Il portierato come metafora culturale dell’Italia
Cosa pensate quando vi dico la parola “portiere”? A me questa parola fa pensare ad un albergo, un condominio oppure qualche ente pubblico o privato che si avvale di questa figura professionale. In questo intervento ho intensione di parlare del ruolo del portiere all’interno della società italiana come modo per parlarvi della mia analisi culturale delle identità culturali italiane. So che un esercizio di questo genere può essere pericoloso ma credo che il rischio debba fare parte di chi lavora sul contenuto sociale ed umano di una società in transizione. La prima cosa che mi viene alla mente pensando al mestiere del portiere è di rispondere al seguente quesito: quali sono le funzioni del portiere? Dal mio punto di vista, la prima cosa che deve avere un buon portiere sono le “chiavi” per aprire o chiudere tutte le stanze presenti all’interno dell’edificio in cui si lavora. In termini culturali, la “chiave” identifica il codice, la formula o la risorsa non disponibile per tutti gli utenti dell’edificio in questione. Questa chiave rappresenta il modo per iniziare oppure concludere i rapporti con gli utenti esterni alla struttura lavorativa in modo discrezionale. Di fatto, il portiere può svolgere il suo ruolo di mediatore tra gli utenti e la parte ufficiale dell’edificio con molta libertà in quanto il regolamento vigente non è noto alle persone ed è compilato in un modo tale che difficilmente possa essere rispettato e compreso in senso generale.
Questa chiave rappresenta un po’ la sua agenda segreta agli occhi degli utenti esterni in quanto gli permette di diventare importante per gli altri per via del grado di opacità che potrà esercitare nei confronti degli altri utenti del servizio.
Data la presenza di questa chiave, adesso il portiere potrà cominciare a “verificare” il comportamento dei presenti all’interno dell’edificio avendo come riferimento il regolamento che conosci soltanto tu. La stessa postazione fisica del portiere, all’entrata dell’edificio, gli permette di diventare il mediatore di ogni rapporto tra utenti e la parte “ufficiale” dell’edificio. Questa azione gli permette di canalizzare le richieste degli utenti in modo discrezionale facendo nascere la prima forma di cellula di potere all’interno dello stesso edificio. Questa sua presenza fisica e il suo ruolo di mediatore delle richieste impedisce lo sviluppo di un rapporto diretto e democratico con le istituzioni. Inoltre, partendo dalla sua collocazione geografica all’interno dell’edificio, gli sarà possibile vedere o sentire “le cose non viste” o le cose “non dette”, conferendo alla sua persona il potere di sapere delle cose degli altri che potrà sempre divulgare a chi riterrà utile fare per la sua persona nei momenti difficili sempre presenti in un contesto lavorativo.
Dato questo suo potere conoscitivo sugli altri, questo gli permette di essere temuto e di esercitare un certo tipo di potere sulle altre persone frequentatori dell’edificio. Quindi tu conosci tutti i segreti celati all’interno della vita del tuo edificio e questo ti spinge a non fidare nel comportamento e nelle parole degli altri. Questo sentimento di sfiducia che porti dentro è il risultato della tua conoscenza dei fatti e misfatti del luogo, ma anche della tua perenne intermediazione tra utenti e amministrazione, in quanto tu conosci tutte le richieste degli utenti. Queste richieste vengono giudicate da te e quindi dalla tua idea di “star al mondo” in modo sensate oppure illegittime acuendo di fatto questo sentimento di sfiducia dentro di te. La tua presenza impedisce un’autonomia degli utenti, i quali hanno paura di perdere la tua fiducia dimostrando di essere capaci di movimenti indipendenti all’interno della struttura. Questo comportamento non piace affatto al portiere in quanto tende ad interpretare ogni movimento fisico e di parola dell’utente alla ricerca di libertà d’azione come qualcosa per forza da connotare come negativo in quanto priva della sua intermediazione. Questa situazione è acuita quando ci si trova in piccole città e nei piccoli centri urbani dove vige un controllo sociale ancora abbastanza forte. Questo tuo comportamento ti spinge a vivere nella consuetudine e di conseguenza lontano dalla creatività e dall’innovazione sociale e professionale. Nel tuo ruolo di portiere ti rendi il migliore complice quando occorre fare “bella figura” in nome dell’istituzione perché tu conosci tutti i suoi lati deboli e forti e quindi sai mettere in risalto i suoi elementi di forza a discapito delle tante pecche quotidiane.
Questa per me rappresenta forse il suo peccato capitale perché questo suo comportamento non permette mai di stigmatizzare le quotidiane inefficienze ma permette al “potere “inteso come cultura dominante di un paese di poter dire che tutto sommato va sempre tutto per il meglio.
Spero che anche voi abbiate percepito questa similitudine tra il mestiere del portiere e quella del vivere all’ italiana la nostra avventura di essere umani.
Blog dedicato alla didattica della lingua e cultura italiana in senso antropologico, pragmatico e anche tradizionale.
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