Questo articolo riprende ampiamente i concetti presenti nel testo " Imparare un'altra lingua" di Bettoni (2004) dove ci si concentra sulle possibilità di comprensione del fenomeno dell'apprendimento linguistico.
Come ben sappiamo imparare un'altra lingua è oggi necessario per molti e utile per tutti. La domanda principale di questo lavoro della Bettoni (2004) è di provare a rispondere come avvenga questo processo di apprendimento. Infine lo scopo ultimo è quello di facilitare l'apprendimento di una nuova lingua per tutti gli apprendenti attraverso un apprendimento naturale della lingua.
Per fare questo abbiamo bisogno di delimitare il campo di studio dell'apprendimento linguistico.
1. Un'altra lingua
Un'altra lingua è una lingua che l'individuo impara dopo che si è stabilizzata la sua prima lingua.
Pertanto la L2 differisce su tre criteri:
- la cronologia ( si impara dopo la L1)
- la competenza ( la si conosce meno bene)
- l'uso ( la si usa meno spesso).
Quando impariamo la L2 da adulti siamo già cognitivamente e socialmente maturi e conosciamo già la L1. La presenza della L1 e l'uso meno frequente frenano il processo di apprendimento della L2.
Tuttavia, i problemi principali dipendono in larga misura dalle caratteristiche della L2 in questione.
Imparare
L'ambiguità del termine " imparare" lo rende altamente utilizzabile insieme al suo corrispondente " apprendimento". Da una parte, il processo di apprendimento della L2 può essere inteso come sviluppo, e cioè come un processo di maturazione biologica determinata da fattori genetici poco modificabili. Dall'altra parte, l'apprendimento si può intendere come processo di crescita sociale dovuta principalmente all'esperienza e all'ambiente,e quindi modificabile con un intervento come l'insegnamento. Nel mezzo ritroviamo l'ambiguità dell'apprendimento che lascia intoccati i concetti di intenzionalità, il controllo e la consapevolezza. Apprendente è sia chi sta imparando per così dire malgrado se stesso solamente perché gli capita di essere circondato dalla L2, sia chi consciamente controlla il proprio processo di apprendimento. Tanto che poi si è spinti a distinguere tra apprendimento spontaneo e apprendimento guidato ( insegnamento). Prototipicamente, l'apprendimento spontaneo è inteso come più inconsapevole, inconscio, preterintenzionale, implicito, con la sensazione di quello che è giusto e quello che è sbagliato; l'apprendimento guidato come più consapevole, esplicito, con ricorso alle regole per validare la propria produzione.
Questo libro della Bettoni (2004) parlerà soprattutto di imparare, apprendente e apprendimento in una prospettiva di apprendimento spontaneo principalmente.
Tuttavia queste distinzioni concettuali e terminologiche lasciano irrisolte due questioni cruciali: la relazione tra sviluppo e apprendimento, ovvero tra maturazione biologica, ruolo dell'esperienza sociale e margine d'intervento possibile per l'insegnamento.
Conoscere
Il parlante L1 ha piena competenza della propria lingua. Questa competenza è insieme linguistica e comunicativa. Data la sua competenza linguistica, il parlante L1 conosce le regole che governano la sua lingua, e sa applicarle senza prestarvi attenzione. Sa distinguere quello che nella sua lingua è tipico, corretto, ben formato da quello che è atipico, errato, mal formato. Inoltre, il parlante in L1 conosce intuitivamente anche i significati cognitivi, affettivi e culturali espressi dalle forme linguistiche. Come nativo sa che due frasi diverse possono avere lo stesso significato e che al contrario una stessa frase può avere significati diversi. Questa fusione tra forma e significato manca al parlante L2, dove le sue forme della L2 possono sembrare strane e innaturali. In quanto comunicativamente competente, il parlante L1 usa la sua lingua spontaneamente per comunicare e conosce intuitivamente le funzioni sociolinguistiche che le forme hanno nel loro contesto d'uso. Sa usare la lingua come azione, per salutare, scherzare, promettere, persuadere, ecc. Per il parlante L2 principiante tutte queste azioni linguistiche sono un miraggio. Inoltre, il parlante L1 conosce stili e registri diversi nell'ambito della propria lingua e sa in quali circostanze è appropriato usarli. Tutto questo per il parlante L2 rappresentano uno scoglio molto difficile.
La piena competenza linguistica e comunicativa consente al nativo di prestare poca attenzione alla forma e massima attenzione al contenuto della comunicazione. Il contrario avviene per l'apprendente L2 costretto a porre tutta la sua attenzione sulle forme rendendo la sua comunicazione molto impoverita. Nel parlante L1 postuliamo questa competenza come un sistema interno che elabora gli elementi linguistici in modo da permettergli sia di assegnare significati agli enunciati degli altri, sia di produrre significati attraverso i propri enunciati.
Ad ogni modo, sia in L1 che in L2 questa competenza sistema è un costrutto mentale accessibile attraverso l'esecuzione, l'elaborazione linguistica degli individui.
Usare una lingua
L'elaborazione delle conoscenze linguistiche porta alle attività del parlare e dell'ascoltare. La complessità del compito di usare una lingua in tempo reale è evidente in alcune cifre ( Bock e Garnsey 1998): cognitivamente, il parlante nativo può comodamente articolare tre o quattro parole al secondo, coordinando il lavoro di più fibre muscolari di quante non ne occorrano per qualsiasi compito meccanico del corpo umano; e le può udire alla stessa velocità con le 16.000 cellule dei peli cocleari. Linguisticamente, una persona adulta conosce in media 45.000 parole della sua L1 e queste possono essere sistemate nell'infinito numero di modi permesso dalla grammatica di quella lingua.
Pescare tra l'intero lessico mentale 4 parole al secondo e sistemarle nel modo giusto non è impresa cognitiva e linguistica di poco conto. Inoltre socialmente quando usiamo la lingua per conversare sappiamo che per ogni interlocutore, il parlante valuta l'altezza della voce, l'appropriatezza delle parole, gli argomenti di interesse comune, le circostanze dell'incontro, i motivi del parlare e così via.
Tutte queste operazioni mentali utili per la comprensione e la produzione della nuova lingua risultano molto stancanti per un parlante quando si ritrova nel paese di cui sta imparando la lingua.
L'interlingua
L'interlingua è la lingua cosiddetta degli apprendenti, e la intendiamo qui tanto nel senso del sistema-competenza ( la langue), così come nel senso della effettiva esecuzione individuale ( la parole)
L'interlingua è un sistema di tipo dinamico composto da vari stadi: sono generalmente simili per tutti ma c'è molta varietà tra uno stadio all'altro. L'interlingua è molto influenzato dalla L1 del parlante.
Questo sistema ha una sua coerenza interna come una lingua indipendente e non sempre rapportata alla L2. Ad esempio, quando un parlante dice "bevere" anziché "bere" non viene interpretato come ignoranza della L2, ma come conoscenza della regola di formazione dell'infinito verbale, dedotta dall'imput dell'ambiente linguistico in cui ricorrono forme come "bevi, bevevano, bevendo".
L'interlingua è una lingua in continua evoluzione verso la L2 man mano che l'apprendimento avanza. Il punto d'arrivo è certamente la L2. La formazione dell'interlingua proviene da elementi linguistici della L2, della L1 e altri ancora provenienti da altre lingue. Quest'ultimi sono frutto di ipotesi formulate in base a conoscenze generali del linguaggio, non specifiche delle due lingue in gioco.
Gli apprendenti non imparano le proprietà della L2 tutte insieme ma procedono per gradi di approssimazione verso la L2. Questa approssimazione avviene per ipotesi, per tentativi; quindi l'interlingua, oltre a variare in diacronia perché dinamicamente tende alla L2, è anche instabile nei suoi singoli stadi. Tuttavia il percorso verso la L2 è in larga parte comune ma variano molto la velocità e l'esito finale ottenuto. Pochissimi imparano la L2 perfettamente mentre molti si fermano per strada.
Il concetto di modularità
L'apprendimento di una L2 consiste in un insieme di processi separati in cui ognuno di questi processi costituisce un modulo. Possiamo supporre che alcuni moduli che riguardano l'apprendimento della L2 operino con gli stessi principi: per esempio, l'apprendimento della morfologia obbedisce a principi non molto diversi da quelli della sintassi, ma quello della pronuncia obbedisce a principi diversi da quello della grammatica.
Questo fatto spiega come mai i risultati dell'apprendimento possono variare così tanto in funzione del modulo considerato. Per esempio, un apprendente può avere una pessima pronuncia e un ampio vocabolario; un altro può socializzare con elementi pragmatici più appropriati di uno che parli in modo grammaticalmente più corretto. La modularità suggerisce che l'intervento possa variare in funzione dell'obiettivo: leggere può servire per imparare la grammatica meno per l'intonazione; imparare a memoria può andare bene per il lessico e non per le regole di pragmatica.
Resta irrisolta la questione cruciale della interdipendenza dei moduli come nel caso del parlato spontaneo in cui operano in simultaneo sia il sistema uditivo, fonatorio e cognitivo.
Queste prospettive di interpretazione della modularità riguardano diverse discipline come la linguistica, la psicolinguistica e la sociolinguistica.
La linguistica è la disciplina principe perché si occupa di fornire degli strumenti concettuali per la descrizione delle lingue naturali. Nello spiegare i meccanismi che portano all'apprendimento della L2 i linguisti tendono a parlare di principi linguistici, regole linguistiche, universali linguistici, ecc.
La psicolinguistica si occupa di analizzare i meccanismi mentali dell'apprendimento linguistico in particolare cercando di cogliere il modo con cui lavora la mente umana, con cui le strutture linguistiche emergono e si sviluppano come parte del repertorio mentale. In pratica si occupa degli aspetti invariabili dell'apprendimento.
La sociolinguistica cerca di individuare e spiegare i fattori sociali e situazionali che influenzano l'uso linguistico. Questa disciplina si occupa prevalentemente della dimensione variabile dell'apprendimento linguistico, della diversità di percorso, di velocità e di esito finale riscontrata in apprendenti diversi, in contesti diversi.
Ovviamente una teoria completa dell'apprendimento della L2 deve anche stabilire le connessioni tra i moduli, e quindi deve essere interdisciplinare.
Questa modularità interessa anche i livelli di analisi linguistica dove un problema importante è quello di dominare la vasta totalità della lingua, ordinando e limitando la materia di studio dell'apprendente.
La gente comune quando impara una lingua parla di "pronuncia", vocabolario, grammatica.
Per i linguisti i suoni sono fonetica, fonologia; le parole sono lessicologia, morfologia; le frasi sono sintassi; il testo è analisi del discorso e pragmatica; il significato è semantica.
Questa prospettiva dal basso riguarda soprattutto il ricercatore mentre per l'apprendente si tende a partire dall'alto: prima sentiamo un enunciato intero in una situazione reale e poi lo scomponiamo; e per parlare, prima siamo calati in una situazione reale ( livello pragmatico) e abbiamo qualcosa da dire ( livello semantico), poi cerchiamo le parole che ci servono ( livello lessicale e grammaticale) e solo infine ci preoccupiamo dei suoni ( livello fonologico). Insomma, gli apprendenti comunicano per testi anzi per testi calati nella situazione reale, e quindi per enunciati non per fonemi.
La grammatica, ossessione delle vittime dell'insegnamento, è molto meno importante nei contesti di parlato spontaneo, dove invece dominano le considerazioni pragmatiche.
Quando ordiniamo la vastità della lingua ritroviamo quattro abilità: ascoltare, parlare, leggere e scrivere. ( scrivere e parlare sono produttive, leggere e ascoltatore sono ricettive).
In questo lavoro si parlerà in modo prevalente del parlare dato che le esigenze comunicative nel mondo globalizzato richiedono sempre più attenzione alle abilità orali.
A queste quattro abilità si aggiunge una quinta detta " metalinguistica", ossia la capacità di parlare della lingua, di riconoscere gli errori, di distinguere tra diversi gradi di appropriatezza, formale, funzionale, ecc.
Lo studio delle lingue straniere
Questo interesse per l'apprendimento delle lingue seconde è molto antico ma gli studi moderni sono abbastanza recenti. Infatti il loro sviluppo dipende da due fattori principali: le questioni pratiche dei migranti nelle aree industriali del mondo e il clima culturale che porta alla ribalta minoranze.
L'avvio di questi studi ha consentito un cambiamento di prospettiva sulla natura dell'errore e il risultato iniziale più clamoroso è stato l'elaborazione del concetto di interlingua. Da qui, l'interesse odierno nello scoprire e spiegare la sistematicità di tale sistema.
Questi studi si sono avvalsi di varie metodologie in funzione degli obiettivi da perseguire: da un lato abbiamo delle metodologie di tipo qualitative di stampo fenomenologico, descrittive, induttive che puntano alla formulazione di ipotesi, focalizzando l'attenzione sul processo. Dall'altro abbiamo delle metodologie di tipo quantitative di stampo logico-positivista, deduttive che puntano alla verifica di ipotesi focalizzando l'attenzione sul prodotto.
Chiaramente, le discipline diverse privilegiano metodologie diverse anche se idealmente occorre puntare ad un orientamento di tipo complementare.
Ad esempio, se vogliamo monitorare i livelli di soddisfazione, di interesse, di ansia in una classe con adulti funzionerà meglio l'introspezione o il diario etnografico.
Nell'ambito di questi studi si è posta molta attenzione agli elementi formali della lingua pur riconoscendo tutti l'importanza del contenuto sulla forma. Per quanto riguarda i livelli di analisi si è privilegiato il livello grammaticale e anche in ambito modulare si è privilegiato singole strutture grammaticali o funzioni linguistiche, quali la temporalità, la modalità, la relativizzazione piuttosto che gli stadi globali. In modo particolare si è spesso studiato il parlato degli adulti con un livello iniziale di competenza linguistica.
Prima capire
Per imparare una L2 occorrono pezzi di L2 che possono essere di tipo orali ( conversazioni con nativi, film); scritti, in forma di giornali, email, libro di testo. Tutti questi sono denominati degli input. Purtroppo non tutto quello che si sente o si legge, si traduce direttamente in apprendimento. Perché l'input diventi produttivo, ossia possa contribuire alla costruzione dell'interlingua ed eventualmente tradursi in output, deve essere capito. In pratica, l'input deve diventare intake.
La comprensione linguistica è un processo complesso: l'input diventa comprensibile perché è situazionalmente contestualizzato e intrinsicamente strutturato e deve essere modificabile e negoziabile da parte di tutti e due gli interlocutori, l'ascoltatore e il parlante. L'ascoltatore è coinvolto sotto due aspetti fondamentali pscicologicamente come elaboratore di informazione e socialmente come interlocutore che interagisce con il parlante.
In breve per capire la lingua orale abbiamo bisogno di queste condizioni:
- INPUT: CONTESTUALIZZATO, STRUTTURATO, MODIFICABILE, NEGOZIABILE
ASCOLTATORE: ELABORATORE, INTERLOCUTORE
L'INPUT
La contestualizzazione situazionale dell'input è data dalle coordinate sociolinguistiche dell'interazione: essenzialmente, l'ambiente culturale e la scena spazio-temporale, i partecipanti ( parlante-emittente e ascoltatore-destinatario), lo scopo e l'argomento dello scambio comunicativo ( Berrutto 1995: 86-93).
L'input pur essendo sempre contestualizzato, la sua rilevanza non è sempre costante per decifrare il messaggio come ad esempio durante una conferenza scientifica dove sono più importanti le conoscenze sull'argomento e sulla lingua adoperata nella conferenza. Invece se dico ad una persona:
- tieni, prendilo
In questo enunciato è importante sapere che sta emettendo l'enunciato, chi è il "tu" a cui è rivolto, dove avviene l'enunciazione, nonché l'identità referenziale extralinguistica del pronome deittico " lo".
In questo esempio, il contesto è più importante della lingua per decifrare il messaggio.
Per l'apprendente l'input più facilmente decifrabile è quello in cui l'equilibrio tra l'informazione extralinguistica e quella linguistica è sbilanciato a favore del contesto. Esiste come un principio di compensazione tra informazione linguistica e contestuale poiché più è povera l'informazione più sarà ricca l'informazione contestuale e viceversa. Se il contesto rende ovvio quello che viene detto, l'apprendente ha maggiore opportunità di focalizzare l'attenzione sulla forma. Anche nel caso di un input fornito con pieno ancoraggio contestuale, la decifrazione linguistica può essere ostacolata. Infatti quello che è congruo e plausibile in una cultura non lo è necessariamente in un'altra.
Ad esempio in Italia un atto linguistico per chiedere di spostarsi potrebbe essere formulato in questo modo : ti puoi spostare un attimo? mentre in Inghilterra è probabile che si dica: penso che tornerò più tardi?
Quindi per un apprendente di L2 viene meno l'informazione parallela presente nel messaggio.
L'input è strutturato
L'input orale è suono continuo, le cui pause avvengono tra frasi o sintagmi piuttosto che tra parole e decifrare queste pause nella continuità dell'orale è molto importante. Dovendo scoprire le strutture specifiche le strutture specifiche della L2 che non conosce ancora il parlante. Tuttavia, il parlante possiede già delle conoscenze linguistiche ( Klein, 1986):
- le conoscenze generali del linguaggio, in quanto parlante di almeno una lingua.
- le conoscenze specifiche della propria L1
- le conoscenze parziali della L2
- le eventuali conoscenze, parziali o meno, delle altre L2.
Gli universali linguistici sono le proprietà ricorrenti nelle lingue del mondo. Per capire meglio proponiamo tre esempi di universali linguistici per fare quanto sappia già il parlante prima di affrontare una L2. In primis, sul piano fonologico le parole sono composte di sillabe. In secondo luogo, a livello sintattico, la struttura gerarchica determina la segmentazione degli enunciati in costituenti. In terzo luogo, sul piano semantico, ad esempio la denominazione degli utensili non fa riferimento alle loro qualità fisiche ma all'attività umana che permettono di compiere.
Tra i numerosi universali linguistici particolarmente utili alla decifrazione dell'input, Klein (1986) ne elenca alcuni:
- un enunciato è scomponibile in parole, le parole in sillabe, e le sillabe in fonemi;
- i fonemi sono divisi in consonanti e vocali;
- le sillabe tendono ad avere un nucleo vocalico, che è affiancato da consonanti;
- vocali e consonanti tendono ad alternarsi nella sillaba, per cui i nessi consonantici tendono a marcare i confini sillabici;
- una pausa di solito ricorre al confine di parola ( ma non tutti i confini di parola sono indicati da una pausa);
- ci sono parole che hanno un significato prevalentemente grammaticale ( le parole di funzione: in, e, il, se), e parole che hanno un significato prevalentemente lessicale ( le parole di contenuto: scarpa, ritirare, piacevole, trenta).
- le parole di funzione tendono a essere più corte ( tipicamente monosillabiche), ricorrono con maggiore frequenza, e di solito sono meno accettate delle parole di contenuto;
- la regola generale è: una parola, un significato.
Aiutano inoltre a decifrare l'input altre proprietà che rendono più salienti specifiche parti dell'enunciato ( Klein, 1986):
- la frequenza con cui alcune parole ricorrono nell'enunciato;
- la posizione che occupano nell'enunciato
- la struttura prosodica dell'enunciato
E' facile pensare che le parole che ricorrono più frequentemente, quelle che si trovano all'inizio e alla fine di un enunciato siano più facili da notare delle altre. Ad esempio, può essere di aiuto sapere che in alcune lingue l'accento può occupare un posto fisso all'interno delle parole.
Ad esempio, in francese spesso l'accento si trova sull'ultima sillaba mentre l'italiano contempla quattro posizioni diverse, la posizione preferita è sicuramente la penultima sillaba:
- capitano - capitomboli- capitello- capiterò
Il ritmo dell'italiano si basa sulla sillaba mentre in inglese sull'accento. In inglese praticamente senza eccezione le parole di contenuto contengono una sillaba forte mentre le parole di funzione sono frequentemente realizzate solo con sillabe deboli.
L'input è modificabile
Quando la lingua rivolta agli apprendenti da parte dei parlanti viene in qualche modo modificata con l'intenzione di renderla più semplice si parla in quel caso di " foreigner talk". Le nostre domande sono:
- Quali sono le modifiche che caratterizzano il foreign talk?
- In quali condizioni viene usato?
- serve effettivamente per rendere l'input più intellegibile?
Le modifiche offerte dal parlante nativo dell'apprendente interessano tutti i livelli di analisi.
Sul piano fonologico il parlato rivolto agli apprendenti è spesso emesso a voce più alta, più lentamente e con minore ipoarticolazione. Le parola chiave dell'enunciato sono pronunciate con maggiore forza. Alla lentezza contribuisce anche l'articolazione più marcata.
- A livello lessicale, il foreigner talk sceglie parole più comuni preferendo gli iperonimi agli iponimi. Ad esempio, in inglese per parlare della pioggia si parlerà di " rain" ( pioggia) e non di " drizzle" ( pioggerella), "shower" ( scroscio), down pour ( acquazzone), deluge ( diluvio). Inoltre sono evitate espressioni troppo colloquiali, idiomatiche o figurate. Ad esempio viene evitata in italiano la negazione " mica", un corno o un fico secco.
A livello morfo-sintattico, gli enunciati del foreigner talk tendono ad essere più corti e meno complessi, ossia le frasi avranno meno proposizioni, soprattutto meno dipendenti. Inoltre, le relazioni grammaticali tendono ad essere più esplicitate come in questo esempio:
- ha chiesto di andare a casa diventa " ha chiesto se poteva andare a casa".
A livello pragmatico notiamo una forte preferenza per la forma allocutiva " tu" per rivolgersi ad un parlante straniero ( soprattutto se migrante). Questa preferenza per forme più dirette si manifesta anche con gli ordini espressi più spesso con l'imperativo piuttosto che con altre forme verbali:
- tu vieni!
Nel foreigner talk, la distinzione tra semplificazione ed elaborazione è importante perché la semplificazione offre un input più facile ma poco adatto all'apprendimento mentre l'elaborazione formale può offrire un input non solo più facile da capire ma anche più ricco di elementi ancora da imparare. I fattori che determinano la variabilità del foreigner talk sono parecchi ma in modo essenziale sono la valutazione del livello della competenza linguistica. Per i casi peggiori di foreigner talk possiamo aggiungere lo status sociale inferiore e la conversazione spontanea.Ad esempio può essere fonte di mancanza di rispetto tanto parlare normalmente senza alcuna preoccupazione di farsi capire, quanto modificare troppo dato che l'aiuto offerto comporta sempre un rischio di condiscendenza. Il foreigner talk può essere utile quando a livello fonologico la pronuncia è più accurata e con una pronuncia completa della parola per fare capire bene i confini delle parole. A livello lessicale e pragmatico, i gesti possono aiutarlo a capire i referenti extralinguistici delle parole. A livello sintattico bisogna mettere in avanti l'informazione nuova ( ossia il verbo). A livello pragmatico, gli argomenti devono essere legati ad un " hic et nunc" che si presta a un maggiore ancoraggio al contesto extralinguistico.
Il teacher talk è diverso per due aspetti dal foreigner talk: non è mai sgrammaticato e risulta meno grossolanamente calibrato sui bisogni degli allievi. Oltre alle modifiche apportate dal parlante nativo sono forse più utili quelle conversazioni negoziate tra parlante e ascoltatore, perché consentono all'apprendente di ottenere un input calibrato su misura.
L'input è negoziabile
Nel caso in cui nonostante la contestualizzazione, le conoscenze linguistiche precedenti e le modifiche provenienti dal foreigner talk , rimangono problemi di comprensione, il parlante nativo e l'apprendente insieme possono ricorrere alla negoziazione dell'input nell'interazione conversazionale.
La negoziazione può avvenire in vari modi: ad una minima segnalazione di incomprensione, comunicata tramite il viso o gesti, possono abbondare le ripetizioni e le riformulazioni come in questo esempio in francese:
- qu'est-ce qu'il faisait au Chili? il travaillait au Chili? quel métier? qu'est-ce qu'il faisait au Chili votre mari?
In questo esempio si tende a rendere l'argomento più saliente dislocando per ottenere la coesione testuale con sintagmi nominali pieni piuttosto che con pronomi e avverbi, a fornire le parole della risposta tramite la domanda.
La segmentazione degli enunciati è molto utile per aiutare gli apprendenti. Gli studi confermano che l'input negoziato conversazionalmente è più facile da comprendere dell'input modificato unilateralmente da parte del parlante nativo. Tuttavia, una volta stabilita che la negoziazione dell'input promuove la comprensione, rimane da dimostrare che la comprensione promuove l'apprendimento e dunque che la negoziazione promuove l'apprendimento.
L'ascolto
L'ascolto è un'attività complessa che coinvolge tutti i livelli di analisi. Il suo continuum si colloca tra non capire niente e capire tutto, vale a dire si colloca nelle infinite sfumature. Come funziona il processo di comprensione è stato l'obiettivo del modello psicolinguistico di Levelt ( 1989). Infatti seguiamo un enunciato nel suo percorso ideale di trasformazione da messaggio acustico a messaggio perfettamente compreso. Ecco un esempio:
- lo scoiattolo scodinzola contento.
Il processo di ascolto attiva nell'apprendente subito un primo elaboratore, chiamato uditore che trasforma il suono in stringa fonetica. A questo punto, il suono non è più rumore ma è un enunciato parlato. Poi questa stringa fonetica passa ad un secondo elaboratore, chiamato decodificare che la trasforma prima in elaborazione fonetica, poi in elaborazione grammaticale. Poi arriva ad un terzo elaboratore chiamato interprete che accetta la stringa analizzata e completa così la comprensione. In quel esempio, l'apprendente capisce che ci sono:
30 fonemi, raccolti in 10 sillabe, delle quali alcune sono accentate più di altre con un loro ritmo e organizzate con una loro intonazione:
- capire la distinzione tra consonanti e vocali, all'interno di sillabe che formano parole è il modo per avvicinarsi alla comprensione. Questa decodifica è in relazione con il lessico, o meglio con un magazzino di conoscenze lessicali. In questo magazzino, le parole sono delle forme fonologiche e morfologiche sia come lemmi ( specialità semantica e grammaticali). La relazione che esiste tra la componente di elaborazione fonologica del decodificatore e la parte formale del lessico permette l'attivazione di procedure di esplorazione del magazzino. Questo processo consente all'apprendente di capire che le parole sono quattro ad esempio e che hanno la seguente forma:
lo skojattolo skodintsola kontento.
Nella seconda fase si passa all'elaborazione grammaticale. Questa si colloca in complesse procedure in relazione con la parte lemmatica delle parole del magazzino lessicale, le decodifica semanticamente e grammaticalmente. A questo punto, l'apprendente capisce sia il significato delle quattro parole ( che lo scoiattolo è un animale, di piccola dimensione, con una bella coda) sia le loro caratteristiche grammaticali. Tra questo "lo" è un articolo determinativo maschile singolare, " scoiattolo" è un nome maschile singolare, " lo scoiattolo" è un sintagma nominale e soggetto; " scodinzola" è un verbo che richiede un argomento ( lo scoiattolo). A questo punto, l'apprendente capisce il significato delle parole e la relazione formale in cui stanno l'una con l'altro ma deve ancora interpretarle. Le complesse procedure di elaborazione dell'interprete sono in relazione con un secondo magazzino, quelle delle conoscenze generali: conoscenze del mondo, contesto extralinguistico ( chi parla, dove), il contesto linguistico ( l'enunciato precedente), i modelli del discorso ( descrizione, narrazione, argomentazione), le regole della cooperazione conversazionale e dell'avvincendamento del turno. A questo punto, la comprensione del messaggio acustico si può dire conclusa.
Da questo momento, l'apprendente capisce non solo che " lo scoiattolo scodinzola contento" ma che si tratta di quel preciso scoiattolo che in quel momento sta su quel ramo qualche metro più in là.
In sintesi, le conoscenze procedurali sono raccolte in tre principali componenti di elaborazione: l'uditore, il decodificatore e l'interprete. Il decodificatore è in relazione con le conoscenze lessicali e l'interprete con le conoscenze generali. Ogni elaboratore è visto come una serie di routine computazionale che operano sulle conoscenze dell'ascoltatore. Ogni elaboratore riceve un input e produce un output che a sua volta diventa l'input dell'elaboratore successivo.
Autonomia
L'autonomia implica che ogni componente dell'elaborazione lavora in modo altamente specializzato e specifico. Il decodificatore grammaticale è specializzato solo nell'identificare nel lessico i significati delle parole della struttura superficiale e nel metterle grammaticalmente in relazione l'una con l'altra. Inoltre per eseguire le sue procedure specifiche, il decodificatore grammaticale ha bisogno del suo unico input. Infine produce il suo "output" e questo non è prodotto da nessun altro componente.
Nella realtà, la gerarchia delle procedure di elaborazioni può alterarsi. A volte, alcune procedure possono saltare perché si può persino capire un parlante prima che abbia finito di parlare.
Il contesto linguistico è molto importante per aiutare la decifrazione.
L'incrementalità è la seconda caratteristica della procedura di elaborazione attivata durante l'ascolto. L'incrementalità dell'elaborazione vuol dire che una componente può incominciare a lavorare sull'output ancora incompleto della procedura precedente: ad esempio se dico : a Natale a Napoli questo mi permette di anticipare la presenza di un tempo passato come l'imperfetto " nevicava).
In L2, l'apprendente deve acquisire le conoscenze specifiche della L2 che gli mancano sia quelle dichiarative sia quelle procedurali. Ad ogni modo, il circolo dell'apprendimento può essere virtuoso acquisendo nuove conoscenze e automatizzando nuove procedure, l'apprendimento può dedicarsi alla comprensione del nuovo: più ascolta quello che sa più lo automatizza e più libero è di concentrarsi e di capire quello che ancora non sa.
Poi parlare
Nei pensieri comuni verso la L2, dopo una prima fase pragmatica distinguiamo tra apprendimento del lessico e apprendimento della grammatica. I primi passi in un contesto comunicativo naturale sono costituiti da formule fisse e da alcune parole organizzate secondo principi semantici e pragmatici piuttosto che sintattici.
- Le formule sono pezzi di lingua memorizzati tali e quali senza che vengono scomposti nelle parti che li compongono. Senza l'analisi, il carico dell'apprendimento è ridotto a memorizzazione. Questo serve per massimizzare il rendimento comunicativo. Comunicativamente, le formule sono molto importanti perché compiono alcune funzioni vitali, come quella di salutare, attirare l'attenzione, farsi ascoltare, chiedere delle cose. La scelta tra queste parole dipende dal contesto dell'apprendimento e degli interessi urgenti della comunicazione. Per esempio sono molto utili le espressioni come:
- s'il vous plait ( per ogni frase con un parlante francese), how much is it? ( il prezzo delle cose); smettila ( per difendersi dagli altri scolari a scuola in Italia).
L'interpretazione dei pezzi formulaici da parte degli apprendenti non è sempre limpida. Oltre le formule, la produzione iniziale è costituita da brevi pezzi analizzati: Questo significa quattro cose:
- le parole non sono sempre facilmente assegnabili ad una classe morfologica;
- le parole presentano minima o nulla flessione morfologica
- le parole seguono un ordine pragmatico-discorsivo più sintattico.
Usiamo questi punti per analizzare due esempi in italiano:
- non hai lavora ( lei non ha lavoro)
- biciclette su montagne ( andare in bicicletta sulla montagna)
Per quanto riguarda l'incerta " assegnabilità delle parole ad una classe morfologica " lavora" e " biciclette" sono sostantivi o verbi?
In italiano la flessione morfologica è ridotta ma c'è sempre perché le parole in italiano finiscono in vocale e che queste con una o due sillabe variano molto il lessema. La -a di " lavora" che tipo di desinenza è se non sappiamo neppure se si tratta di in un nome o di un verbo. " Hai" non marca la seconda persona e la -a e la -e di montagne non ci assicurano di marcare il femminile singolare e plurale dei rispettivi sostantivi. La forma basica è quella scelta dell'apprendente come neutra o come rappresentata di tutte le altre. Nella scelta operano vari criteri:
- la frequenza, la facilità articolatoria, la lunghezza, la specificità.
In Italiano si privilegia delle forme come la desinenza in " -i" come in chilometri che ricorre più spesso o con gli articoli, la, il che ricorrono di più di " gli" o la forma verbale con "a" come " mangia" perché la desinenza in " a" è corta ed è facile da pronunciare.
La prevalenza delle parole di contenuto elimina gli elementi formali come gli articoli, le copule, gli ausiliari, i pronomi atoni e le preposizioni. Tale semplificazione non è solo strutturale ma può essere anche di tipo semantico. La scelta della forma basica dipendono dalle esigenze comunicative del momento. L'ordine dei lessemi nell'interlingua tende a seguire criteri pragmatici e semantici piuttosto che sintattici. Questo significa che la lingua, enunciata nel tempo, è per sua natura lineare per cui esige che le parole siano presentate in ordine sequenziale.
Prendiamo l'esempio: He is hitting me
Con un ordine di tipo pragmatico\ discorsivo: argomento\tema + commento\ rema
ordine semantico: agente+ azione+ paziente
ordine grammaticale\sintattico: soggetto+ verbo+ oggetto
Pragmaticamente si parla di qualcuno di cui si dice che mi sta colpendo. Semanticamente abbiamo un agente controllore che compie un'azione che ha ripercussioni su un paziente- controllato.
Sintatticamente c'è un soggetto che viene prima del verbo e per di più è marcato con il suo caso ( he non him), c'è un verbo che è accordato con il suo soggetto ( is) e c'è un oggetto che viene dopo il verbo e per di più è marcato con il suo caso ( me).
Il lessico
L'apprendimento della L2, l'importanza del lessico è enorme in quanto i primi tentativi di produrre il parlato sono costituiti da formule e da parole. Inoltre, quando andiamo in un paese di cui non si conosce la lingua, ci si procura un vocabolario non una grammatica. Anche a livelli avanzati, gli errori lessicali sono i più comuni, quelli che i parlanti nativi notano di più e quelli che recano più danno ai fini comunicativi. Per esempio in questi tre esempi:
- Pierino scrive con la sinistra mano.
- il zio di mia moglie è francese
- Ci troviamo in libreria alle sei.
Nel primo esempio non c'è inciampo alla comunicazione con l'errore sintattico né con i due errori morfologici mentre le conseguenze sono gravissime se dico "libreria" intendendo dire " biblioteca). Infatti mentre una serie di parole non grammaticalizzate può essere comunicativamente efficace come dimostrano i molti esempi dati, una struttura sintattica senza parole è inutile. Oggi il lessico diventa sempre più centrale nella discussione teorica. In sintonia con Lewis notiamo come la lingua sia un sistema di lessico grammaticalizzato e non come una grammatica lessicalizzata. Tuttavia, il lessico è un sistema molto più aperto della grammatica o della fonologia e le sue unità di base si prestano difficilmente alla regolarizzazione. Anche il lessico è soggetto alle sue regolarità intrinseche e di apprendimento.
Che cosa ritroviamo nel magazzino lessicale dal punto di vista qualitativo. Di quante parole è composta una lingua? Il dizionario non storico della lingua inglese contiene 450.000 parole e sono raggruppate in circa 54.000 famiglie di parole, ognuna costituita dalle parole di base ( fiore), la sua forma flessa ( fiori) e quella derivata ( fiorellino). Di questo elenco rimangono escluse le parole composte, gli arcaismi, le abbreviazioni, i nomi propri, le forme ortografiche alternative o le varianti dialettali. Quante parole conosce un parlante nativo?
La variazione tra le persone è molto varia, ma una persona adulta colta si aggira sulle 20.000 famiglie di parole. Il bambino quando inizia la scuola ne conosce 4.000\5000 e poi ne aggiunge circa 1000 all'anno durante il periodo scolastico.
Quante parole sono necessarie? La risposta dipende sicuramente da quello che si deve fare con le parole. La necessità o l'utilità di una parola dipende dalla frequenza con cui ricorre nell'uso generale. Francis e Kucera (1982) sono arrivati a ricoprire il 97,8% dell'inglese con 16.000 parole le più ricorrenti. Per esempio, un apprendente che conosce 2000 parole conosce 80% delle parole del testo. Questo significa che una parola sconosciuta ogni 5 parole sono troppe per essere ricavate indovinandole da quelle conosciute. Per indovinare il loro senso occorre una copertura del 95% quindi un vocabolario di 15000 parole.
Per l'italiano, De Mauro (1980) ha proposto un vocabolario di base di circa 7000 parole che si suppongono conosciute da chiunque abbia completato la scuola media inferiore dell'obbligo. Questo vocabolario di base è diviso in tre categorie:
fondamentale --- 2000 parole ( frutta, movimento, ricco, scivolare, volentieri).
di alto uso ----- 2750 parole ( barzellette, concepire, quintale, talvolta)
di alta disponibilità 2300 ( fiducioso, lontananza, padroneggiare, viaggiatrice).
Il vocabolario di base è composto da 60,6 % da nomi, 19% verbi, 14% aggettivi, avverbi 2%, pronome 0,8%, congiunzione 0,6%, numerale 0,5%, proposizione 0,5%, interiezione 0,5%, articolo 0,1%.
Quante parole deve imparare l'apprendente secondo Nation e Waring (1997) un primo inevitabile obiettivo è costituito dal vocabolario di base ( 3000 parole).
Adesso il lessico dal punto di vista qualitativo: che cosa vuol dire conoscere una parola?
In genere ogni parola possiede una serie di proprietà ( Laufer, 1997: 141):
- una forma ( pronuncia orale con la forma fonica e pronuncia scritta con l'ortografia) per esempio la forma fonica di pigiama è " pi'dzama"
- una struttura morfologica ( il morfema di base ed eventuali morfemi flessivi e derivazionali); per esempio bellissima è formata dal morfema di base bell-, il morfema derivazionale - issim e quello flessivo " a".
- un pattern sintattico nel sintagma e nella frase; per esempio spostare è un verbo e richiede che ci siano tre argomenti: 1) qualcuno che sposti qualcosa da un posto all'altro; invece " piovere" non richiede invece nessun argomento.
- un significato sia referenziale ( anche multiplo e metaforico) sia affettivo ( connotazioni) sia pragmatico ( appropriatezza situazionale dell'uso); per esempio: "perla" è un oggetto decorativo ma metaforicamente indica una persona preziosa; " lercio" a differenza di "sporco" non solo è più intenso ma ha anche una connotazione di schifo che " sporco" non ha; in una tipologia scientifica della personalità, testardo è preferibile a " zuccone".
- delle relazioni lessicali privilegiate con altre parole della stessa classe ( sinonimia, antinomia, iponimia, ecc); per esempio, " lento" sta in antinomia con " veloce", " pino" in iponimia con albero.
- delle collocazioni privilegiate; per esempio " torrenziale" va di solito con pioggia, e "conveniente" va con i nomi inanimati ( prezzo conveniente) ma non con i nomi animati " un collega conveniente".
Dolce sta in antinomia con "salata" riferito a torta, con "amara" riferito a "pillola", con "secco" riferito" a vino, con aspra riferito a frutta.
- conoscere una parola implica una conoscere tutte queste proprietà e tutto questo è molto difficile per l'apprendente. Pertanto nella sua interlingua conoscerà soltanto parzialmente alcune parole.
Inoltre è chiaro che conoscere una parola implica poterla usare sia nell'ascoltare sia nel parlare. Da qui è importante fare tre distinzioni:
- la prima riguarda la conoscenza potenziale e la conoscenza reale del lessico. Il vocabolario potenziale consiste delle parole che l'apprendente riconoscerà anche senza averle mai sentite o viste prima nella L2. Il vocabolario reale è costituito da parole che l'apprendente conosce solo dopo che le ha incontrate nell'input.
- La seconda distinzione riguarda il lessico attivo e passivo. Il primo è quello che l'apprendente può produrre, il secondo è quello che solo riconosce. Questa distinzione è stata superata con una terza distinzione, la conoscenza e il controllo. Secondo Bialystok e Smith ( 1985) la conoscenza è la rappresentazione del lessico nella mente, cioè nella memoria a lungo termine, mentre il controllo è la capacità di elaborarlo durante l'effettiva esecuzione.
Quali sono le sequenze di apprendimento del lessico? Quali sono le regolarità con cui l'apprendente impara le parole?
Possiamo provare a vedere quali siano le parole imparate per prime e in secondo luogo quali proprietà di queste parole. Per la scelta delle parole è possibile identificare alcuni criteri che ne guidano la scelta nell'apprendimento. Distinguiamo i criteri esterni e interni al lessico. Tra i criteri esterni abbiamo l'utilità della parola come nel caso della parola "kaputt" proveniente dal "pidgin-deutch" molto utilizzata da parte di molti lavoratori stranieri in Germania. Questa parola viene imparata e usata molto perché riesce a coprire molti significati negativi come " rotto", " sbagliato", " non va bene", non funziona, che descrive uno stato di cose che non è quello che dovrebbe essere, vale a dire una condizione che i lavoratori immigrati conoscono molto bene.
Nelle interlingue iniziali compaiono subito nomi di persone e di luogo, forme di saluto e di commiato, di ringraziamento, forme della negazione e altre espressioni comunicativamente rilevanti.
Compaiono presto le parole relative ad oggetti e attività che riflettono il tipo di contatto con la L2: i lavoratori immigrati imparano prima il lessico coinvolto con il proprio lavoro, gli studenti quello con le attività scolastiche. A proposito di apprendimento della L1, Peters ( 1985) ha notato come ci fossero dei bambini che avevano due stili di apprendimento della lingua:
- uno espressivo e l'altro referenziale.
I bambini espressivi usano la lingua per l'interazione sociale mentre i bambini "referenziali" usano la lingua per etichettare gli oggetti. Questa distinzione molto probabilmente rimane valida anche per gli adulti come modo di approcciare l'apprendimento di una lingua straniera.
Un secondo criterio per imparare le parole è quello della loro " disponibilità" intesa come frequenza con cui una parola ricorre nell'input, la variabilità dei contesti in cui ricorre, l'aiuto fornito dal contesto situazionale e dal contesto linguistico per la sua comprensione, l'importanza della stessa parola per la comprensione del co-testo che le sta intorno. E poi esistono gli apprendenti con le loro preferenze personali.
Tra i criteri interni al lessico ( Laufer, 1997) distinguiamo quelli formali da quelli semantici, poi consideriamo le diverse parti del discorso così come l'influenza della L1.
Tra i criteri formali troviamo per primo la pronunciabilità. Sembrerebbe più semplice per un apprendente imparare una lingua con l'accento fisso come l'ungherese sempre sulla prima sillaba, il polacco sempre sulla penultima e il francese sull'ultima. Pertanto risulta più difficile imparare l'italiano o l'inglese dove l'accento è mobile. Ad esempio in inglese le seguenti parole hanno l'accento in posizione diversa: photograph - photography- photografic
Si sceglie spesso la parola più facile da pronunciare ad esempio si può evitare di dire " law" ed usare "jurisprudence". Molto vicino al criterio di pronunciabilità è quello della similarità sonora con altre parole, ossia parole troppo simili tra loro sono più difficili da elaborare. Pensiamo ad un apprendente che debba distinguere: carne- cane- canne
Un altro criterio è quello della corrispondenza tra suono e grafia, infatti se la corrispondenza è chiara, l'apprendimento è più facile. Ad esempio per gli apprendenti con L1 semitiche dove l'ortografia dà molta importanza alle consonanti e trascura le vocali tendono a confondersi le parole che hanno le stesse consonanti. Ad esempio: collera-collirio- cullare-fetta-fatti- fitte
Il criterio della lunghezza è un criterio molto incerto perché le parole più lunghe possono essere morfologicamente più trasparenti. Ad esempio per un italiano, usare delle parole più lunghe in inglese di origine latina non è complicato mentre adoperare parole corte di matrice anglosassone è più complicato dal punto di vista della pronunciabilità e trasparenza morfologica.
Anche la morfologia delle parole ne costituisce un criterio nella facilità di apprendimento. E' più complicato imparare una lingua con notevole complessità flessiva per i nomi, con irregolarità nella formazione del plurale, marcatura arbitraria del genere. Inoltre la complessità derivazionale non è un ostacolo se le parti che la compongono sono trasparenti. Ad esempio una parola tedesca come:
- zweitspracherwerb non è difficile da capire né da usare perché facilmente scomponibile:
zweit- sprach- erwerb
Tra gli aspetti semantici della parola, due fattori fondamentali sono la polisemia e l'omonimia. Abbiamo la polisemia quando un'unica parola ha vari significati che hanno tra loro una qualche affinità, mentre c'è omonimia quando i vari significati sono completamente diversi ( Hatch e Brown, 1995). Solitamente l'apprendente preferisce una parola dove ritroviamo una corrispondenza tra forma e significato. Se una parola è conosciuta in un significato si fa fatica ad accettarla in un altro senso. Ad esempio, la credenza può essere sia un mobile che un'opinione. Il carattere può essere di una persona o il carattere della scrittura sulla tastiera.
Inoltre, la parola ideale ha un significato chiaro: la chiarezza semantica viene confusa con la concretezza, nel senso che possano sembrare più chiare le parole concrete di quelle astratte. Ad esempio la parola " libro" è più chiara della parola " volume" ( più rara e polisemica).
Infatti, Blum e Levenston ( 1978) sostengono che gli apprendenti rispetto ai parlanti nativi preferiscono gli iperonimi e le parole che si possono usare in una larga gamma di contesti.
Dunque la specificità del significato è un altro criterio nella scelta delle parole. Un altro criterio è l'idiomaticità intesa come scoglio sia per la comprensione che per la produzione per l'apprendente.
Quali sono le classi di parole che si apprendono prima?
In primis si imparano i nomi, poi gli aggettivi e verbi, in seguito gli avverbi. Questo è in generale il percorso di acquisizione delle parole. Un lavoro di Yoshida (1978) ha analizzato un bambino giapponese alle prese con l'apprendimento dell'inglese. Questo bambino riconosce 260 lessemi, di cui il 61% di nomi riferiti a oggetti concreti, 13 % verbi d'azione, 10 % aggettivi. Il rimanente 16% delle parole si ritrovano nelle varie categorie. Un altro criterio è quello della contrastività con la L1. Questa interesse tanto la forma quanto il significato: in questo modo una parola risulta più facile da imparare quanto più la forma e significato si assomigliano nelle due lingue. Ad esempio parole come televisione o tennis sono molto simili in molte lingue.
Riconsideriamo meglio la questione semantica e distinguiamo tra significato di una parola e concetto usando lo schema ideato da Appel (1996):
il concetto = enciclopedia mentale
Parola
significato = lessico mentale
forma
Il significato di una parola, insieme con la sua forma fa parte del lessico mentale, il concetto fa parte dell'enciclopedia mentale. Ad esempio la parola "cognata" può avere due significati:
- la moglie del fratello o la sorella del marito. E' una parola polisemica e pertanto imparare una nuova parola nella L2 vuol dire impararne tutti i significati. Anche senza avere una nuova concettualizzazione. Hatch e Brown (1995) notano come siano pochi i termini concettuali che vengono lessicalizzati in tutte le lingue. Swadesh (1972) ne propone alcuni come i seguenti:
- io, tu, uno, due, donna, uomo, cane, pulce, seme, foglia, uovo, sangue, cuore, testa, bere, mangiare, sapere, morire, uccidere, sole, luna, acqua, pioggia, fuoco, rosso, verde, caldo, freddo, nuovo, rotondo, asciutto. In questa lista non troviamo parole italiane come: andare, venire, tavole, finestra, stanco, allegro.
Kroll e De Groot (1997) elencano due possibili modelli per l'abbinamento delle parole in L1 e L2 ai concetti. Nel primo Modello dell'associazione lessicale, le parole in L2 accedono ai concetti indirettamente attraverso le parole in L1. Nel secondo Modello della mediazione concettuale, invece, esse accedono direttamente ai concetti come in L1. Dagli studi pare che l'associazione lessicale che passa attraverso la L1 sia caratterizzata dai primi stadi dell'apprendimento della L2 mentre la mediazione concettuale sia presente negli stadi più avanzati. In un altro modello dell'associazione lessicale e mediazione concettuale:
- l'apprendente, quando impara la L2, possiede già forti connessioni concettuali tra le parole della L1 e i concetti. All'inizio associa le parole della L2 ai concetti soprattutto tramite le connessioni lessicali con la L1. Questo meccanismo consente di semplificare l'apprendimento del lessico riducendolo a una ri-etichettamento dei concetti già noti in L1. Dall'altra parte lo complica con la tendenza ad ignorare le differenze tra L1 e L2 nella classificazione concettuale e nei confini semantici di parole simili.
Un'altra domanda è sapere " come vengono imparate le parole dopo che sono state scelte in base ai criteri appena considerati qui sopra?
Per la fonologia, le parole vengono imparate secondo le regole dell'apprendimento fonologico della L2. A questo livello, l'interferenza della L1 agisce profondamente. L'apprendente utilizza delle strategie di sostituzione usando fonemi, strutture sillabiche e accentuati della L1 al posto di quelli simili della L2.
Anche la grammatica viene imparata progressivamente come in questo esempio:
Stroking ( accarezzando)
He stroking ( lui accarezza)
he stroking feather ( lui accarezza piuma)
he's stroking me feather ( lui accarezza me piuma)
he's stroking me gently with feather ( lui accarezza me dolcemente con piuma)
he is stroking me gently with a feather ( lui mi sta accarezzando dolcemente con una piuma)
Per quanto riguarda la semantica, l'apprendente non impara le parole intere ma impara solo i significati individuali, separati uno per volta ( Bogaards, 1996). Impara una forma lessicale e un solo significato. Ad esempio, il verbo " portare" in italiano può essere tradotto in inglese sia come " to bring" e " to take". Questo lo imparerà solo dopo che avrà sentito il verbo contestualizzato anche come movimento che si allontana da chi parla. Inoltre è molto probabile che l'apprendimento dia precedenza al significato non metaforico della parola su quello metaforico: come nel caso di " vulcano" o di "cane".
Sul piano pragmatico, l'apprendente come sempre rischia di usare una parola in un contesto situazionale sbagliato : "ciao" non si può usare in situazione formali. " delizioso" è un aggettivo molto usato dalle donne ma poco dagli uomini, la parola "effluvio" può essere sostituita da "odore" in molte situazioni. Conoscere una parola vuol dire conoscere anche gli ambiti di uso appropriato.
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