Intervista con la professoressa Elisabetta Santoro, docente di Lingua Italiana presso la Facoltà di Lettere dell’Università di São Paulo (FFLCH – USP) tratta dal sito:
https://cursosextensao.usp.br/course/index.php?categoryid=86
Tema: Il passato prossimo e l’imperfetto dell’indicativo.
PAOLA BACCIN: Salve! Per parlare del passato in italiano abbiamo a disposizione tempi semplici e tempi composti. All’indicativo, ad esempio, possiamo usare il passato prossimo o l’imperfetto. Per uno studente brasiliano sembra abbastanza semplice la scelta tra l’uno e l’altro perché anche in portoghese abbiamo i tempi perfetti e i tempi imperfetti, ma questo non è proprio vero perché nel momento della produzione molte volte si vede che lo studente ha alcuni dubbi tra l’uno e l’altro. Oggi abbiamo in studio la professoressa Elisabetta Santoro, docente d’italiano presso la Facoltà di Lettere della USP. Professoressa, grazie di essere qui con noi.
ELISABETTA SANTORO: Grazie a voi di avermi invitato.
PAOLA BACCIN: Anzi La ringrazio di aver accettato il nostro invito e la professoressa ha fatto una ricerca sui diversi usi dei tempi del passato. Ci può spiegare un po’ le differenze tra il passato prossimo e l’imperfetto in italiano?
ELISABETTA SANTORO: Ci provo. Allora, la prima cosa che bisogna pensare quando si pensa i tempi in italiano, in qualsiasi altra lingua, è che il tempo cronico e il tempo linguistico sono diversi. Cioè, se pensiamo al tempo del calendario, al tempo dell’orologio, abbiamo sempre una sequenza invece la lingua ci permette di osservare le azioni da diversi punti di vista, da diverse prospettive. Questa prospettiva la chiamiamo
linguisticamente aspetto che è quello che differenzia essenzialmente i tempi che chiamiamo perfettivi dai tempi che chiamiamo imperfettivi. Questo esiste sia in italiano che in portoghese. In italiano i tempi perfettivi sono essenzialmente due: il passato prossimo, appunto, e il passato remoto. Il passato remoto lo lasciamo per un momento successivo.
PAOLA BACCIN: Per le prossime lezioni.
ELISABETTA SANTORO: Esatto. Adesso invece possiamo concentrarci sul passato prossimo e sull’imperfetto. Sulla differenza fra queste due tempi. Diciamo che l’aspetto perfettivo si può definire con quattro aggettivi: si può dire che è l’aspetto finito, limitato, puntuale e dinamico. Mentre invece con l’imperfettivo, al contrario, è non finito, non limitato, durativo e statico. Provo a fare un esempio, magari aiuta. Se io per esempio dico “Mia sorella ha scritto una lettera” e dico “Mia sorella scriveva una lettera” entrambe le frasi sono possibili ed entrambe le frasi sono correte. L’azione è la stessa, ma la vedo da due prospettive diverse. Quindi se dico: “Mia sorella ha scritto una lettera” l’azione è finita, conclusa quindi, è limitata, indica una discontinuità nella continuità del momento di riferimento passato, è puntuale ed è dinamica perché fa andare avanti la storia.
Allora, la frase “Mia sorella scriveva una lettera” indica invece l’azione da un’altra prospettiva, quindi la prospettiva è di un’azione che è non finita, non limitata, durativa, s’inserisce nella continuità di quel momento di riferimento passato, è statica.
PAOLA BACCIN: Un attimo, ma statica mi dà l’impressione che il passato prossimo è statico mentre il durativo non è statico.
ELISABETTA SANTORO: Infatti, questa è la domanda che i miei studenti mi fanno sempre quando voglio spiegare questa differenza con questa terminologia. E allora proviamo a fare un altro esempio. Io provo a fare un esempio con più elementi che forse è un po’ più chiaro.
Se io dico per esempio “Mia sorella stamattina si è svegliata presto, ha fatto collazione, si è preparata, è uscita, ha preso l’autobus. Seduta sull’autobus guardava fuori, era nuvoloso, c’era traffico, c’era tanta gente per strada”.
Allora vedete che nella prima parte ho usato solo il passato prossimo, il tempo perfettivo. Quindi che cosa ho avuto? Una serie di azioni limitate e finite che hanno fatto andare avanti la storia. Una sequenza di azioni che io, quindi, definisco dinamiche perché fanno andare avanti la storia.
Nel momento in cui comincio ad usare l’imperfetto che cosa succede? È come se l’immagine in movimento si trasformasse in una fotografia. Fermo l’immagine e inizio a descrivere e quindi descrivo quello che mia sorella vede fuori dal finestrino che è un cielo grigio, la gente per strada, come in una fotografia che posso, quindi, descrivere usando l’imperfetto descrittivo. E siccome le azioni sono durative, la duratività può essere tanto continuità, descrizione, quanto discontinuità.
PAOLA BACCIN: In che senso discontinuità?
ELISABETTA SANTORO: Discontinuità nel senso che io posso descrivere con l’imperfetto le azioni iterative, cioè quelle che si ripetono nel passato. Ecco perché diciamo che usiamo l’imperfetto, essenzialmente, per descrivere e per parlare di abitudini nel passato. Quindi quando io dico che mia sorella per esempio andava o preferiva prendere l’autobus invece che la macchina, indico una azione che si ripete nel passato che è
quindi discontinua nella continuità e quindi indica una ripetizione. E poi un’ultima particolarità, ce ne sarebbe in realtà tante altre se volessimo approfondire tutti i dettagli, ma un’ultima particolarità è che se usiamo una frase negativa indichiamo un’azione che in quel periodo non è mai avvenuta. Per esempio se io dico: “Mia sorella non prendeva l‘autobus”, “non prendeva l’autobus” significa che in quel periodo non l’ha preso mai.
PAOLA BACCIN: Solo in quel periodo o in tutta la sua vita non prendeva l’autobus perché aveva paura?
ELISABETTA SANTORO: Certo, posso aggiungere delle informazioni, ma basta l’imperfetto con una frase negativa per indicare un periodo che posso delimitare nel discorso oppure no. Posso dire: “Mia sorella, quando aveva venticinque anni, non prendeva l’autobus” o “Mia sorella, mentre abitava a Milano, non prendeva l’autobus”. La cosa interessante è pensare che una frase negativa – il “non” inserito in una frase – con l’imperfetto indica che quella azione, in quel periodo, e non solo in un momento specifico, come sarebbe con l’imperfetto, non è avvenuta mai. E quindi spero che queste cose siano servite.
PAOLA BACCIN: Certo, professoressa! Le volevo fare un’ultima domanda. Quando Lei fa questa spiegazione ai suoi studenti loro capiscono? Lei sente che poi i risultati nella produzione sono migliori? Producono meglio?
ELISABETTA SANTORO: Sì, io mi sforzo di ripetere ai miei studenti di pensare a quei famosi quattro aggettivi mi raccomando.
PAOLA BACCIN: Ricordiamoli, quali sono?
ELISABETTA SANTORO: Finito, limitato, puntuale e dinamico per il tempo perfettivo.
PAOLA BACCIN: Passato prossimo.
ELISABETTA SANTORO: Passato prossimo. E al contrario non finito, non limitato, durativo e statico per l’imperfetto. Ripeterli e pensarci ogni tanto, soprattutto quando si è in dubbio, può aiutare a produrre meglio e anche a capire meglio i testi. Riflettendo sulla lingua impariamo e diventiamo produttori di testi e lettori anche più competenti.
PAOLA BACCIN: Adesso credo che sia molto più chiara per tutti la differenza tra l’uso del passato prossimo e dell’imperfetto dopo le spiegazioni così chiare e precise della professoressa Santoro. Professoressa, La ringrazio.
ELISABETTA SANTORO: Anch’io vi ringrazio.
PAOLA BACCIN: Ringrazio di essere stata qui con noi e dunque non mi resta che salutarvi e darvi appuntamento alla prossima puntata. Arrivederci.
Blog dedicato alla didattica della lingua e cultura italiana in senso antropologico, pragmatico e anche tradizionale.
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