Archivio blog

venerdì 31 gennaio 2020

Piangersi addosso come comportamento sociale

Smettila di lamentarti!

Il traffico, il lavoro, la casa, le rughe, la cellulite....Quante volte ti è capitato di sentirti insoddisfatta e di lamentarti senza però fare nulla di concreto per cambiare in meglio le cose, ma anzi lasciandoti andare a una sterile autocommiserazione che non porta alcun beneficio? Ecco allora i 5 consigli del personal life coach per dare una svolta alla tua vita e smettere di lamentarti

Perché in ognuno di noi c’è questa tendenza a lamentarsi e a piangersi addosso?
“È una dinamica che abbiamo appreso da bambini. Quando ci lagniamo chiediamo ascolto,riconoscimento, conferma, partecipazione, assistenza, supporto, coccole… in una parola, amore. Un po’ come fanno i piccoli, che piangono se hanno fame o sete o se il loro pannolino richiede attenzione, vorremmo che qualcuno ci ascoltasse e ponesse rimedio al nostro malessere. Visto che tale strategia ha funzionato perfettamente quando eravamo degli infanti, il nostro cervello l’ha memorizzata e ancora ritiene, inconsciamente, che risulterà vincente anche adesso che siamo adulti, autonomi e indipendenti”.

Di solito di chi ci lamentiamo e perché?
“Apparentemente, degli altri. In realtà di noi stessi. Nella stragrande maggioranza dei casi, puntiamo sempre il dito contro il prossimo, dimenticandoci che, mentre lo facciamo, tre dita sono puntate contro di noi. Gli altri sono e fanno cose che non ci piacciono, ma in realtà gli altri sono solo specchi che riflettono e ci rimandano ciò che è in noi e che noi ripudiamo, occultiamo, reprimiamo e che non oseremmo mai lasciar emergere o trasparire”.

E le cose che ci scatenano maggiori piagnistei?
“La maggior parte di noi si lamenta praticamente di tutto ciò che non è come vorrebbe che fosse. Il governo, il meteo, il traffico, la casa, il lavoro, le rughe, la cellulite… e chi più ne ha più ne metta. L’incapacità di accettare le cose per quello che sono, si unisce alla testardaggine di voler per forza cambiare ciò che non dipende da noi o alla pigrizia del non voler agire per trasformare quello che è in nostro potere, creando così la miscela ideale per la lamentela perfetta”.

Farlo che tipo di appagamento dà? 
“È una sorta di valvola di sfogo, ci sentiamo alleggeriti, soprattutto se il nostro interlocutore ci dà manforte. Occorre però fare un po’ di chiarezza e sottolineare che c’è una bella differenza tra il lamentarsi inteso come sinonimo di lagnarsi e il lamentarsi come sinonimo di dolersi. Nel primo caso si tratta di un’esibizione infantile della propria scontentezza che non di rado mira, più o meno inconsapevolmente, a manipolare il prossimo per avere le sue attenzioni. Nel secondo caso, invece, si tratta di una condivisione di un vero sentimento di sofferenza, causato da eventi traumatici e dolorosi. Lagnarsi ha effetti sempre negativi, perché mette in moto una serie di comportamenti da vittima che non tarderanno a essere dannosi, tanto per sé quanto per le relazioni con gli altri. Dolersi è invece l’irreprensibile modalità per esprimere la propria sofferenza ed è parte fondamentale di quel percorso di recupero, che tutti siamo chiamati ad affrontare prima o poi nella vita per superare un dolore traumatico. È in questo caso, infatti, che piangere fa bene”.

Quanto serve lamentarsi?
“Limitarsi a parlare di qualcosa di negativo non produce alcun cambiamento sostanziale. Lamentarsi di un problema può anche essere un buon punto di partenza, ma rischia di appesantire e ingigantire la realtà dei fatti se non si fa nulla di concreto per porvi rimedio. Se non si agisce, se non si cambia prospettiva e atteggiamento, se si resta fermi e immobili aspettando che le cose cambino da sole, non si va da nessuna parte. Anzi, questo atteggiamento continua a rafforzare l’immagine di vittima che si ha di sé, lasciandoci ancora più impotenti. Agire comporta uno sforzo e la cosa non a tutti piace”.

Perché è deleterio piangersi sempre addosso?
“Perché apparentemente è la soluzione più facile, più comoda e veloce, ma in realtà non funziona. L’essere umano è costantemente chiamato a scegliere tra ciò che lo rende felice e ciò che gli è comodo. Paradossalmente, sceglie spesso la seconda opzione, anche se non sempre in maniera consapevole. I meccanismi psicologici che s’innescano sono spesso simili a quelli di un bambino. Si tende a credere di non essere forti abbastanza da attuare quel cambiamento che ci renderà pienamente felici, pertanto si 'chiede aiuto' a qualcuno che si ritiene più forte, 'più grande', come un bimbo che chiama la mamma o il papà per soddisfare un suo bisogno. L’errore più comunemente commesso è proprio offrire quell’aiuto a chi potrebbe tranquillamente farcela da solo. Più aiuti qualcuno che crede di non essere abbastanza abile, più alimenti la sua convinzione di essere incapace. Più dai ascolto a chi si lamenta per niente, più questi continuerà a lamentarsi per tutto. Ecco che si crea un’abitudine disfunzionale e altamente dannosa, che sarà difficile interrompere soprattutto perché, apparentemente, gode di un grandissimo vantaggio: fa estremamente comodo. Ci si chiude quindi in una zona che in psicologia viene definita 'zona di comfort' che però, a conti fatti, di confortevole ha ben poco, perché è come una gabbia dove è impossibile volare liberamente”.

Farlo sui social, sembra essere diventata un’abitudine purtroppo molto diffusa. Perché ci si sfoga così pubblicamente e senza remore?
“Chi si lamenta ha necessariamente bisogno di qualcuno che ascolti. Internet offre quel qualcuno 24 ore su 24, 7 giorni su 7, gratis. In più, gli schermi di smartphone, pc e tablet in un certo senso 'schermano', proteggono quindi dal confronto reale, lasciando tutto nel mondo virtuale, o almeno ci si illude che sia così. Ma non lo è. Diversamente dalle generazioni precedenti, oggi è largamente diffusa (e accettata) l’idea che si possa dire ciò che si pensa sempre e comunque. Questa inviolabile libertà personale si è trasformata in forme di libertinaggio violente, egocentriche e irrispettose, che vanno a ledere quell’intimità che ciascuno di noi dovrebbe riservare solo ed esclusivamente a se stesso, proteggere dalla pubblica divulgazione e mantenere inaccessibile alla massa. A ben guardare, però, si scopre che dietro quei commenti al vetriolo c’è sempre una richiesta (fin troppo velata e inefficacemente espressa) di attenzioni, di amore. Ci troviamo davanti a vere e proprie guerre social, dove vince chi si lamenta, chi offende, chi insulta meglio e di più, tanto puoi dire ciò che vuoi, sempre e comunque, perché non ci sono regole né controllori. Ma così si finisce col sentirsi sempre più soli, col 'pubblicare' sempre più apertamente il proprio malcontento causato dalla propria solitudine, lasciando sempre più spazio all’odio in tutte le sue forme”.

Nel tempo questo autocommiserarsi che disagi può portare?
“La mancanza di autostima e di autoconsapevolezza, insieme alla solitudine, è la causa principale e allo stesso tempo l’effetto di tali comportamenti largamente diffusi. Nel lamentarsi è insita la convinzione che prima o poi qualcuno verrà a salvarci. Più ci lamentiamo, più alimentiamo la convinzione di non essere forti e capaci abbastanza da vivere una vita serena autonomamente, delegando così il compito di attuare un cambiamento migliorativo nella nostra vita a qualcun altro che presto o tardi si accorgerà di noi, si renderà conto che abbiamo bisogno del suo aiuto, e ci salverà la vita. Il punto è che questo qualcuno non arriva mai. Ma allora noi, anziché cambiare, insistiamo nella nostra strategia perché inconsciamente la riteniamo valida, efficace e funzionale, e quindi reiteriamo questo comportamento con più forza e veemenza, creando un circolo vizioso”.

E se a lagnarsi sono gli altri?
“Il più delle volte tendiamo a sminuire il loro dolore e, in maniera più o meno coperta, sbuffiamo annoiati. Dedicare il nostro tempo al prossimo è il gesto più generoso che si possa fare. È comunque imprescindibile saper distinguere il lamento per un dolore vero da un piagnisteo sterile e infantile. Nel primo caso, se siamo uniti da un legame importante, ci sentiamo automaticamente vicini all’altro per la sua pena. Si chiama empatia e ci permette di renderci subito conto che un nostro sostegno può alleggerire quel dolore così pesante. Nel secondo caso, invece, occorre interrompere il piagnisteo immediatamente e chiedere qual è il vero problema di fondo, che la puerile lamentela sta cercando di occultare. È oltremodo importante non lasciarsi trascinare in un turbinio di lamentele sterili che, come hanno dimostrato numerose ricerche scientifiche, risultano altamente dannose per la salute di chi le ascolta, arrivando addirittura a 'spegnere' una considerevole parte di neuroni, pregiudicando così l’attività cerebrale del povero malcapitato di turno”.

5 soluzioni per smettere di lamentarsi
Se farlo finora non ha prodotto alcun risultato, prova a cambiare atteggiamento seguendo questi step pensati per te dal personal life coach.

1. Cambia prospettiva
Guardare la vita, le persone, le cose e gli eventi da diverse angolazioni, ci permette di avere un quadro più completo della realtà. Anche quando il mondo sembra crollarci addosso, c’è sempre una via d’uscita, ma spesso non riusciamo a vederla perché siamo immersi personalmente e non abbiamo una percezione obiettiva della realtà. Immagina che ciò di cui ti stai lamentando ti venga esposto da una tua amica. Cosa le diresti per aiutarla a trovare una soluzione?

2. Sostituisci la lamentela con la gratitudine
Tendiamo sempre a soffermarci su ciò che non c’è, su ciò che non funziona, su ciò che manca, dimenticandoci di tutto il resto che va alla grande. Sposta i riflettori su ciò che nella tua vita ti riempie di gioia, qualunque cosa sia, e dimostra gratitudine per questo. Ora prova ad approcciare il problema di cui ti lamenti, concentrandoti sulla soluzione con lo stesso spirito di gratitudine. Sei proprio sicura che quell’ostacolo di cui ti lagni oggi non sia l’opportunità per cui essere grata domani?

3. Agisci per risolvere il problema
Nessun problema al mondo è stato mai risolto semplicemente avanzando critiche e lamentele a riguardo. Occorre agire, sporcarsi le mani, sudare per raggiungere risultati che cambiano la vita. Cosa sei veramente disposta a fare (non solo a parole) per risolvere il problema che ti tormenta?

4. Evita pensieri e parole negativi
I pensieri e le parole sono energia e l’energia, si sa, o è positiva o è negativa. Inoltre, quello che pensiamo e quello che diciamo, al pari delle azioni, plasmano la nostra realtà. Più pensi a cose belle, più ti esprimi con parole gentili, più bella e gentile sarà la tua realtà. Che ne pensi di impegnarti con te stessa e prometterti di pensare e pronunciare solo cose positive?

5. Assumiti la piena responsabilità della tua (in)felicità
Quando ti lamenti, stai compiendo una scelta: quella di lagnarti. Chiediti quanto questa tua scelta ti renda felice o infelice. Un detto tibetano recita: “Se sei infelice, è colpa tua”. Ora che sei consapevole che l’infelicità è il più delle volte legata alle tue scelte, cosa scegli per essere felice?
 

Nessun commento:

Posta un commento