In
estrema sintesi, che cosa pensa Diego Fusaro? Quali sono i fondamenti
della sua visione del mondo? Qui un quadro generalissimo che, senza
alcuna pretesa di esaustività, delinea alcuni degli indirizzi precipui
della riflessione di Diego Fusaro, quale viene esposta, fondata e
argomentata nei suoi saggi, nei suoi articoli e nei suoi libri. Non vi
è, nelle righe che seguono, alcuna pretesa di esaustività, ma solo la
volontà di fare un cenno generalissimo alla prospettiva
filosofico-politica di Diego Fusaro.
Diego
Fusaro si considera un allievo indipendente di Hegel e di Marx. Ritiene
Gramsci e Gentile i due più grandi filosofi italiani del Novecento.
Nella modernità, predilige – con Hegel e Marx – Spinoza e Fichte. Al di
là e prima dei moderni, è però dalla sapienza classica greca che ritiene
si debba ripartire: metafisica del limite e della giusta misura
(“métron áriston”), il sapere greco costituisce il fondamento della
coscienza storica occidentale, l’ineludibile base per un’ontologia,
un’etica e una politica centrate sulla figura del limite e sul
contenimento dell’illimitatezza come tragedia ai danni dell’essente e
della comunità umana. Prima di Hegel, è merito di Spinoza e di Vico aver
scoperto la Totalità (deus sive natura, con Spinoza) e la Storicità
(verum et factum convertuntur, con la “Scienza nuova” di Vico). La
verità filosofica corrisponde, per Fusaro, con il processo di
acquisizione di coscienza del genere umano pensato come un unico Io che
si fa sempre più libero e più consapevole, secondo il ritmo di un
processo scandito da alienazioni e disalienazioni. La verità, di
conseguenza, non è inerte rispecchiamento di una morta positività
pensata come autonoma e a sé stante. È, al contrario, l’attività pratica
tesa a far corrispondere alla soggettività umana l’oggettività, a sua
volta concepita come esito di un porre storicamente determinato. Di qui
l’importanza dell’idealismo tedesco e delle sue varianti rivoluzionarie
(Marx e Gramsci): la Sostanza deve essere intesa come Soggetto (Hegel),
il non-Io come posto dall’Io (Fichte). Lo spazio della storicità
coincide con il romanzo di formazione del genere umano, con il
compimento dell’identità di Soggetto e Oggetto come risultato del
processo del divenire-vero-del-vero. Il mondo capitalistico corrisponde,
dal canto suo, al momento della massima alienazione: l’umanità si è
perduta nelle proprie oggettivazioni storiche, non più intese come
prodotti del fare umano, ma concepiti come morte datità a cui adattarsi
passivamente. La conoscenza diventa mero rispecchiamento scientifico
(adaequatio rei et intellectus), la politica mera conservazione
dell’oggettività data. Il capitalismo diventa, dunque, l’apice
dell’estraneazione del genere umano rispetto a sé e alle proprie
potenzialità ontologiche. Nel regno capitalistico, l’uomo si perde e non
si realizza. È signoreggiato dai suoi prodotti anziché esserne signore.
Di qui l’esigenza vitale di una nuova filosofia della praxis che, sulle
orme di Gramsci e Gentile, defatalizzi l’essente e spezzi la mistica
della necessità: in quanto posto dal fare umano storicamente
dispiegantesi, il mondo oggettivo può ontologicamente e deve moralmente
essere razionalizzato per il tramite dell’azione. Il superamento del
capitalismo e l’attuazione di liberi rapporti comunitari resta il
compito, ad oggi inattuato, del pensiero e dell’azione. La filosofia,
sulle orme di Platone, è chiamata a condurre gli uomini fuori dalla
caverna in cui, schiavi ignari e cultori delle proprie catene, sono
imprigionati. Dopo una fase astratta di posizione di sé e una fase
dialettica conflittuale (borghesia vs proletariato), il capitalismo si è
oggi assolutizzato nella forma post-borghese, post-proletaria,
flessibile e finanziaria del capitalismo absolutus: assoluto cioè
perfettamente compiuto in quanto svincolato da ogni limite reale e
simbolico. Il nuovo conflitto di classe nel quadro del capitalismo
assoluto post-1989 è tra il nuovo Signore post-borghese e il nuovo Servo
post-proletario: ossia, tra l’aristocrazia finanziaria apolide
anti-proletaria e anti-borghese, da una parte, e la nuova plebe
precarizzata e pauperizzata, frutto del declino del ceto medio borghese e
della classe lavoratrice proletaria, dall’altra. L’aristocrazia mira a
ridefinire il mondo intero come “sistema dei bisogni” (Hegel)
deeticizzato per individui concorrenziali e legati esclusivamente dalla
geometria del do ut des. Aspira a distruggere tutti i valori proletari
(lavoro, dignità, diritti sociali, antagonismo emancipativo, coscienza
di classe) e tutti i valori dell’eticità borghese (coscienza infelice,
famiglia, enti pubblici, Stato). La vecchia unione tra la coscienza
infelice borghese e le lotte proletarie per il riconoscimento del lavoro
– fase dialettica del capitalismo – sono superate nel nuovo massacro di
classe a senso unico gestito dalla aristocrazia finanziaria ai danni
delle nuove plebi mondializzate post-borghesi e post-proletarie (il
precariato planetario). Di qui, ancora una volta, l’esigenza di proporre
piste di emancipazione reale – con Marx e Gramaci – per produrre
l’uscita dalla caverna della mondializzazione capitalistica e la
liberazione del genere umano dalle patologie del classismo, della
reificazione e della violenza ontologica ai danni del vivente e del
pianeta. Nel tempo dell’estinzione della dicotomia topologica di destra e
sinistra, occorre ricategorizzare il reale e pensare altrimenti,
riverticalizzare il conflitto (Servo vs Signore), ripoliticizzare
l’economia, rieticizzare la società, deglobalizzare il reale e
l’immaginario, rovesciare il nuovo ordine mondiale classista
americano-centrico in un nuovo multipolarismo di Stati sovrani
comunitari e democratici, solidali e centrati sul riconoscimento della
pluralità dei costumi e dei popoli, delle lingue e delle culture (contro
il modello unico della mondializzazione). Per approfondire questi temi e
tutti quelli connessi (qui impressionisticamente accennati), al centro
della riflessione di Diego Fusaro, potete leggere i suoi scritti (libri e
articoli principalmente).
https://www.diegofusaro.com/il-pensiero/
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