluso ai ragazzi delle seconde generazioni, i quali vivono questi momenti come " i viaggi all'estero" come momenti per cogliere fino in fondo come la loro situazione in Italia sia legata alla dimensione culturale di tipo " vincolati" e allo stesso tempo con un "forte evitamento dell'incertezza" con la semplice minaccia di non potere viaggiare con i compagni di classe perché non sono in possesso del passaporto italiano.
Maarad racconta come questi ragazzi siano persone che si laureano in Italia ma che spesso non possono esercitare la professione, si allenano come sportivi ma non possono diventare militari o non possono partecipare ai concorsi pubblici. Tutti questi mancati riconoscimenti rappresentano dei costi " insopportabili" e " insostenibili" per la tutela della loro faccia negativa perché sono tutte risposte della "faccia collettiva" dell'Italia legale prive di qualsiasi riconoscimento per il bisogno di faccia positiva presente in questi " orfani"di cittadinanza italiana.
Questi giovani sono obbligati e costretti nel vivere nella dimensione di " debole evitamento dell'incertezza" malgré eux. Il giornalista Maarad spiega come non possa votare ma debba fare sempre la fila davanti alla questura per avere il permesso di soggiorno. Queste seconde generazioni non partecipano alla vita democratica come all'interno di un " in-group" allargato ma sono percepiti come eterni " out-group" poiché devono chiedere il permesso di soggiorno. Quest'ultimo rappresenta l'unico elemento di adesione alla dimensione di tipo " collettivismo" del paese, ossia è l'unico modo per cercare di enfatizzare un'appartenenza con lo Stato italiano. Questo Stato dell'arte rappresenta delle minacce molto elevate per la tutela della faccia collettiva negativa di questi 800.000 ragazzi perché rischiano anche di diventare " clandestini" quando non possiedono tutte le condizioni per il rinnovo del permesso di soggiorno. In aggiunta, non esiste nessuna possibilità di ricevere aiuti sociali perché spesso il " primo gli italiani" è legge. Il concetto di famiglia allargata con questi ragazzi viene meno perché con loro non viene offerto nessun " collettivismo" ma solo un rapporto con lo Stato fondato sull'alta distanza sociale poiché lo Stato non sente neanche il bisogno di legittimare le sue scelte di fronte agli occhi di questi giovani e pertano ha creato una gerarchia sociale in sintonia con lo slogan leghista ma che fa comodo a tanti " prima gli italiani".  In altri termini, è stata creata una gerarchia esistenziale tra italiani e stranieri come se la mia tolleranza fosse assicurata a condizione di non dovere mai competere con uno immigrato per l'ottenimento di prestazioni dello Stato di qualsiasi natura.
Questo articolo di Maarad mette in luce i risultati conseguiti in 18 anni di vita in Italia in cui ci sono stati riconoscimenti ma anche troppe rinunce, vale a dire ci sono stati elementi di benefici per il mio bisogno di riconoscimento della faccia positiva ma ci sono statti costi troppo elevati da subire in questa condizione di cittadino senza " cittadinanza". Questi ragazzi sono percepiti come " out-group" mentre loro vorrebbero vivere il loro presente in Italia perché vogliono essere "orgogliosi" di essere Italiani e servire questo paese come modalità per vivere dentro una dimensione di " orientamento temporale a breve termine". Al contrario vengono percepiti come una minaccia per una politica radicata in un " forte evitamento dell'incertezza" perché ogni novità va combattuta con forza. I ragazzi di seconde generazioni sono già membri a tutti gli effetti dell'" in-group" Italia ma vengono legalmente trattati come " out-group" o come " extracomunitari", vale a dire come membri esterni della comunità europea dove le mie opinioni sulle persone sono fondate in sintonia con l'appartenenza con un dato " in-group" di riferimento.
 Maarad mette in luce come tale legge dello "ius soli" sia anche un modo per fare aderire questi ragazzi ad una dimensione di tipo " individualismo" perché sarebbe un'opportunità per mettere in avanti le loro competenze e non essere come ora sempre rimandati ad una mera dimensione di tipo "out-group" dentro la realtà italiana. Per ora non sembra esistere una possibilità di avere accesso a questa dimensione di " individualismo" in cui i compiti portati avanti sono più importanti delle relazioni all'interno del gruppo come solitamente avviene tristemente nella vita sociale italiana.
Pur riconoscendo la presenza di una legge per la cittadinanza italiana, con la possibilità di offrire qualche beneficio alla faccia collettiva legale del paese e di pagare qualche costo alla sua faccia negativa, per Maarad l'iter di questa legge rimane troppo faraginoso. Di conseguenza, questo percorso complicato per l'ottenimento della cittadinanza diventa una forma di minaccia per lo stesso bisogno di riconoscimento presente nella faccia positiva dei richiedenti. L'iter attuale per la cittadinanza è completamente inscritto nella dimensione culturale di tipo " forte evitamento dell'incertezza" da parte dello Stato come forma di non accettazione del cambiamento presente nella società mentre tale cittadinanza per quei ragazzi deve servire per uscire giustamente da questa eterna dimensione di tipo " vincolati" per aderire ad una dimensione di tipo " debole evitamento dell'incertezza" perché si accetta il cambiamento così come viene e si cerca di portare avanti le persone verso una dimensione di tipo " soddisfatti".
Lo ius soli è un tentativo finale di riconquistare faccia positiva da parte della politica italiana e se questo tentativo dovesse fallire allora i costi per la faccia collettiva negativa delle seconde generazioni sarebbero così elevati da spingerli a vivere all'estero. In altre parole sarebbe meglio escludersi per davvero da questo "in-group" che non li riconosci per cercarsi altrove un vero sentimento di tipo " out-group" in un terzo paese.
In definitiva meglio diventare un vero membro "out-group" all'estero piuttosto che un "out-group" di una collettività incapace di accettare i nuovi membri della famiglia allargata italiana.



Io, in Italia da 18 anni, vi spiego perché lo ius soli è una battaglia di civiltà"

Giornalista, collaboratore del nostro giornale (per il quale ha seguito il caso Regeni), vive a Rimini da quando era bambino. Qui Maarad racconta cosa vuol dire sentirsi italiano ma non poterlo diventare per via della legge. E cosa cambierebbe per lui, e per altri giovani come lui, se fosse approvata la nuova norma





Io, in Italia da 18 anni, vi spiego perché lo ius soli è una battaglia di civiltà

Le elezioni per ogni giornalista sono uno spasso: settimane di campagna elettorale, incontri pubblici, scontri politici. I candidati che imparano a memoria il tuo numero. Le pizze in redazione durante lo spoglio. Le conferenze gongolanti dei nuovi sindaci. I comunicati rassegnati dei secondi arrivati. In questi dieci anni da giornalista ne ho seguite tante di campagne, eppure non sono mai entrato in una cabina elettorale. Non ho mai votato in vita mia. E non di certo perché sono iscritto al partito degli astensionisti. Non voto perché non posso. Non sono italiano. Non ancora. Nonostante io sia in Italia da diciotto anni. Praticamente una seconda maggiore età. Solo che questa è inutile perché non segna alcun passaggio. 
Potrei votare in Marocco, il mio paese d’origine. Ma chi li conosce i candidati?  Da quando ho compiuto i dieci anni, la terra che mi ha dato i natali è per me ormai la meta delle vacanze. La mia storia è quella di oltre ottocentomila ragazzi di seconda generazione. Nati o cresciuti in Italia ma sempre stranieri. Almeno fino a quando non sarà approvata la legge dello ius soli, approdata ieri al Senato, tra gli spintoni dei leghisti e le barricate dei forzanovisti. Per percorrere il tragitto tra la Camera e Palazzo Madama le ci sono voluti quasi due anni: la frustrante lentezza di un Paese che non vuole vedere il cambiamento. 






Non è una legge qualunque. È un atto di civiltà. Un riconoscimento a una generazione di orfani di cittadinanza. Perché spesso quei ragazzi crescono pensando di essere italiani. Di solito scoprono di essere stranieri quando devono salutare i loro compagni di classe che partono in gita perché a loro non serve un visto. E più ci vivono in Italia, più si rendono conto di non essere italiani per lo Stato.

Si laureano ma non possono accedere a tante professioni, si allenano ma non saranno mai dei militari. Possono essere tra i più preparati ma difficilmente potranno partecipare ai concorsi pubblici. Ogni loro viaggio deve essere preceduto dalla verifica se sia necessario o meno il passaporto italiano. Poco importa se sia una vacanza o un Erasmus fuori dalla Ue. Vivono sulla loro pelle ogni campagna elettorale, dalle circoscrizioni alle politiche, ma nessuno può avere il loro voto.






Invece che davanti ai seggi, loro fanno le file davanti alle questure per rinnovare il permesso di soggiorno. Il documento per eccellenza degli stranieri. Con il rischio di perdere pure quello quando manca un contratto di lavoro o magari non c'è più l'appoggio della famiglia. C'è persino che si è ritrovato clandestino perché non era abbastanza ricco da permettersi un rinnovo. E non si trattava di delinquenti, ma di studenti universitari che sognavano un futuro in questo Paese. In tanti casi sono esclusi pure dal diritto di ricevere contributi assistenziali. Perché spesso il "prima gli italiani" è legge. 
Sono i miei diciotto anni in Italia. Tanti riconoscimenti, sicuramente, ma troppe rinunce. Sentirsi quotidianamente ospite del Paese che vorresti servire con passione e dedizione. Risultare una possibile minaccia anche quando nessuno può mettere in dubbio la tua integrazione. Sentirsi addosso quell'etichetta di "extracomunitario" perenne. Avere la certezza di non poter mai, nonostante ogni merito, ottenere un posto in prima fila. E questo vale anche per chi in Italia ci è nato e magari nel paese dei propri genitori non ci è mai stato. 
È vero, una legge per la cittadinanza c'è già. Se volessi potrei fare domanda e, forse, ottenerla. Dovrei solo compilare una decina di moduli, tornare nel paese dove sono nato e chiedere un certificato che dimostri che durante i miei primi dieci anni di vita non ho commesso alcun reato, autenticare tutto al Ministero degli Esteri, tradurlo e legalizzarlo al Consolato italiano e inviarlo agli Interni. Il tutto dopo aver pagato tasse e marche da bollo per diverse centinaia di euro. Trascorsi tre o quattro anni potrei ricevere la comunicazione per andare a fare il giuramento davanti a un sindaco che ho seguito in campagna elettorale. 
Con lo ius soli la politica ha l'ultima occasione per dimostrare di avere la lungimiranza per essere degna di rappresentare l'Italia vera, non solo quella elettorale. Se fallisse anche questa volta sarei molto indeciso tra fare domanda per diventare italiano, come voglio, o lasciare definitivamente l'Italia che non mi vuole.
 https://espresso.repubblica.it/attualita/2017/06/16/news/io-in-italia-da-18-anni-vi-spiego-perche-lo-ius-soli-e-una-battaglia-di-civilta-1.304417

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