Nella conversazione, riprendendo i lavori di Bettoni (2006), gli atti linguistici si organizzano in coppie adiacenti complementari, per cui al saluto segue un saluto, alla domanda una risposta, al complimento la reazione. Nella conversazione si pone l'attenzione sui turni e le mosse realizzate durante l'interazione verbale. In questo modo si passa dall'azione all'interazione e quindi dall'analisi degli atti linguistici all'analisi della conversazione. Siamo passati da Austin con la frase come azione, a Grice con la frase all'interno dello scambio verbale e infine con Sacks e seguaci si e' capita l'importanza della co-operazione dei co-autori che co-producono l'interazione. Come ha affermato Bazzanella ( 2005: 210):
la conversazione e' frutto di una collaborazione, di un lavoro in comune, tanto da essere considerata metaforicamente come un tessuto, in cui i contributi del parlante e dell'interlocutore si intrecciano tra di loro, fin quasi a confondersi, e comunque cercano di costituire un unico prodotto.
Per analizzare la conversazione dividiamo il lavoro in due momenti: nella prima parte si considera la sequenzialità delle mosse, e cioè come all'interno di uno stesso macro-atto alcune mosse possano verificarsi in posizioni diverse, contribuendo a produrre stili conversazionali diversi. In un secondo momento viene considerata la coreografia del parlare, ossia l'avvicendamento dei turni o meglio il gioco dell'avvicendamento dei turni.
In ambito L2, le sequenze, le mosse e i momenti nella conversazione possono creare un senso di fraintendimento tra parlanti con madrelingue differenti. In questo articolo, il termine ` conversazione ` viene usato in senso di interazione verbale ossia talk in interaction. Il termine atto linguistico viene usato come macro-atto complessivo ossia speech act set in inglese) come nel caso di una protesta, di un complimento o di tanti micro-atti ( espressione della critica, richiesta di riparazione, saluti prima di entrare nel vivo della protesta o i ringraziamenti nel caso di risoluzione felice).
Ad esempio la mia azione di protestare può essere compiuta con tante micro-azioni come il salutare, chiedere riparazione, insistere, giustificare la propria richiesta.
Il termine mossa implica una dinamicità interattiva che il termine `atto` non possiede in quanto la mossa può svilupparsi su più turni mentre un solo turno può contenere più mosse.
Nella conversazione hanno importanza tutti quei elementi del parlato come le pause, le esitazioni, abbassamenti e innalzamenti di voce, accelerazioni e rallentamenti, false partenze, interruzioni, sovrapposizioni.
Ad esempio, prendiamo il caso dell'analisi delle sequenze nella conversazione tra due persone sul fenomeno specifico dell'organizzazione preferenziale della dispreferenza.
Nelle coppie adiacenti ci sono due parti prodotte in turni diversi dai parlanti. Queste due parti hanno un ordine preciso: la prima viene prodotta da un parlante nell'aspettiva convenzionalizzata che l'interlocutore produca una seconda parte.
Ad esempio se chiedo l'ora mi aspetto che mi venga data solitamente senza escludere la possibilità contraria.In conversazione, esiste una sequenza preferita e una sequenza dispreferita. Quindi le seconde parti di una coppia di turni complementari possono variare in modo da soddisfare o meno la normale aspettativa sociale su come le cose dovrebbero svolgersi.
Strutturalmente, le reazioni preferite e dispreferite sono diverse: infatti le preferite sono in genere brevi, semplici e non marcate mentre le risposte dispreferite sono più lunghe, complesse, spesso ritardate e pertanto sono marcate e tendono ad essere evitate. La lunghezza e la complessità dipendono da vari fattori: scuse, giustificazioni, tattiche di ritardo, esitazioni e mitigatori. Tuttavia, esiste una motivazione psicologica e sociale per capire come gli enunciati preferiti non minacciano la faccia dei partecipanti all'interazione, mentre quelli dispreferiti sicuramente, e dunque richiedono un lavoro di riparazione.
La complessità e la lunghezza servono per rimediare e riparare la dispreferenza. Infatti per evitare di esporsi ad una reazione dispreferita che minaccerebbe la sua faccia, il parlante può nel primo turno mettere le mani in avanti in modo da preparare una risposta preferita.
Alcuni esempi di risposte dispreferite in italiano:
- Alla domanda: che ore sono?
eh ma, non so, non riesco a leggere la sveglia
Senti, ti sei portato dietro l'orologio?
- si, ce l'ho nel borsone.
Be' dai allora, dimmi che ore sono.
Non e' che oggi ti sei portato dietro l'orologio?
Non l'ho lasciato a casa.
- Be pazienza
Da questi brevi esempi, possiamo renderci conto di quanto possa essere organizzata la conversazione.
Sicuramente, il fenomeno delle sequenze preferite/dispreferite risulta universale, il modo con cui la preferenza/dispreferenza viene realizzata non e' di sicuro la stessa.
In un lavoro di Zorzi (1990) sulla gestione della dispreferenza in italiano e in inglese nell'ambito di incontro di servizio in librerie a Bologna e Londra. Nella gestione dell'opzione preferita compiuta in modo semplice, breve e immediato non appaiono grosse differenze tra cliente e commesso nei due contesti. Nella risposta dispreferita notiamo come in italiano venga fornita in modo immediato mentre in inglese viene prodotta con un ritardo tramite una esitazione, prendendo tempo come con ' well'. L'incontro di servizio per concludersi in modo felice necessita sempre di un lavoro rimediale e fin quando non avviene tale riparazione l'incontro tende a proseguire.
In pratica serve una sequenza preferita per potere ultimare una transazione verbale.
Mentre il commesso italiano offre delle risposte che non sono proposte concrete, il cliente deve continuare il dialogo per ottenere riparazione mentre il commesso inglese offrendo una risposta concreta consente la chiusura rapida dell'incontro. In italiano si realizza una chiusura di tipo ' post-riparatorio' mentre e' di tipo ' pre-riparatorio' quella di tipo inglese. Un incontro e' fatto da saluti, richiami del commesso, richieste vere e proprio. Poi ci sono elementi post-modificativi ( riformulazione della richiesta, proposte alternative, giustificazioni della richieste, proposte alternative, giustificazioni della richiesta.
Per Zorzi (1990:111) quello che sembra interessante risulta il ' dove' si dicono le cose al di la' di quello che si dice: e questo incontro e' significativo proprio perché l'inglese dice le stesse cose che normalmente dice un italiano, ma in posizioni diverse. Esiste un modello di aspettative conversazionali che può confliggere quando i due parlanti appartengono a due modelli conversazionali differenti.
Un altro esempio viene dalla gestione del disaccordo tra parlanti anglo-celti e cinesi.
Questo lavoro e' stato realizzato da Cheng ( 2003) analizzando il disaccordo quando risulta essere una opzione dispreferita per verificare precise ipotesi culturali. Infatti, il disaccordo e' un atto che minaccia la faccia dell'interlocutore; sia la faccia positiva perché il parlante non condivide il suo punto di vista, sia la faccia negativa perché impone un punto di vista diverso o contrario. Come tale ci sono culture che tendono ad evitarlo più di altre oppure almeno a ripararlo con maggiore lavoro discorsivo. Le tre ipotesi di Cheng ( 2003:65) sono le seguenti:
- i cinesi esprimono il disaccordo nei confronti degli anglo-celti meno spesso di quanto non lo facciano gli anglo-celti nei loro confronti.
- i cinesi, paragonati agli interlocutori anglo-celti, nell'esprimere il disaccordo usano un numero minore di strategie esplicite senza rimedio.
- i cinesi, paragonati agli anglo-celti, nell'esprimere il disaccordo usano maggiore lavoro rimediale.
Il modello di analisi di Cheng sarà quello della teoria della cortesia di Brown e Levinson ( 1987), la quale si fonda su tre assunti di base. Questa teoria parte dal fatto che i parlanti sono esseri razionali e in quanto tali scelgono il modo migliore per raggiungere il loro scopo. Poi, basandosi sulla nozione della faccia di Goffman (1967,1971) ne considera importantissima la gestione. Infine, considerando gli atti, sostiene che alcuni per natura minaccino la faccia degli interlocutori più di altri ( proteste, disaccordi). Qual e' allora il modo migliore per salvare la faccia nel compiere un atto minatorio? Secondo Brown e Levinson (1987: 60) si può scegliere tra 5 strategie principali:
1. compi l'atto esplicitamente senza azione rimediale
2. compi l'atto esplicitamente con azione rimediale di cortesia positiva
3. compi l'atto esplicitamente con azione rimediale di cortesia negativa
4. compi l'atto implicitamente
5. non compiere l'atto
Da questo modello notiamo che il rischio minore di perdita di faccia comporta minore cortesia e un atto più diretto.
Ad esempio se volessi dire a qualcuno di mettersi la crema per proteggersi dal sole potrei dire:
1 mettiti la crema
2 tu che fai sempre attenzione perché non ti metti la crema
3 forse non sono fatti miei ma magari potresti metterti la crema
4 e' uscito un sole forte
5 ( non compio affatto l'atto)
Infine per completare il quadro di questa teoria occorre calcolare altre tre variabili: la distanza sociale tra i due interlocutori, il potere relativo del parlante sull'ascoltare e il livello assoluto di imposizione. Nelle analisi di Cheng, questi elementi non sono importanti perché riguardano delle conversazioni tra colleghi amici e di pari grado.
Il lavoro di Cheng analizza la conversazione tra due ufficiali di polizia di Hong Kong, uno anglofono britannico e una sinofina con inglese L2. L'argomento e' una marcia organizzata a scopo di beneficenza per la quale la polizia deve garantire la sicurezza.
In questa conversazione, il collega inglese esprime direttamente e esplicitamente il suo disaccordo calcando la mano due volte con avverbi ( very boring e very uninteresting e con due elementi negativi ( nothing e un-). In questo caso, in sintonia con Brown e Levinson, A compie l'atto che minaccia la faccia esplicitamente senza azione rimediale. Il secondo disaccordo che incontriamo nell'estratto viene espresso da C, che non condivide l'opinione negativa di A sul tragitto. Tuttavia, la parlante cinese produce molto lavoro rimediale prima di produrre il suo disaccordo. Inoltre viene attuata anche la strategia di cambiare argomento come strategia di evitamento. Vediamo come l'ufficiale inglese tende a esprimere il disaccordo direttamente senza mitigatori e senza segnalare alcun desiderio di convergenza, l'ufficiale inglese, pur senza cedere, si adopera non solo con mosse preparatorie ma anche con rimedi successivi a curare la faccia del suo interlocutore minimizzando la minaccia implicitamente contenuta dell'espressione del disaccordo.
In questo lavoro si osserva come gli anglo-celti producono meno lavoro rimediale prima di esprimere il loro disaccordo paragonato con i cinesi, i quali compiono uno sforzo maggiore per evitare il confronto e curare invece la faccia dell'interlocutore. Per Cheng, questi parlanti aderiscono a due stili conversazionali proveniente da due culture differenti.
In Marcus e Kitayama (1991) si afferma che le culture asiatiche sostengano la concezione interdipendente del se' più delle culture occidentali. L' io interdipendente e' più probabile che presti attenzione al gruppo quando forma opinioni e atteggiamenti, che dia importanza a mantenere la propria faccia e quella dell'altro, e che cerchi l'armonia e la cooperazione nel gruppo. La cultura occidentale sostiene la concezione indipendente del se' più delle culture asiatiche. L'io indipendente e' più probabile che sia disposto a confrontarsi e competere, a criticare esplicitamente e a esprimere opinioni individuali e imprevedibili.
Da questo lavoro di Cheng si può capire come la sequenza con cui si compiono le mosse contribuisce a determinare lo stile generale dell'interazione. Mentre nel confronto italiano-inglese sono gli inglesi che compiono più lavoro rimediale tendenzialmente prima della parte conflittuale, nel confronto inglese-cinese sono gli inglesi che tendono a farne di meno e a farlo dopo.
Per Cheng risulta importante esplicitare le motivazioni culturali sottostanti a questi stili conversazionali mentre nel lavoro di Zorzi risulta più importante mostrare le regolarità conversazionali. Per Zorzi non si intende negare l'esistenza di stili culturali diversi ma si cerca invece di vedere quali aspetti della struttura discorsiva concorrono a definire uno stile culturale. Per Zorzi non esiste una differenza aprioristica di stili culturali a determinare il diverso trattamento di azioni simili in due culture, ma e' l'insieme relazionato di azioni similari, condotte in modo diverso, che consente di fare generalizzazioni tali da porsi come parametri caratterizzanti uno stile culturale.
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