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martedì 28 aprile 2020

ITALIAN THEORY 1

Pensiero e territorio. 

La filosofia italiana come problema 


Vi è dunque un rapporto fra pensiero e territorio? Gilles Deleuze e Félix Guattari in Qu’est-ce que la philosophie? affermarono a chiare lettere: «pensare non è né un filo teso tra un soggetto e un oggetto, né una rivoluzione dell’uno intorno all’altro. Il pensare si realizza piuttosto nel rapporto fra il territorio e la terra»12. Tuttavia, proprio l’ammissione di tale rapporto fra pensiero e territorio sembra minare le pretese di universalità che la filosofia possiede per sua natura. Lo stesso Garin aveva ben chiara questa difficoltà quando scrisse nell’introduzione alla sua storia della filosofia italiana che la «pretesa antinomia fra “universalità” della filosofia e “particolarità” di un pensiero nazionale»13 è un falso problema. Infatti, la filosofia ha «un preciso aggancio a situazioni storiche definite, a condizioni e a limiti di fatto determinati o determinabili»14. La differenza, rispetto ad altri ambiti del sapere, è abbastanza marcata perché se, da un lato, «non c’è una matematica cinese, indiana, greca ma, semplicemente, la matematica»15, dall’altro lato, «la realtà storica del filosofare importerà sempre un riferimento a situazioni specifiche, entro dimensioni spazio-temporali»16. Il punto, abbastanza chiaro, è che le idee filosofiche non nascono per partenogenesi e che «il discorso filosofico è sempre, per usare un’espressione platonica, un discorso bastardo»17. Tuttavia, se ci fermassimo a questo rilievo, cadremmo in uno storicismo che riduce le idee alla loro storia. Invece, hegelianamente, la filosofia non è soltanto il proprio tempo appreso in pensieri, ma si occupa anche di ciò che è ed è eternamente. In altre parole, la genesi particolare di un’idea filosofica non inficia la sua validità universale. A tal proposito, Alain Badiou, parlando di filosofia francese, ha affermato: «senza rimettere in causa la vocazione universale della filosofia, da me sistematicamente difesa, bisogna comunque convenire del fatto che il suo svolgimento storico comporta delle discontinuità, sia temporali che spaziali»18; insomma «occorre pur riconoscere che esistono dei momentidella filosofia, delle localizzazioni singolari dell’invenzione a risonanza universale di cui essa è capace»19.Non storicismo, dunque, ma neanche rimozione della storia. Non è possibile studiare le idee né riducendole alla loro storia né prescindendo completamente dalla loro genesi storica. Tali affermazioni che sembrano ovvie e scontate, in realtà non lo sono nell’epoca 12 G. Deleuze e F. Guattari, Qu’est-ce que la philosophie, 1991; tr. it. Che cos’è la filosofia, a cura di C. Arcuri, Einaudi, Torino 20023, p. 77.13 E. Garin, Storia della filosofia italiana (1947), 3 voll., Einaudi, Torino 1978, vol. I, p. 22.14Ibidem.15Ibidem.16Ibidem.17Ibidem.18 Cfr. A. Badiou, L’aventure de la philosophie française, 2012; tr. it. L’avventura della filosofia francese. Dagli anni Sessanta, Derive Approdi, Roma 2013, p. 6.19Ibidem.

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Corrado Claverini - “La filosofia italiana come problema. Da Bertrando Spaventa all’Italian Theory”184odierna, ovvero l’epoca della cosiddetta fine della storia. La rimozione della storia oggi in atto implica un processo di naturalizzazione dell’elemento storico e sociale che rende impossibile ogni critica – laddove, chiaramente, la natura non può essere criticata, ma soltanto descritta. Tale processo va di pari passo con un altro di riduzione delle molteplici culture ad un’unica “cultura-mondo”. Ci riferiamo evidentemente alla globalizzazione. Ecco perché oggi ammettere l’esistenza di diverse tradizioni filosofiche nazionali sembra così difficile. La filosofia riflette questo duplice processo di rimozione della storia e di riduzione delle culture, adottando certi aspetti tipici della scienza: il cosiddetto “sguardo da nessun luogo”, la rimozione dell’elemento culturale e storico, il falsificazionismo e una concezione della verità come progresso. Al contrario, lo sguardo della filosofia non è from nowhere come quello scientifico, ma è situato e collocabile in un contesto culturale e storico al quale – come già accennato – non si riduce, ma da cui prende le mosse. Si potrebbe dire con un’equazione che lo spazio e il tempo stanno alla scienza come la cultura e la storia stanno alla filosofia. Si può certamente riflettere sulle conseguenze culturali e storiche di certe scoperte scientifiche, ma tale riflessione cade nell’ambito della filosofia e non della scienza. Infine, ultimo punto, la verità filosofica non è progressiva, non procede popperianamente per congetture e confutazioni (cfr. teoria epistemologica del falsificazionismo). La filosofia non ha alle spalle un cumulo di macerie, ma una ricca tradizione. In parole povere, Platone non è inferiore ad Hegel perché più antico. Questo concetto era chiaro all’epoca della famosa vicenda Bruno-Galilei. La condanna del primo e l’abiura del secondo non hanno solo a che fare con il coraggio del Nolano e l’“antieroismo” del fisico pisano, ma – come emerge in maniera limpida ne La fede filosofica di Karl Jaspers20 – con il diverso tipo di verità in gioco, filosofica da un lato, scientifica dall’altro. Questo, dunque, il primo ordine di problemi quando si parla di filosofia italiana e, in generale, di tradizioni filosofiche nazionali. Da una parte, si aprono questioni di tipo filosofico come quella della presunta antinomia fra particolare e universale, dall’altra vi è una difficoltà di tipo storico e culturale nell’affrontare questo genere di discorsi nell’epoca della globalizzazione, dell’end of historye della philosophia ancilla scientiae.Vi è un secondo ordine di problemi quando si parla di tradizioni filosofiche nazionali: il pericolo del nazionalismo. Tuttavia, chi evoca tale pericolo probabilmente non fa le dovute distinzioni: il sentimento nazionale non ha nulla a che vedere con il nazionalismo. Il principio di nazionalità dovrebbe essere difeso dalle derive nazionalistiche così come il principio dell’internazionalismo dovrebbe essere difeso dalle derive globalizzanti. Il sentimento nazionale è la consapevolezza della peculiarità storica di un popolo con la sua lingua, la sua cultura, le sue tradizioni. Tale sentimento diventa nazionalismo soltanto nel momento in cui il popolo in questione, proprio in virtù della coscienza di possedere determinate peculiarità, proclama la sua superiorità rispetto agli altri popoli. Il genuino principio di 20 K. Jaspers, Der philosophische Glaube (1947); tr. it. La fede filosofica, Cortina, Milano 2005.Giornale Critico di Storia delle Idee - 15-16/2016185nazionalità non esclude né intende sottomettere le altre nazioni, ma le riconosce come legittime. Per questo motivo, tale principio richiama subito l’altro dell’internazionalismo cui abbiamo fatto riferimento poco sopra. Il genuino internazionalismo implica il rapporto inter nationes, l’incontro fra culture differenti e la loro eventuale traduzione in qualcosa di nuovo, di inedito. Nella globalizzazione, invece, l’incontro fra diverse culture avviene per riduzione ad un’unica “cultura-mondo” che, in quanto tale, non ha più nulla di culturale. Infatti, cultura implica per definizione pluralità e, dunque, traduzione e non riduzione.Chiarito questo punto, si giunge infine ad un terzo ordine di problemi. Abbiamo parlato di tradizioni filosofiche e, in particolar modo, di quella italiana. Tuttavia, a questo punto, la domanda sorge spontanea: qual è il significato da dare al termine “italiana”? In questo caso prendiamo la filosofia italiana, ma – detto per inciso – si tratta soltanto di uno dei possibili esempi: lo stesso discorso è valido per tutte le altre tradizioni filosofiche (francese, tedesca, inglese, spagnola, ecc.).Evidentemente non ci si riferisce allo Stato. Chi ammette l’esistenza di una precisa tradizione filosofica italiana, è anche d’accordo nell’individuare l’inizio di tale filosofia prima della nascita dello Stato italiano. Vi fu una nazione italiana anche prima della nascita dello Stato e vi sarà anche dopo l’eventuale dissoluzione di esso. Lo Stato è un’entità politica, la nazione – con o senza Stato – è un’entità culturale. Quando Spaventa, Gentile, Garin o, più recentemente, Michele Ciliberto21 affrontano il tema della filosofia italiana, ne parlano in senso nazionale, anche se poi – in particolare Spaventa e Gentile dove il particolare è momento dell’universale – non si fermano al mero principio nazionale e sottolineano il valore universale del pensiero filosofico. Anche Esposito, nella sua ricostruzione del pensiero filosofico italiano, non comincia la sua analisi dalla costituzione dello Stato nel 1861, ma a partire dal Rinascimento. Anzi, secondo quanto argomentato in Pensiero vivente, essendo la filosofia italiana nata e sviluppatasi per lungo tempo in assenza di uno Stato, è facile capire il motivo per cui oggi, nell’epoca della globalizzazione e della progressiva dissoluzione dei vecchi Stati nazionali, vi sia un rinnovato interesse per tale tradizione filosofica. Tuttavia, Esposito non utilizza il criterio nazionale, bensì il concetto geofilosofico di territorio, per tre ordini di motivi: in primo luogo per il cosmopolitismo che ha da sempre caratterizzato la cultura italiana a partire dalla Scolastica e dall’Umanesimo e per la natura meramente retorica delle invocazioni patriottiche di autori che vanno da Petrarca a Foscolo, da Machiavelli a Gioberti; in secondo luogo per sottolineare la portata universale del discorso filosofico sempre tendente alla “deterritorializzazione”; in terzo luogo, per evitare a priori le possibili derive nazionalistiche che abbiamo visto essere una delle questioni problematiche da chiarire quando si parla di tradizioni filosofiche nazionali. Tuttavia, non credendo che appelli patriottici come quello di Machiavelli siano meramente 21 Cfr. M. Ciliberto (a cura di), Il contributo italiano alla storia del pensiero. Ottava appendice, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 2012.Corrado Claverini - “La filosofia italiana come problema. Da Bertrando Spaventa all’Italian Theory”186letterari22 e avendo spiegato la differenza che intercorre fra il principio di nazionalità e il nazionalismo, possiamo continuare ad usare tranquillamente il concetto di nazione che esprime meglio il senso culturale che attribuiamo all’intero discorso sulla filosofia italiana.Dunque, né Stato né territorio, bensì nazione: ma in che senso? La nazionalità ha in primisa che fare con la lingua che è più di un semplice mezzo di espressione. Abbiamo già rilevato come, con la globalizzazione, sia in corso la riduzione delle culture ad un’unica cultura mondiale. Questo processo riguarda anche la diversità linguistica che è in costante diminuzione. La riduzione delle lingue è una tragedia anche perché i linguaggi non sono perfettamente traducibili l’uno nell’altro. Vi è sempre un margine di intraducibilità in cui risiede ciò che rende una lingua una risorsa e non un ostacolo. Una lingua veicolare va bene in ambito scientifico, dove vale il simplex sigillum veri, ma non in ambito culturale, dove la verità non è logica e formalizzabile, non ha a che fare con il vero e il falso. Per capire veramente una cultura occorre studiarne innanzitutto la lingua. Questo è uno dei motivi per cui una storia della filosofia italiana dovrebbe includere anche una storia della letteratura italiana. Fra l’altro questi due generi letterari sono nati insieme: curiosamente, il primo storico della filosofia italiana (Bertrando Spaventa) e il primo storico della letteratura italiana (Francesco De Sanctis) sono nati e morti nello stesso anno (1817-1883). Anzi, vi è anche chi – come Ermanno Bencivenga23 – ha sottolineato come una delle principali caratteristiche specifiche della filosofia italiana sia sempre stata quella di esprimere i concetti in uno stile peculiare e riconoscibile e, dunque, nell’intreccio di filosofia e letteratura. Non a caso certi protagonisti della letteratura italiana sono considerati anche grandi filosofi e certi importanti filosofi italiani non possono non essere considerati quando si parla di letteratura italiana. Oggi la filosofia italiana non deve abbandonare questa sua caratteristica perché esprimersi in un’unica lingua e in un unico stile comporta inevitabilmente un unico pensiero

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