L’infinito viaggiare: la parabola esistenziale di Magris
Lo scrittore nasce a Trieste nel 1939. Nel corso del suo percorso accademico diviene un profondo conoscitore della letteratura europea, specie quella centrale e ottiene una cattedra prima a Torino, poi a Trieste, in letteratura tedesca, inoltre nel corso della sua vita ottiene vari riconoscimenti letterari, come la consecuzione di prestigiosi premi letterari come il premio Bagutta (con l’opera Danubio nel 1986), il premio Strega (con Microcosmi nel 1997), e anche il premio Principe delle Asturie nel 2004, nella sezione letteratura. La sua carriera letteraria è costellata di successi, ma anche nel settore civile Magris non manca di alti riconoscimenti e onorificenze, diventa infatti senatore del parlamento italiano (1994-1996) e ottiene anche il titolo di Cavaliere di gran croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana (2001). Dal 2006 entra a far parte dell’Accademia dei Lincei.
Il pensiero magrisiano, accompagnato da uno stile raffinato, elegante ed asciutto è un elemento che il lettore odierno può certo apprezzare e sentire proprio, non certo senza una buona dose di curiosità e di conoscenza pregressa. Una delle caratteristiche degli scritti di Magris è infatti un enciclopedismo, quasi borgesiano alle volte, ricco di riferimenti dotti e sofisticati. Uno stile medio-alto che risulta funzionale agli obiettivi prefissi dalle opere stesse dello scrittore. La saggistica di Magris contiene acuti spunti di riflessione, ed offre al lettore l’opportunità di soffermarsi e confrontarsi con il punto di vista lucido e riflessivo dello scrittore sul mondo. Uno dei temi tra i più trattati nel mondo magrisiano è sicuramente quello del viaggio, un esperienza che per lo scrittore triestino assume un particolare ruolo e una particolare importanza nella vita esistenziale di ogni uomo.
Il tema del viaggio viene trattato, antecedentemente al saggio L’infinito viaggiare (2005), anche nei romanzi Danubio (1986) e Microcosmi (1997), ma tale tematica ne L’infinito viaggiare viene probabilmente affrontato più autenticamente, in quanto i fatti, a differenza di Danubio e Microcosmi, sono puntellati come se fossero nuovi, vissuti al momento, raccogliendo articoli di giornali, impressioni, appunti, invece che divenire materiale da racconto. L’opera si presenta inizialmente come un diario di viaggio, quello che a tutti gli effetti è, ma a uno sguardo più approfondito, si rivela la componente più interessante dell’opera, la sua nascosta e interessante filosofia. Infatti sin da subito si può notare come il viaggio non diventi una novella, bensì un mondo attorno cui la vita di tutti i giorni gravita.
Da questa caratteristica metafisica del viaggio, Magris prende spunto per tracciare sin da subito, nella prefazione, le caratteristiche tipiche del “viaggio”. Lo scrittore dapprima ne confronta e sviscera vari filoni di pensiero, da quello antico e circolare odisseico, mettendo in risalto la caratteristica evoluzione del viaggio che muta il mondo rendendolo precario e rendendo precario il senso della comune esistenza stessa, a quello nietzschiano, ovvero quello che prosegue come una linea retta dispersa nell’oblio e nel vuoto esistenziale.
Il viaggio, ci dice Magris, non mostra solo la precarietà del mondo, bensì anche quella del viaggiatore, ma sopratutto il viaggio non è un “andar via”, ma è un “essere”, come una tartaruga che con la propria casa viaggia per il mondo. Quando si è in viaggio non si è in nessun luogo qualcuno direbbe, ed invece Magris si oppone nettamente a questa presa di posizione e anzi ci dice che il viaggio stesso è il luogo in cui siamo, nel pensiero magrisiano il viaggio diventa dunque esistenza viva e lecita, dinamica e accesa, forte e piena. Diventa il vero contenitore della vita totalizzante. Alla domanda “Viaggiare verso dove?” quindi la risposta suggerita sembra essere non un luogo, ma una qualità dell’ essere, viaggiare verso il viaggiare, con un gioco di parole si potrebbe dire.
Ma se viaggiare diventa il luogo dell’essere, primordiale e infinito come il viaggio stesso, un’altra domanda arriva alle orecchie del viaggiatore: “Perché viaggiare?”. A questa domanda Magris risponde con l’esempio di don Chisciotte, la cui sortita “vorrebbe essere la scoperta, la verifica e la riconferma di ciò che si sa, della verità letta nei libri di cavalleria”, ovvero viaggio inteso come conferma, come riconquista della vita e del suo mistero.
L’autore delinea così un viaggio utopico, infinito ed esistenziale, che porta con sé la scoperta e la riscoperta, l’incontro e lo scontro col mondo, un viaggio che egli assimila allo scrivere, che diviene analogia necessaria di questo viaggio come del vivere stesso. Attraverso la scrittura si parte per strade sempre nuove e sempre vecchie, le parole che, già mille volte usate, prendono nuova forma e si intrecciano per formare una nuova strada, un nuovo viaggio. Il viaggio viene presentato come esistenza, come crogiolo della storia e dell’umanità e assume tutte quelle caratteristiche che lo rendono la più alta forma di espressione dell’esistenzialismo magrisiano, in cui si parla di un viaggio che può iniziare da un rigo, da un oggi o da un dove e che conduce per molteplici strade, per snodati percorsi all’interno di una vita già labirintica e tortuosa, un viaggio che cambia nei luoghi (si passa da Berlino, da Londra, alla Spagna) o nel tempo, un viaggio continuo che non si spezza, (anche se i documenti non sono ordinati cronologicamente), un viaggio che parte e riparte periodicamente e che potenzialmente non finirà mai. Magris ha dunque raccolto questo suo saggio una brillante osservazione, che viene già espressa nel titolo: Viaggiare non ha fine, ne un inizio, viaggiare è indefinito perché è misto ed intriso della stessa materia di cui è composta l’eternità, viaggiare è ora, oggi, domani e ieri, non ha tempo, né direzione, perché è ogni tempo e ogni luogo, viaggiare è la metaforica visione dell’ Universo.
Viaggiare è infinito.
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