Giovanni Gentile
Vita e opere
Si forma alla Scuola Normale Superiore di Pisa, in cui
coesistevano la filosofia neo-hegeliana dello spaventiano Jaja e il
metodo storico-critico dell'italianista D'Ancona e del medievista
Crivellucci. Nei primi due laboriossimi decenni del secolo affianca
l’amico B. Croce nella redazione della rivista “La Critica”, pugnace tribuna del nuovo idealismo italiano.
Diventato docente universitario prima a Palermo (dal 1908),
poi a Pisa (dal 1914) e quindi a Roma (dal 1918), Gentile mette a
punto, in una serie di opere nate nell’insegnamento (Sommario di pedagogia come scienza filosofica del '13/'14, Teoria generale dello spirito come atto puro del '16, Sistema di logica come teoria del conoscere del
'17 e '23), il proprio “attualismo”, smarcandosi teoreticamente da
Croce. La prospettiva spaventiana della sintesi tra mente ed essere
viene radicalizzata nell’unicità dell’atto, compiendo una “riforma della
dialettica hegeliana” che mira alla compiuta unificazione di ontologia e
gnoseologia e di pensiero ed azione, come già era implicito, afferma
Gentile, nella dottrina vichiana del verum/factum ed è stato,
più recentemente, mostrato dalla filosofia della prassi marxiana,
seppure Marx ha frainteso, per Gentile, in senso materialistico, una
unità di pensare ed agire che non può che essere spirituale. La storia è
così interpretata come un continuo attualizzarsi del pensare ed agire
umano, in fogge sempre nuove, che ritrasformano le precedenti.
Dopo essere stato, al contrario di Croce, interventista,
Gentile entrò, d'accordo con Croce stesso, quale ministro
dell’istruzione nel primo governo Mussolini ed in breve tempo fece
varare una complessiva riforma della scuola, i cui cardini sono già nel
citato Sommario: una scuola in cui ogni elemento “tecnico”
viene inserito all’interno di una concezione educativa complessiva di
tipo storico-umanistico; una scuola, inoltre, che è popolare e per tutti
al grado elementare, per diventare poi esigente e selettiva nei livelli
medi-superiori. Nei contrasti che seguirono la riforma, Gentile si legò
sempre di più al fascismo, anche dopo la crisi del ’25, che segnò il
consumarsi dell’amicizia con Croce. Il Concordato del ’29 trovò Gentile
aspramente contrario, quale indebita ingerenza ecclesiastica nella
scuola laica dello stato. Pur rimanendo figura importante del regime e
legato a iniziative e istituzioni di prestigio come l'Enciclopedia italiana o
la Scuola Normale di Pisa, Gentile vide così il proprio ruolo
ridimensionato di fronte ai suoi “nemici” interni al fascismo. L’ultimo
periodo del regime, con l’Italia tagliata in due, vide Gentile accettare
di ritornare nell’agone politico a favore di Mussolini e della Germania
hitleriana, in una posizione che sarebbe voluta essere di mediazione e
di unità nazionale. Riuscì a concludere di getto la sua ultima opera, Genesi e struttura della società,
che uscirà postuma nel 1946, ma, ucciso in un agguato partigiano, finì
infine vittima di quella guerra a cui l’Italia era stata condotta dal
regime al quale era rimasto fedele fino all’ultimo.
Il pensiero filosofico-religioso
Nella propria tesi di laurea del '98, Gentile si rifà ai
due più innovativi filosofi cattolici dell'Ottocento italiano – Rosmini e
Gioberti – interpretati rispettivamente come una visione
soggettivistico-kantiana ed una oggettivistico-hegeliana, da integrare
in un'unità ontologico-gnoseologica, ma considera, filosoficamente, le
“spoglie del sentimento religioso” cattolico presenti in Rosmini e
Gioberti, solo come “pura forma esteriore e veste accidentale imposta da
ragioni estrinseche”. Più tardi, Gentile conclude la raccolta di saggi
dal titolo Il modernismo e i rapporti tra religione e filosofia (1909)
con un breve scritto in cui, reinterpretando spunti hegeliani, vede la
religione come momento di “oggettivazione” in cui lo spirito si presenta
in contraddizione con il puro pensiero soggettivo dell'arte, prima
della sintesi della soggetto-oggettività filosofica conclusiva; nel
continuo trapassare di una forma nell'altra – simbolizzato dall'immagine
del “fuoco spirituale liberatore” - la soggettività artistica e
l'oggettivazione della religione rappresentano “la sorgente perenne di
contraddizioni, la cui definitiva scomparsa segnerebbe la morte del
pensiero filosofico stesso”. Il cattolicesimo tradizionale è allora
interpretato come la “religione più perfetta”, perché coniuga
l'incarnazione dell'infinito nel finito e il volontarismo cristiano con
l'opposizione oggettiva che la religione in quanto tale deve avere,
mentre i Modernisti sono accusati di restare a metà strada, tra
l'oggettività della religione, da un lato, e la soggetto-oggettività
immanente della filosofia, dall'altro, già intravista da Giordano Bruno
(quest'ultimo è, infatti, autore molto amato e studiato da Gentile che
vede non nella Riforma, come Hegel, bensì nel Rinascimento italiano le
origini del pensiero moderno).
Fin da qui, dunque, si comprende che la filosofia
gentiliana della religione possa essere svolta differentemente, a
seconda se si accentui maggiormente l’elemento “mistico” del “fuoco
spirituale”, dell'affidarsi del soggetto finito all'Assoluto infinito,
oppure quello della “sanzione ultima della ragione” filosofica che tutto
riporta all'unicità dell'atto. Nei molti allievi di Gentile si verrà
così a formare una cosiddetta “sinistra”, che insisterà di più
sull'immanentizzazione razionale (A. Omodeo ,
G. Saitta, più tardi U. Spirito e G. Calogero), e una cosiddetta
“destra” che svolgerà infine l’atto gentiliano in direzione di un
aprirsi verso l’Assoluto divino (si vedano, per es., pur ciascuno con
posizioni specifiche, A. Carlini, F. Battaglia, A. Ferrabino).
Nelle sue opere “attualistiche”, Gentile articola questa
dialettica di conservazione/superamento di arte, religione e filosofia -
finito e infinito-, rispetto ai tipici temi filosofico-religiosi, quali
l'immortalità dell'anima e l'esistenza di Dio (si veda, ad esempio, la
riassuntiva, breve voce Religione del 1936 per l'Enciclopedia italiana).
Coerentemente con la propria concezione inclusivistica,
Gentile introduce, nella riforma scolastica del '23, l'insegnamento
obbligatorio della religione alle elementari, scuola di popolo per
tutti, basata sugli aspetti educativo-istruttivi più sentimentali e
diretti, mentre, su queste basi, negli esigenti gradi superiori, devono a
suo avviso emergere, per le future classi dirigenti, le componenti più
razionali e filosofiche. I rapporti di educazione e religione, intesa
quest'ultima come profondo rapporto tra finito e infinito che trapassa
in tutta la vita etica, politica e filosofica, innervano i Discorsi di religione, pubblicati nel 1920.
Nel tardo La mia religione del 1943, Gentile
insiste, anche per il clima politico di guerra civile, soprattutto sulle
componenti conciliative del proprio rapporto con la tradizione
cattolica, rifacendosi al concetto giobertiano di “poligonia”, per cui
all'interno di un unico cattolicesimo e di un'unica verità coesistono
molti lati possibili.
Nel secondo dopoguerra, il peculiare coinvolgimento con il
fascismo fece diventare indesiderato il nome di Gentile nelle diverse
aree culturali del Paese, ma il suo pensiero continuò ad agire
profondamente, per stimolo e anche per contrasto, in ognuna di esse:
rispetto alla religione, se faranno parte delle discussioni di area
“laica” – liberale o marxista – alcuni spunti “inclusivistici” della
“sinistra” gentiliana, l’impostazione di “destra” continuerà ad essere
oggetto di approfondita riflessione in filosofi cattolici, pur di
diversa provenienza rispetto a Gentile, come Guzzo, Sciacca, Stefanini, Bontadini, Del Noce.
Anche più recentemente, il pensiero gentiliano sulla religione resta
dibattuto, sia per quanto riguarda la religione stessa, sia per quanto
riguarda il suo complesso rapporto con la politica e con la storia
italiana ed occidentale (cfr. i vari contributi, da diverse prospettive,
sulla religione gentiliana in Ciliberto 2016).
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