Questo articolo di Umberto Eco è molto stimolante per capire come sia cambiata la società italiana negli ultimi 20 anni. Il titolo " Se prendi la multa, accusa il vigile" è molto ben trovato perché fa capire che se la mia faccia negativa, vale a dire il mio diritto ad essere lasciato in pace, viene colpita o sanzionata in modo molto evidente, come nel caso della multa da parte del vigile, non avviene una forma di presa d'atto in sintonia con una dimensione di tipo " individualismo" dove esiste un "io di tipo coscienzioso" pertanto la trasgressione della legge genera un sentimento di colpevolezza. In questo caso si aderisce sempre di più all'interno di una dimensione culturale di tipo " collettivismo" con un noi non di tipo coscienzioso ma piuttosto di natura " incosciente" in cui questo mantenimento dell'armonia inteso come "status quo" permanente non deve essere intaccato altrimenti " la multa" è percepita come una trasgressione da parte dello Stato inteso come "faccia collettiva", il quale dovrebbe "vergognarsi" nel sanzionare un cittadino per via dei numerosi costi subiti in modo permanente da parte della maggioranza dei cittadini italiani in termini di faccia negativa durante il pessimo operato di natura burocratica dello Stato italiano. In sostanza, la dimensione di "collettivismo" ha una funzione di forte mitigazione per ridurre l'impatto di un " io di tipo coscienzioso" in un contesto dove i cittadini di fondo sono percepiti come incompetenti. La tua responsabilità individuale segnalata dal fatto che "avevi lasciato l'auto in terza fila e bloccavi il traffico" viene trasferita verso l'invidia sociale di coloro che non aderiscono allo stesso "in-group". Questo genere di reazione rappresenta un segno di adesione ad una società ad alta distanza sociale tra i suoi componenti in cui lo spazio sociale è percepito come il luogo delle ineguaglianze esistenziali tra le persone e dove l'evitamento dell'incertezza è possibile con una forma di intolleranza verso le idee differenti nello spazio sociale in piena sintonia con l'idea che le nostre opinioni sono dettate dalle nostre appartenenze a determinati "in-group". Lo studioso Umberto Eco menziona che tale situazione si è ormai introdotta nel panorama culturale italiano da venti anni diventando un'adesione ad una forma di "orientamento temporale a breve termine" permanente in cui esistono delle linee universali su ciò che è bene o male nelle situazioni, creando "de facto" per le fasce sociali più forti una sensazione di controllo della propria vita in sintonia con una dimensione culturale di tipo " soddisfatti". Per Eco è molto importante sottolineare la piena adesione dell'Italia a questo orientamento temporale a breve termine in cui prevale l'immobilismo di un paese sempre uguale a se stesso, con delle pessime tradizioni da mantenere e dove i fatti del paese più rilevanti sono tutti avvenuti nel passato. Dal 1995 secondo l'analisi di Umberto Eco prevale la tendenza dei media di adottare uno stile "ambiguo e allusivo" per proteggere gli accusati e per delegittimare i giudici e allo stesso tempo i fatti. In altri termini, gli accusati illustri hanno spinto i media verso una totale adesione ad una dimensione culturale di " debole evitamento dell'incertezza" come modo per vivere a proprio agio nell'ambiguità e caos mostrandosi tranquilli e con poco stress di fronte al bisogno di chiarezza come modalità privilegiata per aderire ad una dimensione culturale di " forte evitamento dell'incertezza" da parte dei giudici e di una stragrande maggioranza di popolazione.
In altri termini, i giornalisti hanno cercato in ogni modo di potenziare il bisogno di valorizzazione della faccia positiva di questi politici facendo pagare costi notevoli al bisogno di preservare la propria faccia negativa da parte dei giudici. Questo ha creato benefici interazionali importanti per i politici che hanno potuto creare una descrizione dei fatti congeniale al loro bisogno di faccia positiva a discapito totalmente dei giudici, vale a dire alla "faccia collettiva" del paese. Per Eco "Una società in cui, sempre e a priori, non solo l'accusa, ma anche il collegio giudicante siano sistematicamente delegittimati, è una società in cui qualcosa non funziona ". Questo pensiero di Eco si può tradurre come la "faccia collettiva" dello Stato e quindi dei cittadini è delegittimata e pertanto subisce costi elevati in termini di assenza di tutela della sua faccia negativa da parte di alcuni politici "illustri" ( vedesi Berlusconi) che hanno spinto per rendere tutto il sistema funzionale a questa dimensione culturale detta "debole evitamento dell'incertezza" mentre la giustizia necessita di funzionare in sintonia con un "forte evitamento dell'incertezza". In questa società italiana, si è enfatizzata l'appartenenza di parte in cui le proprie opinioni sono dettate dal proprio gruppo di riferimento e la realtà descritta da parte degli altri "out-group" è totalmente irrilevante come avviene all'interno di una società con notevole distanza sociale tra i suoi corpi sociali. In sostanza, l'obiettivo è quello di buttare in piazza ( opinione pubblica creata dai media) il processo perché sarà il pubblico che dovrà decidere se sfiduciare l'inquirente o l'accusato. Questo meccanismo è possibile perché la lunghezza del processo non consentirà mai di produrre un colpevole per via dei termini della prescrizione dopo 8 anni di processo. Pertanto, la giustizia in merito a questi reati legati al mondo politico si è trasformata in una forma di giuria popolare come sostituto della faccia collettiva delegata alla giustizia e in modo particolare ai giudici. Questa giuria popolare, come rappresentante della pubblica opinione, diventa l'esecutore morale della possibilità o meno di fare pagare dei costi elevati o ridotti nei riguardi della protezione della faccia negativa dei giudici o valorizzazione della faccia positiva dei politici illustri in cui la colpa è una vergogna da subire in sintonia con la dimensione di tipo " collettivismo". In questi processi mediatici la trasgressione delle leggi non porta a sentimenti di colpevolezza come sarebbe all'interno della dimensione di tipo " individualismo". Per questo motivo, l'opinione pubblica diventa un attore cruciale da tenere dalla propria parte e quindi il ruolo dei media serve per creare un sentimento di appartenenza ad un dato "in-group" dove prevale un senso di intolleranza verso le persone "out-group" in termini di "collettivismo" così come di tipo " soddisfatti" offrendo una sensazione di controllo della propria vita, con la possibilità di ascoltare via "procurazione" una libertà di parola in sintonia con il mio "in-group" di tipo esistenziale. In questa società italiana, gli imputati illustri contestano ai giudici il diritto di giudicarli, ossia i politici aderiscono ad una società con forte distanza sociale perché vedono la legittimità dei giudici di compiere il loro lavoro\dovere come un fatto del tutto irrilevante. In altre parole, la "faccia collettiva" della nazione presente dietro ai giudici è irrilevante de facto e questo è reso possibile tramite la combinazione della dimensione culturale di "alta distanza sociale" e di "collettivismo" da parte di quella grossa fetta di popolazione che non si rivede nello stato. Per Eco " Se riesci a dimostrare che il tuo accusatore è un adultero, ha commesso peccati, leggerezze o crimini - anche se nulla hanno a che fare con il processo - hai già vinto ". Insomma, è necessario insinuare che il giudicante sia una persona bizzarra, inaffidabile o malata per renderlo subito inadatto alla sua funzione. Questo è un meccanismo che funziona già da venti anni in Italia per i politici illustri perché l'intento è di fare pagare dei costi elevatissimi al bisogno di faccia negativa del giudicante mostrando le sue debolezze, vale a dire la sua umanità in senso ampio come un elemento che lo renderebbe "incompetente" per svolgere il processo. In sostanza, i politici "illustri" utilizzano la loro piena adesione ad una dimensione di tipo " debole evitamento dell'incertezza" con la loro abitudine nel vivere nell'ambiguità per spingere il giudice, culturalmente legato ad una netta adesione ad una dimensione di tipo " individuale" perché è cruciale un " io di tipo coscienzioso" e un diritto alla privacy, i quale vengono combattuti dai media spingendo il giudice dentro una dimensione di " forte evitamento dell'incertezza" dove prevale da parte dei politici una scarsa considerazione verso il giudice in termini di incompetenza. Questa incompetenza del giudice viene brandita in difesa di un " noi coscienzioso" da una parte della popolazione che deve sapere che tali giudici non possono svolgere il loro operato. In questo modo entrano in conflitto " l'io coscienzioso" del giudice e teoricamente dell'imputato e viene imposta un'adesione ad un collettivismo con un " noi" di tipo ( in)-cosciente con lo scopo di enfatizzare l'appartenenza ad un dato "gruppo" distante dal mondo dei giudici. Questo metodo, usato da 20 anni, con l'uso di insinuazioni solletica i peggiori istinti dell'italiano medio che si sente sempre innocente di fronte ad una giustizia insondabilmente paranoica. Queste affermazioni di Umberto Eco si possono tradurre come la presenza di un metodo utilizzato dai politici corrotti per inquinare il paese introducendo un orientamento temporale a breve termine dove le cose sono sempre uguali a se stesse, con l'uso di una cornice di "debole evitamento dell'incertezza" con le insinuazioni per potenziare il bisogno di tutela di faccia negativa dell'italiano medio che si sente sempre " innocente" di fronte alla giustizia. In definitiva, il cittadino non intende volere subire ulteriori costi per il fatto di avere accettato questo contesto culturale in cui le conseguenze di questo meccanismo sono importanti perché spingono alla morte dei fatti, intesi come rappresentanti di una dimensione di forte evitamento dell'incertezza con l'ausilio della chiarezza, tramite un capovolgimento dentro la dimensione di " debole evitamento dell'incertezza" con il bisogno di dimostrare l'inaffidabilità morale del nostro accusatore come forma di ottenere ambiguità e caos. Tutto questo ha creato una cultura molto diffusa di " indulgenza preventiva" all'interno di un paese in cui è praticamente impossibile essere " perfetti cittadini" tranne al prezzo di lasciarlo per potere vivere in un paese dove i "fatti" non sono ancora morti e sepolti. Questa "indulgenza preventiva" è una forma di comportamento sociale che combina una dimensione di "forte evitamento dell'incertezza" perché non voglio avere problemi in generale e pertanto sono consapevole di un " noi di tipo coscienzioso" in cui il mantenimento dell'armonia come dato prevalente per continuare a vivere con ansia e nervosismo all'interno di un mondo sociale inserito pienamente dentro la dimensione culturale di " debole evitamento dell'incertezza" in cui occorre convivere con calma e poco stress nei riguardi dell'ambiguità dilagante nel paese.
Se prendi la multa, accusa il vigile
Sicuramente era invidioso della tua Bmw, per questo ti ha fatto la contravvenzione. Anche se avevi lasciato l'auto in terza fila e bloccavi il traffico. Questo è il ribaltamento a cui assistiamo in Italia. Mica da oggi: da vent'anni
Qualcosa del genere lo avevo
scritto in una Bustina del 1995, ma non è colpa mia se a distanza di
diciotto anni le cose vanno nello stesso modo, almeno in questo paese.
D'altra parte in un'altra Bustina avevo scritto di quando "Repubblica",
per festeggiare il suo ventennale, aveva inserito nel numero di
vent'anni dopo la copia anastatica del numero di vent'anni prima. Io
avevo scambiato distrattamente il secondo per il primo, l'avevo letto
con grande interesse e solo alla fine, vedendo che si davano solo i
programmi di due canali televisivi, mi ero insospettito. Ma per il resto
le notizie di vent'anni prima erano le stesse che mi sarei aspettato
vent'anni dopo, e non per colpa di "Repubblica" ma dell'Italia.
Così nel 1995 mi lamentavo di un curioso andazzo di alcuni giornali che parteggiavano per alcuni illustri accusati ma che, invece di sforzarsi di dimostrarne l'innocenza, pubblicavano articoli ambigui e allusivi, quando non deliberatamente accusatori, intesi a delegittimare i giudici.
Ora, si noti, dimostrare che in un processo l'accusa è prevenuta o sleale, in sé sarebbe una bella dimostrazione di democrazia, e fosse stato possibile fare così in tanti processi messi in scena da dittature di vario colore. Ma questo si deve fare in situazioni eccezionali. Una società in cui, sempre e a priori, non solo l'accusa, ma anche il collegio giudicante siano sistematicamente delegittimati, è una società in cui qualcosa non funziona. O non funziona la giustizia o non funzionano i collegi di difesa.
Eppure questo è ciò a cui stiamo assistendo da qualche tempo. La prima mossa dell'inquisito non è di provare che le prove di accusa sono inconsistenti, ma di mostrare all'opinione pubblica che l'accusa non è immune da sospetti. Se l'inquisito riesce in questa operazione, l'andamento del processo è secondario. Perché chi decide, in processi ripresi alla televisione, è l'opinione pubblica, che sfiducia l'inquirente e tende a convincere ogni giuria che sarebbe impopolare dargli ragione.
Quindi il processo non riguarda più un dibattito tra due parti che presentano prove e controprove: riguarda, e prima ancora del processo, un duello massmediatico tra futuri imputati e futuri procuratori e membri del collegio giudicante, a cui l'inquisito contesta il diritto di giudicarlo.
Se riesci a dimostrare che il tuo accusatore è un adultero, ha commesso peccati, leggerezze o crimini - anche se nulla hanno a che fare con il processo - hai già vinto. E non è necessario dimostrare che il giudice abbia commesso un delitto. Basta (ed è storia) averlo fotografato mentre getta una cicca per terra (cosa che ovviamente non avrebbe dovuto fare, neppure in un momento di distrazione) ma che dico, che (come è accaduto) gira con improbabili calzini celesti, e subito il giudicante diventa giudicabile, perché si insinua che sia essere bizzarro e inaffidabile, affetto da tare che lo rendono inadatto alla sua funzione.
A quanto pare questo modo di fare, visto che vi si insiste da almeno vent'anni, funziona. E d'altra parte queste insinuazioni solleticano i peggiori istinti della persona media che, se è multata per aver parcheggiato in terza posizione, si lamenta dicendo che quel vigile non era normale, che nutriva sentimenti d'invidia verso chi aveva una Bmw, come accade di solito ai comunisti. In qualsiasi inchiesta tutti si sentono il K di Kafka, innocente di fronte una giustizia insondabilmente paranoica.
Dunque, dicevo già diciott'anni fa, ricordate, la prossima volta che vi coglieranno con le mani nel sacco, nell'istante in cui date una mazzetta al poliziotto che vi ha sorpreso mentre spaccavate il cranio di vostra nonna a colpi di scure, non preoccupatevi di lavare le tracce di sangue, o di dimostrare che a quell'ora eravate altrove, a colloquio con un cardinale.
Basta che dimostriate che chi vi ha sorpreso con le mani nel sacco (o sulla scure), dieci anni fa non ha dichiarato al fisco un panettone natalizio ricevuto in regalo da una qualche azienda (e meglio se all'amministratore delegato dell'azienda donante è sospettabile di essere stato legato un tempo da affettuosa amicizia).
Così nel 1995 mi lamentavo di un curioso andazzo di alcuni giornali che parteggiavano per alcuni illustri accusati ma che, invece di sforzarsi di dimostrarne l'innocenza, pubblicavano articoli ambigui e allusivi, quando non deliberatamente accusatori, intesi a delegittimare i giudici.
Ora, si noti, dimostrare che in un processo l'accusa è prevenuta o sleale, in sé sarebbe una bella dimostrazione di democrazia, e fosse stato possibile fare così in tanti processi messi in scena da dittature di vario colore. Ma questo si deve fare in situazioni eccezionali. Una società in cui, sempre e a priori, non solo l'accusa, ma anche il collegio giudicante siano sistematicamente delegittimati, è una società in cui qualcosa non funziona. O non funziona la giustizia o non funzionano i collegi di difesa.
Eppure questo è ciò a cui stiamo assistendo da qualche tempo. La prima mossa dell'inquisito non è di provare che le prove di accusa sono inconsistenti, ma di mostrare all'opinione pubblica che l'accusa non è immune da sospetti. Se l'inquisito riesce in questa operazione, l'andamento del processo è secondario. Perché chi decide, in processi ripresi alla televisione, è l'opinione pubblica, che sfiducia l'inquirente e tende a convincere ogni giuria che sarebbe impopolare dargli ragione.
Quindi il processo non riguarda più un dibattito tra due parti che presentano prove e controprove: riguarda, e prima ancora del processo, un duello massmediatico tra futuri imputati e futuri procuratori e membri del collegio giudicante, a cui l'inquisito contesta il diritto di giudicarlo.
Se riesci a dimostrare che il tuo accusatore è un adultero, ha commesso peccati, leggerezze o crimini - anche se nulla hanno a che fare con il processo - hai già vinto. E non è necessario dimostrare che il giudice abbia commesso un delitto. Basta (ed è storia) averlo fotografato mentre getta una cicca per terra (cosa che ovviamente non avrebbe dovuto fare, neppure in un momento di distrazione) ma che dico, che (come è accaduto) gira con improbabili calzini celesti, e subito il giudicante diventa giudicabile, perché si insinua che sia essere bizzarro e inaffidabile, affetto da tare che lo rendono inadatto alla sua funzione.
A quanto pare questo modo di fare, visto che vi si insiste da almeno vent'anni, funziona. E d'altra parte queste insinuazioni solleticano i peggiori istinti della persona media che, se è multata per aver parcheggiato in terza posizione, si lamenta dicendo che quel vigile non era normale, che nutriva sentimenti d'invidia verso chi aveva una Bmw, come accade di solito ai comunisti. In qualsiasi inchiesta tutti si sentono il K di Kafka, innocente di fronte una giustizia insondabilmente paranoica.
Dunque, dicevo già diciott'anni fa, ricordate, la prossima volta che vi coglieranno con le mani nel sacco, nell'istante in cui date una mazzetta al poliziotto che vi ha sorpreso mentre spaccavate il cranio di vostra nonna a colpi di scure, non preoccupatevi di lavare le tracce di sangue, o di dimostrare che a quell'ora eravate altrove, a colloquio con un cardinale.
Basta che dimostriate che chi vi ha sorpreso con le mani nel sacco (o sulla scure), dieci anni fa non ha dichiarato al fisco un panettone natalizio ricevuto in regalo da una qualche azienda (e meglio se all'amministratore delegato dell'azienda donante è sospettabile di essere stato legato un tempo da affettuosa amicizia).
https://espresso.repubblica.it/opinioni/la-bustina-di-minerva/2013/09/16/news/se-prendi-la-multa-accusa-il-vigile-1.58721
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